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Garonzi 1933, il cavallo prima di tutto Gian Omar Bison

L’agnello di Castel del Monte. I capi sono allevati nelle radure intorno al comune nell’Aquilano e giungono a Guardiagrele già macellati.

famiglie acquistavano più tagli di bollito o per lo spezzatino».

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Chi entra in questa macelleria con curiosità ed esperienza, cade travolto dalla fascinazione: davanti a sé un piccolo mondo fatto di piccoli gesti che dichiarano abnegazione mista a capacità, competenza che fa il paio con semplicità, sobrietà che oggi non va più tanto di moda…

Quando le mani legano con lo spago il coscio di suino abilmente disossato, dopo avere sostato nella salamoia una settimana, per ottenere un prosciutto cotto dall’ineffabile aroma e gusto, l’affermazione conseguente è genuina: «Lo facciamo da sempre così, senza stampi. Ottenuto da suini locali dal peso vivo di 250 kg, vien cotto sottovuoto a vapore per 24 ore tra 68 e 70 gradi. Poi per altre 24 ore si raffredda prima di essere servito al banco».

Semplicità nell’illustrare gesti e saper fare tanto complessi. Dinanzi a questo meraviglioso reperto di archeologia gastronomica c’è anche la salsiccia matta, elaborata con trippa di maiale e carni grasse. «Innanzitutto la trippa viene bollita e sgrassata, poi portata a 90 gradi e impastata con carne di maiale e insaccata, una volta raffreddata. Con l’insacco, all’impasto facciamo assumere la forma di una salsiccia. Si consuma con i fagioli in sugo o arrostita».

Va notato che l’inconveniente di ottenere un salume dalle nuance grigiastre dovute alla naturale colorazione delle carni bollite è stato colmato con l’aggiunta di polvere di peperone dolce e piccante, che dona un aspetto più vivace.

Salumi desueti, ma ghiotti come la coppa di testa, ottenuta da lingua, orecchie, cotenna del suino messe a bollire, staccate dalle ossa e spolpate. Ottenuta la polpa, questa viene tagliata grossolanamente e condita con sale pepe aglio, noce moscata, pepe e altre spezie. L’impasto si completa con l’aggiunta di buccia di arancia e peperoncino.

Dell’arte norcina di Antonio Panaccio vanno ricordate le pancette, la salsiccia secca, il salame aquilano, dalla forma schiacciata. Ma soprattutto uno squisito guanciale, necessario per la preparazione della pasta Soqquadro all’amatriciana, pecorino di Castel del Monte e pomodoro Pera d’Abruzzo.

Un’ode agli autentici prodotti locali prima di riposarsi nel B&B Relais del Borgo di cui si prende cura l’affi atata coppia.

Riccardo Lagorio

Macelleria-Ristorante Romantino e B&B Relais del Borgo

Via San Francesco 47 Telefono: 0871 85971 Piazza San Francesco 5 Telefono: 347 6710013 66016 Guardiagrele (CH) Web: www.relaisdelborgo.net

Garonzi 1933, il cavallo prima di tutto

di Gian Omar Bison

Se nasci cavallo non muori bovino. Applicato alla storica Macelleria Garonzi di Verona signifi ca che, se sei una macelleria equina, il manzo in bottega non lo lavorerai e non lo proporrai mai. ANDREA, ultimo erede dell’attività di famiglia avviata da nonno GIUSEPPE nel 1933, lo ribadisce come un templare: qui la carne di vitello non passa. Fuori dal tempo e dallo spazio? «Meglio che fuori mercato», ribadisce. La prima macelleria di famiglia venne aperta vicino all’attuale e lì rimase fi no agli anni Cinquanta. In quel periodo Giuseppe ne avviò un paio lavorando e servendo sempre e solo carne equina. «A quei tempi — sottolinea Andrea — era più facile perché la distinzione tra chi si occupava di equino e chi di tutto il resto (bovino, suino, avicolo) era netta ed accettata da tutti, commercianti e consumatori. Poi negli anni i distinguo si sono attenuati e non è diffi cile trovare macellerie equine che propongono anche bovino. Noi stessi siamo passati da fornitori di solo fettine, hamburger e macinato di cavallo a proporre anche pollame e maiale. Ma non bovino».

Il padre Giovanni ha iniziato a frequentare prestissimo la bottega di nonno Giuseppe, anche se a lavorarvi veramente iniziò nel 1965, a 24 anni, quando venne a mancare Giuseppe. «Dopo aver venduto una delle due macellerie le entrate non avrebbero garantito la giusta redditività per entrambi ma con la scomparsa di mio nonno mio padre prese le redini dell’attività e rimase in macelleria fi no alla sua morte, avvenuta nel 2014».

Fino ai suoi 17 anni Andrea limitava l’attività in negozio alle vacanze scolastiche estive mentre dal 1989 lavora in macelleria a tempo pieno. «All’epoca — ricorda — si lavorava solo e sempre carne di cavallo in un banco grande la metà dell’attuale. Negli anni sono arrivate le cotture, i prontocuoci e così abbiamo messo un bancone più grande.

Se mettessi a confronto l’attività di adesso con gli anni dei miei esordi direi che il massimo del rinnovamento e del giro d’affari della macelleria è stato comunque raggiunto con mio padre in bottega.

La selezione di formaggi locali introdotta da Andrea Garonzi nel 1998 e i salumi home made in stagionatura.

Con lui siamo passati dal servire solo hamburger, macinato e fettine di cavallo, a preparazioni diverse, oltre ad introdurre carni suine ed avicole. Negli anni io ho aggiunto i formaggi, soprattutto territoriali, una selezione che per noi è sempre stata motivo di vanto. In un secolo di attività è sempre stato aggiunto qualcosa, mai tolto».

La clientela? I Garonzi hanno un zoccolo duro di affezionati nonostante col tempo siano cambiate tante cose sotto tanti aspetti. «Ad esempio, il cliente pienamente fi delizzato non esiste quasi più» sostiene Andrea. «Capisco e non biasimo un cliente che una volta che ha assaggiato le mie carni possa avere la curiosità di provarne altre, in altre macellerie. E siccome non esiste, ad esempio, un pasticciere che abbia cinquanta articoli, oltre i soliti, tradizionali pasticcini, e ogni professionista ha una sua specifi cità, non si può pretendere un’offerta standardizzata uguale per tutti e dappertutto.

Diffi cile che un macellaio abbia le stesse materie prime e gli stessi preparati di un collega anche non troppo distante. Capito questo, anche noi abbiamo tutta una serie di articoli nei quali ci sentiamo competitivi, originali, e che continuiamo a produrre esattamente con la ricetta che utilizzava mio nonno. Le nostre preparazioni come il ragù o la pastissada de caval sono ancora tradizionali, a partire dalle cotture con l’uso del fornello a gas e non del forno. Il forno e le cotture preimpostate mi agevolerebbero ma non otterrei lo stesso risultato.

La nostra clientela è, quindi, in parte, una clientela affezionata. Poi c’è una parte a cui piace cambiare. Crediamo di lavorare con una certa qualità e quindi anche il prezzo è consequenziale. Spesso i consumatori, soprattutto più giovani, cercano la convenienza a prescindere, senza lasciarti il tempo per spiegare i tuoi prodotti e le tue scelte per quanto riguarda la materia prima. E questo certamente non agevola il rapporto col cliente.

Devo riconoscere che fi nché mio padre è rimasto in bottega ci scontravamo spesso ma la competizione interna giovava alla qualità del servizio. Adesso da solo ho

Nel mio negozio entra solo carne equina veronese, che seleziono personalmente; abbiamo sempre fatto così, fi n dai tempi di mio nonno. Le nostre preparazioni come il ragù o la pastissada de caval sono ancora tradizionali, a partire dalle cotture, con l’uso del fornello a gas e non del forno. Il forno e le cotture preimpostate mi agevolerebbero ma non otterrei lo stesso risultato

I vasetti di giardiniera e tartare di cavallo con Parmigiano e capperi.

delle certezze ma a volte mi manca il confronto». Cosa è migliorato e cosa peggiorato da quando tuo padre ha lasciato la bottega? «Mio padre ha costruito tutto, io, se ne sarò all’altezza, sarò bravo se manterrò il tutto così com’è, clientela compresa. Quando avevo 20 anni arrivavo in bottega alle sette di mattina, adesso anche alle quattro e mezza. Mi piace ma a 50 anni qualche rifl essione va fatta».

Il 70% della carne trattata dai Garonzi è equino, 20% suino e 10% avicolo. Come detto, niente bovino, che è sempre stata la scelta distintiva. «Tenere tagli anatomici di bovino di altissima gamma? Non ho mai valutato la cosa. Io — evidenzia Andrea — penso che si debba stare con tutti. Ed è vero che c’è la fascia che vorrebbe qualcosa di extra rispetto alla nostra proposta abituale. Tuttavia, mi spaventa l’idea, perché le cose quando le inizi devi gestirle e dare continuità all’offerta commerciale.

Ho una struttura piccolina, con un giro di ristoranti di riferimento. Proprio per questo continuo a pensare che in un negozio di carne equina come il nostro la si debba trattare e presentare senza frollatura; frollatura che, nello specifi co, secondo me non giova al sapore della carne.

Cerchiamo di selezionare animali con determinate caratteristiche che garantiscano ugualmente tenerezza e qualità come l’animale da sella, quello un po’ più spinto, lavorando con le attrezzature adeguate. Nel mio negozio entra solo carne equina veronese che personalmente, lo sottolineo, vado a prendere dai contadini e faccio macellare, la lavoro e la vendo. Abbiamo sempre fatto così, fi n dai tempi di mio nonno, servendoci del macello a Palazzolo (VR). Integro alla bisogna con qualche taglio anatomico, ma non molto. Questo anche perché per la pastissada de caval, ad esempio, i ristoratori vogliono tutto della stessa parte anatomica. E 20 kg di guance sono quattro bestie. Gli sfi lacci, invece, non li faccio ma li compro da Giovanni Coppiello (www.coppiello.it)».

Per quanto riguarda l’avicolo Garonzi vende soprattutto pollo. Anche anatre, oche e faraone ma in quantità minore e tutto acquistato da Il Pollo Veneto di Persegato Giulio e C. di Bonaldo (VR). Il suino viene comperato dai Fratelli Cazzola di Verona Sapori e Profumi. «Hanno un’ottima qualità e con questa carne faccio salami, salsicce, salamini misti cavallo, cotechini, pancetta salamata» puntualizza Andrea.

Il cavallo di battaglia nel cotto? «La pastissada, che vendiamo moltissimo, ma anche la carne salada». Per quanto riguarda la gastronomia si trovano anche giardiniera, riso, succo di mele di aziende selezionate, vino e birra.

«I formaggi che abbiamo introdotto nel 1998 sono tutte realtà selezionate di piccole aziende locali trovate e conosciute negli anni. Cosa vorrei aggiungere? Sul cotto gli stinchi di maiale mentre nel fresco mi piacerebbe ampliare l’offerta di hamburger diversamente conditi e speziati.

Abbiamo sempre fatto e continueremo a fare delivery. Ho tre dipendenti e in società siamo io, mia moglie ERIKA MOTTA e mia madre ANNALISA FUSATO. Il giro d’affari è stato un po’ minore nel 2020 rispetto al 2019. D’altronde ho lavorato meno con i ristoranti. Continuità in azienda? I miei fi gli Riccardo e Nicola fanno le scuole superiori e per quanto mi piacerebbe che almeno uno dei due decidesse di lavorare in macelleria non sarò certo io a forzarli».

Gian Omar Bison

Macelleria Garonzi

Stradone Porta Palio 7 37122 Verona Telefono: 045 8006088

Un agrichef e le tradizioni del Nevegal

Marco Vuerich e la nuova vita di Malga Faverghera

di Gian Omar Bison

MARCO VUERICH di Puos D’Alpago (Bl) è un giovane vecchio. A dispetto dei suoi 27 anni, ha lo spirito imprenditoriale, l’ambizione, il pragmatismo e le idee chiare che ci si potrebbe aspettare da un quarantenne o giù di li. Di giovane però ha l’entusiasmo, il coraggio e lo spirito di sacrifi cio che lo hanno spinto ad aprire, ventenne, la sua azienda agricola e qualche anno fa a rilevare, in concessione da VENETO AGRICOLTURA, Malga Faverghera sul Nevegal (Bl). Il passaggio da contadino ad agrichef può sembrare breve, consequenziale se hai un locale dove impiegare le tue materie prime e trasformarle in pietanze caratteristiche. In realtà, il percorso di Marco non è stato né breve né scontato. Un cammino imboccato col passo tipico del montanaro, ritmato, senza fughe in avanti, conoscendo il sentiero e la cima da raggiungere.

«Nel 2013 ho trasformato la piccola impresa agricola di mia nonna Viola a Puos D’Alpago (Bl) in azienda riconosciuta come primo insediamento giovani in agricoltura. Da lei ho imparato la passione per la terra, per l’allevamento e pure per la cucina» racconta Marco. «L’ho rilevata che aveva due vacche nella stalla con mio padre Mauro che gestiva qualche alveare. Una partita IVA agricola che serviva per uso familiare o poco più.

Quando sono subentrato ho introdotto l’allevamento di pecore Alpagote che sono la mia passione e ho aumentato gli alveari e i capi allevati sia per quanto riguarda i bovini da carne che i maiali. In buona sostanza il mio lavoro è stato quello di sviluppare la partita IVA della nonna e l’azienda a conduzione familiare aggiungendo una coltivazione di orticole. Le utilizziamo in agriturismo e le vendiamo in azienda e settimanalmente nel mercato di Campagna Amica di COLDIRETTI a Sedico (BL). Progressivamente abbiamo aumentato la superfi cie lavorata acquisendo terreni in proprietà o in affi tto arrivando a gestire, ad oggi, 25 ettari».

