Poste Italiane S.p.A. Spedizione in A. P. Aut. n° MBPA/LO-NO/048/A.P./2019 Periodico Roc -NE/VR
in edicola il 20 maggio 2022
#18 | mag/giu 2022 8.00 €
EDIZIONI VERSANTE SUD
STORIA DI COPERTINA Gli aspetti psicologici del rischio / La gestione del rischio / Breve vocabolario del rischio / Il rischio in falesia / L’azzardo e il rischio in alpinismo / La Via per la Montagna / Un senso alla vita / Rischio in parete / Il rischio, uno stimolo per la crescita / La mia sottile linea rossa Personaggi Matteo Della Bordella. La voce del compagno silenzioso Ermanno Salvaterra. Con il vuoto allo stomaco Patrick Gabarrou. Accetto il rischio per cercare il sogno e la Luce Dario Eynard. Oltre le finte sicurezze La rubrica della Ming Ma non hai paura a rischiare così la vita? Recensione The Alpinist
BIMESTRALE DI ARRAMPICATA E ALPINISMO
RISCHIO
Cerro Torre, su Brothers in arms. Foto: Arch. M. Della Bordella
Sommario 004 Editoriale di Eugenio Pesci
STORIA DI COPERTINA
006 Gli aspetti psicologici del rischio di Arno Ilgner 014 La gestione del rischio di Filippo Gamba 022 Breve vocabolario del rischio di Paolo Tombini 030 Il rischio in falesia di Emanuele Avolio 036 L’azzardo e il rischio in alpinismo di Igor Koller 046 La Via per la Montagna di Paul Pritchard 054 Un senso alla vita di Andy Kirkpatrick 062 Rischio in parete di Maurizio Giordani
PERSONAGGI
066 Matteo Della Bordella ITW La voce del compagno silenzioso a cura di Serafino Ripamonti
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STORIA DI COPERTINA
078 Il rischio, uno stimolo per la crescita di Filip Babicz 086 La mia sottile linea rossa di Marcin “Yeti” Tomaszewski - Camp-Cassin /Boreal
PERSONAGGI
090 Ermanno Salvaterra ITW Con il vuoto allo stomaco a cura di Fabrizio Rossi 096 Patrick Gabarrou ITW Accetto il rischio per cercare il sogno e la Luce a cura di Serafino Ripamonti 106 Dario Eynard ITW Oltre le finte sicurezze a cura di Fabrizio Rossi
LA RUBRICA DELLA MING
114 Ma non hai paura a rischiare così la vita? di Federica Mingolla 116 The Alpinist di Monica Malfatti
VETRINA
118 Proposte prodotti
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Editoriale Testo Eugenio Pesci
M
ontagna, arrampicata: rischio, pericolo, riflessione. Una tematica che ha, e ha avuto, una grande rilevanza concettuale, etica, e storica; una tematica che è stata spesso al centro di feroci discussioni, ma che, al contempo, è stata spesso evitata e volutamente ignorata, poiché è intellettualmente scomoda e poco redditizia. Questo numero di Up Climbing si presenta come un tentativo di aprire un dibattito su questi argomenti delicati, attraverso i contributi di personaggi di primo piano dell’alpinismo internazionale. Alpinisti e arrampicatori che sono o sono stati, nella loro attività verticale, a strettissimo contatto con esperienze di rischio e pericolo molto forti e continuative. Per certi versi alpinisti e uomini che, per bravura e fortuna, sono sopravvissuti a imprese di altissimo livello. Personaggi, dunque, in grado di parlare di questo tema fondamentale con piena cognizione di causa e autorità: da Igor Koller, a Paul Pritchard, da Andy Kirkpatrick a Maurizio Giordani e Matteo Della Bordella, da Ermanno Salvaterra a Patrick Gabarrou, fino a protagonisti di imprese recenti ed estreme come Philip Babicz, Marcin Tomaszewski, Dario Eynard.
Senza, però, dimenticare gli aspetti più tecnici e oggettivi del rischio in montagna, che sono stati trattati in maniera professionale da Arno Ilgner, Paolo Tombini, Filippo Gamba, Emanuele Avolio. Tutt'altro che secondaria infine – e ormai legata alla rivista – la riflessione di un'alpinista giovane e attenta a ciò che accade nel mondo verticale, come Federica Mingolla. Dunque un numero totalmente monografico, quasi un libro, concepito e realizzato proprio per dare al pubblico dei lettori interessati, e soprattutto a chi si avvicina per la prima volta al mondo del verticale, una panoramica non superficiale inerente gli aspetti cruciali di quanto e come si rischi nell'alpinismo e nell'arrampicata. Un numero di Up Climbing che vorrebbe lasciare un segno tangibile e stimolare la coscienza che si dovrebbe avere verso rischio e pericolo quando si pratica l'alpinismo in tutte le sue forme. In modo che – come scrive qui Andy Kirkpatrick – l’alpinismo stesso si leghi al massimo grado alla vita e non, soprattutto, all’opposto di quest’ultima.
