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FOOD | Tendenze

BUBBLE TEA, NUOVO MUST DELLA GENERAZIONE ZETA

In Asia e America il settore è già realtà. Da noi prova a consolidarsi e diventare catena, con modelli differenti a seconda del marchio. “Ma la crescita è impetuosa” racconta Franco Borgonovo, fondatore di Frankly diAdriano Lovera

Nasce come bevanda della generazione “manga”. Chiamatela “bubble tea”, boba. Qualcuno dice tè al latte. Il risultato non cambia. Nata a Taiwan, transitata per le “chinatown” di tutto il mondo, questa miscela fredda, caratterizzata dalle piccole palline gelatinose di tapioca che esplodono in bocca, fa tendenza tra i giovani. Soprattutto nei mesi caldi. E naturalmente, cresce il settore. Secondo un report di Growth Capital- Cross Border, pubblicato a dicembre 2021, il mercato mondiale del bubble tea, nel 2021, valeva 2,7 miliardi di dollari e si prevede raggiungerà un valore di oltre 4 miliardi nel 2027, crescendo con un CAGR del 7,8% annuo (2020-2027). Certo, nel panorama mondiale del food è una fettina. Basti pensare, per dare un metro di paragone, che solo negli Usa il mercato degli hamburger vale circa 130 miliardi di dollari l’anno. Comunque, le prospettive del bubble tea sono fiorenti. Il 35% dei ricavi è appannaggio dei Paesi cosiddetti Apac (Asia-Pacifico), in particolare Taiwan e Vietnam. Il secondo mercato più grande è il Nord America. In questi due grandi bacini, sono già presente catene importanti, che si portano a casa quote di mercato rilevanti, e si può parlare di un settore consolidato. Si possono citare Coco Fresh Tea&Juice e Chatime, entrambe di Taiwan, oppure Vivi e Kung fu Tea negli Stati Uniti. L’anno scorso, in Cina, la catena Nayuki è approdata alla borsa di Kong Kong, con una Ipo da circa 650 milioni di dollari. “Per quanto riguarda il panorama europeo, il bubble tea è più affermato tra le abitudini di Paesi come Regno Unito, Spagna e Francia” spiega ancora l’approfondimento di Growth Capital. E proprio in quegli Stati, sono arrivate in franchising alcune delle catene extra continentali citate sopra, più altre locali, come l’inglese Bubbleology o Wowble! In Spagna. E in Italia? “Senza dubbio, parliamo di un segmento presidiato per almeno l’80% dalla generazione Z, quindi liceali e universitari, i quali tra l’altro mostrano comportamenti diversi. Il classico fruit tea è il best seller nella fascia più giovane, mentre i ragazzi a cavallo dei 20 anni sono già attenti ad alcuni aspetti legati a salute e linea, quindi prediligono prodotti con topping salutare, come semi di chia o aloe vera” racconta a retail&food Franco Borgonovo, fondatore insieme a Lati Tang di Frankly, la catena più diffusa nel nostro Paese. “Questi sono i prodotti che vanno per la maggiore nei mesi caldi. D’inverno le vendite si ribilanciano verso le bevande a base di caffè, sormontate da topping”.

Arrivano anche i fondi

Frankly per ora conta su otto negozi, di cui quattro a Milano, insieme a Torino, Bergamo, Bologna e Pavia. Ma sono in arrivo novità. “L’obiettivo è chiudere l’anno arrivando a tredici. Al momento, sono tutti punti vendita in gestione diretta. Riceviamo tante richieste di affiliazione e in futuro le conside-

reremo. Ma per ora vogliamo consolidarci, arrivare al franchising con le spalle larghe e dopo aver creato un brand forte e riconosciuto” dice ancora il manager. Gli affari per Frankly vanno bene. “Siamo per ora a +20% di fatturato rispetto al budget”. Secondo alcuni dati diffusi dalla società, nel primo trimestre i ricavi sono balzati del +236% rispetto allo stesso periodo del 2021. Uno dei punti vendita cardine è quello aperto in Stazione Centrale a Milano. A partire dalla sua inaugurazione serviva in media 700 clienti al giorno, con oltre 20.000 bevande vendute nel primo mese di attività. Il brand ha attirato anche investimenti sul capitale. Frankly ha da poco chiuso una campagna di raccolta su Mamacrowd. Da un obiettivo minimo di mezzo milione di euro, la raccolta ha superato 1,4 milioni. E tra gli investitori si è visto anche un big della finanza come Azimut, tramite il suo primo fondo di venture capital ELTIF (acronimo per European Long Term Investments Funds), ALIcrowd. “Anche grazie a questa iniezione e a un partner finanziario, per il 2023 contiamo di raddoppiare il numero dei negozi e di iniziare la penetrazione all’estero” sostiene Borgonovo.