I Vuerich ingrassano vacche incrocio di razza Blue Belga e Pezzata rossa e ne utilizzano le carni in agriturismo. Non acquistano i baliotti ma praticano la linea vacca-vitello comperando il seme che utilizzano per fecondare, con l’ausilio di un veterinario, le bovine. «Solitamente ristalliamo una decina di vacche l’anno che di solito macelliamo a Cordenons (UD) quando hanno raggiunto i 24-28 mesi e 3-4 quintali di peso. Alimentiamo gli animali con quanto recuperiamo nei nostri appezzamenti tra pascolo, seminativo e prato, senza insilati e in generale senza forzare troppo il processo di accrescimento. Per quanto riguarda i maiali ne teniamo quanto basta Avvalorare il territorio bellunese del Nevegal e le produzioni locali, coltivando la propria passione per l’agricoltura: questa è la vocazione di Marco Vuerich, che dal 2017 gestisce con amore Agriturismo Faverghera e da 5 anni è a capo di un’azienda agricola che porta il suo nome. I valori guida che accompagno Marco in quest’esperienza sono l’amore per la terra, gli animali, la montagna e il desiderio di far provare a tutti le emozioni che lui ha vissuto sin da quando era piccolo e andava a sciare con il papà Mauro. L’agriturismo è il luogo di partenza ideale per attività di trekking e itinerari.

A sinistra: aperitivo in malga con il tagliere di salumi e formaggi. A destra: gli alveari di proprietà dell’agriturismo.

per preparare insaccati e salumi, soprattutto salami e pastin (tipica salsiccia di montagna) che vengono consumati in agriturismo».

Quest’anno i Vuerich sono arrivati ad avere quasi 50 alveari, abbandonando per il momento le pecore. «Gestendo l’agriturismo — sottolinea Marco — ed avendo anche il problema della predazione del lupo, non riuscivamo a condurre come si deve l’allevamento delle pecore. L’anno scorso in una notte i lupi hanno ucciso oltre il 50% del gregge, tra animali uccisi, persi e da abbattere. Parliamo di una quarantina di capi circa. A questo punto abbiamo dovuto cambiare rotta, limitandoci a vacche, miele, maiali e 10 capre».

Per quanto riguarda la cucina, è una passione che Marco, indubbia buona forchetta, ha coltivato sin da piccolo, per poi proporsi e lavorare periodicamente negli agriturismi della zona. «A fare cucina vera propria ho cominciato nel 2017, quando ho vinto la gara bandita da Veneto Agricoltura e preso in gestione Malga Faverghera. Era chiusa da quasi dieci anni, al massimo ci vendevano un po’ di formaggio. Ho iniziato piano piano, proponendo solo spuntineria con taglieri di affettati e panini perché non sapevo che risposta avrei avuto e non potevo fare un investimento oneroso come una cucina ignorando se avrebbe potuto funzionare o meno.

Avendo riscontrato una buona affl uenza, e considerato che d’inverno i clienti chiedevano soprattutto piatti caldi, dopo un anno abbiamo rifatto l’arredamento interno e ci siamo decisi ad allestire la cucina e a proporre un menù semplice, di montagna, da agrichef. Da allora siamo aperti tutto l’anno tranne due brevi periodi nei momenti di più bassa stagione. E in ogni caso siamo sempre aperti nei fi ne settimana. Cerchiamo di utilizzare i prodotti nostri o, in mancanza, di aziende agricole o artigianali locali. L’importante è spiegare sempre al cliente le nostre scelte e il perché proponiamo determinate pietanze».

Tra queste la selvaggina ha un ruolo importante. In particolare il cervo, che in Alpago è una specie piuttosto diffusa e che da anni alimenta il dibattito tra chi vorrebbe si intervenisse per contenerne il numero in aumento esponenziale e con esso i problemi di brucamento e distruzione del sottobosco e chi invece si batte per evitarlo.

«Io, come mio padre, ho la licenza di caccia e posso abbattere un capo all’anno, portarlo nel mio agriturismo e utilizzarne le carni. Spero che presto si possa arrivare a disporre di un marchio per la selvaggina della Valbelluna per poter usufruirne in maniera trasparente dalla cattura al consumo interessando tutta la fi liera dai cacciatori alla ristorazione. Il tutto deve essere autorizzato ed organizzato ma non si può nascondere che la presenza distruttrice di cervi e cinghiali sia un problema per i boschi, per gli

Spero che presto si possa arrivare a disporre di un marchio per la selvaggina della Valbelluna per poter usufruirne in maniera trasparente dalla cattura al consumo. Il tutto deve essere autorizzato ed organizzato ma non si può nascondere che la presenza distruttrice di cervi e cinghiali sia un problema per i boschi, gli agricoltori e gli allevatori

agricoltori e per gli allevatori e che questo potrebbe essere un modo intelligente per contenerne il numero e fare impresa trasparente».

Come detto, però, Marco guarda sempre alla prossima cima dopo l’azienda agricola e la cucina, che al momento è arrivata a coprire, di domenica, anche 130 coperti. «Mi piacerebbe dare corso a un progetto che avevamo in animo di realizzare nel periodo pre-Covid: un piccolo centro benessere in legno, staccato dal plesso principale, con una sauna ed un idromassaggio. Stiamo preparando tutta la documentazione necessaria e confi do che il tutto possa andare a buon fi ne. Inoltre, mi piacerebbe potessimo realizzare anche delle camere per il pernottamento considerato che c’è una grande richiesta. Certo, i nove anni di concessione, considerato il periodo di pandemia, possono essere pochi per ammortizzare un investimento così oneroso. Spero, quando sarà il momento, di poter portare un’offerta adeguata e di poter disporre di una nuova concessione e con essa di un orizzonte gestionale più lungo».

Attualmente Marco si avvale della collaborazione di alcuni dipendenti a chiamata per l’agriturismo e dei familiari per l’azienda agricola. «Se il tutto dovesse funzionare come spero vorrei che le entrate e la mole di lavoro aumentassero talmente tanto da poter offrire più lavoro».

Non si può parlare di Faverghera senza parlare di Nevegal, un comprensorio anche sciistico che negli ultimi anni ha sofferto le diffi coltà degli operatori economici e delle istituzioni e la fatica a rinnovarsi e rilanciarsi nel complesso dell’offerta turistica e ricettiva della montagna bellunese. Proprio sulla cresta della montagna, si dilunga un anello di 30 km dove si susseguono rifugi e malghe tra i 1.500 e i 1.700 di altitudine. E la convinzione di trovarsi di fronte ad un territorio con una vocazione e una potenzialità da riscoprire e valorizzare è piuttosto forte.

«Quando sono arrivato in Faverghera ho trovato solo disponibilità e apertura da parte di tutti. L’inverno scorso, a causa del Covid, abbiamo ricevuto tutti una sonora legnata: aver perso la stagione, anche sciistica, ci ha creato notevoli diffi coltà. Da noi si dice “sotto la pioggia fame, sotto la neve pane”. Credo che ora come ora il Nevegal debba farsi trovare pronto organizzando i servizi e le strutture perché insieme si possa garantire un’offerta adeguata. È comodo, ha spazi aperti, l’orto botanico, la terrazza panoramica, la seggiovia, molti locali con la possibilità di vivere ed apprezzare paesaggi diversi. Dopo anni di staticità sta conoscendo un nuovo appeal. Per quanto mi riguarda, sempre nel rispetto degli altri, cercherò di portare acqua al mio mulino migliorando la qualità dei servizi offerti dall’agriturismo».

Se i punti di forza del menù sono l’utilizzo di materie prime coltivate o allevate direttamente o di piccole aziende locali, Marco ha notato sempre più sensibilità e ricerca da parte dei consumatori che vogliono il cosiddetto “piatto col passaporto”, nel senso che vogliono sapere la provenienza e le caratteristiche degli ingredienti. «Questo credo sia il punto di forza del mio agriturismo: il contatto col cliente e l’emozione cercata e trasmessa attraverso il piatto. Quello che vorrei migliorare è la presentazione del piatto, perché anche l’occhio vuole la sua parte, e il servizio in sala».

L’obiettivo resta quello di continuare a formarsi, diversifi care l’offerta. «Sia in cucina — conclude Marco — che dando l’opportunità ai miei collaboratori, se interessati, di prepararsi di più e meglio sul servizio in sala, non perché debba essere sofi sticato, ma perché le cose devono essere fatte come si deve.

Per cultura personale, invece, mi piacerebbe cominciare il percorso da sommelier. Mi piacciono molto i vini e avrei l’intenzione di impiantare più avanti un piccolo vigneto in Alpago, passione che accomuna me e mio fratello Luca. Sono attratto dai vigneti resistenti anche perché ho l’azienda agricola in conversione biologica e sarebbe un fi lo conduttore comune la ricerca della salubrità e del rispetto dell’ambiente per quanto possibile. È un mondo che mi affascina e quando mi fermo mi piace bere un bicchiere di vino dandomi il tempo di apprezzarne le caratteristiche organolettiche e capirne provenienza e storia. Credo che raggiunta una conoscenza adeguata sul mondo del vino il fatto di poterlo presentare e descrivere con accuratezza e professionalità possa essere apprezzato dalla clientela».

Gian Omar Bison

Il pastin tipico bellunese con la polenta.

La cucina dei popoli che vivono al di là del Mare Nostrum

Albania, come e cosa si mangia nella “Terra delle aquile”

Il piatto principale è costituito dalla carne (agnello, capretto, manzo) arrostita, allo spiedo e al forno. Tipici sono anche il pastërma, carne essiccata che poi viene impiegata per piatti a base di fagioli, cipolle, porri e cavolo, e le qofte, polpette fritte di carne macinata e spezie

di Nunzia Manicardi

A sinistra: la Cresta del Lago (in albanese Maja Jezercë) è la seconda vetta più alta d’Albania, raggiungendo una quota di 2.694 m (photo © Iza Agopyan). A destra: qofte, polpette fritte a base di carne macinata e spezie (photo © www.foodiefl ashpacker.com).

L’ Albania, giova ricordarlo, non solo è un Paese vicino all’Italia geografi camente, situato com’è al di là dei Mari Adriatico e Ionio, sul Canale d’Otranto. Essa ci è vicina per molti altri motivi, di ordine socio-economico, e anche per essere stata parte integrante della nostra storia nazionale poiché questo Stato, il più piccolo fra tutti quelli balcanici, fu protettorato d’Italia dal primo dopoguerra e poi, dopo l’occupazione militare delle nostre truppe nel 1939, parte integrante (sebbene non uffi cialmente riconosciuta dagli altri Stati) del Regno d’Italia fi no al 1943. Re d’Italia e d’Albania e imperatore d’Etiopia era il titolo completo del re Vittorio Emanuele III.

Dal 1944 e fi no al 1990 fu uno Stato comunista. Nel 1998 è diven-

Il territorio e l’economia

Albania, in lingua albanese Shqiperia (storicamente Arbëria), significa “Terra delle aquile”. La defi nizione fa riferimento al fatto che due terzi del Paese, tutti montuosi, costituiscono autentici paradisi per i rapaci che, soprattutto un tempo, vi nidifi cavano. Oggi esistono eccellenti riserve per la caccia alla selvaggina da penna (fagiani, quaglie, gallo cedrone e altri uccelli) e anche per la caccia grossa, per esempio al cinghiale. Il tutto immerso in paesaggi affascinanti per la loro aspra bellezza, che colpiscono gli occhi e il cuore ma che sono poco adatti all’agricoltura e all’allevamento. Queste due attività economiche sono necessariamente concentrate nella striscia di pianura lungo la costa adriatica che appare ricoperta

tata una repubblica parlamentare. La sua storia antica è ricca e complessa. Fu culla della civiltà illirica. Colonizzata in parte dai Greci, in età classica fece parte dell’Impero Romano e poi dell’Impero Bizantino. In seguito fu invasa dai Barbari (slavi, avari, bulgari), occupata militarmente dai Normanni e dai successivi re di Sicilia e di Napoli e, commercialmente, dalla Repubblica di Venezia. Nel Medioevo arrivarono i Turco-Ottomani che, dapprima contenuti dalla Lega dei popoli albanesi creata dal condottiero ed eroe nazionale GIORGIO CASTRIOTA detto “Scanderbeg”, ebbero la meglio alla morte di questi (1467). Nell’800 scoppiarono però numerose rivolte popolari che nel 1912 portarono all’indipendenza dai Turchi.

L’agnello allo yogurt (tavë kosi) è uno dei piatti albanesi più amati. La carne tenerissima, ricoperta da un sugo cremoso a base di burro, farina, yogurt e uova, si serve con riso bollito o pane che servirà per la “scarpetta”.

di campi di grano e mais inframmezzati da frutteti e vigneti. Più a meridione, dove la costa diventa ionica, si trovano oliveti, agrumeti e piantagioni di fi chi. Entrambi i mari forniscono molte varietà di pesce e di frutti di mare, mentre nei fi umi dell’entroterra abbondano in particolare il persico e la trota. Nel lago Ohrid esistono ancora una razza unica non migratrice di salmone (Salmo salar) e l’anguilla migratrice (Anguilla anguilla), che giunge nel lago risalendo il fi ume Crni Drim.

La gastronomia nazionale

Il territorio piccolo e aspro, l’economia prevalentemente di sussistenza e le condizioni storico-politiche hanno dato vita ad una gastronomia nazionale con scarsi caratteri di autonomia essendo più che altro simile alle più note cucine greca e turca. Negli ultimi decenni, con la ripresa di rapporti con la sponda occidentale dell’Adriatico, la cucina italiana ha esercitato un’infl uenza forte su quella sia dei ristoranti che delle famiglie. Per trovare la cucina più tipicamente albanese bisogna ormai andare sulle colline e sulle montagne, perché nelle città l’omologazione ha fatto anche qui il suo triste decorso. Lassù, invece, si possono ancora trovare prodotti freschi sia dell’orto che della pastorizia, settori di attività che sono alla base di piatti genuini e semplici ma sempre impreziositi da spezie orientali grazie all’apporto della cucina dei dominatori turchi. La stessa infl uenza la si ritrova anche nei dolci (bakllava, kadaif, hallva…) imbevuti di sciroppi in maniera non di rado eccessiva per il nostro gusto.