Bivacco su portaledge, al decimo giorno su Holstind, Antartide. Foto: Arch. Andy Kirkpatrick
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Storia
Gli aspetti psicologici del rischio Testo Arno Ilgner Traduzione Silvia Rialdi
Vi siete mai trovati in una situazione in cui siete sfiniti, molto lontani dall’ultima protezione, di fronte a un volo spaventoso? Vi state chiedendo “Come cavolo mi sono ficcato in questa situazione?” Quello che pensavate fosse un rischio accettabile si è trasformato in una situazione nella quale vi sentite impreparati ad affrontare le conseguenze di una caduta. Che cosa è successo? 6
Storia
Foto: Karsten Delap
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Storia Gli aspetti psicologici del rischio
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Foto: Andrew Kornylak
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a maggior parte degli arrampicatori si trovano in queste situazioni. Si è verificato uno scollegamento tra il modo in cui hanno valutato il rischio e la realtà del rischio. Come climber, sappiamo che l’assunzione del rischio fa parte dell’arrampicata e dell’alpinismo. Eppure, lo valutiamo erroneamente e ci troviamo ad assumerci rischi che potrebbero danneggiarci. Quando ciò accade, tendiamo a cercare delle scuse per le difficoltà in cui ci troviamo, incolpiamo qualcun altro o qualcos’altro, e ci sottraiamo dalla responsabilità per gli effetti che noi abbiamo creato. Il rischio è di due tipi: fisiologico e psicologico. I rischi fisiologici potrebbero comportare a un infortunio o la morte. Quando le conseguenze di tali rischi si manifestano, potremmo non essere più in grado
di continuare ad affrontare la salita, perché siamo infortunati o morti. I rischi psicologici potrebbero compromettere la nostra volontà di assumerci rischi. Potremmo non aver subito danni fisici, ma siamo talmente traumatizzati psicologicamente che perdiamo tutta la motivazione ad affrontare ancora la salita. Senza un nuovo coinvolgimento, non possiamo superare questi traumi, assumerci nuovi rischi e continuare a divertirci arrampicando. Gli infortuni fisici guariscono con il tempo, per conto loro, con un nostro minimo contributo. Facciamo semplicemente quello che il medico ci dice e con il tempo guariamo. I danni psicologici non guariscono da soli, con il tempo. Se non facciamo qualcosa per cambiare lo stato psicologico traumatizzato che abbiamo generato, i danni psicologici persistono. Possiamo invece prendere l’iniziativa e imparare nuovi modi per superare le esperienze psicologiche traumatizzanti. Come punto di partenza, però, dobbiamo accettare la responsabilità degli effetti che abbiamo creato e che hanno causato i danni. Possiamo diminuire le probabilità di subire danni psicologici o fisici attraverso la psicologia – il nostro approccio alla valutazione del rischio. La valutazione del rischio è composta da due parti: la raccolta di informazioni e le decisioni sul rischio. La raccolta di informazioni coinvolge il nostro intelletto, la capacità analitica della nostra mente di raccogliere informazioni dettagliate. Le decisioni in merito al rischio coinvolgono sia il nostro intelletto che la nostra intuizione quando stimiamo il rischio e prendiamo una decisione. La raccolta riguarda tre tipi di informazioni. Dovete conoscere la fine del rischio, per esempio dove si trova la protezione successiva. Conoscerne la fine vi fornisce una direzione e una distanza. Se sapete dove termina il rischio potete determinare approssimativamente quanta energia vi serve per raggiungere quel punto. Conoscere la fine vi aiuta anche con il secondo tipo di informazione: le conseguenze della caduta (le conseguenze del fallimento). Guardando in basso, potete immaginare la lunghezza del volo e vedere se ci sono ostacoli nell’area di caduta. Il terzo tipo di informazione è il vostro piano di arrampicata fino alla fine del rischio. Essenzialmente, determinate se avete le capacità e l’energia sufficienti per affrontare il rischio. Vi fate quindi un’idea se, assumendovi tale rischio, cadrete (ovvero fallirete) o meno. Le decisioni sul rischio, la seconda parte, valutano le informazioni che avete raccolto confrontandole con la vostra esperienza. Ma quale tipo di esperienza? L’esperienza con le conseguenze; cadere o fallire! Quanta esperienza di caduta avete? E com’è la vostra
Storia Gli aspetti psicologici del rischio esperienza rispetto alla possibile caduta che state affrontando in questo momento? Determinate se il rischio che state correndo è sì-cado (aree di caduta che avete già sperimentato) o no-non cado (aree di caduta che non avete sperimentato). Ricordate, “infortunarsi” coinvolge sia aspetti fisiologici che psicologici. Potete rompervi le ossa e rimanere traumatizzati, “rompendo” così la vostra volontà di prendervi rischi. Questa distinzione tra sì-cado/no-non cado è la parte intellettuale della decisione sul rischio. Quella successiva è la parte intuitiva. La vostra “sensibilità dell’appropriatezza”. Quanto vi sembra adeguato il rischio? Determinate ciò osservando quanta paura percepite e quanta resistenza avete per impegnarvi nell’arrampicata, entrambe che partono dal vostro corpo. Queste due parti della valutazione del rischio sembrano logiche. Tutti noi abbiamo raccolto informazioni sul rischio e preso decisioni in base a queste. Che cosa interferisce, quindi, con il processo? È il nostro approccio alla valutazione del rischio. Tende a non funzionare in due modi. Primo, sopravvalutiamo il successo. Secondo, abusiamo dell’intelletto. Gli aspetti psicologici del rischio includono i nostri pregiudizi, che influenzano il modo in cui usiamo la nostra attenzione. In altre parole, i nostri preconcetti creano illusioni riguardo il rischio e concentrano la nostra attenzione su quelle illusioni. Analizziamole una per una. Primo, la sopravvalutazione del successo avviene quando siamo più interessati a conseguire risultati che al processo di apprendimento che ci conduce a essi. Immaginate per un momento la sequenza temporale di una salita. Quanto tempo ci vuole per salire dalla base della via fino alla cima? Quanto tempo dura il successo una volta che avete raggiunto la cima? Sono domande relativamente semplici a cui rispondere. Ci vuole più tempo per salire la via che per sperimentare il momento del successo. Sì, solo un momento di successo quando raggiungete l’obiettivo. Sottolineo questo per enfatizzare che la maggior parte della vostra esperienza di arrampicata è costituita dal viaggio, non dalla destinazione. Quindi, vi divertirete molto di più arrampicando se sarete motivati dalle difficoltà e dalle gioie del processo lungo la via per il conseguimento dei vostri obiettivi. Sembra logico, no? Quindi, che cosa interferisce con la valutazione del processo? A un livello base, è il vostro ego, come create la vostra identità o il vostro senso del sé. Molti di noi si sentono più importanti quando raggiungono dei risultati. Quindi, leghiamo l’identità del nostro ego con i risultati che realizziamo. Ci sentiamo bene con noi stessi quando riusciamo e male quando falliamo. Questo crea un centro esterno di controllo.
Come ci sentiamo con noi stessi dipende da qualcosa che non possiamo controllare: il risultato. Possiamo solo controllare ciò che facciamo nel momento presente. Questo centro esterno ci fa sentire privi di controllo, generando ansia e paura. A livello psicologico, la vostra attenzione viene distratta dai compiti che dovete eseguire nel momento presente. L’ansia e la paura dirigono la vostra attenzione verso la preoccupazione di ciò che potrebbe accadere, il pensiero di raggiungere il risultato o la speranza di non cadere. Ciò annebbia la vostra intuizione e la consapevolezza del corpo, che invece vi offre validi segnali sul rischio effettivo davanti a voi. Questo dialogo mentale sulla sopravvalutazione dei risultati, e la vostra identità legata a essi, crea un modo di
Foto: Andrew Kornylak
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Storia Gli aspetti psicologici del rischio impegnano più attivamente. Il vostro “oggetto per concentrare l’attenzione” è il corpo. Vi concentrate sul respiro, rilassate le tensioni non necessarie e mantenete una postura allungata. Potete rimanere fermi per cinque minuti al mattino e concentrarvi in questo modo. Alla fine, fissate un’intenzione per concentrare la l’attenzione all’interno del vostro corpo durante tutta la giornata. Poi, mentre svolgete le attività quotidiane, osservate quando siete persi nei pensieri e portate nuovamente l’attenzione al vostro corpo. Queste pratiche vi aiutano a diventare più consapevoli di cosa sta succedendo nella vostra mente e nel vostro corpo, e ciò vi aiuta a mettere ordine nel processo decisionale. Esiste un’altra cosa utile da fare: provare a cadere. Ho detto che si valuta l’esperienza di cadere confrontandola con le conseguenze della caduta che si sta affrontando nel momento presente. A meno che non proviate a cadere volontariamente, non avrete mai nulla da mettere a confronto. Quindi, provare a cadere regolarmente è molto importante per ottenere tale esperienza. Un avvertimento importante, però. Provare le cadute è pericoloso. Quindi, è importante farlo nel modo giusto. Affrontatelo come imparate qualsiasi altra abilità: gradualmente. Concentrate l’attenzione sull’efficacia del vostro apprendimento. Un allenamento professionale è fondamentale a tal fine. La questione è molto più sottile di quanto si creda. Infatti, il desiderio di “farla finita con” interferirà con l’allenamento.
