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La transizione ecologica

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Che tempo che fa

Che tempo che fa

A parere mio

di Marco Nicolo’ Perinelli

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TRANSIZIONE ECOLOGICA:

la nostra opportunità per il futuro

Èun momento difficile per l’Europa, messa di fronte ad una crisi energetica, dovuta alla guerra in Ucraina, che ha posto in modo drammatico il problema che da sempre caratterizza le civiltà, ovvero l’approvvigionamento delle fonti energetiche necessarie allo sviluppo stesso. Con la chiusura del mercato russo, il nostro paese è oggi in grave deficit per quanto riguarda l’approvvigionamento di gas, che non serve solo all’uso domestico, ma che è una delle materie prime più importanti per la produzione dell’energia elettrica in Italia. Gli ultimi dati pubblicati, riferiti al 2020, ci dicono che attualmente il 64,6% dell’energia è prodotta sul suolo italiano deriva proprio da combustibili fossili, il 17,6% da centrali idroelettriche, l’8,9% da fotovoltaico, il 6,7% da eolico, il 2,1% da geotermico. Questi dati testimoniano come si sia ancora dipendenti da fonti energetiche non rinnovabili. Da tempo però si parla di una possibile soluzione, una vera rivoluzione che non riguarda solo la produzione energetica, ma l’intero sistema economico e produttivo. Si tratta della cosiddetta “transizione ecologica”, in sostanza, di un nuovo modo di concepire lo sviluppo, in una chiave che mette il benessere della persona, e di conseguenza dell’ambiente in cui vive, al centro. Se un tempo il tema poteva essere battuto soprattutto in chiave ecologica e a farsene paladini potevano essere solo pochi, considerati dai più come ecologisti estremisti, si è ormai capito che un modus vivendi sempre più rispettoso della natura intesa come ambiente di cui l’uomo è parte e dal quale trae beneficio, può essere motore di nuove forme di economia. Sostenibilità, rigenerazione del paesaggio naturale e antropico, innovazione tecnologica in chiave ecologica, diventano così leve per la crescita e la competitività del sistema. Se già negli anni ‘70 si era iniziato a sviluppare un pensiero che cercava nuove forme energetiche a fronte del pericolo, vero o paventato, dell’esaurimento dei combustibili fossili, oggi è il benessere individuale e collettivo, collegato ad un modus vivendi sempre più rispettoso della natura intesa come ambiente di cui l’uomo è parte e dal quale trae beneficio, ad essere motore di nuove forme di sviluppo. Vediamo come la mobilità elettrica sia sempre più diffusa e come anche le aziende più importanti investano nella autoproduzione di energia elettrica. Se è vero che un tempo il costo in termini energetici della produzione delle cellule al silicio necessarie per trasformare l’energia solare in energia elettrica era superiore alla possibile produzione delle stesse, oggi siamo entrati in un circolo virtuoso, perché è il sole stesso a fornire quell’energia. Inoltre esiste una nuova forma di collaborazione tra cittadini, la Comunità energetica, che consente di diventare produttori di energia da fonti rinnovabili, in forma di associazione o società. Vi sono già realtà che hanno sfruttato questa occasione, come la frazione di Riccomassimo nel Comune di Storo, in Trentino, che sono già attive, e altre che stanno partendo su iniziative dei cittadini stessi, come a Tenna. Senza entrare nel merito di una rivoluzione che potrebbe cambiare il nostro pianeta un passo alla volta (e riguarda anche paesi come la Cina che già da tempo stanno investendo in questa direzione), esiste però anche un discorso più ampio, che va oltre l’energia e che riguarda il turismo, l’industria, l’agricoltura, e che può interessare anche le piccole realtà locali. Essere green, investire sul territorio in chiave ecologica, significa migliorare l’ambiente in cui viviamo, ma anche diventare sempre più energeticamente autosufficienti, essere più attrattivi per il turismo e migliorare l’immagine del territorio e dei prodotti che da esso provengono.

A parere mio

di Franco Zadra

Putin criminale e Zelensky santo?