Non si può tuttavia generalizzare, in quanto l’Albania presenta microclimi che determinano differenze culinarie anche notevoli e che danno origine a tre principali cucine regionali: 1. la cucina del settentrione montuoso e rurale, con carne, pesce e verdure quali patate, carote, mais, fagioli, cavoli, aglio, cipolla e frutta come ciliegie, noci e mandorle; 2. la cucina della parte centrale più ricca di biodiversità e quindi più variata e ricca; 3. la cucina della parte mediterranea, coi prodotti dell’ortofrutta e le specialità a base di pesce ma anche con tanti allevamenti, dato che i pascoli e le risorse alimentari sono abbondanti.

L’ospitalità

Quella albanese è una gastronomia all’insegna dell’ospitalità. Il cibo è il collante sociale e affettivo più importante, sia in famiglia che nei confronti di ospiti e visitatori che, spesso, vengono invitati a mangiare e bere con la gente del posto seguendo in ciò anche un codice d’onore medievale tuttora vigente, chiamato besa, in base al quale ci si prende cura di ospiti e sconosciuti come atto di riconoscimento e gratitudine.

Una buona colazione e poi un piatto unico col rituale del mezze

Ovunque si mangiano ancora oggi cibi assai salutari, a partire alla colazione, che vede la presenza di yogurt, pane e, secondo i gusti e le possibilità, formaggio, burro, marmellate, olive. Un piccolo pasto completo, ideale per affrontare la giornata. Si beve caffè, tè, latte e, nella parte settentrionale, anche raki, una grappa di prugne o di uva. Come pasto principale si consuma abitualmente un piatto unico (quelli che consumano primo e secondo siamo noi Italiani, e siamo forse i soli al mondo!). Questo piatto unico viene però accompagnato da vari spuntini coi quali si dà vita a un vero e proprio piacevolissimo rituale, il mezze, accompagnato da bevande. Di chiara derivazione araba, ha lo scopo sia di stimolare l’appetito e la sete evitando però di ubriacarsi bevendo a digiuno che di godere della permanenza a tavola senza appesantirsi troppo e ampliando gli ingredienti.

Di questi spuntini fa parte pure la pasta, chiamata makaronash con evidente riferimento all’Italia, che è molto gradita. Si trovano poi dadini di formaggi locali come il djathé i bardhë, un formaggio bianco salato simile alla feta greca, e il djathé kaçkavall, giallo e a pasta dura, che ricorda il nostro caciocavallo. Inoltre olive, noci salate, fettine di carne fredda o,

nei pasti più elaborati, piatti anche caldi che richiedono una preparazione abbastanza complessa.

Spesso presente sulla mensa è lo yogurt, non di rado abbinato ad aromi e verdure. Abbondano aglio e cipolle. Quest’ultime sono probabilmente l'ingrediente più utilizzato e, infatti, l’Albania è al secondo posto nel mondo in termini di consumo pro capite di cipolla.

Carne arrostita

La carne arrostita era e tuttora è il piatto forte albanese, grazie anche all’ottima qualità della carne ovina e bovina di pascolo locale tra cui particolarmente rinomata è quella di Valona. La si cucina prevalentemente allo spiedo, infi lzando un agnello intero e girandolo sopra la brace, oppure al forno. Appena sotto Valona si trova la penisola di Karaburun, selvaggia e boscosa, percorribile solo a piedi sui sentieri battuti dai pastori da tempi immemorabili. Qui si cucina un agnello ritenuto impareggiabile, così come tutte le carni locali, tant’è vero che si racconta che i pastori albanesi della zona, per effettuare coi colleghi macedoni loro limitrofi un cambio con uno dei loro vitelli, ne pretendano tre di quegli altri. Una prelibatezza sopraffi na è rappresentata da agnello o capretto bollito nel latte dentro un contenitore di alluminio.

Pastërma & Co.

Il pastërma è una preparazione di carne conservata dopo essere stata essiccata su un caminetto o in un forno. Viene preparata e consumata nel periodo invernale ed è impiegata per la preparazione di diversi piatti tradizionali a base di fagioli, cipolle, porri e cavolo. Di origine antichissima, il pastërma è caratteristico della parte settentrionale del Paese (regione di Përmet, soprattutto nelle aree di Dangëllia e Frashër) dove il procedimento tradizionale si trasmette di generazione in generazione. Un tempo era indispensabile per conservare la carne fresca in eccesso, poi i moderni sistemi di refrigerazione sono andati via via relegandolo in ambiti sempre più marginali. Gli hanno nuociuto anche le nuove linee guida sull’igiene imposte dall’Unione Europea che impediscono la macellazione domestica degli animali e, di fatto, la lavorazione di salsicce e insaccati preparati in casa. La produzione è piuttosto laboriosa: l’animale (di solito un capra preferibilmente anziana oppure una pecora o, più raramente, una mucca o un maiale) viene ucciso, macellato e lasciato appeso per 24 ore. Poi si taglia la carne a strisce di 5-6 centimetri di larghezza che vengono deposte in un recipiente pieno di sale e lasciate riposare per 12-15 ore.

Si prepara accuratamente il legno per l’essiccazione e poi vi si appende la carne in modo che le strisce non si sovrappongano le une alle altre. La carne deve essere distante un metro e più dal caminetto o dal forno. Deve asciugare molto lentamente ed essere controllata e girata perché si cuocia in maniera uniforme. Quando è pronta, le strisce sono tagliate in pezzetti più piccoli e riposte in sacchetti di tela conservati in zone asciutte, al riparo dall’umidità.

Altri piatti albanesi con la carne sono il Jahni, con pezzi interi cotti con cipolla e salsa di pomodoro, e il Kìmë, simile ma con carne macinata. C’è anche il Byrek, con le sue infi nite variazioni. È fatto con sfoglie di pasta preparata in casa, molto più sottili di quelle usate per le lasagne italiane. Si procede a strati, alternando la sfoglia alle verdure (cicoria, porro, cavolo o altro), accompagnate spesso da carne trita, riso o formaggi. Il tutto va poi sistemato in una teglia rotonda e cotto al forno (meglio se a legna). Si consuma per strada o in casa.

Presenti pressoché ovunque sono le Qofte, polpette fritte di diverse forme a base di carne macinata e spezie. Pezzetti di carne si aggiungono anche nella zuppa di fagioli, mentre il brodo di carne (agnello, vitello) è gradito nella zuppa di verdure.

Piatti rustici ma affascinanti, che rispecchiano una vita semplice, senza mollezze e troppi agi. Conoscere queste ricette aiuta così a comprendere meglio certe caratteristiche del carattere e del modo di vivere, non diversamente da come succede per le gastronomie dei popoli di tutto il mondo.

Il pastërma, carne caprina essiccata caratteristica della regione di Përmet.

Nunzia Manicardi

La corsa inarrestabile del Bio

Nessuna fl essione per il settore ma numeri in aumento su ogni fronte. E le soddisfazioni sembrano non essere fi nite. La direzione presa è quella giusta e anche l’Europa ce lo chiede in vista di una riconversione green

di Guido Guidi

Superfi ci, operatori e consumi bio ancora in crescita: è il dato emerso dalle analisi presentate all’edizione 2021 di SANA Salone internazionale del biologico e del naturale di Bologna. I numeri forniti da SINAB per il MIPAAF confermano che la superfi cie biologica nel 2020 è aumentata rispetto al 2019 di 5,1 punti percentuali. In crescita anche il numero degli operatori del settore che ha raggiunto le 81.731 unità (photo © magdal3na – stock.adobe.com). N el mondo del biologico ci sono diverse cose da festeggiare quest’anno. Si comincia con una ricorrenza importante: il trentennale del primo

Regolamento relativo al metodo di

produzione biologico dei prodotti agricoli e della relativa indicazione sui prodotti agricoli e sulle derrate alimentari. La seconda, forse meno importante ma certamente degna di nota, è l’aver segnato un nuovo

anno record per produzione e con-

sumi, tra l’altro nel mezzo di una crisi pandemica ed economica di cui non è chiaro l’esito nel breve e medio termine. La situazione di incertezza, non solo non ha fatto desistere dall’acquisto di prodotti bio, ma ha generato un incremento su ogni fronte. Nel 2020, la spesa in biologico nella GDO ha infatti registrato un +4% rispetto al 2019. Nemmeno il Natale scorso, caratterizzato da divieti di assembramenti e convivialità, ha scoraggiato questo tipo di acquisti, facendo invece registrare un aumento del 6%, rispetto allo stesso periodo del 2019, nelle tre settimane a cavallo delle festività natalizie (dati: ISMEA).

Una conferma che quella del biologico è una scelta ponderata, resa oggi ancor più consapevole dal rapporto indiscusso tra benessere e alimentazione. Secondo COLDIRETTI salgono infatti alla cifra record di 4,3 miliardi di euro i consumi domestici di alimenti bio. In un trentennio, i consumi nazionali sono cresciuti senza interruzioni ed oggi il biologico è nel carrello di circa sette famiglie italiane su dieci (68%).

La domanda crescente va di pari passo con la leadership dell’Italia nella produzione. Un primato guadagnato sul campo, grazie all’incremento del numero di aziende del primario e della trasformazione, che oggi vede coinvolte più di 80.000 imprese.

La direzione presa dall’Italia sembra essere quella che chiede l’Europa: la transizione ecologica prevista dal Farm to Fork, il fulcro del New Green Deal, dovrebbe portarci, entro il 2050, alla neutralità climatica, anche grazie alla riduzione del 50% dell’uso di fi tofarmaci di sintesi e antibiotici e del 20% di fertilizzanti chimici.

I dati sulla tendenza del mondo agricolo del Belpaese parlano chiaro: dal 2010 l’incremento registrato è di oltre 879.000 ettari coltivati e 29.000 nuove aziende agricole. La superfi cie biologica raggiunge così nel 2019 quota 1.993.236 ettari, segnando, rispetto al 2018, un +35.000 ettari, con una crescita attorno al 2% (dati: SINAB).

Come per l’agricoltura italiana il livello compositivo resta stabile e defi nito dai 3 orientamenti produttivi che pesano sul totale per oltre il 60%: prati pascolo, colture foraggere e cereali. E a seguire olivo e vite.

Tra i seminativi e le colture ortive, che aumentano di poco più di 12.000 ettari, si confermano in crescita le coltivazioni biologiche a grano duro (6%); orzo (3%) e riso (12%); girasole (26%) e soia (15%); erba medica (8%); pomodori (21%); legumi (13%) e frutta, come mele e pere.

Quanto agli operatori, la fanno da padrone le regioni del Sud, quali Sicilia (10.596 unità), Calabria (10.576) e Puglia (9.380). Ma nuove aree si affacciano a questo interessante mondo, ritagliandosi uno spazio sempre più ampio: sono le Marche (+32%), il Veneto (+13%), il Lazio (+8%) e l’Umbria (+6%), ai quali seguono l’EmiliaRomagna (+2%), la Lombardia (+3%) e la Provincia Autonoma di Bolzano (+4%).

Sempre il SINAB, nel rapporto dell’agosto 2020, rileva che il 51% dell’intera superficie biologica nazionale si trova in 4 regioni: Sicilia (370.622 ha), Puglia (266.274 ha), Calabria (208.292 ha) ed Emilia-Romagna (166.525). Altri incrementi consistenti riguardano le crescite registrate nella Provincia Autonoma di Trento (31%), in Veneto (25%) e in Umbria (8%). Gli importatori di prodotti biologici, cioè gli operatori che svolgono attività di importazione, sia in maniera esclusiva, sia unitamente ad attività di produzione e/o preparazione, si concentrano prevalentemente nel Centro-Nord. Il 68% fa capo a 5 regioni del Settentrione.

Secondo i dati dell’Osservatorio SANA, curato da Nomisma, nel 2021 (anno terminante a luglio) i consumi interni hanno registrato una crescita del 5% rispetto all’anno precedente. La spesa delle famiglie italiane si è attestata a 4,6 miliardi di euro: 9 famiglie su 10 hanno acquistato almeno un prodotto bio nell’anno in corso. E negli ultimi dieci anni i consumi interni hanno registrato un’impennata del 133% (photo © monticellllo – stock.adobe.com).

Nel 2019 la dimensione media di un’azienda biologica italiana era di 28,3 ettari, contro quella di tipo convenzionale che segnava 11 ettari. A livello delle aree geografi che, il divario maggiore interessa, il Centro e le Isole, mentre risulta più contenuto, ed inferiore al 28,3 nazionale, a Sud, nel Nord-Ovest e nel Nord-Est del Paese, in cui la superfi cie media di un’azienda biologica è rispettivamente di 24,6, di 23,2 e di 22,2 ettari.

Lasciando il mondo della coltivazione, si nota che nel 2019 è aumentato anche lo sviluppo dell’acquacoltura biologica, dove gli operatori coinvolti hanno raggiunto le 59 unità, con un incremento dell’11% rispetto all’anno precedente. La loro distribuzione territoriale vede protagonista il Centro-Nord, le cui regioni raccolgono circa il 75% delle imprese nazionali, impegnate soprattutto nella mitilicoltura e molluschicoltura. Nel Centro e in Meridione, invece, riguarda prevalentemente attività di allevamento di spigole ed orate.

Passando alle carni, il numero di capi da zootecnia bio, al 31 dicembre 2019, risultava limitato al 4% per i bovini, mentre è in calo con valori percentuali negativi di oltre il 10% per suini, ovini, caprini ed equini, registrando una diminuzione complessiva. Nello stesso periodo di riferimento, è invece positiva la tendenza per il comparto avicolo, in cui il pollame cresce del 14% raggiungendo quasi 4 milioni di capi complessivi.

In merito alle principali categorie di spesa, i consumi di prodotti bio del settore agroalimentare, in linea con quanto accade nel mondo della produzione, sono incrementati nell’ultimo anno del 4,4%, superando i 3,3 miliardi di euro (dati aggiornati al primo semestre 2020).

Per defi nire il valore del mercato del biologico italiano vanno poi aggiunti i consumi dell’HO.RE.CA., delle mense scolastiche e dell’export ancora non stimati. L’incidenza complessiva delle vendite di biologico sulla spesa per l’agroalimentare italiano è del 4%. Nel 2020 il 90% dei consumatori italiani ha acquistato più di tre volte un prodotto alimentare biologico (+1,4% rispetto al 2019). Un valore signifi cativo che sale al 97% se si considerano le famiglie che lo hanno fatto almeno una volta.