VOI SOFFRIRETE LE “ CONSEGUENZE DELLE VOSTRE
DECISIONI SUL RISCHIO, NON GLI ALTRI CHE EVENTUALMENTE VI INCORAGGIANO A PRENDERVI DEI RISCHI. L’APPROCCIO MIGLIORE È ACCETTARE QUANTA PIÙ RESPONSABILITÀ POSSIBILE E APPLICARE QUESTI STRUMENTI, COSÌ DA IMPEGNARVI CONSAPEVOLMENTE NEI RISCHI CHE DECIDETE DI ASSUMERVI.
Foto: Scott Perkins
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Tutto ciò che ho descritto qui ridurrà la frequenza con cui vi troverete lontani dalla protezione, di fronte a una caduta, chiedendovi “Come cavolo mi sono ficcato in questa situazione?” Non è una bella posizione in cui trovarsi. Imparare questi aspetti psicologici del rischio vi aiuterà ad assumervi rischi adeguati a voi.
Storia La gestione del rischio
Foto: Jeff Achey
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Lo step 5 riguarda un concetto chiave delle Gestione del Rischio, che è quello di informare. Chi partecipa ad una attività deve essere informato sui rischi della stessa, deve sapere cosa fa l’organizzazione in merito (trattamento dei rischi, gestione delle emergenze), e quali sono i rischi residui non eliminabili. Con la Gestione del Rischio viene ribaltato il tradizionale approccio sulle responsabilità: non è l’organizzatore che declina le proprie, ma è il
RESILIENZA La moderna Gestione del Rischio è in continua evoluzione. È significativa la recente adozione dei concetti e metodi della Resilienza (Resilience Engineering) nelle situazioni in cui l’approccio classico del Risk Management ha delle limitazioni, ossia quando: • l’evento è imprevisto o molto raro • ci si trova in una emergenza e non c’è il tempo materiale per una valutazione esaustiva dei rischi; • in generale, quando il sistema allo studio è molto complesso (non lineare) e ad alta correlazione, per cui l’analisi con i modelli causali diventa difficile o impossibile. In questi casi la Resilienza interviene sul modo in cui i parametri di un sistema ne influenzano la stabilità o, tradotto in altri termini, il mantenimento del livello di sicurezza desiderato. La Resilienza mira a riconoscere preventivamente le possibili variazioni di questi parametri (proactive indicators), e fornire strumenti adeguati per una immediata ed efficace azione di risposta, soprattutto tramite la capacità di adattamento alle variazioni dei parametri stessi. Con la Resilienza saremo meglio preparati a reagire ad un imprevisto, a superare un’emergenza e, in certe situazioni di rischio, ad evitare un possibile incidente. E tutto questo senza necessariamente fare ricorso ad una lunga esperienza sul campo o alla conoscenza di procedure. Alcuni concetti già visti nella Gestione del Rischio classica, se applicati, rendono una organizzazione resiliente; per esempio il riconoscimento dei segnali di allarme, la gestione dei margini di sicurezza, la tolleranza agli errori, l’adozione di soluzioni ridondanti. Per uno studio sistematico e approfondito sulla gestione del rischio in montagna, si consiglia di leggere il testo Libertà di rischiare di Filippo Gamba, Versante Sud. Lo stesso autore pubblica sulla pagina www. facebook.com/outdoorriskmanagement news sul tema, aggiornamenti, e case studies (analisi di incidenti).
partecipante che assume le sue, tramite l’accettazione formale (per iscritto) dell’informativa sui rischi. Si vedono in giro molti documenti di “scarico delle responsabilità” o simili. Nella maggior parte dei casi non sono scritti in modo adeguato per una corretta informazione agli utenti e per una valida tutela legale dell’organizzatore in caso di incidente. Spesso includono clausole vessatorie che sono invalidate in sede di giudizio. Suggeriamo perciò l’approccio sopra menzionato (accettazione dei rischi e non scarico delle responsabilità) e, naturalmente, il parere di un legale esperto.
La copertina del manuale di Filippo Gamba, LIBERTÀ DI RISCHIARE. Gestione del rischio in alpinismo, arrampicata e negli sport d’avventura, Versante Sud, 2013
Storia
Breve vocabolario del rischio Testo Paolo Tombini Foto Carlo Gabasio
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Storia
A
utosoccorso: padroneggiare l’uso della catena di sicurezza “artva, pala e sonda” in un evento valanghivo, saper fare un paranco in ghiacciaio o su una via strapiombante quando il secondo penzola nel vuoto senza possibilità di risalire con le proprie forze, sono alcune situazioni non così remote. Quando capita, agire tempestivamente prima dell’arrivo del soccorso organizzato, può cambiare l’esito di una situazione potenzialmente drammatica. Certo che spendere parte del nostro caro tempo libero, passando giornate e giornate ad imparare manovre, invece di macinare tiri estetici su fessure perfette, risulta davvero noioso, ma è tempo investito benissimo.
Progressione in conserva nel Massiccio degli Écrins
B
uco: o crepaccio, uno dei pericoli oggettivi più ricorrenti quando si affronta una qualsiasi salita che comporti anche il solo breve attraversamento di un ghiacciaio. Che si cammini con ramponi ai piedi, o che si scivoli sopra un bel paio di sci la caduta in un buco poco visibile o la rottura di un ponte di neve sono eventualità che dobbiamo affrontare preparati, necessaria quindi attrezzatura adatta e capacità di compiere un eventuale recupero, oltre naturalmente alla conoscenza del terreno.
C
resta: camminare a fil di cielo, la purezza della linea che parte da un colle e punta alla cima, dividendo versanti, tra ombra e luce. Regno della progressione in conserva, anche se a volte le difficoltà tecniche sono modeste, gestire la sicurezza su aerei spartiacque, spesso senza punti di assicurazione fissi, ma con ancoraggi naturali e protezioni mobili, è un’arte antica che si basa più sull’esperienza accumulata che sulle ripetute con carichi. Macinarne a più non posso è la via maestra.
