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Carne di selvaggina: valori nutrizionali ed aspetti sanitari Emanuele Guidi di una fonte alimentare rinnovabile e sostenibile et. al.
Ismea non ha dubbi: anche in questa nuova analisi delle tendenze del bovino da carne l’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare ribadisce che andrà data “una identità” ad un prodotto che sta gradualmente perdendo appeal proprio per la scarsa riconoscibilità.
dei ristalli francesi non accennano a stabilizzarsi; pertanto, l’acquisto di bovini da allevamento da oltre confi ne torna a ridimensionarsi insieme a quello dei bovini pronti alla macellazione, i cui prezzi, in rialzo in tutta Europa, risultano ormai poco incentivanti.
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Le prospettive
Secondo le stime della Banca Centrale Europea, l’anno dovrebbe chiudersi con un tasso di infl azione del 2,2% e sulla base di una ottimistica previsione i fattori determinanti — aumento dei prezzi dei prodotti energetici in primis — dovrebbero attenuarsi già a partire dal primo trimestre 2022 per poi portare l’infl azione al +1,5% nel 2023.
Per quanto riguarda il mercato delle materie prime agricole ad uso zootecnico, permane una situazione di grande incertezza, soprattutto in merito al livello delle scorte detenute dai principali esportatori che, seppure in aumento su base annua, rimangono su livelli decisamente inferiori ai valori medi dell’ultimo quinquennio.
Dal punto di vista produttivo si prospetta un quadro mondiale in aumento per la campagna 2021/2022 sia per il mais che per la soia, mentre i raccolti nazionali dovrebbero risultare in aumento solo per la soia e diversamente in fl essione per il mais. Da considerare l’impatto dell’incremento della domanda da parte della Cina sull’equilibrio del mercato mondiale, visto l’aumento del patrimonio zootecnico (soprattutto suinicolo dopo l’epidemia di Peste Suina Africana che aveva decimato gli allevamenti) fi nalizzato al raggiungimento dell’autosuffi cienza interna.
Nel terzo trimestre 2021 torna positivo anche l’indice del clima di fi ducia degli agricoltori elaborato dall’ISMEA, che dopo nove trimestri consecutivi su terreno negativo, si attesta a 3,1 punti. Gli intervistati sono molto ottimisti riguardo alle prospettive a 2-3 anni, meno sulla situazione corrente, sebbene anche su questo aspetto i pareri risultino in notevole miglioramento rispetto ai trimestri precedenti.
L’indice del clima di fi ducia della zootecnia da carne risulta in questo trimestre peggiore rispetto a quello delle coltivazioni in quanto a differenza di questo non è supportato dalle positive performance sul fronte dell’export.
Rispetto al terzo trimestre dello scorso anno, la situazione è leggermente migliore: un anno fa,
il principale fattore di diffi coltà da fronteggiare era il calo della domanda; quest’anno il fattore critico è l’aumento dei costi correnti, riportato dal 34% degli agricoltori e dal 43% degli operatori dell’in-
dustria alimentare (sul totale di quelli che hanno dichiarato delle diffi coltà). In particolare, l’indice della zootecnia da carne nel terzo trimestre 2021 resta in terreno negativo, con un saldo di risposte
che vede ancora prevalere del 2,7% pessimismo sul prossimo futuro. Ad incidere su tale andamento è soprattutto l’andamento degli affari correnti (saldo negativo del 10%), mentre restano piuttosto ottimistiche le aspettative per gli affari futuri (a due anni), con risposte in saldo positivo del 5,5%.
Va sottolineato che la fi liera della carne bovina nazionale ha reagito bene sin da subito all’emergenza. I livelli produttivi nazionali sono riusciti a rimanere inalterati rispetto alle normali annate, malgrado il 2020 sia stato un anno del tutto
anomalo.
Un problema che persiste e si acuisce è però quello della redditività. I prezzi nazionali in allevamento hanno mostrato una buona ripresa nella seconda metà dell’anno, il che ha permesso agli allevatori di recuperare parte delle maggiori spese sostenute per l’acquisto di materie prime. Di contro, i costi per i ristalli elevati e l’incertezza sulle misure di sostegno che la nuova PAC metterà in campo spingono gli ingrassatori ad agire con cautela, limitando le operazioni di ristallo malgrado le aspettative positive sul mercato dei prossimi mesi.
