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A scuola di vecchiaia

AUTUNNO 2008 • NUMERO UNDICI • NEWSLETTER TRIMESTRALE • ANTROPOSOFIA OGGI • ARTEMEDICA

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dedizione, un’attenta percezione, anche un amorevole tocco alle spalle e una calorosa stretta di mano possono essere di grande giovamento. Ma è pure importante coltivare l’aspetto artistico della vita. È, per esempio, particolarmente prezioso l’ascolto di musica classica ed è utile portare il malato non appena possibile a un concerto.

L’esperienza di due mondi Tutto ciò che si è sentito sulla Terra rimane per circa 30 anni dopo la morte, il tempo della purificazione, qualcosa che ci colleghi ancora con la Terra: si può continuare a essere animicamente partecipi alla vita sulla Terra. Così si donano anche all’uomo anziano organi per un ascolto amorevole e artistico che gli permetteranno di mantenere il rapporto con la Terra mediante la parola e la musica. E quando questa fase agitata giunge a termine, la capacità della parola e del movimento diminuiscono e si va più verso una vita eterica vegetale, perché anche il corpo astrale è già parzialmente morto, può nondimeno ogni tanto lampeggiare qualcosa e spesso si racconta di incontri con defunti. Bisogna riuscire ad aver chiaro in tutta la sua grandiosa bellezza che ci viene ancora concesso di assistere quel portatore fisico, poiché in un’epoca così materialista è della massima importanza che il mistero della morte venga sempre di più approfondito e considerato quale nascita dello spirito. Questo è un grande compito pedagogico. Parola e musica rimangono ancora percepibili durante il periodo del Kamaloka, costituiscono un ponte fra vivi e morti, così come lo fanno anche i pensieri positivi. La missione dei malati affetti da demenza è quella di portare senso nella vita spirituale, poiché mettono in questione ogni senso legato alla vita terrena. La missione della vicinanza con la morte è però anche quella di sperimentare il doppio senso della vita: ciò che si può comprendere per sé quale individuo consapevole e ciò che si può fare per la formazione di conoscenza degli altri, anche per lo sviluppo delle loro capacità sociali.

di Dietrich Kumrow tratto da Info3 n.4 2006

Bisogna imparare ad invecchiare? Nell’ambito dell’Istituto di ricerca sulla vecchiaia di Paderborn, Dietrich Kumrow, esperto in materia d’invecchiamento, ha sviluppato delle teorie su come realizzare socialmente una nuova immagine della vecchiaia. Centrale, allo scopo, è il progetto di una “Scuola di competenze per la vecchiaia” in cui imparare a interpretare il proprio invecchiamento come una via spirituale.

In Africa c’è il detto “Quando muore un anziano, va persa una biblioteca”. Nel mondo occidentale oggi, essere vecchi non è più naturalmente connesso a maturità o saggezza. Il processo evolutivo dell’invecchiamento, ormai, è solo frutto d’iniziativa individuale e d’auto-sviluppo. Per questo motivo abbiamo bisogno di sedi in cui argomenti quali il rapporto generazionale e gli interrogativi legati al morire e alla morte vengano regolarmente coltivati e ulteriormente liberati dalla sfera del tabù sociale in cui, attualmente, sono ancora relegati.

Si tratta di sviluppare delle offerte formative grazie alle quali la persona che sta invecchiando trasformi se stessa in contenuto di evoluzione e di ricerca, plasmi il proprio invecchiamento come percorso conoscitivo consapevole, cercando e trovando, a quel modo, accompagnamento e sostegno. Una “Scuola dell’invecchiamento”, infatti, non può che proporsi di promuovere lo sviluppo dell’interiore predisposizione alla libertà.

quando muore un aziano, va persa una biblioteca lo spirito umano si serve sì del corpo come di un suo strumento, ma nella sua entità ne è indipendente

Fondamenti antropologici La vecchiaia può venire capita solo in un’ottica di intendimento complessivo della vita, movendo da una comprensione di ciò che sull’uomo opera dal passato e proviene dal futuro. Il fondamento di una comprensione simile può consistere in un’immagine dinamica dell’uomo che vede nel Sé spirituale, il superiore, il nucleo centrale sovra-temporale dell’essere umano. In questo senso non è il corpo a creare lo spirito, il cervello a creare i pensieri, bensì è il Sé superiore, in quanto spirito pensante, a crearsi sia il proprio orizzonte universale che la propria coscienza del corpo ricavandoli dalle fonti di conoscenza a lui intrinseche.