ISMEA e NIELSEN evidenziano un incremento degli acquisti sia per i prodotti a largo consumo confezionato, a cui si è maggiormente rivolta l’attenzione nelle prime settimane di emergenza Covid, che per i prodotti freschi sfusi. E anche a seguito delle restrizioni dovute alla pandemia, il biologico continua a mostrare performance di tutto rispetto, in particolare nella Distribuzione Moderna, con un incremento del 5,7% nelle vendite. La crescita della spesa nella GDO è oltretutto trasversale, coinvolgendo tutto il Belpaese, seppur a velocità diverse, come spesso accade: nel Nord-Est i consumi crescono del 7,2% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, mentre nelle restanti aree gli incrementi, pur presenti e signifi cativi, sono più modesti.

Per una migliore analisi del dato è però d’obbligo ricordare che nelle aree del Meridione la GDO non rappresenta sempre il principale canale d’acquisto dell’agroalimentare biologico. Al Sud sono infatti maggiormente diffusi gli acquisti nei negozi indipendenti, nel piccolo commercio al dettaglio e nei mercati rionali: il 77,5% della spesa bio stimata passa attraverso il canale tradizionale, al contrario di quanto accade al Nord, dove l’incidenza è inferiore al 30%.

Molto bene anche i discount, che nei primi mesi del 2020 crescono del 10,7%, pur esprimendo fatturati ancora marginali, soprattutto se confrontati agli altri canali di distribuzione del biologico. Le elaborazioni per il primo semestre 2020 mostrano inoltre un’inversione di tendenza per i negozi tradizionali che, dopo alcuni anni di stagnazione, fanno segnare un +3,2% di fatturato nel settore.

Sul fronte dei prezzi al consumo nella GDO si registra un aumento medio dell’1,2% rispetto all’anno

precedente ed una riduzione delle transazioni di prodotti biologici venduti in promozione (–10,8%, dati 2019 su 2018).

Nemmeno il periodo del lockdown ha fermato i consumi di alimenti bio. Le settimane dal 9 marzo al 17 maggio 2020, con la chiusura dei canali HO.RE.CA., la limitazione agli spostamenti e lo smart working hanno costretto al consumo di pasti in casa, modifi cando le abitudini delle famiglie e determinando inevitabilmente un aumento della spesa per acquisti domestici. L’andamento delle vendite di prodotti bio confezionati presso la Grande Distribuzione evidenzia che, come per l’agroalimentare convenzionale, per il settore biologico le transazioni presso la GDO si sono incrementate durante la quarantena. Le vendite in Italia hanno fatto segnare un +11% rispetto alle stesse settimane del 2019 (dati: NIELSEN).

L’analisi delle vendite nei supermercati e ipermercati su base regionale mostra che le vendite dei prodotti a peso fi sso dell’agroalimentare aumentano in quasi tutti i territori. Sulla spesa complessiva degli Italiani presso la Distribuzione Moderna l’incidenza, in valore, dei prodotti biologici durante il lockdown è di poco superiore al 3%, come prima di marzo. In sostanza, sia il biologico sia l’agroalimentare nel suo complesso sono cresciuti parallelamente e in maniera importante nelle settimane di chiusura.

I prodotti a media e lunga conservazione sono preferiti a quelli freschi, in generale. Gli ingredienti necessari per la produzione casalinga di pasta o pizza sono aumentati anche sul fronte bio, oltre che convenzionale, con un +92% per le farine e un +63% per le basi per pizze bio.

Inoltre, i consumi di latticini freschi bio non hanno risentito in maniera grave degli effetti delle restrizioni, come avvenuto nello stesso settore a livello convenzionale.

Gli andamenti sono stati eterogenei: il latte a lunga conservazione ha segnato un +41% e si è venduto meglio del fresco. I formaggi hanno continuato a crescere (+14%) e lo hanno fatto ancora meglio di quanto avvenisse prima dell’isolamento.

È stato un boom per le uova biologiche che, già apprezzate prima del lockdown, in quella fase hanno segnato un +25%.

Non si può dire altrettanto per il vino biologico, una categoria da tempo in crescita, ma confi nata al 2% del carrello biologico del consumatore italiano. Durante il lockdown l’andamento positivo è rallentato anche perché si tratta di un prodotto che viene normalmente veicolato dalla ristorazione fuoricasa, in quella fase storica completamente al palo.

Il biologico resta dunque un ambito che, pur avendo dato già tanto, non fi nisce di stupire e di elargire soddisfazioni sul piano economico. A preoccupare è però il fatto di non essere in grado di sfruttare a pieno questo trend positivo, anche alla luce dell’invasione di prodotti biologici da Paesi extracomunitari, soprattutto per alcune tipologie di alimenti.

Anche gli altri Paesi europei hanno compreso l’importanza dell’agricoltura biologica. La Francia, per esempio, nel 2020 ha registrato una progressione del 13%. In piena pandemia, la soglia di 50.000 fattorie è stata ampiamente superata, per arrivare a 53.483, che oggi rappresentano il 12% del totale delle società agricole francesi (dati: Agenzia francese per lo sviluppo e la promozione dell’agricoltura biologica).

Il ritmo di conversione non sembra mostrare segni di debolezza nemmeno Oltralpe. Nei primi cinque mesi del 2021 il numero dei nuovi impegni nel settore biologico ha portato ad un sostanziale equilibrio tra la produzione e il consumo. In effetti, il totale degli acquisti di alimenti provenienti da agricoltura biologica delle famiglie e da parte dei locali di ristorazione ha raggiunto 13,2 miliardi di euro nel 2020, con una crescita del 10,4%.

C’è ancora molto da fare dunque, anche nella necessità di raggiungere gli obiettivi della strategia Farm to Fork del New Green Deal che puntano ad un futuro con almeno 1 campo coltivato bio su 4.

Guido Guidi

Durante il lockdown per le uova biologiche è stato un vero boom, con un +25% sugli acquisti (photo © karandaev – stock.adobe.com).

Rivoluzione Bio: il biologico tra presente e futuro

Sono gli ultimi dati dell’Osservatorio SANA 2021, la sessione dedicata al mercato di Rivoluzione Bio, evento promosso da BolognaFiere e a cura di Nomisma, col patrocinio di FederBio AssoBio e il sostegno di ICE Agenzia. Scopriamo un comparto che in Italia vale 3,6 miliardi (e il 4% del totale agroalimentare)

All’Osservatorio del SANA, il Salone internazionale del biologico e del naturale giunto alla sua 33a edizione e svoltosi nello spazio di Bologna Fiere dal 9 al 12 settembre scorsi, ISMEA ha presentato i numeri del mercato italiano al consumo di prodotti biologici. Il valore del biologico è stimato in 3,6 miliardi, con una crescita dell’1,9% rispetto all’anno precedente e un’incidenza sul totale dell’agroalimentare stabile attorno al 4%. Dall’analisi del carrello della spesa l’ortofrutta risulta il comparto principale, rappresentando quasi il 47% delle vendite e confermando l’attenzione dei consumatori per il fresco e freschissimo. Per quanto riguarda i canali di vendita, i primi mesi del 2021 raccontano di una ripresa dei negozi tradizionali e specializzati (+7,7%), dopo che lo scorso anno la GDO aveva canalizzato gran parte delle vendite come conseguenza delle restrizioni dettate dell’emergenza sanitaria.

Considerando unicamente il peso imposto nelle vendite della distribuzione moderna, sono le carni e la drogheria alimentare bio a registrare una crescita maggiore rispetto a quella del totale alimentare. Le carni hanno registrato +15,7% in confronto al +10,4% dell’alimentare (anno terminante luglio 2021, fonte Nielsen; photo © Blueboeing – stock.adobe.com).

Grafi co 1

Grafi co 2

I mutati comportamenti di acquisto del consumatore sono ben evidenti anche quando si parla di vendite on-line. Anche nell’agroalimentare biologico l’e-commerce è diventato un canale rilevante, con un indotto di 145 milioni di euro registrato negli ultimi dodici mesi e una crescita del 96% in soli tre anni.

Le dimensioni del mercato bio italiano

Le vendite alimentari bio nel mercato interno — considerando tutti i canali — hanno raggiunto nel 2021 4,6 miliardi di euro, registrando un aumento del +5% rispetto allo scorso anno1 (fonte: Osservatorio SANA curato da Nomisma su survey dirette, dati Nielsen, AssoBio, Ismea, ICE Agenzia).

I consumi domestici — con un valore di oltre 3,8 miliardi di

Dai dati presentati durante SANA 2021, il carrello della spesa biologica registra un 12% di carni (fonte: elaborazioni Nomisma su dati Nielsen; photo © highwaystarz – stock.adobe.com).

euro — rappresentano la porzione più importante del mercato (+4% rispetto al 2020, anno terminante luglio). La dinamica dell’away from home risente positivamente delle progressive riaperture di ristorazione e pubblici esercizi, del ritorno alla mobilità e della progressiva diminuzione del ricorso allo smart working dei primi mesi del 2021: questi i principali motivi della crescita del biologico nei canali fuori casa (+10% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente) e una dimensione che ha di poco superato i 700 milioni di euro.

Nel mercato domestico la Distribuzione Moderna è il canale di riferimento: nel 2021 (anno terminante luglio, fonte Nielsen) le vendite del bio hanno raggiunto i 2,2 miliardi di euro2, pesando per il 56% del totale dei consumi at home con una crescita del 2% sul 2020. Al secondo posto la rete dei negozi specializzati che sfi orano il miliardo di euro di vendite e continuano a crescere, mettendo a segno un aumento del +8% rispetto all’anno precedente. In espansione le vendite anche negli altri canali (negozi di vicinato, farmacie, parafarmacie, mercatini, GAS…) che registrano vendite per 723 milioni di euro (+5% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente).

All’interno della Distribuzione Moderna, nel 2021 il canale Iper+Super ha veicolato 1,4 miliardi di euro di vendite di prodotti bio (perimetro: prodotto confezionato a peso imposto, periodo: anno terminante luglio 2021; fonte: Nielsen), con dimensioni stabili rispetto allo stesso periodo del 2020. Segue, per ampiezza, il canale discount (205 milioni di euro), che segna una decisa crescita (+11%).

Ma è soprattutto l’e-commerce

a segnare l’incremento più signi-

fi cativo: +67% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, con 75 milioni di euro di vendite.

Infi ne, gli specialisti drug che, nonostante rappresentino una quota ancora di dimensioni ridotte delle vendite della Distribuzione Moderna (2 milioni nel 2021), risultano in forte crescita rispetto allo scorso anno: +63% (anno terminante luglio 2021).

La composizione degli acquisti bio in Distribuzione Moderna identifi ca la Drogheria alimentare (pasta, prodotti da forno, conserve, sughi…) la prima categoria per vendite a valore — con un’incidenza pari al 57% del totale del carrello; seguono Fresco — formaggi, salumi, yogurt, uova — (21%) e Ortofrutta (12%). In merito alle referenze, sono uova, confetture e spalmabili a base di frutta, bevande vegetali i prodotti più venduti.

Un confronto tra l’andamento della spesa agroalimentare in generale e quella biologica permette di evidenziare una crescita diffusa dei comparti del bio, ad eccezione del Fresco e del Freddo che, nel 2021, subiscono una riduzione.

Considerando unicamente il peso imposto nelle vendite della distribuzione moderna, sono le Carni e la Drogheria alimentare bio a registrare una crescita maggiore rispetto a quella del totale alimen-

tare. Rispettivamente del +15,7%, in confronto al +10,4% dell’alimentare (anno terminante luglio 2021, fonte Nielsen), e del +2,6%, contro il +0,9% del totale (anno terminante luglio 2021, fonte Nielsen).

In linea con la crescita del comparto le Bevande bio mostrano un andamento positivo: +7,8% (anno terminante luglio 2021, fonte Nielsen), seguite dall’Ortofrutta: +4,7% (anno terminante luglio 2021, fonte Nielsen). Nonostante quasi tutti i comparti siano maggiormente venduti in Iper e Super, nel 2021 il pet care risulta essere il comparto più venduto dal canale on-line (23%), mentre nel discount primeggiano le bevande (17%).

L’export di bio italiano

Più che positiva la performance dell’export bio del nostro Paese: nel 2021 le vendite di prodotti agroalimentari italiani bio sui mercati internazionali hanno raggiunto quota 2,9 miliardi di euro, mettendo a segno una crescita del +11% rispetto all’anno precedente, in linea con il trend dall’export agroalimentare nel suo complesso (+10% nei primi sei mesi di quest’anno). Sono questi i dati ottenuti grazie ad un’indagine diretta sulle imprese — intervistate da NOMISMA per ICE e FEDERBIO nell’ambito del progetto ITA.BIO — unico strumento disponibile per stimare questa importante parte di mercato a causa della mancanza di codici doganali che identifi chino correttamente ed in maniera continuativa i fl ussi commerciali dei nostri prodotti biologici sui mercati internazionali.

Circa il 6% sull’export agroalimentare italiano totale, il 76% sul valore dei nostri prodotti food a marchio DOP/IGP all’estero e il 42% dell’export di vino: numeri che confermano ancora una volta il ruolo rilevante del bio nel paniere dei prodotti made in Italy sui mercati internazionali.

La potenza dell’Italia nel bio la premia con la seconda posizione nella classifica globale a valore dell’export di prodotti bio: nel 2021, infatti, è il secondo exporter bio, subito dopo gli USA.

Anche le caratteristiche del pack sono un driver nella scelta di acquisto: il packaging del prodotto bio deve essere sostenibile, il che si traduce, per il 52% dei consumatori, in una confezione riciclabile al 100% oppure totalmente compostabile (per un altro 27%).

Il consumatore italiano di prodotti bio

La crescita dei consumi domestici rifl ette il progressivo ampliamento della consumer base (almeno una occasione di acquisto negli ultimi 12 mesi), che nel 2021 ha raggiunto ormai l’89% delle famiglie (nel 2012 questa percentuale era del 53%). Questo signifi ca che oggi quasi 9 famiglie su 10 hanno acquistato almeno una volta nell’ultimo anno un prodotto biologico e che in soli 9 anni il numero di famiglie acquirenti è aumentato di circa 10 milioni. E il bio non è di certo una moda: in oltre la metà delle famiglie italiane (54%), cibo e bevande bio si consumano almeno una volta a settimana e per il 50% dei responsabili degli acquisti alimentari il biologico nel carrello rappresenta sempre la prima scelta, soprattutto per alcune categorie di prodotti come frutta, verdura e uova.

