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Il senso religioso

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Che tempo che fa

Che tempo che fa

di Franco Zadra

Uomo, essere in divenire o scimmia nuda

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Continuare a riflettere sul senso religioso con la guerra “alle porte di casa nostra” può essere sentito come un mero esercizio intellettuale, una frivolezza salottiera che dovrebbe farci un poco vergognare, se non altro considerando che “ci sono cose ben più gravi alle quali pensare”, e forse non è stato un caso che ci è accaduto di sospendere per un momento il corso di questa rubrica che segue ormai da diversi mesi il testo di don Luigi Giussani su “Il senso religioso”. Ciò che più ci inibisce nel appassionarci a questi temi è, in fondo, il punto di sempre, lo scandalo del dolore innocente, della sofferenza ingiusta, che dal 23 febbraio scorso pervade ogni canale di informazione. Almeno nei primi tempi, quando il palinsesto televisivo doveva dare spazio a programmi “più leggeri”, ci si premurava di avvisare il pubblico a casa che erano stati registrati prima dei terribili eventi, proprio come con l’avvento della pandemia si faceva per prevenire eventuali perplessità sulla presenza di pubblico che sembrava ignorare le regole di distanziamento sociale. No! Non vogliamo (e non possiamo) pensare a una dimensione religiosa che possa magari portarci a considerare l’idea di un Dio che permette il dolore degli innocenti – come ne scrisse in maniera convincente, tra i tanti, Albert Camus; soverchiati dalle immagini di morte e delitti orrendi della guerra, non ci accorgiamo neppure che l’asserto del drammaturgo tedesco di fine ‘800, Georg Büchner, per il quale “la sofferenza degli innocenti è la roccia dell’ateismo”, è divenuto ormai un elemento indiscusso e indiscutibile della nostra “cultura”. Tanto che accogliere l’annuncio di Resurrezione della Pasqua in questo clima culturale è divenuto estremamente difficile, e non valgono neppure gli esperimenti, pur bellissimi ma un po’ fasulli, come quelli tentati da Rai1 con la trasmissione “Papa Francesco e il racconto dei Vangeli”, nella quale il premio Oscar Roberto Benigni equipara il termine “risorgere”, al limite, argomentando in modo sublime, a un impossibile “rivivere”, imponendo un salto logico, o come scrive Giussani nel quarto capitolo de “Il senso religioso”, tentando di superare la riduzione materialista che nega la dimensione religiosa, surrogandola con un idealistico senso estetico, quasi a invitare a dimenticarsi del dolore innocente per perdersi nell’estasi artistica. In questo, per grazia corretto da papa Francesco che ricordava come, gli innocenti che soffrono, compresi anche quei milioni di bimbi che sono uccisi nel seno materno, fanno “massa” con l’innocente Figlio di Dio. Se partiamo dall’esperienza – ci avverte Giussani – possiamo arrivare a riconoscere nel nostro “sé”, nel nostro io, un elemento che non si concilia con la morte, immortale! Ed è con questo elemento, considerato assieme all’altro, innegabile, dell’essere corruttibili e quindi mortali, che dobbiamo, e non possiamo evitare di, impegnarci per trovare un senso nella nostra esistenza. Capiremo forse allora la sorprendente rivoluzione culturale annunciata da papa Francesco, in continuità ininterrotta con due millenni di cristianesimo, che ci permette di guardare al tanto (trop-

Jürgen Moltmann (da Wikipedia)

po) dolore innocente presente nel mondo, più di quanto possiamo anche solo immaginare, come qualcosa che unisce a Dio chi lo soffre, tenendo lontani forse solo chi ne discute comodamente a tavolino. Per approfondire, consigliamo la lettura (almeno una volta in vita) del testo di Jurgen Moltmann edito da Queriniana, “Uomo”, magari in sinossi con quello, opposto, di Desmond Morris, di Bompiani, “La scimmia nuda”.

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