D
iedro: tipica struttura della verticale, come lo è la placca, la cengia e lo strapiombo. La scalata multipitch, su pareti alte o altissime con le mani sporche di magnesio e scarpette ai piedi, utilizzando scarponi, picche e ramponi, ci obbliga comunque a dover sfoderare un bagaglio di competenze abbastanza complesso. Partiamo dagli avvicinamenti a volte complessi e difficili come salite vere e proprie. E poi nodi, manovre, istinto, lettura della roccia e della linea. Siamo abituati a uscire leggeri e con il materiale giusto per una progressione chirurgica e veloce. Bene ma non benissimo, non deve comunque mancare materiale d’abbandono e per l’autosoccorso.
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Storia Breve vocabolario del rischio oltremisura crollano. Il problema sovviene quando i nostri itinerari incrociano la traiettoria di caduta delle masse ghiacciate. Inutile dire che quando siamo a potenziale tiro di un seracco il pericolo oggettivo del nostro itinerario raggiunge un valore ragguardevole. Giustissimo agire nelle ore più fredde della giornata e fuggire l’irraggiamento diretto, ma la previsione di caduta non è una scienza esatta.
T
raccia: scegliere l’itinerario di salita o discesa su un versante o una parete è anche un fattore estetico, si avvicina per un alpinista all’opera d’arte. Incrociando le nostre capacità tecniche e l’analisi dei pericoli oggettivi con la morfologia del terreno, la nostra traccia dovrebbe essere la più sicura possibile.
U
ltra: vocabolo entrato nel glossario della montagna, quasi sinonimo di attività anche estremamente lunghe, ma nel segno della maggior leggerezza e velocità possibile. La leggerezza e la velocità per verità, sopratutto rapportate all’esposizione al rischio oggettivo, sono di per sé parametri di sicurezza. Vedendo impressionanti exploit fast & light o gare spettacolari in altissima montagna si rischia però di falsare la percezione del rischio, magari non utilizzando il materiale adatto al terreno oppure progressioni non rapportate al proprio livello. In montagna leggeri sì, ma con tutto il materiale necessario al terreno che abbiamo scelto, addosso e nello zaino.
V
alanga: paura ancestrale delle popolazioni alpine, evento concretissimo per chi si muove sulla neve. Negli ultimi trent’anni la tecnologia, introducendo strumenti di ricerca e sicurezza sia attivi che passivi, ha innalzato di molto la possibilità di sopravvivere a un evento valanghivo. Gli studi e la conoscenza della materia sono cresciuti a dismisura e oggi, per chi non mastica la materia, è molto facile reperire informazioni o partecipare a corsi che possano gettare le basi di un corretto approccio alla neve. Da sottolineare la rivoluzione del nuovo format dei bollettini che da qualche mese utilizziamo sulle Alpi italiane.
W
.W.W.: i siti specializzati e i social, hanno notevolmente agevolato la pianificazione delle nostre gite. Sappiamo oramai le condizioni dei nostri itinerari quasi in tempo reale. Attenzione però alle sirene che fregarono anche Ulisse: la voglia repressa sfogata davanti a un monitor può essere foriera di cattivi consigli in termini di sicurezza, sopratutto restando abbagliati da foto “specchietti per allodole”, scattate pensando più al proprio ego, che non al fornire informazioni precise e puntuali, ma che vengono
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costantemente caricate sui social e siti specializzati. Basarsi su esse può rivelarsi molto pericoloso.
X
treme: L’estremo, dagli anni Ottanta del secolo scorso, mai come prima, questo vocabolo sopratutto in montagna è diventato di uso comune. Exploit era la parola d’ordine. Discipline come l’arrampicata sportiva, lo sci estremo, i concatenamenti, il parapendio e il deltaplano conquistarono il grande pubblico. Il sesto grado, limite massimo umano quando ancora si usavano le scale chiuse di classificazione delle difficoltà, poteva quasi essere erroneamente e malamente tradotto in qualcosa tra il quinto e il 6a della scala francese. Non va dimenticato che la storia e le difficoltà di una salita vanno rapportate e calibrate al momento e alle condizioni dell’apertura. Ci sono vie che fanno epoca, e che poi diventano delle classiche, ma quando furono salite la prima volta alzarono l’asticella. Altre visionarie per stile e intuizione preparano da sempre le sfide di domani, l’alpinismo estremo grazie a Dio non è mai morto, né tanto meno è diventato più facile di prima e gode ancora di ottima salute.
Y
: una delle inversioni classiche dello scialpinismo lascia sulla neve l’impronta di questa lettera. Uso questa metafora per parlare della rinuncia, ovvero quando è meglio per la sicurezza tornare indietro; possiamo trovare condizioni peggiori del previsto, può essere il giorno che non stiamo bene come vorremmo e siamo lenti, oppure quando il tempo sta cambiando. Le montagne ci aspettano la volta dopo. Sempre.
Z
ero termico: in estate ma anche in inverno serve ad identificare la quota del freddo, il clima però sta cambiando. In montagna il global warming è decisamente più facile da avvertire che altrove. Questo vuol dire che deve cambiare anche il nostro approccio all’ambiente alpino e soprattutto dobbiamo sganciarci dai modelli di riferimento climatici che avevamo anche solo pochi decenni fa.
La copertina del manuale di P. Tombini e L. Macchetto, SICUREZZA IN MONTAGNA. Materiali, manovre e tecniche per affrontare al meglio l’alpinismo e l’arrampicata, Versante Sud, 2011
/ E N G I N E E R E D
I N
D O L O M I T E S
CASCO PIUMA 3.0
T H E
Storia Il rischio in falesia generazioni “arrampicatorie”, e non necessariamente biologiche) che trasmetta l’eredità storica e culturale per agire con consapevolezza. Insomma, collegare il più possibile quella comunità “originaria”, di cui dicevamo (o almeno le sue idee, le sue visioni, la sua etica), con le nuove comunità nate dalle palestre. D’altronde l’etica, che è incarnata anche nel modo in cui sono chiodate le vie, nasce dalla pratica locale delle pareti: dalle comunità che ci sono cresciute sopra. E dunque è compito dei fruitori delle falesie premurarsi di parlare, capire, imparare da chi è venuto prima come comportarsi in situazioni di restauro delle vie: chiedere ai chiodatori, o a chi li ha conosciuti, e/o agli scopritori del posto, agendo alla luce del sole e dopo aver consultato quanti più local possibile e mediato coi “vèci” è sempre l’etichetta da seguire per muoversi al meglio (ed evitare spiacevoli incidenti diplomatici). Questo anche superando eventuali divergenze personali. In un’era di boom dell’utenza dell’arrampicata indoor e outdoor, in un’era di grandi media che spingono al massimo modelli internazionali che spingono a comunicare tra loro orizzontalmente le giovani comunità di arrampicatori, è sempre più fondamentale che si mantenga anche quella comunicazione verticale, intergenerazionale, radicata localmente, per portare avanti nella maniera più saggia possibile la vita delle falesie.