Ma qual è il profi lo del frequent user bio? Diversi sono i fattori che incidono sull’interesse verso i prodotti bio: in primis il reddito e il titolo di studio (la quota di frequent user è più alta tra i responsabili di acquisto con reddito mensile e titoli di studio medio-alti), ma anche la composizione del nucleo familiare (dove ci sono fi gli e, in particolare, bambini con meno di 12 anni, la percentuale di user abituali cresce fi no al 62%). Anche le abitudini alimentari infl uenzano il consumo frequente di prodotti bio: nelle famiglie in cui ci sono vegetariani o vegani il tasso di frequent user bio sale al 76%.

La dinamica dei consumi e le vendite nei diversi canali si è resa possibile grazie all’evoluzione degli assortimenti, tanto più che il 52% dei consumatori si dichiara soddisfatto rispetto all’offerta a scaffale (anche se solo l’11% lo è completamente). Questo ha innalzato il livello di fedeltà di molte famiglie, che non hanno modifi cato le proprie abitudini di acquisto verso il bio neanche durante la pandemia: il 62% degli user bio, infatti, continua a comprare bio come nel pre-Covid e il 25% ha addirittura aumentato la spesa, spinto da indicazioni salutistiche e sostenibili.

Complessivamente, tra gli attributi incentivanti all’acquisto di biologico c’è la provenienza: il 57% decide di comprare un prodotto bio se gli ingredienti sono di origine italiana e il 37% se la sua provenienza è locale o a km 0.

Ma qual è la leva che guida il primo acquisto? Sicuramente la cu riosità (per un 57%), ma ancor di più la voglia di mettere a tavola prodotti di elevata qualità che garantiscano benefi ci sulla salute (64%) poiché privi di pesticidi e chimica di sintesi. Tra i fattori che invece continuano ad attrarre i consumatori abituali compaiono anche altri valori che il bio incorpora, primo tra tutti la sostenibilità: il rispetto della biodiversità, del suolo, il benessere animale ma anche il giusto compenso per i lavoratori agricoli che lo producono rappresentano dei buoni motivi per comprare un prodotto alimentare biologico secondo il 39% dei consumatori.

Packaging

Anche le caratteristiche della confezione sono importanti nelle scelte di acquisto: il packaging del prodotto bio deve essere sostenibile, il che si traduce, per il 52% dei consumatori, in una confezione riciclabile al 100% o totalmente compostabile (per un altro 27%). Fonte: Dalla rivoluzione verde alla rivoluzione bio. Il biologico tra presente e futuro. Osservatorio SANA 2021 a cura di Nomisma. Elaborazioni su dati Nielsen

Note

1. La variazione è calcolata considerando come periodo di riferimento l’anno terminante a luglio 2021 (sullo stesso periodo dell’anno precedente) a parità di perimetro in relazione ai canali e alle tipologie di prodotto. 2. Tale valore comprende le vendite a peso imposto realizzate da

Iper, Supermercati, Discount,

Specialisti Drug, Liberi Servizio, e-commerce a cui si aggiungono le vendite di prodotti freschissimi a peso variabile (riferite alla rete fi sica).

Quinto Focus Bio Bank 2021 Supermercati & Specializzati: crescono le vendite del Bio

“Mentre si chiude un anno complicato e se ne apre uno nuovo ancora carico di sfi de — scrivono nell’Editoriale del Focus Bio Bank – Supermercati & Specializzati 2021 Rosa Maria Bertino, Achille Mingozzi, Emanuele Mingozzi — tiriamo le fi la del bio tra supermercati e specializzati. I dati elaborati sono quelli raccolti da Bio Bank dal 1993 per i negozi bio e dal 2001 per la grande distribuzione, fi no al 2020. Negli ultimi due anni, segnati dalla pandemia, il biologico continua a crescere anche in Italia raggiungendo i 4,6 miliardi di euro, perché cresce la percezione di quanto siano correlate la salute personale e quella planetaria”. Una crescita con dinamiche di canale ben diff erenti, come evidenziano le 104 pagine ricche di dati e infografi che, con nuove statistiche su fatturato e marche bio della GDO, da consultare liberamente su issuu.com/biobank

Vendite bio strategiche nei supermercati

In un mercato più che raddoppiato negli ultimi dieci anni, le vendite bio nei supermercati sono quasi quadruplicate arrivando a 2,2 miliardi di euro, mentre nel canale storico ruotano intorno a un miliardo di euro, come nel 2012. In dieci anni l’incidenza dei due canali sul totale delle vendite al dettaglio si è quindi capovolta: i supermercati sono saliti dal 31 al 56%, i negozi sono scesi dal 53 al 26%, in linea con quanto accade in Francia e Germania. In continua crescita anche i prodotti bio a marchio della Grande Distribuzione, passati dai 644 del 2001 ai 5.851 del 2020, un’off erta che si è quindi moltiplicata per nove in vent’anni. Nel 2020 si somma il balzo aggiuntivo per l’entrata nel rilevamento di DM, catena di drugstore con un forte accento sul bio, che porta in Italia il modello tedesco, specializzato su bellezza e pulizia, ma integrato con l’alimentazione. Coop si conferma al primo posto con 950 referenze, al secondo entra DM con 605, al terzo Esselunga con 485. L’ortofrutta rappresenta il 22% di tutte le referenze bio nelle marche della GDO. Considerando che per ogni prodotto bio a marchio della GDO (MDD) ne entrano quasi tre con le marche dell’industria (IDM), si stima un totale di 22.000 referenze bio, variamente distribuite in circa 24.000 punti vendita, solo nelle 27 catene censite. Nel 2020 restano 8 le catene della GDO con prodotti equosolidali nelle proprie marche, con un assortimento di 100 referenze. Salgono invece a 13 le catene con cosmesi naturale o bio certifi cata per un totale di 766 referenze. La scelta di investire su una propria marca certifi cata di cosmesi è la naturale evoluzione dell’off erta a marchio di alimenti biologici.

Agli specializzati il ruolo guida nel mondo del bio

Scende ancora il numero di negozi bio, arrivati a quota 1.291 nel 2020, in calo da tre anni consecutivi (–10% in totale). I negozi legati alle catene specializzate sono il 41% del totale, in calo per il secondo anno consecutivo, con una fl essione totale del 16,6%. Sono invece il 32% del totale i negozi indipendenti aderenti ai programmi promozionali. Le aggregazioni (catene o programmi) incidono quindi per il 73%. Il biologico è strategico per la Grande Distribuzione perché traina le vendite e resta strategico anche nei prossimi anni. Ma se al supermercato il bio si acquista soprattutto per comodità e convenienza, nello specializzato il motore deve essere l’appartenenza, a prezzi accessibili. Non bastano negozi più grandi e invitanti, assortimenti ampi e profondi con migliaia di referenze se mancano l’attenzione massima ai prezzi, la personalizzazione dell’off erta con prodotti locali e regionali, la conoscenza dei prodotti e dei produttori, l’accoglienza e la preparazione del personale. Al canale storico del biologico l’onore e l’onere del ruolo guida nel mondo del bio, coinvolgendo i clienti come parte di una comunità, azionisti di un mondo migliore.

>> Link: issuu.com/biobank/docs/focus_bio_bank_supermercati_2021

Tutta la plastica che non c’è

Tutto comincia con una piccolissima particella di talco. Sì, avete capito bene, di talco, un minerale utilizzato per tantissime applicazioni industriali ma anche come è noto nella cosmesi e nella farmaceutica. Le particelle di talco disperse all’interno di un granulo di PS innescano, grazie alla loro struttura molto irregolare, un processo di espansione del materiale in presenza di un’agente espandente all’interno di una linea di estrusione. Il risultato è straordinario, una struttura alveolare, spugnosa, simile a quella delle nostre ossa che conferisce al contenitore fi nale grande leggerezza dovuta a tutta la plastica che non c’è più perché sostituita con l’aria, ma molto resistente e fl essibile, come le nostre ossa, appunto, grazie alla struttura alveolare espansa.

I vassoi in XPS (polistirolo espanso estruso) per alimenti, sono il risultato di questa tecnologia

che da oltre 50 anni ha permesso lo sviluppo della GDO e dell’industria alimentare in Italia e in Europa, garantendo prima di tutto la sicurezza degli alimenti, ma anche l’accesso facile al cibo nello spazio e nel tempo, in linea con i nostri stili di vita, ad un costo equo e con tutte le informazioni corrette e funzionali per il consumo del cibo e per un corretto smaltimento dell’imballaggio dopo che ha terminato la sua funzione.

Come abbiamo affermato in un articolo su IL SOLE 24 ORE del 22 dicembre 2021 a proposito dell’imtoccandone un’altra, invece, comparirà l’ologramma di una persona, che potrà essere selezionata tra altre disponibili, per rispondere a tutte le domande che le verranno fatte riguardanti l’alimento e tutta la sua fi liera, l’azienda che lo ha prodotto e quant’altro il consumatore vorrà sapere. Non avremo bisogno di frigoriferi e quindi di energia per la conservazione, una volta a casa, basterà inserirlo in una specie di fornetto 90% di aria, 10% di PS che annullerà il campo di forza e voilà l’alimento sarà pronto per il consumo, un pizzico di talco niente più imballaggi di plastica o altro, espandente q.b.: nessuna raccolta differenziata, nessuna plastica dispersa nei mari, avremo tutti una ricetta semplice per i vantaggi del buon packaging senza nessun impegno straordinario».

un imballaggio GREEN sostenibile, riciclabile

e circolare ...In attesa del futuro che verrà...

Oggi, nel 2022, l’imballaggio sostenibile esiste già, è quello che una volta utilizzato sarà conferito nella raccolta differenziata per essere avviato ad una nuova vita.

ballaggio del futuro: «un alimento, o qualsiasi altro prodotto, sarà avvolto da un campo di forza, visibile dal consumatore, sotto forma di imballaggio virtuale, che proteggerà il prodotto da qualsiasi danno meccanico, garantendone la conservazione e la sicurezza alimentare, senza bisogno di sistemi di confezionamento per allungarne la shelf-life, come l’atmosfera protettiva, il sottovuoto, la surgelazione, o addirittura i trattamenti termici, o l’uso dei conservanti.

Tutto sarà freschissimo, come appena colto, o appena tagliato, o appena fatto, o appena cotto, senza una data di scadenza. Ma non fi nirà qui, il consumatore toccando una precisa area dell’imballaggio virtuale potrà percepire l’odore del contenuto, o percepirne il gusto,

Il vassoio in polistirolo

espanso R-XPS, da

sempre, è una soluzione funzionale e sicura testata da oltre 50 anni di utilizzo dalla GDO, dall’industria e dai consumatori di tutto il mondo, oggi più che mai Sostenibile, Riciclabile e Circolare con un contenuto di riciclato

post-consumo fi no al 50%

Sono passati solo pochi mesi dalla presentazione delle vaschette in R-XPS e già oggi è stato fatto un altro passo avanti per il miglioramento della loro sostenibilità. Dopo test e analisi fatte con il CSI è stato est e analisi fatte con il CSI è stato possibile, in totale sicurezza, elimiossibile, in totale sicurezza, eliminare la seconda barriera funzionale arela seconda barriera funzionale all’esterno del vassoio, quella non ll’esterno del vassoio, quella non a contatto con l’alimento introducontatto con l’alimento introducendo una signifi cativa riduzione endo una signifi cativa riduzione di materia prima vergine che si i materia prima vergine che si traduce in una ulteriore riduzione raduce in una ulteriore riduzione dell’impatto ambientale in termini ell’impatto ambientale in termini di GWP. i GWP.

In tutti i casi rappresentati è garantito il rispetto dei limiti di migrazione previsti dalla normativa vigente (Reg. UE 1935/20004 – Reg. UE 10/2011)

Il miglioramento della sostenibilità delle vaschette in plastica passa attraverso il loro corretto smaltimento, il riciclo ed il successivo utilizzo di materia prima seconda (Mps) al loro interno. Le nuove va-

schette R-XPS rappresentano, pertanto, un risultato di straordinaria

importanza, accolto con entusiasmo dall’industria alimentare e dalla GDO, che stanno già utilizzando all'interno dei loro punti vendita.

Il ruolo del consumatore in questo processo diventa pertanto fondamentale e potrà infl uenzare positivamente la qualità della materia prima seconda ottenuta. Il primo passo pertanto è informarlo sull’esistenza della nuova vaschetta in polistirolo espanso, che conosce sicuramente da anni, ma oggi è

riciclata e contiene riciclato post consumo, quindi ancora più soste-

nibile e circolare di prima. I cartelli all’interno dei banchi frigo possono fornire tutte le informazioni necessarie per sensibilizzare il consumatore e per smaltire correttamente il contenitore dopo il suo utilizzo.

Via Del Lavoro 1 26030 Gadesco Pieve Delmona (CR) – Telefono: 0372 837086 LinkedIn: gruppo-happy

L’M-ERP di CSB-System per supportare la mobilità interna ed esterna

Con la soluzione M-ERP di CSB-System i processi diventeranno più effi cienti, favorendo decisioni più veloci ed attendibili

Grazie ad applicativi mobili, è oggi possibile per chiunque ottimizzare il proprio lavoro laddove in passato vi erano solitamente degli sprechi di tempo. Lavorare fuori e dentro lo stabilimento, sempre e ovunque, richiamare tutte le informazioni necessarie allo svolgimento del proprio lavoro sull’intera fi liera: con l’M-ERP del CSB-System è possibile. Tutte le funzionalità del gestionale CSB-System sono disponibili su apparecchiature mobili e in web con le stesse prestazioni. Ovunque si vada si è accompagnati dal software aziendale: tutti i dati vengono inseriti on-line e messi a disposizione dell’ERP centrale in maniera diretta, mobile, fl essibile ed effi ciente. La maggiore mobilità all’interno dello stabilimento, infatti, evita molteplici inserimenti degli stessi dati e dona un maggiore controllo del processo. Con la soluzione M-ERP di CSB-System i processi diventeranno più effi cienti, favorendo decisioni più veloci ed attendibili.

