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Personaggi di ieri: Angelo Peruzzo
Personaggi di ieri
di Massimo Dalledonne
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ANGELO PERUZZO
Da quel 23 maggio sono trascorsi 78 anni. Quel giorno, era il 1944, con una retata a Borgo Valsugana i tedeschi catturano Angelo Peruzzo. Come scrive Giuseppe Sittoni nel suo libro “Uomini e fatti del Gherlenda”. Peruzzo era originario di Enego, nato nel 1894 e, dopo aver partecipato alla Grande Guerra nell’esercito italiano, nel 1924 si era trasferito a Borgo aprendo una officina con garage in via 11 Febbraio. Aveva sposato Livia Moratelli e abitava in via Bagni. “Angelo Peruzzo – come ricorda Sittoni – era socialista matteottiano, altruista, pieno di entusiasmo e di iniziative. Di Giacomo Matteotti portava sempre il suo profilo sul risvolto della giacca. Era stato tra i promotori della prima formazione armata anti-fascista della Val di Fiemme e amico dell’ex onorevole Romani”. Erano le cinque del mattino quando diversi tedeschi ed elementi della terza compagnia del CST circondarono la casa di Angelo Peruzzo. Nella sua abitazione trovarono anche il partigiano Manlio Silvestri “Monteforte”, arrivato a Borgo la sera precedente. “Tutta la famiglia venne allineata nell’orto: Angelo, Livia incinta del quinto figlio, i figlioli Dolores di 16 anni, Mario di 13, Elsa di 8 e Gemma di 1 anno e il padre Antonio”. La perquisizione non portò a nessun risultato con Peruzzo e Silvestri rinchiusi nella caserma dei carabinieri di Borgo. “Monteforte” cercò di scappare ma venne subito ripreso e, come scrive nel suo libro Sittoni “solo grazie ad una soffiata di una guardia municipale i tedeschi riuscirono a trovare le armi che precedentemente Angelo Peruzzo aveva nascosto nel giardino di casa”. In quei giorni a Borgo furono arrestati, perché visti frequentare l’officina di Peruzzo, anche Guido Bertagnolli, Pietro Romani, Felice Simeoni e Guido Morizzo. Peruzzo, la figlia Dolores e Silvestri nelle settimane successive furono trasferiti al carcere di Trento. Qui rimasero per circa un mese, trascorso tra un interrogatorio e l’altro. Poi Angelo Peruzzo e Manlio Silvestri vennero trasferiti al carcere di via Dante a Bolzano ed il 25 luglio vennero condannati a morte dal Tribunale Speciale germanico. Sia la moglie del Peruzzo che il vescovo ausiliare di Trento monsignor Oreste Rauzi cercarono di ottenere la grazia. Ma ogni tentativo risultò vano. Come scrive ancora Sittoni “Peruzzo, Silvestri e Armando Bortolotti furono trasportati a Sappada, nel bellunese, dove la resistenza aveva catturato tra ufficiali tedeschi per accordarsi su uno scambio con i tre partigiani condannati a morte. Ma i tre ufficiali nazisti, dopo un tentativo di fuga, vennero uccisi. Così Angelo Peruzzo, con i due compagni di resistenza, venne impiccato il 29 luglio sulla pubblica piazza quale ammonimento per tutta la popolazione. A Borgo i tedeschi distrussero l’officina e la famiglia Peruzzo passò tempi terribili. Rimasta anche senza appartamento venne ospitata in casa della nonna paterna”. I funerali di Angelo Peruzzo e di Francesco Bordignon, massacrato il 7 novembre del 1944 dai tedeschi a Pradellano, si svolsero a Borgo Valsugana a distanza di un anno. Era il 9 ottobre del 1945 quando tutta la popolazione rese loro omaggio. La salma di Angelo Peruzzo, dopo essere stata ospitata nella camera ardente allestita nella sede municipale, venne tumulata nel cimitero di Borgo dove ancora oggi riposa “da martire della Causa della Libertà”.