Vladimir Vladimirovič Putin, ex militare ed ex funzionario del Kgb, presidente della federazione russa dal 7 maggio 2012 al suo quarto mandato, è un criminale di guerra? La Corte internazionale di giustizia, nota anche come Tribunale internazionale dell’Aja, il principale organo giudiziario delle Nazioni Unite, si è attivata fin dal 3 marzo scorso con dei propri investigatori per raccogliere le prove a sostegno di questa accusa. Nell’elenco già troppo pesante degli orrori che hanno squarciato il velo di una pace, data forse per scontata in Europa grazie anche a una informazione finora non così attenta e puntuale nel rendere conto della situazione reale che almeno dal 2014 segnalava l’avvento della crisi manifestatasi “all’improvviso” con l’invasione dell’Ucraina, vi è l’attacco del 9 marzo all’ospedale pediatrico di Mariupol, poi il massacro di Bucha del 3 aprile, e il missile sulla stazione di Kramatorsk del 9 aprile, con strage di civili inermi, vittime di una strategia militare che sembra dominata dal criterio di creare diversivi che distolgano l’impiego delle truppe avverse dagli obiettivi reali e mai dichiarati. «Fin dall’inizio si è avuta l’intenzione di colpire dei civili», ha dichiarato a Repubblica Carla Del Ponte, ex pro-

curatrice generale del Tribunale

dell’Aja che aveva incriminato per crimini di guerra l’ispiratore e l’esecutore materiale dei massacri in Bosnia,

Milosevic e Karadzic.

«Allo stesso modo dovremmo procedere con Putin - ha detto a Repubblica la Del Ponte -. L'inchiesta dev'essere condotta velocemente affinché si possa emanare un atto d'accusa e ottenere un mandato di arresto internazionale contro gli accusati». Crimini di guerra e contro l’umanità che da parte ucraina si stanno documentando in Rete (www. hrw.org) con un archivio di notizie e immagini che già vorrebbero rappresentare un indubitabile giudizio agli occhi del Mondo, “ukraine apparent war crimes russia controlled areas”. Però le cose non sembrano essere così semplici come potrebbero apparire. Una volta raccolte le prove che permetteranno di stabilire quali e quanti crimini siano stati commessi, e identificati gli autori, oltre a Putin, anche tutti i politici e i militari con incarichi di responsabilità, un eventuale processo, a meno di una improbabile rivolta popolare capace di cacciare lo Zar, dovrà essere celebrato in assenza degli imputati, anche se non sembra essere una procedura regolamentata dalla Corte internazionale di giustizia, ma a quel punto l’isolamento di Putin, colpito da mandato di arresto, finirebbe per condizionare pesantemente tutte le

Vladimi Putin

A parere mio

relazioni politiche, diplomatiche, ed economiche, tra la federazione Russa e l’Occidente. Comunque vada questa guerra, che Putin venga processato o meno, il processo del quale si incaricherà la storia dovrà portare luce anche su altri crimini commessi nel periodo che va dal colpo di Stato in Ucraina del 2014, in quella che le cronache hanno documentato quasi sottotraccia e l’Occidente ignora tuttavia, come la guerra del Donbass, che secondo il giornalista Franco Fracassi, in 8 anni ha fatto 14mila morti, devastando la parte più ricca e produttiva dell’Ucraina. «Tutto ebbe inizio il 6 aprile 2014 – scrive Fracassi nel suo testo, “Ucraina. Dal Donbass a Maidan. Cronache di una guerra annunciata” -, quando alcuni manifestanti armati si impadronirono di diversi palazzi governativi a Donetsk, Lugansk e Kharkiv. Un mese prima, la Crimea aveva annunciato l’indipendenza dall’Ucraina. La stessa strada vollero percorrere i russi delle province del Donbass. Fu indetto un referendum sull’indipendenza fissato per l’11 maggio successivo. Ma non tutti riuscirono a portarlo a termine. Caddero in sequenza Dnipropetovsk, Kharkiv, Mariupol. Dove si riuscì a votare stravinsero i separatisti. La notte del referendum nacquero la Repubblica Popolare di Donetsk e la Repubblica Popolare di Lugansk. Non le province intere, però. Ma solo la parte più orientale. Il resto del territorio fu conquistato dall’esercito ucraino, mescolato con i corpi paramilitari neonazisti». Una luce che forse questa generazione non arriverà a scorgere, rimanendo prigioniera dello stravolgimento storico marcato dalle parole di Vasilij Grossman nel suo resoconto su “L’inferno di Treblinka”, dove con stupore possiamo leggere questa lapidaria risposta al “perché ricordare?”: «Chi scrive ha il dovere di raccontare una verità tremenda, e chi legge ha il dovere civile di conoscerla, questa verità. Chiunque giri le spalle, chiuda gli occhi o passi oltre offende la memoria dei caduti. Chiunque si rifiuti di conoscere la verità non capirà mai con quale nemico, con quale mostro si è battuta fino alla morte la nostra grande, la nostra santa Armata Rossa». In questo momento, da parte russa non ci è dato di leggere nulla o quasi, mentre possiamo addirittura seguire su La7, la serie tv “Servant of the people” che ha portato alla politica Volodymyr Zelensky… e il dovere di conoscere la tremenda verità si fa intrattenimento.

Come eravamo

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