Massima mobilità ed effi cienza con l’M-ERP

A prescindere dal dove e quando, tramite CSB M-ERP che funziona

Uno dei punti vendita di Fish’s King.

In alto: l’azienda casearia Ponte Reale. A destra: Eurochef Italia Spa a Sommacampagna (VR).

sia con applicativi Windows che Android, l’utente è in grado di rilevare ed elaborare i dati di qualsiasi processo dove questi si generano. I dati sono così comunicati direttamente all’ERP centrale, con conseguente risparmio di tempo e riduzione degli errori.

CSB M-ERP per il ricevimento merci

Con le proposte di acquisto predisposte centralmente nell’ERP CSBSystem, viene supportato l’intero processo dall’articolo per fornitore fi no al controllo dell’arrivo della merce. Alla Fish’s King, storica realtà specializzata nell’importazione e distribuzione di prodotti surgelati nel settore HO.RE.CA. e retail, già da anni ormai impiegano questa soluzione. «Con la gestione mobile degli ordini di acquisto — spiega il dott. VINCENZO FORTUNIO, responsabile degli acquisti italiani ed esteri — noi riordiniamo gli articoli dei nostri punti vendita campani direttamente tra le corsie e riceviamo le forniture in completa mobilità, ottimizzando tempi e controlli».

CSB M-ERP per il magazzino

L’esempio più celebre dell’impiego di M-ERP è sicuramente la gestione automatizzata, rapida e attendibile dell’intera movimentazione di magazzino; quindi non solo tutti gli ordini di carico e scarico ma anche la gestione degli inventari. «Informazioni chiare, sempre disponibili, sempre aggiornate. Procedure fl essibili e facili da usare. Per noi è essenziale — spiegano alla UNICOOP

FIRENZE CENTRO FRESCHI DI PONTE-

DERA perché — così riduciamo al minimo i tempi di formazione del personale in magazzino e soprattutto riduciamo gli errori».

CSB M-ERP per picking e vendita

L’utilizzo di una soluzione mobile consente di ridurre il dispendio di tempo ed i margini di errore nell’evasione degli ordini, con percorsi ottimizzati e verifi ca online delle richieste specifi che del cliente (ad esempio, consegna con scadenza minima non inferiore a 3 mesi) e rilevazione uscita merci. «Da quando abbiamo implementato l’M-ERP per picking e vendita, abbiamo ridotto in maniera signifi cativa i tempi operativi e gli errori» afferma LUIGI REGA, responsabile commerciale della Ponte Reale, azienda casearia dove la più antica

Fase di lavorazione da Agricola Lusia.

tradizione si coniuga con concetti all’avanguardia come sostenibilità e responsabilità d’impresa. Infatti, «le nuove procedure di preparazione ordini, semplici da usare ma allo stesso tempo fl essibili e complete, hanno migliorato la nostra routine lavorativa perché così abbiamo alleggerito lo stress dei periodi di superlavoro».

Anche da EUROCHEF ITALIA, azienda specializzata nella produzione e vendita di piatti pronti di gastronomia per la ristorazione, la Grande Distribuzione e il consumatore fi nale, «l’implementazione dell’MERP di CSB-System ci ha fornito la soluzione ad alto valore aggiunto che cercavamo. Con una sola azione abbiamo inciso positivamente su mobilità, controllo e produttività».

CSB M-ERP per la produzione

Attraverso il collegamento delle bilance, degli scanner e di tutte le periferiche necessarie, sulla base delle ricette inserite e degli ordini di produzione esistenti si possono ricomporre gli ingredienti di una ricetta, le cui quantità vengono scaricate dai conti di giacenza di magazzino. «Potrei riassumere In tre parole la completa ottimizzazione dell’operatività in produzione: fl essibilità, velocità e controllo» dice ISABELLA GAMBIN di Agricola Lusia, azienda veneta specializzata nell’approvvigionamento, confezionamento e distribuzione di agrumi. E continua, «Il valore aggiunto deriva dai dati sempre aggiornati in tempo reale e sempre corretti. Aspetto questo che ci consente di avere performance migliori anche nelle vendite».

Per concludere

Avere un unico fornitore di ERP e M-ERP è sicuramente conveniente, perché consente all’azienda di formare gli utenti su un unico software e di avere un unico referente per le soluzioni sia fi sse che mobili. In breve, i vantaggi: • inserimento e visualizzazione delle informazioni in tempo reale; • integrazione di periferiche per

automatizzazione parziale o completa di processi aziendali complessi; • eliminazione del cartaceo; • riduzione degli sprechi di tempo causati da doppi inserimenti; • ottimizzazione delle prestazioni delle risorse umane sull’intera fi liera.

Referente: • Dott. A. MUEHLBERGER

CSB-System Srl

Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com

…And Don’t the Kids Just Love It is, Television Personalities

Salsicce psichedeliche e personalità televisive

di Giovanni Papalato

Quando nel 1981 esce “… And Don’t the Kids Just Love It” il mondo non è più interessato a SYD BARRETT, ma non smette di amare le salsicce. Ok, è un incipit decisamente estremo e provo a spiegare: i PINK FLOYD sono all’apice delle loro seconda fase, il tour di “The Wall” sta per fi nire e l’ego di ROGER WATERS porterà poi al suo abbandono con il successivo “The Final Cut”. Barrett, con problemi psicologici che l’uso di acidi aveva contribuito ad ampliare, era stato prima isolato e poi estromesso dalla band che avevo fondato, nell’aprile del 1968. Lo ritroviamo nel brano che apre il secondo lato dell’esordio di TELEVISION PERSONALITIES, mezzo espressivo di DAN TREACY. È dentro ad un quadro neopsichedelico in cui l’atmosfera pastorale della melodia nello stile del protagonista è arricchita da cinguettio costante e invadente di uccellini:

“There’s a little man in a little house With a little pet dog and a little pet mouse I know where he lives and I visit him”.

Non è il frutto di un desiderio o di una fantasia, tanto che anni dopo la band fu rimossa dal ruolo di supporto in apertura al tour solista di DAVID GILMOUR per aver rivelato l’indirizzo del genio dimenticato e celebrato come Diamante Pazzo dai suoi ex compagni vinti dal rimorso in Wish You Were Here del 1975. Treacy, provocatorio e irriverente, sosteneva che nessuno avrebbe creduto nemmeno per un secondo a quanto aveva condiviso (e forse nemmeno interessava ai più), rimarcando così il seccato “oh shut up!” che aveva fatto pronunciare all’ascoltatore al termine del brano: incredulo e seccato, convinto di essere stato canzonato. “We have Sunday tea, sausages and beans I know where he lives ’Cause I know where Syd Barrett lives”.

Sapendo che Barrett tornò a vivere con la madre a Cambridge, mi sono sempre perso ad immaginare la situazione, in cui dopo il tè, a pranzo o a colazione, ai due venissero serviti fagioli e salsicce in un surreale silenzio o in lunghissime chiacchierate.

“Salsiccia” deriva da “saussiche” in francese antico e prima ancora dal latino “salsus”, che intendeva qualcosa che è stato salato. Durante il secondo confl itto mondiale erano soprannominate “banger” (petardo), perché, avendo un alto

contenuto d’acqua, in ragione della povertà nell’emergenza del confl itto, una volta cucinate, esplodevano con facilità.

Questi insaccati sono arrivati nel Regno Unito dai Romani intorno al 400 a.C. Da lì, nelle diverse contee inglesi si è cominciato ad insaporire questo prodotto in modo diverso, originando così ognuno una propria salsiccia locale. Nel Lincolnshire sono aromatizzate alla salvia, nel Cheshire con cumino e coriandolo, nel Cumberland la speziatura è più varia e costituita, tra le altre, da pepe nero, noce moscata, salvia e maggiorana. Questa varietà è legata alla storia e alla cultura del territorio, in cui esistevano porti molto attivi, particolarmente quello di Whitehaven. Le salsicce di questa Contea del Nord Ovest hanno la tipica forma lunga e attorcigliata che ricorda quelle tedesche, tanto che si fa risalire la loro origine all’arrivo dei migranti dalla Germania nel XVI secolo, ed erano normalmente preparate con la tipica carne del suino locale. Purtroppo questo animale, dalla seconda metà del ‘900, è stato sostituito da razze più produttive. Anche se oggi non è stata ancora riconosciuta, si sta realizzando l’importante progetto di ricrearne la razza e, nel frattempo, la salsiccia tradizionale del Cumberland è prodotta con un misto di carne da allevamenti estensivi e locali, da cui vengono utilizzati tagli privi di osso lavorati poi con l’aggiunta di grasso e insaccati in budello naturale.

Popolari, presenti nelle cucine domestiche di ogni ceto sociale, da colazione a cena passando per pranzi o spuntini, le salsicce sono nominate in tanti brani, compreso appunto l’intimo e surreale racconto presente in uno dei dischi più rappresentativi della musica indipendente inglese.

Il primo album di Television Personalities è non convenzionale, slegato da mire commerciali ed erede di un movimento non solo musicale come era stato il punk, dichiarato antagonista al decennio precedente. In sarcastica opposizione a quella Swinging London simbolo di superfi cialità e ipocrisia hippy che si era dimostrata fallimentare, mettono in copertina due suoi simboli: l’icona e modella TWIGGY e l’attore PATRICK MACNEE, nei panni in cui è protagonista della acclamata serie TV “Agente Speciale”. Una sfi da, un gioco agrodolce in cui vengono utilizzate anche formule sonore riconducibili a quel periodo, cosa innovativa ad inizio anni Ottanta,

Durante il secondo confl itto mondiale le salsicce erano soprannominate “banger” (petardo), perché, avendo un alto contenuto d’acqua, in ragione della povertà nell’emergenza del confl itto, una volta cucinate, esplodevano con facilità.

abbinate però a testi crudi e nichilisti, che si sommano ad altri brani legati fi lologicamente alle culture Punk e Mod. Le canzoni, eseguite dallo stesso Treacy con Ed Ball e Mark Sheppard, compongono un album affascinante e sovversivo, che si muove di contrasti. Reazionario e rivoluzionario quando usa i 60’s, estremamente serio e ironico, rétro e pionieristico. La produzione piena di eco e claudicante di volumi che si muovono tra strumenti e voce, fa suonare le canzoni come se la band fosse in una stanza vuota con un unico microfono a registrare dall’appartamento accanto. Un’approssimazione che sa allo stesso tempo di urgenza e consapevolezza, una libertà non scesa a compromessi. La voce di Treacy è tremula e timida sia quando vuole giocare, che quando dalla gola arriva lo stomaco.

Così, anche se This Angry Silence inizia con le battute disperate di incomunicabilità e disfunzioni all’interno dell’ambito familiare che bloccano in un silenzio di rabbia, l’ingresso violento della batteria all’inizio di ogni verso rende tangibile il senso di sfi da che conduce alla determinazione di The Glittering Prizes: Presto cambierò, non mi riconoscerai. Versi che sono interscambiabili con mille canzoni punk ma che riescono ad essere altro attraverso un’attitudine diversa che unisce sonorità passate alla voce adenoidea che rende lo slancio del narratore credibile ed empatico.

In mezzo c’è The World of Pauline Lewis in cui tutto è fantasia, dove ritroviamo il desiderio di oscurare la realtà qui in un arrangiamento volutamente sbarazzino mentre si racconta il dramma di un suicidio.

A Family Affair si svolge su una linea di basso ispirata agli anni Cinquanta con falsetto in sottofondo, mentre commenti disinvolti su drammi si risolvono in una considerazione intrisa di sarcasmo. Si continua in questa direzione con Silly Girl, dove, quando il testo spinge in frenesia acustica, dallo sfondo emergono orpelli vocali che invece di dare eleganza, spiazzano beffardi. Diary of a Young Man assemblea diverse voci di diario su una melodia ossessionante e lunatica di twang-chitarra, decisamente spaventosa nella sua aura di impotenza e inerzia. Arriviamo così a constatare quanto, con elemento così basici, la semplicità possa essere ingannevole. Un caos ben disegnato che incoraggia lo sforzo di avvicinarsi a questo disco da diversi punti di osservazione nello stesso momento. Geoffrey Ingram suona come una sorta di omaggio alla David Watts idealmente aggiornandola raccontando giocosamente una classica storia di ammirazione infantile per “il ragazzo che ce la fa sempre”. Jackanory Stories (dal nome di uno spettacolo per bambini della BBC progettato per incoraggiare la lettura) si carica come mossa da un’energia cinetica, pulsante di basso. La melodia si struttura per poi disunirsi nella coda estesa con cori cantilenanti e senza senso che non solo ricordano e celebrano, ma aggiornano la memoria dell’infanzia da una prospettiva ormai adulta.

A Picture of Dorian Gray è un altro grande brano di questa poetica, tra i più rappresentativi. Dentro c’è la storia dell’estetismo di Wilde che ha tutto tranne che un lieto fi ne, ma si anima di una melodia vivace e slanciata. Ancora una volta, la malinconia di Treacy è decisamente poco romantica, nonostante il fascino musicale che impiega.

“…And Don’t the Kids Just Love It” è un disco che non risulta facile da amare, ombreggiato com’è da parti uguali di sfi da e impotenza, nostalgia e rimpianto, che indagano il passato solo per seppellirlo ancora più sottoterra. Rimane un punto fermo da sempre sottovalutato degli anni ‘80 inglesi, che diventa ironicamente più essenziale ogni anno che passa.

Le salsicce inglesi sono state recentemente al centro di una disputa, conseguenza della Brexit, ribattezzata dalla stampa britannica come “la guerra delle salsicce”, “The sausage war”. Dal momento dell’uscita di Londra dall’UE, l’Irlanda del Nord è rimasta in una sorta di limbo, ossia fa parte sia del mercato unico europeo che di quello britannico. Questo, però, a patto che Londra controlli merci e beni che vanno dalla Gran Bretagna all’Irlanda del Nord. A fi ne 2019 l’UE aveva ottenuto dal Regno Unito la promessa di fare i controlli soprattutto di alimenti e animali che entrano in Irlanda del Nord e che potrebbero portare potenzialmente malattie e altri problemi. Tra questi, anche le salsicce fresche e altre carni processate, che per l’UE possono entrare soltanto congelate. Il governo Johnson però qualche mese fa era tornato sui suoi passi, considerando inaccettabili i controlli doganali all’interno del Regno Unito. La questione non ha trovato ancora una risoluzione defi nitiva.