Foto: Andrew Kornylak
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prestare la massima attenzione, la massima cautela. E allora, dove troviamo la giusta via di mezzo per gestire questo problema? La risposta è, in parte, nell’eredità – ma senza notaio. Essendo l’arrampicata un’attività radicalmente culturale, la garanzia del giusto comportamento all’interno della comunità deriva dalla relazione dei nuovi arrampicatori con i vecchi, una conoscenza e dialogo intergenerazionale (di
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Storia Marmolada, Via Edita. Igor Koller sale il tiro dalla grande grotta.
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Storia L’azzardo e il rischio in alpinismo FREE SOLO La questione dell’azzardo e dell’assunzione del rischio in arrampicata può probabilmente essere meglio compresa tramite l’esempio dell’arrampicata in solitaria. Non mi riferisco a quella in cui lo scalatore in qualche modo si assicura per tutta la salita o solo nelle sue sezioni più difficili. Mi riferisco all’arrampicata libera in solitaria, dove non si usano aiuti per la salita, né per l’assicurazione né per la progressione sul terreno alpinistico. Quindi solo lo scalatore e la roccia, la parete e la vetta. In occasione di un free solo viene subito da pensare che questa sia l’attività di arrampicata più pericolosa. Sì, è vero che nell’arrampicata libera in solitaria l’arrampicatore è a rischio di caduta con esito fatale ad ogni singolo errore. È però anche vero che l’arrampicata libera e senza assicurazioni è la forma di arrampicata più elementare, tanto dal punto di vista storico quanto da quello dello sviluppo di ogni singolo scalatore.
STORICAMENTE, L’ARRAMPICATA È INIZIATA “ SENZA ALCUN AUSILIO, E LA SICUREZZA ERA
BASATA PROPRIO SUI PRINCIPI DI PREUSS. LO SCALATORE SI POTEVA PERMETTERE DI SALIRE SOLO SU PERCORSI PER I QUALI FOSSE SICURO DI POTERNE GESTIRE AL CENTO PER CENTO LE DIFFICOLTÀ. NEL CASO NON CI FOSSE STATA LA POSSIBILITÀ DI SCENDERE LUNGO UN ITINERARIO PIÙ SEMPLICE, DOVEVA ESSERE IN GRADO DI SCENDERE DALLA STESSA VIA LUNGO LA QUALE ERA SALITO. VIENE DA CHIEDERSI SE QUEL MODO DI SCALARE SIA STATO O SIA ANCORA MORTALMENTE PERICOLOSO. LA RISPOSTA È NO! BASTERÀ ATTENERSI AI SOPRACITATI PRINCIPI, ESSERE IN GRADO DI VALUTARE CORRETTAMENTE LE PROPRIE POSSIBILITÀ. Teoricamente avremmo potuto fare a meno di qualsiasi ausilio alpinistico ma non sarebbe stata un’evoluzione naturale, perché per l’uomo è istintivo cercare di facilitare, semplificare e velocizzare, quindi anche di superare difficoltà in arrampicata sempre maggiori. Certo, fa una grande differenza se uno scalatore che fa free solo arriva vicino ai suoi limiti assoluti o se invece scala una via che è di due o tre gradi più facile della massima difficoltà che è in grado di superare quando sale assicurato. Alcuni scalatori eccezionali in tutti i periodi della storia hanno dimostrato di essere in grado non solo di raggiungere i propri limiti assoluti
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Storia L’azzardo e il rischio in alpinismo nell’arrampicata libera in solitaria, ma di saper arrivare ai limiti delle difficoltà dell’arrampicata del proprio periodo storico. Ricorderò solo qualche nome, da Emilio Comici a Hermann Buhl, da Cesare Maestri a Reinhold Messner fino a Hans Jörg Auer. Tutti questi grandi scalatori hanno scalato in solitaria arrivando a quello che era il limite per il loro periodo, ma salendo senza incertezza, con un certo margine di sicurezza e con eleganza. Questa arrampicata in free solo, basata sulla più profonda delle convinzioni interiori dei suoi protagonisti è dal punto di vista della sicurezza pari al salire con un compagno e con una corda. Lasciamo per ora da parte l’aspetto estremo dell’arrampicata solitaria e diciamo apertamente che praticamente ogni singolo alpinista ad ogni livello di prestazione si trova ad aver a che fare con l’arrampicata solitaria in libera. Ad ognuno di noi capita, non solo in montagna, di arrivare all’attacco dell’itinerario di salita passando per tratti di difficoltà più basse dove non ci si assicura. Lo stesso avviene spesso anche in occasione dell’arrivo in vetta quando il terreno diventa più semplice, e ancor più spesso in occasione di pressoché ogni discesa. Davanti a questo tipo di arrampicata senza assicurazioni ognuno di noi deve tenere ben presente il tipo di difficoltà che è certo di essere in grado di gestire.