Lo spirito umano si serve sì del corpo come di un suo strumento, ma nella sua entità ne è indipendente. Questa prospettiva è estremamente importante in funzione del processo d’invecchiamento, per la formazione della competenza a invecchiare e, di conseguenza, in funzione di una cultura della vecchiaia; essa, infatti, volge lo sguardo interiore dal crescente calo delle funzioni corporee verso la realtà della liberazione dell’elemento animico-spirituale dal corpo fisico. Partendo da un rapporto polare tra vecchiaia e infanzia, l’antropologia, su cui si basa questa teoria, sviluppa una tesi fondamentale: la vecchiaia di un uomo è il riflesso, a ritroso, della sua infanzia e gioventù. Questo processo di riflessione inizia a metà della vita, verso il 35esimo

anno di età, quindi. In quel momento culminante inizia l’evoluzione dell’Io a Sé superiore: infanzia e vecchiaia, nascita e morte si riflettono. Questo significa che ciò che viene vissuto in vecchiaia e come viene vissuta la vecchiaia dipende da ciò che è successo biograficamente nell’infanzia, nella gioventù e nella maturità e da come l’essere umano l’ha affrontato nella vita e quindi di fronte a se stesso. Si invecchia così come si è vissuto. In altri termini: in vecchiaia l’essere umano non è come è perché è vecchio, bensì perché è come è! Mentre la prima metà della vita è caratterizzata dall’afferrare le cose e dall’affermarsi nel mondo, sostenuta quindi dalle forze “portate con sé”, nella seconda metà della vita tali forze si esauriscono e l’essere umano deve consapevolmente prendere in mano la propria vita. Diventa in misura più spiccata ciò che egli fa di se tesso, diventa quindi “artefice di se stesso”. Le polarità di nascita e morte, di prenatale e post-mortem trovano il loro punto di congiungimento “al centro”, nella consapevolezza, nell’ora, in definitiva nel cuore spirituale, dell’essere umano. In una scuola della vecchiaia, o in una scuola della vivacità o della cultura del cuore, le persone interessate si sosterrebbero a vicenda nell’appropriarsi consapevolmente delle forze necessarie per invecchiare. Sedi del genere potrebbero sorgere ovunque ci si ritrovi per iniziare, in base a un apprendimento personalmente stabilito e organizzato, a scandagliare con questo intendimento nuove opportunità esistenziali.

La struttura contenutistica Liberata dai legami della vita professionale la persona che invecchia può trovare da sé, in termini nuovi, il proprio compito esistenziale. Rifacendosi alle esperienze professionali, in lei si sono sviluppate prevalentemente tre competenze fondamentali: 1. la competenza tecnica 2. la competenza individuale 3. la competenza sociale Da quei tre livelli può ora crescere la competenza triarticolata della vecchiaia. La competenza tecnica specialistica si dilata a competenza mondiale, a raggiunta esperienza esistenziale. In essa, accanto a ogni conoscenza e capacità tecnica, fluisce anche l’esperienza acquisita, la storia del tempo vissuta. Che, per generalizzare, bisogna rendere fruibile alla segnatura del presente e ai giovani. Il compito che, un tempo, consisteva nella trasmissione dell’esperienza, si trasforma nella capacità di riconoscere l’elemento “atemporale” della vita umana e di trasmetterlo, giacché “gli anziani conoscono le strade del mondo”. In questo processo la competenza individuale subisce un notevole potenziamento, un ispessimento dell’”Io” personale che diviene nucleo essenziale sovra-temporale grazie alla panoramica ed elaborazione sulla propria biografia passata (il lavoro biografico) e grazie all’auto-conoscenza nel momento in cui s’invecchia e all’intuizione a ciò connessa del proprio sé superiore, libero dal corpo. La competenza individuale si manifesta nell’individuazione di un significato personale; l’antico rapporto con gli antenati determinato dalla realtà della stirpe si trasforma in un rapporto personale col mondo spirituale in quanto saggezza dell’essere umano.