Giovanni Papalato

Il Partito della Bistecca

di Andrea Gaddini

Tra il 1951 e il 1953 fu attivo in Italia un partito il cui nome uffi ciale era Partito Nettista Italiano (PNI), ma che era più noto come “Partito della bistecca”, perché nel suo programma prometteva una bistecca al giorno ad ogni cittadino e il suo simbolo rappresentava una vitella.

Nascita del PNI

Nel maggio del 1951 CORRADO TEDESCHI, editore della rivista “Nuova Enigmistica Tascabile”, fondò un nuovo partito, il cui nome derivava proprio dall’acronimo del nome della rivista, perché “nessuno dei partiti politici esistenti ci contentava interamente”. Una dei punti più importanti del programma del partito era la distribuzione gratuita a ogni cittadino di una bistecca, specifi cando che: “Per essere veramente tale, una bistecca deve pesare almeno 450 grammi. Se pesa un chilo, tanto meglio. Ma non meno di 450 grammi, perché altrimenti diventa una cotoletta e quindi il mio partito non sarebbe più il Partito della Bistecca». Il PNI arrivò a contare oltre 20.000 iscritti, denominati “nettisti” ma anche “passatempisti” o “aginet” (CECCARELLI). La scheda d’iscrizione al partito era contenuta nella rivista, in un inserto di 24 pagine con “il primo grande discorso elettorale di Corrado Tedeschi ai Militanti” e “Programma: Cruciverba, Concorsi, Pagliacci, Bistecche”.

Chi era Corrado Tedeschi

Corrado Tedeschi (nell’immagine a lato, photo © Wikipedia) nacque a Firenze il 22 settembre 1899, fi glio di genitori ebrei. Mentre studiava all’Istituto tecnico, collaborò a un settimanale mazziniano di Firenze e poi fondò il “Perla”, che defi nì un “trombone delle idee futuriste”. Partecipò come volontario alla prima guerra mondiale, durante la quale perse lo zio materno UMBERTO OREFICI, al quale dedicò un libretto di poesie, intitolato “Odi umane”, pubblicato nel 1918. Durante la guerra iniziò a studiare economia e commercio a Torino e, al termine del confl itto, si laureò, avendo come relatore LUIGI EINAUDI, futuro Presidente della Repubblica. Nel 1924 pubblicò “La Nuova Religione”, un insieme di brevi scritti para-fi losofi ci e di poesie, che restituiscono un’immagine piuttosto confusa delle sue idee. Tedeschi fi ssava la “Nuova Legge”, basata soprattutto sul praticare la virtù, cioè agire in ogni azione a fi n di bene, come unico mezzo per conseguire un generale benessere, senza dare ulteriori chiarimenti “perché non è possibile render chiaro ciò che ancora non esiste che allo stato embrionale”. Nel libro si scagliava contro la guerra, correggendo il suo iniziale interventismo, perché non si può “desiderare che milioni di uomini muoiano per poter poi salire su un mucchio di cadaveri a dire commoventi parole di rimpianto”. Infi ne, sul nascente fascismo, non si sbilanciava, assumendo una posizione estremamente prudente.

All’inizio della dittatura fascista fu nominato attaché presso l’Ambasciata di Costantinopoli (oggi Istanbul) e professore presso l’Istituto tecnico italiano della città. Alla fi ne degli anni ‘20 scrisse per LA STAMPA diretta da CURZIO MALAPARTE e lo convinse ad inviarlo come corrispondente in Manciuria per seguire la guerra sino-sovietica del 1929. I suoi racconti su questa guerra, comparsi su IL PONTE, diretto da PIERO CALAMANDREI, sembrano altrettanto fantasiosi che i suoi programmi politici, tanto da far dubitare qualche esagerazione.

Tedeschi sarebbe stato l’unico giornalista a seguire il confl itto, grazie all’amicizia con il signore della guerra della Manciuria ZHANG

XUELIANG (o GIANG-SUE-LIANG). Il dittatore gli avrebbe “regalato” un treno, una nave, un ministro e una donna, e avrebbe voluto donargli anche una provincia, ma Tedeschi avrebbe rifi utato. Dalla consultazione de LA STAMPA del periodo della guerra sinosovietica risulta però che il confl itto fu coperto dal corrispondente da Mosca PIETRO SESSA, a volte da quello da Shanghai GIACOMO CARBONI e da notizie assunte dal quotidiano francese LE PETIT PARISIEN. Il nome di Tedeschi non compare negli articoli, nemmeno in sigla.

Dopo la Cina, Tedeschi si sarebbe spostato in Giappone, dove l’imperatore gli avrebbe “regalato” La vitella, simbolo del Partito Nettista Italiano.

il suo interprete personale, un certo KAWAMOTO, che però lo avrebbe tradito, costringendolo a fuggire a nuoto, nudo e con la valigia legata sulla testa. Sarebbe stato salvato da un piroscafo di pirati di diverse nazioni, tutti enigmisti, che lo avrebbe portato a Singapore. Sulle sue esperienze asiatiche Tedeschi scrisse nel 1931 il libro Siberia rossa e Manciuria in fi amme, nel quale però le rocambolesche vicende sopra indicate non sono descritte.

Secondo la fi glia Anna, nel 193334 Tedeschi fu sollevato dall’incarico di insegnante per non aver preso la tessera del partito fascista. Nel 1937, però, pubblicò Pericolo russo, che fu probabilmente la sua prima esperienza come editore, un libro violentemente anticomunista, in cui considerava i bolscevichi come mostri assetati di sangue che volevano distruggere l’Europa, e contro i quali bisognava prendere posizione, sposando la tesi di JOSEPH GOEBBELS. Tedeschi auspicava che “contro il mostro bolscevico facciano buona guardia l’Italia fascista e la Germania hitleriana”, mentre esaltava “la granitica compattezza dell’Italia fascista” e “le legioni di Mussolini, baluardo granitico della civiltà del mondo”.

L’anno successivo, il 1938, vide l’entrata in vigore delle leggi razziali fasciste. Tedeschi si era trasferito a Milano, dove aveva acquistato la

Il programma del Partito Nettista Italiano

1. Svaghi, poco lavoro e molto guadagno per tutti. Le macchine devono sostituire l’uomo nella soff erenza del lavoro. La caratteristica della specie umana è l’intelligenza ed è sfruttando questa che deve campare.

2. Assistenza medica e medicine (comprese le specialità) gratuite

per tutti. 3. Tre mesi di villeggiatura assicurati ad ogni cittadino. 4. Grammi 450 di bistecca a testa assicurati giornalmente al popolo, frutta dolce e caff è (è l’ora di fi nirla con le limitazioni!). 5. Massimo incremento a tutti i giochi: arti, letteratura, musica e ballo.

La vita è così corta e ne sappiamo così poco della sua consistenza e del suo scopo, che la cosa più seria della vita è il giuoco. 6. Continue tombole e lotterie rallegreranno i cittadini dello Stato

Universale.

7. Compagnie di varietà e pagliacci di stato saranno sommamente

onorati e ricompensati nella Repubblica Universale. È l’ora di fi nirla coi sacrifi ci e le missioni da compiere! Cerchiamo di ridere e di stare in buona salute. 8. Abolizione di tutte le tasse.

9. Referendum estesi a tutti i cittadini decideranno volta per volta delle più importanti questioni locali ed universali al posto degli

antiquati e sorpassati Parlamenti. Macchine statistiche, cervelli elettronici, faranno funzionare gli ingranaggi della scientifi ca repubblica universale. Gli attuali impiegati dello stato verranno inviati tutti in pensione ed in villeggiatura con stipendio doppio. 10. Gli orari scolastici saranno ridotti a 30 ore l’anno. Enigmistica

N.E.T., radio, televisione, cinema e spettacoli vari istruiranno il popolo sovrano e nettista.

11. Saranno tenute nel massimo onore le religioni esistenti e verran-

no erette nuove chiese con intendimenti artistici e mistici. Sacerdoti di ogni religione riceveranno equi stipendi che li toglieranno dall’indigenza.

Il Segretario Generale del PNI CORRADO TEDESCHI

* In una successiva versione, al momento della presentazione delle liste del partito alle elezioni, fu aggiunto un ulteriore punto: 12. Abolizione delle prigioni. Quando tutti avranno 450 grammi di carne assicurata non avranno bisogno di rubare ed ammazzare. Se vi sarà qualche eccezione lo cureremo negli ospedali. Dobbiamo sollevare l’umanità dalla paura della guerra e della reclusione.

rivista di enigmistica MARCO POLO da un ebreo che intendeva espatriare per sottrarsi all’antisemitismo crescente. Tedeschi ribattezzò la

rivista ENIGMISTICA TASCABILE, ma fu costretto a chiuderla e ad abbandonare l’attività di editore in quanto ebreo e fu assegnato per quattro anni al confi no a Rocca di Mezzo, Camerino e Norcia (A. TEDESCHI).

Durante la guerra collaborò con il servizio segreto britannico e fu un acceso sostenitore del sionismo. Fondò un “Centro di studi ebraici” e tradusse dall’ebraico il diario di prigionia di un reduce dal campo di sterminio di Treblinka: “Un anno a Treblianka. Il campo della morte dove furono massacrati e bruciati due milioni e mezzo di esseri umani. Narrazione di Un anno a Treblianka, traduzione dall’ebraico a cura di Corrado Tedeschi, Firenze, Tip. L’impronta, fonte: Biblioteca Fondazione CDEC (Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea).

un superstite”. Nel 1945 rimise in attività a Firenze la casa editrice, pubblicando il 18 agosto 1945 la

NUOVA ENIGMISTICA TASCABILE, che ebbe un grande successo specialmente quando ideò un concorso a premi, detto Armi e costumi, basato su una raccolta di fi gurine di costumi tradizionali e soldati del mondo che dava in premio biciclette e palloni di cuoio (A. TEDESCHI).

In seguito la casa editrice, tuttora esistente, pubblicò le riviste:

PASSATEMPI, la NUOVA ENCICLOPEDIA SCIENTIFICA e, all’inizio degli anni

‘70, IL GIORNALE DEI MISTERI, specializzato in ufologia, psicologia, parapsicologia, scienze occulte, attualità. Inoltre, pubblicava dischi e nel 1959 fu la prima a mettere sul mercato un 45 giri di una giovane cantante cremonese, nota come Baby Gate, in seguito famosa con il nome di MINA.

Tedeschi viveva con la famiglia in una villa alla periferia di Firenze, detta “Villaggio NET”, con un parco di 40 ettari che la separava dallo stabilimento tipografi co, un trenino interno e una grande piscina sulla quale Tedeschi si spostava con una zattera, dalla quale dettava alla segretaria articoli e comunicati. Vestiva pantaloni di seta azzurra o rosa e a volte si presentava agli ospiti in tenuta da scherma, sport

che aveva praticato fi n da giovane. Corrado Tedeschi morì il 26 aprile 1972 a Firenze.

La repubblica universale

Durante la navigazione coi pirati enigmisti, Tedeschi aveva concepito l’utopia di una Repubblica universale, con un mondo diviso in spicchi come un’arancia, ciascuno dedicato ad una produzione: uno per la carne bovina, sulle Montagne Rocciose e in Argentina, uno industriale, uno intellettuale, uno agricolo in Siberia. L’Italia aveva diritto ad uno spicchio privilegiato, per il divertimento, il turismo e la coltura dei garofani, in quanto patria del Partito Nettista. Tedeschi partiva da tre postulati base: 1. gli uomini sono tutti uguali; 2. gli uomini sono tutti disuguali; 3. l’uomo può vivere, ma è libero di morire perché può privarsi degli alimenti.

Questi postulati, trasformati in punti, si univano con altri punti, i bisogni umani, a formare un angoloide complesso, risolvibile solo da un Comitato di Liberazione Mondiale, ma solo dopo un lavoro di almeno venti secoli. Ciascuno avrebbe poi avuto automobiline e aeroplanino razzo, con cui spostarsi rapidamente, abolendo i trasporti collettivi. Tedeschi mise fi ne ad una diatriba interna sulla forma istituzionale della futura Repubblica universale, chiarendo che non era importante se fosse retta da un presidente o da un monarca, ma che l’essenziale era di essere tutti d’accordo sulla bistecca (MOCCI).

Scopo del partito

L’intento goliardico del partito era chiaro, come anche quello satirico, scimmiottando le promesse fatte dai politici, ma elevandole all’ennesima potenza. Tedeschi evocava una specie di Paese della Cuccagna, con qualche eco della Città del Sole di TOMMASO CAMPANELLA. Probabilmente anche la menzione dei “pagliacci di stato” non era casuale, nell’anno in cui era stata varata la nuova legge elettorale, la cosiddetta “Legge truffa” che aveva scatenato furibonde polemiche politiche. Il Partito Nettista Italiano si presentò veramente alle elezioni politiche del 7 giugno 1953 alla Camera dei Deputati con un sorprendente programma suddiviso in 12 punti, riscuotendo persino 4.305 voti validi.

La campagna elettorale

Il partito nettista si presentò per l’unica volta alle elezioni politiche del 7 giugno 1953, per tre collegi della Camera dei deputati, Roma, Firenze e Milano. Il PNI fece una campagna basata sul simbolo del partito, un vitello, con motti come: “La vita è una vitella”, “W la pacchia!”, “Meglio una bistecca oggi che un impero domani” (con chiaro riferimento alle passate esperienze coloniali dell’epoca fascista) e “Votate vitella oggi se non volete mangiare pane ammuffi to domani”. Si invitava a votare “facendo una croce sulla vitella” e uno slogan recitava: “Rurali nettisti, inneggiate al vostro partito scrivendo ‘viva la NET’ sulle pance dei vostri animali” (CECCARELLI). L’inno del

partito consisteva in una serie di

muggiti e il saluto nettista consisteva nell’alzare entrambe le braccia e nel ruotare velocemente i polsi da destra a sinistra (BERNARDINELLI).