LA COSA PIÙ IMPORTANTE DA TENERE A “ MENTE È PERÒ CHE SI STA PER AFFRONTARE
UNA SCALATA IN SOLITARIA NON ASSICURATI E CHE SEMPLICEMENTE NON SI POSSONO COMMETTERE ERRORI, PERCHÉ QUALSIASI SBAGLIO PUÒ AVERE CONSEGUENZE FATALI. ANCHE SU UN SENTIERO DI MONTAGNA ESPOSTO DOBBIAMO SEGUIRE ESATTAMENTE GLI STESSI PRINCIPI SEGUITI DAGLI SCALATORI ESTREMI PER LE LORO SOLITARIE CHE LASCIANO SENZA FIATO TUTTO IL MONDO DELL’ALPINISMO! IL LIMITE ULTIMO E LA RESPONSABILITÀ Per ogni itinerario alpinistico di più lunghezze di corda che si sviluppi in ambiente montano dobbiamo prendere in considerazione un’enorme quantità di fattori di pericolo per poterlo gestire con il minimo rischio possibile. Quanto più alta è la montagna tanto maggiore è la quantità di quei fattori. Non arrivare ad oltrepassare quel limite oltre il quale non saremmo più in grado di tornare indietro con le nostre forze. Sempre che sia possibile tornare indietro... È una questione molto complessa e da un
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lato molto creativa, ed è per questo che l’alpinismo è così speciale e attraente. D’altra parte, si tratta però della nostra salute e della nostra vita. Bisogna avere una grande responsabilità tanto durante l’escursione quanto durante la sua pianificazione. Essere in grado di tornare al momento giusto, essere in grado di rinunciare all’obiettivo desiderato, non correre rischi eccessivi. Molte volte sono decisioni difficili, altre sono indicative del carattere di una persona, perché non sappiamo mai se possiamo avere ragione al cento per cento. Sulle montagne più alte anche i migliori scalatori d’alta quota del mondo a volte non prendono la decisione giusta e superano il limite con conseguenze fatali. Anch’io in qualche occasione ho dovuto prendere questa decisione. Nel 2005 eravamo arrivati a circa 50 metri dalla vetta della Shipton Spire nel Karakorum. Dopo due anni di tentativi su quella difficile prima ascensione e decine di giorni passati in parete e un’estenuante scalata di 16 ore, la cima era a portata di mano. Si stava facendo buio mentre un temporale si stava avvicinando e dovetti prendere la decisione di scendere fino all’ultimo bivacco. Fu la discesa più difficile della mia vita, mi ci volle tutta la notte sotto una terribile nevicata. Forse avremmo potuto rischiare, sopravvivere al bivacco d’emergenza per poi salire in cima il giorno dopo. Non lo so. So però che siamo sopravvissuti! Nel 2009 durante la prima ascensione della via Edita sulla Sud della Marmolada eravamo arrivati a poche decine di metri dal terreno facile, ormai alla fine del terzo giorno della scalata più dura che abbia mai vissuto in Marmolada. Un paio d’ore prima dell’arrivo del buio, col cielo tutto nero, iniziarono a cadere le prime gocce di pioggia e noi ci trovavamo dentro ad un imbuto dove, quando arriva un temporale, quella che scende lungo la parete sembra una cascata del Niagara. Prendemmo la decisione di battere in ritirata calandoci lungo la parete e continuammo a scendere in doppia fino a mezzanotte lungo quella parete selvaggia. Il giorno dopo, poi, arrivò il bel tempo preannunciato da qualche giorno... Forse non scaleremo mai più quella via, ma la decisione che prendemmo fu quella giusta. Sarebbe stato un grande azzardo sperare che la tempesta non arrivasse. Sì, è anche una questione di responsabilità, verso la famiglia, le persone che ti sono vicine, verso noi stessi. Sarebbe però falso dire che solo gli irresponsabili o gli inesperti non tornano dalla montagna. Dalla nostra dobbiamo avere anche la fortuna, o il destino, chiamatelo come vi pare. Ecco, a tutti noi auguro di poter avere sempre dalla nostra parte proprio questo elemento, piaccia o meno, imprescindibile.
Storia
La Via per la Montagna Testo Paul Pritchard Traduzione Luca Calvi
Durante la scalata del Totem Pole, in Tasmania, un masso di dolerite grande quanto un computer portatile mi arrivò dritto sul cranio da venticinque metri d’altezza. Dopo quell’incidente sono diventato disabile. Sono un emiplegico, non ho l’uso del braccio destro e ho la gamba destra molto debole. Sono rimasto in ospedale per un anno e da allora ho problemi con la parola e con la memoria. 46
Totem Pole Foto: Matthew Newton
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Storia Un senso alla vita
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occò poi agli scalatori più vicini, gente normale come me, ma ancora distanti, non miei compagni, quindi emozionalmente sacrificabili; come quelli morti durante le gare automobilistiche, parte del gioco degli scalatori, il prezzo da pagare. Alla fine, quando ormai ero arrivato ad avere una sorta di vita da eroe, il riflesso di un riflesso, iniziai a fare la conta dei miei amici, giovani ed anziani, alcuni che morivano da eroi, ma la maggior parte no,
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morivano in modi per lo più tragicamente banali ed evitabili, per essere scivolati od inciampati. Iniziai a sentirmi stanco degli elogi funebri, dei proclami a copia ed incolla dedicati alla nobiltà del morire durante una scalata, mentre si sta facendo ciò che si ama. Meglio morire dopo un giorno da leone che vivere una vita da pecora, mi è sempre stato detto, ma c’è mai stato qualcuno che si sia interessato dell’opinione di una pecora?
Storia Un senso alla vita
DOPO UN PO’ LA PILA DI CORPI “ È COSÌ ALTA CHE NON SI RIESCE A
TENERE UN CONTEGGIO PRECISO DEI MORTI, QUEL MUCCHIO È STATICO E LENTAMENTE INIZIA A SCIVOLARE INDIETRO, FINO A TORNARE TRA CHI È RIMASTO IN VITA. SI COMINCIA A VEDERLI PASSARE NEGLI AEROPORTI AFFOLLATI, IN MEZZO AI CAMPEGGI OPPURE LUNGO I SENTIERI. SI LEGGE QUALCOSA CHE HANNO LASCIATO SCRITTO E CI SI CHIEDE COSA STIANO FACENDO, OPPURE SI GUARDA UNA VECCHIA FOTO E CI SI CHIEDE PERCHÉ ABBIANO SMESSO DI ANDARE A SCALARE, O SE MAGARI SI SONO SPOSATI, SE HANNO AVUTO FIGLI, SE SIANO DIVENTATI GRASSI E PIGRI O SE INVECE MAGARI HANNO COMINCIATO AD ANDARE IN GIRO IN BICICLETTA. POI TORNA LA MEMORIA ED È COME PERDERLI UNA SECONDA VOLTA. 57
Personaggi Matteo Della Bordella ITW Durante questa fase c’è stato un episodio particolare che penso per te sia stato cruciale: il famoso volo del 2006, durante il primo tentativo di salita in libera di Portami Via, uno degli itinerari che hai aperto al Wenden. Vuoi rievocare brevemente cosa è accaduto e cosa ha significato quell’evento per te?
Un giovanissimo Della Bordella al Wenden con il padre Fabio. Le mani di Matteo raccontano la dura lotta con la via Baston la Baffe sullo Scheideggwettwerhorn, in Svizzera.