Tra i problemi che interesseranno il comparto e che causeranno un permanere dell’incertezza c’è sempre la crescente attenzione dei governi sulle proteine animali e sulla loro sostenibilità. Proprio a tal proposito ci potrebbe essere una crescita dei costi, sia per gli investimenti infrastrutturali che per il confronto con i più stringenti regolamenti governativi.
Si conferma l’ipotesi di un mercato in cui l’offerta di carne bovina
sarà nettamente diviso in due linee, in grado di soddisfare tutte le tipologie di consumatori, ovvero quelli che la crisi fi nanziaria spingerà verso la convenienza di prezzo e quelli che sempre più attenti e consapevoli dei problemi etici ed ambientali, sceglieranno prodotti in grado di garantire la qualità, il salutismo e
la territorialità.
L’evolversi della fi liera italiana delle carni bovine dovrà però intercettare e soddisfare soprattutto questa seconda tipologia di consumatore, diventando una fi liera più “identitaria”, potenziando e valorizzando elementi di valore aggiunto, qualità organolettica, modalità di frollatura, riconoscimenti territoriali, marchi di garanzia del rispetto animale e ambientale, valori etici e sociali, persino i miglioramenti che le nuove tecnologie possono aver apportato al prodotto.
Andrà rivalutato il consumo di un prodotto che sta gradualmente perdendo appeal proprio per la scarsa riconoscibilità che ne comporta spesso un allineamento sulla
scarsa qualità.
Fonte: Tendenze Bovino da carne ISMEA – Direzione Servizi per lo Sviluppo Rurale Responsabile: Michele Di Domenico Redazione a cura di: Paola Parmigiani www.ismeamercati.it
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Carne di selvaggina: valori nutrizionali ed aspetti sanitari di una fonte alimentare rinnovabile e sostenibile
di Emanuele Guidi, Francesca Marchignoli, Annamaria Aloisi e Enrica Bellinello
Secondo la FAO, nel 2019, per la prima volta in vent’anni, la produzione mondiale di carne è calata, complice l’epidemia di Peste Suina Africana in Cina che ha decimato gli allevamenti suini1. In questo contesto, gli animali vissuti allo stato libero, che si alimentano con prodotti naturali del territorio, non subiscono trattamenti, hanno standard etici di benessere e un impatto inferiore sugli ecosistemi rispetto alle specie allevate, possono rappresentare un valore aggiunto per prodotti innovativi e di qualità. C’è stato un incremento dell’interesse verso l’utilizzo della carne di selvaggina sia in ambito domestico che nel campo della ristorazione, complice il fatto di un aumento di strategie mirate per il contenimento di alcune specie1. Nonostante l’aumento registrato, però, il consumo della carne di selvaggina in Europa è ancora basso, attestandosi intorno ad un 2-4% del totale, probabilmente a causa del prezzo elevato, la stagionalità, ma, soprattutto, per mancanza di abitudine ad utilizzare ricette con questo tipo di carne2 .
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Quella di cervo è una carne magra, a basso contenuto di grassi e colesterolo. E il gusto e l’acidità dei frutti di bosco si sposano perfettamente con il suo sapore intenso (photo © Magdalena Bujak – stock.adobe.com).
In quest’ottica, cresce l’importanza di far emergere una cultura venatoria in cui il cacciatore sia un gestore sempre più preparato e cosciente delle risorse faunistiche. Un’attività venatoria corretta e rispettosa permette infatti di fruire delle popolazioni di animali selvatici senza intaccarne le dinamiche ecologiche e, al contempo, ottenere carni che offrono le migliori caratteristiche organolettiche, non risentendo di fattori stressogeni tipici degli animali provenienti da allevamenti intensivi3 .
In diversi studi sono evidenziate le potenzialità della carne di selvaggina (cit.): titolo proteico (21–26 g/100 g) più alto rispetto ad altri mammiferi allevati, indice di digeribilità elevato, alti valori di vitamina B12 e B3, alto contenuto di amminoacidi essenziali, basso contenuto di grassi (<3 g/100 g grossa selvaggina e <4 g/100 g per la piccola selvaggina), maggiore percentuale di acidi grassi polinsaturi (PUFA), poca energia (90–113 kcal/100 g) e rapporto Omega-6/ Omega-3 ottimale.
È da ricordare che la carne di selvaggina è sensibile a fattori ante mortem e post mortem che infl uiscono poi sulle caratteristiche organolettiche del prodotto fi nale4. Da qui l’importanza di defi nire e utilizzare linee guida per perseguire elevati standard di qualità aumentando il valore di risorse naturali e tradizioni locali.
