Artemedica n.11

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ARTEMEDICA•ANTROPOSOFIA OGGI•NEWSLETTER TRIMESTRALE•NUMERO UNDICI•AUTUNNO 2008

intendeva rivelare l’intera verità a sua figlia al compimento dei diciotto anni). Nonostante le conseguenze disumane provocate da un vergognoso “giornalismo” di quel tipo, i media non hanno dimostrato rimorso. Hanno giustificato la loro collera affermando che Mary Bell era una “crudele infanticida” meritevole del perpetuo disprezzo e dell’odio della società, senza considerare che aveva perpetrato quei delitti 30 anni prima e, secondo tutte le apparenze, era ora una donna diversa e una madre. Al contrario dei media isterici, l’intelligente e lucida giornalista Gitta Sereny (un’autrice che ha ricevuto molti riconoscimenti per le sue pubblicazioni sui nazisti Albert Speer e Franz Stangl, fondate su ottime ricerche) sembra essere la voce della ragione e della serena riflessione. Combatte per la comprensione; alla madre di una delle due vittime di Mary Bell ha scritto: “Doveva esserci una ragione per quella terribile sofferenza che ha causato”. La stampa, rimasta di diverso parere, ha ironizzato sulla comprensione di Sereny. “Capire perché Mary Bell uccise?” si è chiesto beffardo il Daily Express nel suo articolo di fondo, concludendo che la comprensione non è né possibile, né auspicabile. Le riviste scandalistiche hanno addotto unanimi una spiegazione dell’enigma: Mary Bell uccise semplicemente perché era fondamentalmente cattiva.

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Omicida per cattiveria? Prima di occuparci delle tesi di Gitta Sereny e di altri che si sono premurati di capire Mar y Bell, desideriamo considerare più da vicino in questo contesto l’uso moderno, consueto ai tempi nostri, del vocabolo “cattivo”. Da anni i giornali scandalistici guidano una campagna d’odio contro individui quali Myra Hindley o Yorkshire Ripper, che si sono resi rei di terribili delitti. Il loro atteggiamento e il ripetuto uso del vocabolo “cattivo” implicano che costoro abbiano perpetrato i loro delitti a seguito di una decisione consapevole e per desiderio di fare male. Questa è l’unica conclusione logica che consente relazioni di questo tipo. Se quegli assassini fossero, infatti, semplicemente nati “cattivi” e facessero il male senza colpa, non potrebbero di certo essere ritenuti personalmente

responsabili delle loro azioni. In definitiva non ne sarebbero responsabili. D’altro canto, se avessero fatto il male solo in conseguenza dell’educazione ricevuta e di influenze esteriori, non potrebbero essere pienamente responsabili del loro comportamento: sarebbero i prodotti della società in cui sono nati e di conseguenza si dovrebbe complessivamente attribuire la respon-

quando un delinquente risulta irriducibile, la logica conseguenza della filosofia punitiva è la pena di morte sabilità del loro agire alla società. Se quindi i delitti violenti vanno odiati, come pare chiaramente attendersi da noi la stampa scandalistica, che ritiene i loro autori totalmente responsabili delle proprie azioni, dobbiamo partire dal presupposto che compiono i loro delitti in libertà, capendo e riconoscendo ciò che fanno. È importante riflettere a fondo su questa questione, perché è il tipo di logica che plasma sostanzialmente la base filosofica del diritto penale inglese e di molti altri Stati occidentali. Per 18 anni l’ultimo governo conservatore, a sostegno degli Stati Uniti, ha fondato la propria politica penale, non riformistica o riabilitativa, su questo modo di pensare. (Nonostante come misura sia completamente fallita, è stata ripresa con entusiasmo dal nuovo governo laburista che, come i suoi predecessori conservatori, vuole conservarsi la fama di fare “processi brevi” ai delinquenti). Quando un delinquente r i s u l t a irriducibile, la logica

conseguenza della filosofia punitiva è la pena di morte, che paghi con la vita. I sostenitori di “misure di ravvedimento”, al contrario, credono che un delinquente possa venire completamente riabilitato da educazione ed esempio e trasformato in un responsabile membro della società. Il male e la libertà Un delinquente agisce liberamente quando compie il suo delitto? Se così fosse l’attuale sistema, prevalentemente orientato verso la pena, sarebbe adeguato. Se invece non è libero, e cioè se partiamo dal presupposto che soggiace probabilmente ad altre influenze (nel caso in questione alle forze del male), allora l’interessato ha senza dubbio bisogno d’aiuto. Non è se stesso, questo significa che in quel momento non è completamente e realmente essere umano. In tal caso sarebbe molto più sensato applicare delle misure riabilitative: la persona in questione ha bisogno di guida e di aiuto per venire riabilitato alla vita sociale.

l’essere umano non è libero per il semplice fatto di poter compiere un’azione o un’altra. Siamo liberi quando agiamo movendo dal nostro autentico e completo essere uomini Il nucleo di questo dilemma è un problema filosofico. Di solito per libertà si intende che abbiamo la possibilità di scegliere tra il bene e il male. Sono libero di uccidere o non uccidere un essere umano. Nel suo libro La filosofia della liber tà Rudolf Steiner rifiuta decisamente questa opinione e afferma che l’essere umano non è libero per il semplice fatto di poter compiere un’azione o un’altra. Siamo liberi quando agiamo movendo dal nostro autentico e completo essere uomini. In altri termini la vera libertà è la somma meta cui ogni essere umano può tendere per se stesso: la sfida ad agire movendo dal nostro Sé spirituale superiore. Noi siamo completamente esseri umani solo quando agiamo movendo da quell’Io superiore: una via su cui abbiamo ancora tutti da percorrere un buon tratto. In questo senso si potrebbe concludere


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