È successo che durante il tentativo di libera del quinto tiro (quello poi valutato 7c+) un appoggio mi si è sbriciolato sotto al piede e ho fatto un volo lunghissimo, andando a sbattere con la schiena contro ad un pilastro. I soci mi hanno calato sulla cengia e per istanti che mi sono sembrati infiniti non sono stato in grado di muovermi e neppure di respirare. Ero terrorizzato e, anche dopo aver capito che, nonostante il dolore, non avevo conseguenze gravi, sono rimasto in stato di shock: piangevo disperatamente e continuavo a ripetere che non avrei mai più arrampicato. È stata un’esperienza sconvolgente perché, per la prima volta, mi sono trovato di fronte a quello che poteva realmente accadere facendo quel tipo di scalata. Fino ad allora avevo vissuto come in un sogno: avevo tenuto quel compagno silenzioso che è il rischio chiuso nel suo armadio. Adesso era saltato fuori all’improvviso, urlandomi in faccia la dura realtà. Certe cose, fino a quando te le immagini soltanto o le senti raccontare da altri, sembrano lontane; poi le vivi sulla tua pelle e provi sensazioni totalmente diverse da quelli che immaginavi attraverso i racconti e le letture. Insomma, quell’episodio mi ha fatto riflettere: anche in quel tipo di alpinismo non era poi tutto così soggettivo e dipendente solo da me. Mi trovai costretto a farmi delle domande su di me, sulle mie motivazioni, a chiedermi se davvero volessi assumermi tutti quei rischi che ora conoscevo bene... E la tua risposta quale è stata? La risposta immediata è stata che ho smesso di scalare per nove mesi! Occorre tempo per elaborare queste cose. Non è che il giorno dopo puoi essere già sicuro di quello che vorrai fare e puoi sapere se attaccherai le scarpette al chiodo oppure potrai rimetterti sulla via dicendo, ok, facciamola! Per me è stato un processo molto lungo e un periodo molto difficile, ma alla fine ho capito che la passione era così forte da voler continuare e rimettermi in gioco. Non molto tempo dopo il volo su Portami Via, quando ormai avevi ripreso a scalare, è accaduto un altro episodio drammatico: l’incidente sulla parete dell’Antimedale nel quale ha perso la vita tuo padre, con cui avevi un rapporto molto speciale anche sotto l’aspetto della scalata, poiché era stato lui il maestro e il compagno delle tue prime arrampicate. Come hai vissuto quell’esperienza? Pur essendo stata una cosa molto più sconvolgente rispetto al volo su Portami Via, in qualche modo ha avuto per me una dinamica simile. Per quanto uno possa cercare di farsene un’immagine, la perdita
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Personaggi Matteo Della Bordella ITW
Matteo in apertura sul granito dell'Isola di Baffin. Sulla vetta del Torre con David Bacci e Matteo De Zaiacomo.
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Storia Il rischio, uno stimolo per la crescita
Il rischio presente nell’arrampicata e in particolare nell’alpinismo è un aspetto che ha due facce. Da un lato comporta il pericolo di incorrere in infortuni dalle conseguenze anche letali, dall’altro rende il nostro sport (o attività outdoor) una straordinaria sorgente di fortissime emozioni. Proprio per questo motivo, quando sei in parete desideri esserne fuori e una volta fuori non pensi ad altro che rimetterti in gioco. Spesso è proprio il pericolo al quale ci si espone che rende le nostre scalate indimenticabili!
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l mio rapporto con il rischio negli anni ha subito una trasformazione totale, forse ho intrapreso un percorso inverso rispetto a quello della maggior parte degli alpinisti. Da giovanissimo, quando potremmo aspettarci che fossi più incosciente, non ne volevo sapere di arrampicate rischiose. Mi interessava esclusivamente la difficoltà e volevo affrontarla nelle condizioni più sicure possibili. Poi col passare del tempo la mia visione è cambiata gradualmente ed il rischio è diventato parte integrante delle mie sfide. Tutto è iniziato nel 2010 quando mi sono avvicinato al mondo dell’highballing: quell’anno ho scoperto uno dei boulder più belli che io abbia mai visto, il Masso Valbusa sulla morena del ghiacciaio della Brenva. Alto 12 metri, all’epoca mi sembrava semplicemente “troppo” per affrontarlo senza corda. Troppo alto, troppo liscio, troppo estremo.
Piz Badile, record di velocità. Foto: Marcello Rigamonti
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Storia Il rischio, uno stimolo per la crescita Inizialmente lo chiodai, ma molto presto gli spit piantati lì nella roccia iniziarono a turbarmi: disturbavano la perfetta armonia di quel posto incantato, naturalmente puro. D’altronde nella scelta dei miei obiettivi gli input principali sono stati da sempre l’estetica, che gioca un ruolo fondamentale, e la coerenza con le regole in cui credo. L’ha espresso molto bene Kevin Jorgeson quando stava affrontando Ambrosia in Buttermilks in California, uno degli highball più famosi al mondo: “L’estetica, l’ambiente del posto e il movimento richiesto dai problemi sono ciò che mi attira verso questi highballs. Per me ci vuole una combinazione di tutti tre per giustificare il rischio coinvolto”. Aguille Nord de Peuterey Record di velocità. Foto: Florent Pedrini
Preparazione del record Foto: Vincenzo Valtulini
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Vetrina prodotti Ande Pile Bregaglia Ideale per assicurare calore e comfort durante attività outdoor come arrampicata, trekking ed escursionismo, Bregaglia è un pile termico e traspirante, realizzato con una combinazione di tessuti morbidi ed elastici (95% Polyestere/5% EA) con cui è realizzato garantiscono libertà di movimento durante l’attività sportiva. Versatile e ideale per accompagnarti in tutte le stagioni grazie anche al bordo in Lycra a fondo giacca e fondo maniche per maggior protezione da aria e vento. Disponibile versione uomo e donna. ande.it
E9 Little Stones Se l’arrampicata è uno stile di vita, anche l’abbigliamento deve avere il suo e, da più di 20 anni, E9 ha proposto una linea di abbigliamento in cui la produzione sempre più sostenibile e una rete di artigiani locali, ne rappresentano l’anima e lo stile. Cotone organico, lino, modal e lana riciclata si alternano nella realizzazione di capi morbidi, che lasciano totale libertà di movimento, proposti in un packaging plastic-free per preservare il più possibile la natura anche per le generazioni future. Ed è proprio a loro che sono dedicati gli ultimi capi della collezione: nasce Little Stones, una linea di tutine in morbido cotone per i piccoli esploratori della natura dai tre ai dodici mesi! www.e9planet.com
Patagonia Capilene Cool Daily Graphic Shirt Per avere la sicurezza di indossare un capo in grado di offrirvi il meglio in qualsiasi condizione, freddo o caldo che sia, Patagonia propone la maglia tecnica Capilene Cool Daily Graphic estremamente versatile, perfetta per il boulder e l’arrampicata in falesia. Realizzate in poliestere riciclato al 50-100%, queste maglie sono estremamente confortevoli, anche nelle imprese più estreme, infatti offre un controllo permanente degli odori HeiQ® Pure e garantisce una protezione solare UPF 50+. Le cuciture sono Fair Trade Certified™. eu.patagonia.com