La selvaggina è un prodotto estremamente eterogeneo e gli attributi di qualità possono essere diffi cili da standardizzare a causa di fattori ante mortem e post mortem degli animali stessi.
Per quanto riguarda i fattori ante mortem: specie, età, sesso, condizione corporea, tipo di muscolo, livelli ormonali, luogo e stagione di abbattimento, tipo di arma e munizioni, localizzazione ed esito della ferita e tipo di caccia infl uenzano molto la composizione chimica della carne2 .
In particolare, certi tipi di caccia come la braccata (caccia eseguita in battuta con concorso di cani e braccaioli), possono agire direttamente sul pH fi nale della carne, in quanto
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Il cervo di Eugenio Boer e Carlotta Perilli
Nel menù degustazione “I Classici” di BU:R Milano, il ristorante dello chef e patron EUGENIO BOER e della compagna, CARLOTTA PERILLI, maître di sala e padrona di casa del loro intimo salotto milanese aperto nel giugno del 2018 (www.restaurantboer.com), c’è “Il cervo e la sua storia”, un piatto iconico dello chef nato in Italia e cresciuto in Olanda che, dopo dieci anni, viene oggi proposto in versione “evoluta”.
Sostenibilità ed etica nelle scelte sono diventati punti fermi della concezione gastronomica di Boer, in una visione che va oltre la cucina stessa. Questo è un piatto ancestrale che vuole ricordare il momento della caccia, quando l’uomo utilizzava le pietre per uccidere la propria preda. Il fi letto è servito crudo, a 37 gradi, con una coulis di lampone e senape a ricordare il sangue, le foglie croccanti di erba ruta, lamponi e radice di liquirizia evocano la terra. Per terminare, le foglioline di erba ruta fresca, ricordano l’amarezza del gesto della morte.
La scelta di Eugenio di essere più sostenibile l’ha portato a eliminare il fegato grasso d’oca e a sostituirlo con lo stesso grasso del cervo. A fi anco dell’acqua aromatizzata al pino per lavarsi le mani, a conclusione di questo assaggio di foresta. Un potente rimando alla natura.
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un alto livello di stress prima dell’abbattimento porta ad un maggior consumo di glicogeno con conseguente riduzione della produzione di acido lattico ed inadeguata acidifi cazione della carcassa5 .
La mancata produzione di acido lattico non favorisce il regolare processo di maturazione delle carni aumentando la possibilità la liberazione di prodotti indesiderati come: acido butirrico, acido solfi drico e porfi rine (cit.). Le carni ottenute da processi non corretti presentano caratteristiche organolettiche inadeguate e sgradevoli come: odore dolciastro, di muffa, acidulo, colorazioni anomale sul marrone/ arancione e friabilità (cit.).
Indagini al macello e presso i centri di lavorazione selvaggina hanno evidenziato che lo stress porta anche ad una migrazione di microrganismi ed endotossine dall’apparato digerente verso la muscolatura, per aumento della permeabilità vasale5. A tale riguardo riveste notevole importanza il concetto che viene espresso come principale nozione di igiene per i corsi per cacciatore formato, ovvero l’assenza o la tempestiva ed accurata tolettatura di materiale fecale durante la fase di eviscerazione del cacciato6 .
Il cacciatore deve essere parte integrante di un processo qualitativo che garantisca la salute del consumatore cominciando con la scelta del capo e l’attenta osservazione del suo comportamento prima del-
lo sparo, in modo da riconoscere eventuali “comportamenti dubbi” elencati del testo del Regolamento CE 853/2004.
La fase post mortem comprende: modalità e tempo di recupero dell’animale, il tempo intercorso prima dell’eviscerazione, modalità/ manualità con cui viene effettuata l’eviscerazione, eventuali alterazioni/patologie, trasporto, raffreddamento e frollatura. Anche un recupero diffi coltoso dovuto alla mole del capo o ad un numero insuffi ciente di persone può portare ad imbrattamento della carcassa, con compromissioni delle carni. In un contesto come questo, in cui molti fattori concorrono per la riuscita di un buon prodotto fi nale, è fondamentale la formazione del cacciatore, già prevista dalla sezione IV del capitolo I del Regolamento CE 853/2004.