Angelo Peruzzo con divisa dell'esercito italiano indossata durante la prima guerra mondiale
Tra Storia, Poesia e Letteratura
di Silvana Poli
GIOVANNI BOCCACCIO
Giovanni Boccaccio è il più famoso e importante novelliere della tradizione letteraria italiana. Nasce a Firenze, o a Certaldo, nell’estate del 1313, figlio illegittimo di Boccaccino di Chellino, un mercante certaldese che viveva a Firenze. Non abbiamo dati certi sulla madre di Giovanni, ma lui, nei suoi scritti, parla di una mamma molto tenera e presente. Si lamenta invece della durezza paterna e del fatto che il mercante non è ben disposto nei confronti delle sue inclinazioni letterarie. Quando Giovanni compie 14 anni, deve seguire il padre a Napoli. Boccaccino lavora presso una delle più importanti istituzioni finanziarie del Trecento, il banco dei Bardi, che lo invia nella città partenopea. Napoli è una città vivace dal punto di vista culturale e mercantile e il suo sovrano è Roberto d’Angiò, uomo saggio e giusto, molto attento al mondo culturale: appassionato di filosofia e di arti divinatorie, ospita alla sua corte i più importanti esponenti del mondo artistico e culturale. Boccaccino vuole avviare il figlio agli affari commerciali e allo studio del diritto canonico e così Giovanni conosce il sistema finanziario e mercantile. Ma, nel tempo che gli resta libero, può frequentare la vivace corte di Roberto d’Angiò. Qui incontra artisti, letterati e maestri, ha libero accesso alla biblioteca reale, frequenta le lezioni all’università e si rende conto che la sua vera vocazione è nel mondo delle lettere. Gli interessi di Boccaccio non si limitano solo ai libri: infatti mentre stringe amicizia con personalità importanti, condivide anche la spensieratezza dei giovani aristocratici che, senza badare alle differenze sociali, lo accolgono come uno di loro. E, alla corte angioina, Giovanni incontra anche l’amore: si innamora di Fiammetta, biondissima fanciulla che troviamo al centro di molte delle sue
Giovanni Boccaccio (by Morghen)
Il Decamerone di Giovanni Boccaccio
opere giovanili. Sotto questo nome si cela probabilmente l’identità di Maria, figlia illegittima del re Roberto, donna dotata di “mirabile bellezza” e di vivace intelligenza. La personalità di Fiammetta spicca nell’ambiente di corte, Boccaccio le dedica dei versi d’amore e, inizialmente, sembra che lei sia ben disposta verso il poeta. Ma dopo un po’ di tempo Fiammetta si stufa e rivolge ad un altro il suo sguardo amorevole. Il povero Boccaccio soffre le inevitabili pene d’amore, ma continua a scrivere i suoi versi d’amore, confidando che la sua amata torni da lui. E mentre lui coltiva questa inutile speranza, accadono degli eventi che cambiano per sempre la sua vita. Nel corso del Trecento, infatti, una crisi globale travolge il sistema economico e finanziario. All’inizio del secolo si manifesta una crisi in ambito agricolo e edilizio; nel 1337 inizia la sanguinosa Guerra dei cent’anni, destinata ad insanguinare l’Europa per più di un secolo; nel 1340 la compagnia dei Bardi, presso cui lavora il padre di Boccaccio, fa bancarotta. E così Boccaccio e suo padre sono costretti a rientrare in Toscana. A Firenze la situazione è difficile: la fiorente città che avevano lasciato è ora dilaniata da tensioni e conflitti di tipo politico, economico e sociale. Le attività commerciali sono in stallo e Giovanni si trova quindi ad avere molto tempo per dedicarsi con costanza alla sua passione, la scrittura. Il 1348 è un anno drammatico: dal Mar Nero arriva una terribile epidemia di peste che in pochi mesi travolge l’Europa. La popolazione europea in due anni passa da 70 a 50 milioni di abitanti. La pestilenza non colpisce ovunque allo stesso modo, ma la città di Firenze è travolta dal morbo e la città perde più di un terzo dei suoi cittadini. Giovanni Boccaccio vede morire il padre, molti famigliari e molti amici. In questa drammatica situazione però la sua creatività si accende: gli viene un’idea che lo renderà famoso. Boccaccio immagina che, durante l’epidemia, dieci giovani decidano di scappare da Firenze, per evitare il contagio, e si rifugino in una villa sulle colline circostanti. Devono però trovare il modo di riempire le giornate e, tra gli altri passatempi, ogni giorno ognuno di loro racconta una storia. Per rendere il tutto più interessante, le novelle hanno un tema diverso per ogni giornata, tema che sarà deciso a turno da ognuno di loro. E così Giovanni Boccaccio scrive cento novelle nel suo Decameron, il cui nome significa, in greco, dieci giornate. In quest’opera ci sono novelle per tutti i gusti, divertenti e tragiche, moraleggianti e dissacratorie, che parlano di amicizia e di amore, con lieto fine e anche con finali drammatici. Si parla di ingegno umano e di fortuna, di denaro e di commerci. Molte novelle sono famosissime come quella di Chichibio cuoco che riesce ad aver salva la vita grazie a una battuta di spirito o quella di Federigo degli Alberighi che perde tutto per amore di una fanciulla ma che poi, dopo molte disavventure, riuscirà a coronare il suo sogno d’amore. Questa straordinaria opera accresce la fama di cui Boccaccio godeva già tra i suoi concittadini e così gli vengono affidati incarichi prestigiosi, come ambasciatore, in Italia e in Europa. Nel 1350 ha l’occasione di conoscere un’altro dei più grandi poeti del Trecento: Francesco Petrarca, considerato il padre della poesia amorosa. Tra i due si instaura un preziosa amicizia destinata a durare: Boccaccio lo ammira con riverenza e Petrarca apprezza il talento del giovane. L’amicizia è tanto preziosa per noi perché, quando Boccaccio viene travolto da una terribile depressione e decide di dare alle fiamme il suo Decameron, Petrarca riesce a fargli cambiare idea e a far arrivare fino a noi questa straordinaria opera. Negli ultimi anni della sua vita si trasferisce Certaldo, dove si dedica alle amate lettere e alla meditazione. Grazie alla sua fama gli viene chiesto di leggere in pubblico la Divina Commedia di Dante, opera che già nel Trecento gode di uno straordinario successo; è quindi il primo commentatore dell’opera dantesca. Riesce ad adempiere a questo incarico solo in parte perché nel 1375 muore dopo aver letto il XVII canto dell’Inferno.