La qualità non penalizza i margini

Anche il bubble tea, comunque, non è solo una bevanda colorata. Il brand lavora, come si fa oggi nel marketing della ristorazione, a veicolare valori positivi. “Che nel nostro caso sono inclusività e internazionalità. Siamo aperti e ben voluti dalla comunità LGBT e, non è una battuta, durante le sfilate di gay pride tocchiamo i picchi di vendita”. Anche per questo, è forte e assidua la presenza sui social come Instagram e TikTok. Accanto a questo, però, bisogna pensare al conto economico. Frankly riesce a fare margini. Qualche punto vendita addirittura al 30% dei ricavi, “ma certo, non è la media. Magari…” scherza Borgonovo. Frankly pone attenzione alla qualità del prodotto. Niente

BOBBLE BOBBLE, 25 LOCALI E STABILIMENTO DI PRODUZIONE

L’altro grande protagonista delle catene italiane di bubble tea, in Italia, si chiama Bobble Bobble. La società, fondata nel 2017 da Simone Simonelli e Nicolò Ossino, è quella che conta più punti vendita. Dopo il primo negozio a Lucca, il brand è cresciuto, nonostante il Covid, e anche in estate ha messo a segno nuove opening, come Roma Trastevere, Follonica, Gallarate, oltre ad aver sperimentato format atipici, come il “chiosco” all’interno dell’Arbatax Park resort & spa. Oggi Bobble Bobble punta a trenta locali, ma ha scelto un modello di rete diverso da Frankly, infatti sono quattro i negozi a gestione diretta, per il resto ha spinto sull’affiliazione in franchising. E quasi sempre ha preferito posizionarsi lontano dai grandi centri, ed “esportare” il prodotto nuovo nella provincia. Persino in Sicilia, a Modica. Un’altra caratteristica che contraddistingue il marchio è il fatto di essersi trasformato da rivenditore a produttore. Proprio durante il Covid, infatti, era sempre più difficile e costoso far arrivare le materie prime dall’Asia. Allora Bobble Bobble ha investito per creare uno stabilimento di produzione italiano, a Lucca, che adesso serve sia i punti vendita sia aziende dell’ho.re.ca. Sciroppi, boba, tè in foglie, polveri aromatizzate, persino bicchieri e dosatori. Nel catalogo di Bobble Bobble c’è davvero tutto per completare un’offerta in questo segmento di mercato. Lo stabilimento ha avuto così successo, che è stato già pianificato un ampliamento, per poi andare a regime nel 2023. (foto tratte da Linkedin).

polverine o composti artificiali, le foglie di tè vengono messe in infusione in negozio, ogni tre ore, si usa latte italiano, non quello in polvere. Ingredienti freschi, più deperibili, ma che restituiscono più gusto e salute. Una parte consistente della materia prima arriva direttamente da Taiwan, la logistica è centralizzata, il rifornimento dei punti vendita appaltato in outsourcing. “Il formato è snello, i negozi sono di dimensioni ridotte, in formato take away. Quindi, anche se ultimamente trasporto e materie prime sono rincarati, pur considerando affitti e costo del personale, siamo in attivo” dice l’imprenditore. Già, e le risorse umane? Si trovano? “Anche noi, in effetti, scontiamo le stesse difficoltà del resto della ristorazione. Non assumiamo personale dalle agenzie interinali, magari per un mese, ma offriamo un minimo di prospettiva, anche perché lo staff deve prima ricevere un po’ di formazione sul prodotto. In più, l’orario è sulla base di cinque giorni settimanali, quindi a rotazione i weekend liberi sono salvi. E pure sì, spesso c’è carenza di giovani interessati”.

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