Molte sono le qualità che contraddistinguono dal carne della selvaggina da quella degli animali allevati, per esempio i valori proteici, che sono compresi tra 21-26 g/100 g4. La carne è ricca di amminoacidi essenziali come triptofano, lisina, metionina, leucina e isoleucina e, soprattutto nella carne degli ungulati selvatici, la loro quantità è superiore rispetto alla carne di bovino e più che doppia rispetto a quella di suino7 .
Tabella 1 – I valori di proteine contenute in 100 g di lombata per le specie maggiormente cacciate in Europa comparate con le specie maggiormente allevate (fonte: CREA 2017)
Specie Proteine g / 100 g
Cervo 22,41-22,20
Daino 21,80-22,80
Cinghiale 21,24-25,87 Maiale leggero 21,3 Vitello 20,7
Petto di pollo 23,3
Tabella 2 – Variazioni del contenuto proteico in 100 g di lombata per le specie maggiormente cacciate in Italia settentrionale rispetto ai valori medi europei
Specie Proteine g / 100 g
Cervo maschio adulto 21,90
Camoscio maschio adulto 19,10
Cinghiale maschio adulto 24,70
Tabella 3 – Grasso, percentuale
Specie Grasso %
Cervo 8
Daino 11
Maiale 26
Bovino adulto 26
Tabella 4 – Acidi grassi, valori Omega-6/Omega-3
Specie Omega-6/Omega-3
Cervo 1/2,75
Daino 1/2,07
Cinghiale 1/4,81
La componente grassa della carne di selvaggina è inferiore rispetto alle carni rosse e pari a quella delle carni bianche4. Anche il tipo di grasso è da tenere in considerazione: infatti, le autorità sanitarie sconsigliano l’assunzione di grassi saturi (SFA) a favore dei grassi monoinsaturi (MUFA) e polinsaturi (PUFA)4. In particolare, tra i PUFA si ricordano gli Omega-6 e Omega-3 essenziali per il nostro organismo per il controllo del colesterolo, aggregazione piastrinica o
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La quaglia da un punto di vista merceologico e gastronomico appartiene alla categoria della cacciagione o selvaggina da penna. Le quaglie selvatiche sono più grasse di quelle provenienti dagli allevamenti e, ovviamente, più saporite. Si cucinano in molti modi, arrosto al forno, in padella, allo spiedo, o ripiene. Una ricetta tipica del Nord Italia è il risotto alle quaglie (photo © Mikhaylovskiy – stock.adobe.com).
controllo dei processi infi ammatori solo per darne qualche esempio (Tabelle 3 e 4).
Motivazioni del consumo di carne selvatica
In quattro studi, il consumo di carne selvatica era maggiore nelle aree più vicine alla fauna (ad es. zone montuose o parchi, FOERSTER et al., 2012; MGAWE et al., 2012; MWAKATOBE et al. 2012; LUISELLI et al. 2019). In uno di questi studi (LUISELLI et al., 2019), i ricercatori hanno scoperto che la probabilità che una specie venisse consumata era correlata con la distanza delle famiglie dal confi ne del parco più vicino e anche con il tipo di copertura del suolo, che può determinare la composizione e la quantità di carne di animali selvatici consumata.
Un altro studio ha appurato che le specie consumate dipendevano dalla posizione, dal tipo di habitat e dalla disponibilità nei mercati (MWAKATOBE et al., 2012). Altri studi3 hanno scoperto, tuttavia, che la vicinanza alle specie cacciabili non è l’unico fattore importante, ma le motivazioni al consumo variavano da località a località.
Ricerche a livello europeo hanno inoltre scoperto che il consumo di carne selvatica e le preferenze delle specie erano principalmente spiegate dalla disponibilità, ma che le credenze tradizionali e anche le affi liazioni religiose hanno avuto un’infl uenza importante4 .
Conclusioni
Esiste una vasta letteratura sulla caccia, il commercio e il consumo di carne selvatica, ma pochi studi si sono occupati specifi camente dei motivi di consumo della carne selvatica come scelta alimentare nelle aree rurali e urbane. In generale,
Da tempo si sottolinea da più parti l’importanza di far emergere una cultura venatoria in cui il cacciatore sia preparato e cosciente. Un’attività venatoria corretta e rispettosa permette di fruire delle popolazioni di animali selvatici senza intaccarne le dinamiche ecologiche e, al contempo, ottenere carni che offrono le migliori caratteristiche organolettiche, non risentendo di fattori stressogeni tipici degli animali di allevamenti intensivi