Crosscall Action-X5 Wild Country Mosquito Light Per chi ha già avuto modo come noi di apprezzare confort e funzionalità dell’imbraco più leggero della famiglia Wild Country (soli 220 g la taglia XS), perfetto per la scalata in falesia e in palestra, è arrivato il momento di ampliare la famiglia dei materiali super light della linea Mosquito. Lo zaino di soli 500g garantisce un’ottima resistenza alle abrasioni grazie al nylon rip-stop, per cui ottimo anche nelle ascensioni mutipitch, ma essendo dotato di un telo corda rimovibile, può essere usato tranquillamente come una leggerissima borsa per la corda. Per completare la collezione il Mosquito chalkbag di soli 59g, sempre rivestito in nylon rip-stop e con l’innovativa e leggera cintura, non potrà mancare sui progetti più duri. www.wildcountry.com
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Anche se non rientra tra i materiali specifici per arrampicata e alpinismo, lo smartphone è diventato sempre più protagonista delle nostre scalate. Per garantirci un possibile contatto con i soccorsi, per raccogliere immagini e video, ma anche per rintracciare e comunicare con i nostri compagni d’avventura. Action-X5 di Crosscall è stato sviluppato appositamente per garantire queste funzionalità anche a chi vive in ambienti estremi, per ben 5 anni. Abbiamo testato la resistenza agli urti, l’impermeabilità e la facilità di utilizzo anche con lo schermo bagnato dalla pioggia. La batteria si è dimostrata di lunga durata (test intensivo di registrazioni video e localizzazione GPS) e la gamma di accessori e di servizi integrati (editing) lo rende un perfetto compagno d’avventura. Compatibile con iClimbing. www.crosscall.com/en_IT
Vetrina prodotti Beal Opera Unicore Dry Cover Quando si parla di sicurezza in arrampicata la corda è un elemento imprescindibile e in base all’attività svolta, la scelta può ricadere su una corda singola, delle mezze o delle gemelle. Con Opera Unicore Dry Cover Beal il problema non si pone, poiché grazie alle sue tre omologazioni, può essere utilizzata come corda singola, mezza e gemella. Con un diametro di 8,5 mm risulta particolarmente leggera (50 g. al metro) e ideale per qualsiasi attività di arrampicata o alpinismo. Disponibile anche nella versione impermeabile Golden Dry. www.beal-planet.com
La Sportiva Katana Laces Torna la mitica Katana Laces con delle notevoli evoluzioni tecniche ed estetiche: la costruzione innovativa consente di unire i vantaggi strutturali di una scarpetta foderata a quelli di traspirazione e precisione nella calzata di una scarpetta senza fodera. La linguella è in tessuto morbido e traspirante, l’allacciatura e i lacci sono in materiale riciclato al 100%, la tomaia è un abbinamento di vitello scamosciato con Microfibra che permette di mantenere invariata la forma e tutte le caratteristiche anche dopo molte ore di utilizzo. La suola è in mescola Vibram® XS Edge ed è dotata di sistema P3. La versione women, in colorazione unisex, si differenzia negli elementi costruttivi ed è pensata per climber dal peso ridotto grazie a materiali più morbidi e con spessori ridotti capaci di flettere più facilmente adattandosi alle asperità della roccia. www.lasportiva.com
Black Diamond Capitan Helmet Capitan è il nuovo caschetto ultraresistente di Black Diamond, caratterizzato da una costruzione della calotta in ABS in due pezzi, che consente una vestibilità ottimale. Il sistema di protezione del è costituito da un inserto in schiuma EPP e di un disco di schiuma EPS, che soddisfano i requisiti UIAA, per una maggiore protezione laterale e posteriore. Le prese d’aria forniscono un’ampia traspirabilità, mentre sul retro sono posizionate le clip integrate per agganciare le lampade frontali. Taglie disponibili: S-M e M-L. Colori: rosso, grigio, verde acqua, blu e viola. eu.blackdiamondequipment.com
Scarpa Mago La nuova Mago domina i piccoli appigli come nessun’altra scarpa. Nuovi materiali e innovative tecnologie hanno permesso di rendere questa scarpa ancora più performante. La forma asimmetrica e fortemente arcuata concentra tutta la potenza sull’alluce. L’inserto TPS combinato con il sistema di tensionamento X-Tension offre precisione e potenza ottimali su piccole prese senza sacrificare la sensibilità. Lo strumento perfetto per chi ricerca la performance in falesia. www.scarpa.net
Salewa Piuma 3.0 Testato in anteprima negli scorsi 6 mesi, il Piuma 3.0 Salewa si merita a tutti gli effetti il suo nome. Con un peso di appena 175 grammi te lo dimentichi letteralmente in testa e grazie alla sua regolazione essenziale risulta estremamente comodo e preciso, anche se può richiedere qualche operazione in più rispetto ai modelli con regolazione posteriore quando si deve aggiungere o togliere il sotto casco durante la via. Nell’utilizzo estivo, anche se parte della colorazione in nero può far temere di soffrire il caldo, la ventilazione è risultata adeguata a mantenere il confort anche per numerose ore in totale esposizione al sole. Progettato per non ostruire il campo visivo lascia una completa libertà di movimento in parete. La costruzione in-mould EPP-PC, offre eccellenti proprietà ammortizzanti e un’ottima protezione dagli impatti anche sui lati. L’inserto in policarbonato al centro della calotta protegge dalla caduta di pietre dall’alto, ma non avendo testato questa funzionalità ci fidiamo delle certificazioni UIAA 106 e CE 12492 in merito ai criteri di sicurezza. I supporti elastici permettono di fissare la lampada frontale in modo semplice e sicuro. www.salewa.com
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Sebastian Castenetto su Active discharge 8a, Grottone di Ospo (© Felice Luca)
BIMESTRALE DI ARRAMPICATA E ALPINISMO Maggio 2022. Anno IV. Numero 18 Direttore responsabile Richard Felderer Coordinamento editoriale Eugenio Pesci Samuele Mazzolini Alberto Milani Redazione Tommaso Bacciocchi Roberto Capucciati Matteo Maraone Marco Pandocchi Damiano Sessa Copertina Steve “Kiwi” Bate sul penultimo tiro di Zodiac, El Cap. Foto: © Arch. Andy Kirkpatrick Grafica Tommaso Bacciocchi
Impaginazione Francesco Rioda
Correzione di bozze Fabrizio Rossi
Disegni Eugenio Pinotti
Hanno collaborato Emanuele Avolio, Filip Babicz, Filippo Gamba, Maurizio Giordani, Arno Ilgner, Andy Kirkpatrick, Igor Koller, Monica Malfatti, Federica Mingolla, Paul Pritchard, Serafino Ripamonti, Fabrizio Rossi, Marcin “Yeti” Tomaszewski, Paolo Tombini Versante Sud Srl Via Rosso di San Secondo, 1 – 20134 Milano tel. +39 02 7490163 versantesud@versantesud.it info@up–climbing.com Abbonamenti e arretrati www.versantesud.it Stampa Aziende Grafiche Printing srl – Peschiera Borromeo (MI) Distribuzione per l’Italia PRESS-DI-Distribuzione stampa e multimedia s.r.l. via Mondadori 1 – 20090 Segrate (MI) – Tel. 02 75421
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