Dalla dilatazione del campo d’azione, che può ora venire colmato solo dall’autoorganizzazione, anche la competenza sociale ottiene una qualità più intensa. Qui si tratta di ottenere e di promuovere le capacità rapportuali, di creare o afferrare nuovi ambiti esistenziali, campi d’azione, attività creative e sociali; di dare senso e finalità. L’antico compito del mantenimento della stirpe si trasforma nel “creare legami” tra generazioni e individui sempre più autonomi.

Conformemente si strutturano possibili contenuti formativi: contenuti che promuovono la personalità offrendo metodi che promuovono percorsi spirituali quali la meditazione, ad esempio, e altri percorsi formativi. Ad esempio, facendo proprie le proposte di Rudolf Steiner con esercizi per rinforzare la memoria, educare la volontà e la concentrazione che si estendono sino all’accettazione della sofferenza e del destino. Di essi fanno parte anche gli esercizi artistici, il lavoro biografico e gli esercizi per creare un’immagine umana e dinamica della libertà e sviluppare e avviare un approccio alla morte con seminari sul morire. Lo sviluppo delle competenze sociali potrebbe venir favorito, ad esempio, da esperienze di gestione dei conflitti, strutturazione di progetti (ad esempio

l’antico rapporto con gli antenati determinato dalla realtà della stirpe si trsforma in un rapporto personale col mondo spirituale

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lavoro negli ospizi, negli istituti, negli ospedali) o nuove forme abitative con convivenze ultra-generazionali.

i consulenti dell’invecchiamento sarebbero dei moltiplicatori della cultura della vecchiaia

Il consulente dell’invecchiamento Le persone possono essere accompagnate in questo processo da consulenti dell’invecchiamento appositamente formati. Essi perseguono questi processi su di sé a titolo di esempio e di modello e dispongono di forme e metodi grazie ai quali, la persona che sta invecchiando, può coltivare e spiritualizzare il proprio invecchiamento. Le persone che invecchiano dispongono, per esperienza di vita, di contenuti che adempiono la cultura della vecchiaia, in questo senso sono al contempo i maestri dei loro consulenti. I consulenti dell’invecchiamento sarebbero dei moltiplicatori della cultura della vecchiaia. Essi intrecciano le esperienze della loro attività, le accumulano e moltiplicano attraverso la loro mobilità. Essi si recano da coloro che invecchiano, nelle loro imprese, istituti, centri d’incontro, ecc. Al contempo sono formatori per elezione di nuovi consulenti dell’invecchiamento. Le sedi formative dei consulenti dell’invecchiamento potrebbero essere strutturate presso case di cura o altri centri formativi che si evolverebbero a centri competenti sulla vecchiaia. Le case di cura sarebbero particolarmente appropriate allo scopo perché, nel corso di molti anni, vi si è sviluppata una profonda esperienza dei processi d’invecchiamento, del morire e della morte.

Connessione La cultura della vecchiaia deve venire strettamente intrecciata al sociale. Anche la persona che invecchia e ha una aspettativa di vita di 20 o 30 anni ha bisogno di concreti compiti sociali per invecchiare in modo appagato. Allo scopo devono essere create nuove forme di connessione sociale che si facciano carico di compiti limitatamente esentasse, igienico-sociali ed ecologici o culturali. I reticoli ultra-generazionali diventeranno un’esigenza ovvia; gli anziani saranno richiesti, vuoi per creare nuove forme abitative, per l’insegnamento storico o professionale nelle scuole, vuoi a sostegno dei singoli bambini negli asili infantili o nelle scuole, o per farsi carico dell’accudimento temporale dei figli di genitori single o di persone bisognose di cure, o per svolgere le professione di un tempo o per tutelare gli antichi valori culturali (coltivazione delle verdure e panificazione) o per lo sviluppo delle facoltà sino a quel momento trascurate. Anche corporazioni quali un consiglio degli anziani possono diventare socialmente produttive in svariati ambienti. Persone libere, indipendenti, che grazie alla pensione hanno a disposizione un introito di base, possono attivarsi completandosi a vicenda e auto-organizzandosi al di là di qualsiasi regolamentazione. La formazione di una nuova cultura della vecchiaia deve sfociare in una cultura del reciproco aiuto. Quando ciò avverrà sarà indizio che “l’entità, non libera, della vecchiaia” si sarà liberata, creando il presupposto della riuscita di una società “che sta incanutendo”.

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