Il programma del PNI prevedeva l’abolizione della pena di morte, tranne che per coloro che avessero cucinato la bistecca in modo non conforme alle buone regole, in quanto deviazionisti da colpire

inesorabilmente. In realtà la pena capitale era già stata abolita in Italia dal 1o gennaio 1948, con l’entrata in vigore della Costituzione.

Tedeschi e Cavallini giravano con un furgone Chevrolet con annessa roulotte, ripreso dal cinegiornale LA SETTIMANA INCOM, e attrezzato

con una cucinetta per cuocere le bistecche da distribuire durante i

raduni elettorali. Tedeschi prevedeva anche di dotarsi di un quotidiano come organo del partito e di condurre, nell’ultimo giorno della campagna elettorale, una vitella viva, da assegnare poi per sorteggio tra coloro che si fossero iscritti al partito in quella giornata. Inoltre fu eletta una “Miss bistecca”, sotto il patrocinio del partito, nella persona di ANNA TEDESCHI, fi glia del fondatore e leader del partito. L’adesione al PNI prevedeva medaglie (a pagamento) e onorifi cenze, tra le quali la massima era “Il Gran Collare”, che dava il diritto a diventare cugino di Tedeschi. Un operatore di cinema di Castelfi orentino, essendo gobbo, riceveva uno stipendio da Tedeschi, molto superstizioso, per portare fortuna al partito, e fu nominato

Il furgone utilizzato da Tedeschi durante la campagna elettorale del 1953 con roulotte dotata di cucina per cuocere le bistecche.

presidente onorario ed effettivo del partito (CECCARELLI, P.P.).

La campagna elettorale del 1953 si svolse in un Paese ancora in preda alla povertà e alla fame causata dalla guerra; un’inchiesta parlamentare del 1951-52 sulla miseria in Italia rivelò le condizioni drammatiche in cui viveva ancora una parte degli italiani. La campagna elettorale

fu quindi caratterizzata dai temi

del cibo: il candidato monarchico ACHILLE LAURO, sindaco di Napoli, distribuiva pacchi di pasta agli elettori e offriva pasti in mense da campo, mentre altri candidati democristiani distribuivano pacchi alimentari, spesso ai bambini.

Da parte loro, i comunisti sbeffeggiavano i democristiani chiamandoli “forchettoni”, in polemica per casi di corruzione venuti alla luce, e liberavano palloncini con appese forchette giganti ai comizi democristiani. A Catania fu addirittura eretto un monumento alla forchetta, poi rimosso dalla questura (CECCARELLI). Il settimanale del PCI VIE NUOVE riportò la foto di un murale di 7 metri per 3 dipinto sulla parete della sezione comunista del quartiere romano della Garbatella, rap presentante dirigenti democristiani come DE GASPERI e SCELBA raffi gurati come nani che portavano enormi posate, come parodia del manifesto pubblicitario di una casa di posaterie sotto l’insegna Club della bistecca.

Risultati elettorali

Prima ancora delle elezioni, il 23 aprile 1953, Tedeschi ed altre sei persone furono arrestate a Massa con l’accusa di aver comprato per 300 lire ciascuna le fi rme necessarie per la presentazione delle liste elettorali nel collegio locale (AVANTI!). Dopo l’arresto Tedeschi non perse l’umorismo, e dichiarò: “Dal giorno che fummo gettati in prigione a Massa, il PNI È diventato un grande partito di popolo, un grande partito di… Massa” (A. TEDESCHI). L’editore considerò l’arresto un’ingiustizia, ma commentò “se anche non avessimo un grande successo elettorale, che conta?” (CECCARELLI). In effetti il partito raccolse in tutto 4.305 voti, pari allo 0,02% del totale, e nessun deputato. Il PNI non fu comunque l’ultimo nella graduatoria: quattordici liste presero meno voti a livello nazionale.

Il partito ebbe il suo massimo successo nel collegio di Roma-Viterbo-Latina-Frosinone, con 1.706 voti, pari allo 0,09%, dove Tedeschi ebbe 117 preferenze, 1.102 (0,14%) a Firenze-Pistoia, con 34 preferenze per Tedeschi e 1.497 a Milano-Pavia (0.08%) con Tedeschi non candidato. I 47 candidati del PNI ottennero 617 preferenze, pari al 3,8%.

Oltre al PNI si presentarono il Partito Cristiano Militante, il Partito della Volontà Nazionale, il Partito Esistenzialista Universale, il Partito della Volontà Nazionale, l’Unione Nazionale Democratica Impiegati Pubblici, la Forza ascendista e il Gruppo contadini di centro-destra sul cui contrassegno fi gurava un Sant’Antonio che offriva gigli a una statuina della Madonna (CERVI e

MONTANELLI, GALLI, PIRETTI).

La presenza di ventuno liste che non ottennero seggi ebbe comunque il risultato di disperdere 578.000 voti, impedendo alla coalizione guidata dalla Democrazia Cristiana di ottenere la maggioranza assoluta e di far scattare il premio di maggioranza previsto dalla “legge truffa”

(FARNETI, GALLI).

Partiti simili

Il partito della bistecca era un partito eminentemente goliardico, nato senza nessuna velleità di prendere il potere, al contrario del “Fronte dell’Uomo Qualunque”, attivo tra il 1944 e il 1949, di stampo populista e reazionario, che divenne una forza politica non indifferente, fi no a risultare il quinto partito alle elezioni dell’Assemblea costituente, per poi sparire. Il Partito Nettista è invece assimilabile ad altri partiti satirici e goliardici di altri paesi, che parodiavano le promesse dei partiti tradizionali, promettendo cose impossibili, e in particolare la gratuità perenne di derrate alimentari, soprattutto alcoliche. Non sembra ci siano stati altri partiti che abbiano promesso carne gratis, fatta eccezione per il partito svedese delle polpette di IKEA, di cui però si trovano scarse tracce, mentre il partito neozelandese The Civilian Party promette una vaschetta di gelato a ogni cittadino. In Italia nel 2001 si presentò il Partito della gnocca, il cui simbolo raffi gurava uno gnocco di patate, ma il cui nome evidentemente alludeva a tutt’altro. Il simbolo fu bocciato perché richiamava lo stemma della Repubblica e fu poi ripresentato come Partito dello gnocco (MAESTRI).

Uno degli esempi più antichi è il Partito del Moderato Progresso entro

La campagna elettorale del 1953 fu caratterizzata dai temi del cibo, utilizzato in modalità diverse. Il settimanale del PCI Vie nuove riportò ad esempio la foto di un murale di 7 metri per 3 dipinto sulla parete della sezione comunista del quartiere romano della Garbatella rappresentante dirigenti democristiani raffi gurati come nani che portavano enormi posate, parodia del manifesto pubblicitario di una casa di posaterie sotto l’insegna Club della bistecca (fonte immagine: Vie nuove).

i limiti della legge (Strana Mírného Pokroku v Mezích Zákona) fondato a Praga nel 1904. Il partito si presentò alle elezioni del 1911 con un programma che comprendeva, tra l’altro, l’obbligo di alcolismo. The Vrije Socialistische Groep o Rapaille Partij (“Partito della Marmaglia”) era un partito fondato nel 1921 nei Paesi Bassi il cui programma prevedeva la distribuzione gratuita di alcolici e la libertà di cacciare e pescare nel Vondelpark di Amsterdam. Vari partiti hanno invece promesso birra gratis per tutti come il Partito austriaco della birra (Bierpartei Österreich), il Partito ungherese del Cane a due code (Magyar Kétfarkú Kutya Párt) e quelli degli amanti della birra in Bielorussia (Partyja amataraŭ piva), Russia (Partiya lyubiteley piva), Ucraina (Ukrainska Partija Shanuvalnikiv Piva), Repubblica Ceca (Strana přátel piva) e Polonia (Polska Partia Przyjaciół Piwa), che nel 1991 arrivò a conquistare 16 seggi in Parlamento.

Si può ricordare il partito australiano per la riduzione delle tasse sul carburante e sulla birra (Lower Excise Fuel and Beer Party) e il McGillicuddy Serious Party della Nuova Zelanda, che propose di usare la birra come arma di difesa nazionale, lasciando bottiglie di birra sulle spiagge, in modo che eventuali eserciti invasori si ubriacassero appena sbarcati, rinunciando all’invasione. In Germania, nel 2004, il comico MARTIN SONNEBORN ha fondato Die PARTEI (il PARTITO), che ha nel suo programma un calmiere a livello nazionale al prezzo della birra, che doveva entrare in vigore all’apparire di due indicatori: grande sete e percentuale di boccali vuoti. Il candidato sindaco di Piacenza alle elezioni del 2017, STEFANO TORRE, prometteva la realizzazione di un vinodotto per distribuire il vino nelle case direttamente dal rubinetto.

Andrea Gaddini

Bibliografi a

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Nettista Italiano, www.eventidimenticati.it BERNARDINELLI O. (1953), Il capo del

“partito della bistecca” illustra a

Roma il suo programma, IL MES-

SAGGERO, 23 marzo 1953, pag. 2. CECCARELLI F. (2000), La cottura veloce del Partito della Bistecca, in:

Lo stomaco della Repubblica. Cibo e potere in Italia dal 1945 al 2000,

Longanesi, Milano, pp. 67-72. CERVI M., MONTANELLI I. (2012), L’Italia del Miracolo, 14 luglio 1948-19 agosto 1954, in: La storia d’Italia,

Rizzoli Ed., Milano. FARNETI P. (1983), Il sistema dei partiti in Italia, Il Mulino, Bologna. GALLI G. (1979), Il fantasma del “palazzo”, SugarCo, Milano. KOSTIOUKOVITCH E. (2009), Why

Italians Love to Talk About Food:

A Journey Through Italy’s Great

Regional Cuisines, From the Alps to

Sicily, Farrar, Straus and Giroux,

New York. MAESTRI G. (2014), Per un pugno di simboli: storie e mattane di una democrazia andata a male, ARAC-

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bistecca, ItaliaOggi n. 10 del 12/01/2018, pag. 7. MENTANA S. (2018), Il partito della bistecca, il primo partito satirico italiano, The Post Internazionale, 27 aprile 2018, aggiornato il 10 ottobre 2018. MOCCI P. (1953), Il Partito della

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Il Mulino, Bologna. P.P. (1953), Ritrovo – Il Partito “Nettista”, Il Ponte, Rivista mensile di politica e letteratura, Anno IX, n. 5, maggio 1953, pag. 701-704. S.A. (1945), Un anno a Treblianka. Il campo della morte dove furono massacrati e bruciati due milioni e mezzo di esseri Umani. Narrazione di un superstite, traduzione dall’ebraico a cura di CORRADO TEDESCHI,

Firenze, Tip. L’impronta. S.A. (1953), Arrestato il segretario del “Partito Nettista”, AVANTI!, 24 aprile 1953, n. 99, pag. 5. S.A. (1953), Tutti diventano cartellonisti, VIE NUOVE, 20, 17 maggio 1953, pag. 7. TEDESCHI A. (1991), Corrado Tedeschi, mio padre, Corrado Tedeschi editore, Firenze. TEDESCHI C. (1924), La nuova religione, Casa Ed. Orizzonti, Firenze (Tip. Il Torchio). TEDESCHI C. (1931), Siberia rossa e

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C. Tedeschi, Firenze (Tip. Bandettini).

Siti consultati

• Ministero dell’Interno, Dipartimento per gli Affari Interni e Territoriali, Archivio Storico delle Elezioni. • Corrado Tedeschi editore, corradotedeschieditore.com/it • Archivio dell’Istituto Luce, www. archivioluce.com • Wikipedia, voce “Partito Nettista

Italiano” (it.wikipedia.org/wiki/

Partito_Nettista_Italiano). • MAESTRI GABRIELE, I simboli della discordia, www.isimbolidelladiscordia.it/2012/09/alle-radicidi-bunga-bunga-il-partito.html

Osservatorio Associazione Nazionale Allevatori Suini

Dati Anas: macellazioni suine nell’UE. Periodo di riferimento: gennaio – settembre 2021

Fonte: elaborazione su dati Eurostat.

Carne artifi ciale? No, grazie.

La prima inchiesta sulle lobby del cibo in provetta

Carne, uova, latticini e pesce realizzati in laboratorio: sembra questo il destino dell’alimentazione mondiale. Il cibo del futuro sarà davvero prodotto senza passare da una fattoria, spezzando ogni legame con la natura? Forse, ma la verità potrebbe anche essere un’altra, visto che le contraddizioni restano tante. Arriva in Italia una ricerca indipendente sulle lobby del cibo artifi ciale, condotta fra USA e Europa

“N utrirsi è anzitutto un gesto agricolo, prima di diventare un atto gastronomico”, scrive nella premessa GILLES LUNEAU, autore di Carne artifi ciale? No, grazie, la cui prima edizione italiana è stata recentemente pubblicata da Castelvecchi Editore. Eppure il legame sintetizzato nella sua frase, quello fi nora indissolubile tra la natura e il cibo che ogni giorno fi nisce nel nostro piatto, potrebbe essere spezzato da “carni”, “uova”, “latticini” e “pesce” realizzati in laboratorio, senza passare per una fattoria né uno specchio d’acqua.

Ma è davvero questo il futuro dell’alimentazione mondiale? È una risposta salutare ed ecosostenibile per sfamare la popolazione della Terra? Non viene invece da chiedersi se non ci siano degli interessi dietro la progressiva e inesorabile “chimicizzazione” di ciò che mangiamo.

L’agricoltura cosiddetta “cellulare” — la produzione di alimenti, specialmente di origine animale, a partire da ceppi cellulari coltivati in laboratorio o da sostituti vegetali assemblati con proteine sintetiche — si presenta come una panacea, da rimedio contro la fame nel mondo a metodo di ostacolo al cambiamento climatico. La verità però potrebbe essere un’altra e le contraddizioni restano molte.

Da dove vengono gli ingenti fondi per la ricerca? Quale valore nutritivo avranno davvero gli alimenti in provetta? Quali sono i risvolti etici della carne prodotta in laboratorio? Arriva in Italia la prima grande inchiesta sulle lobby del cibo artifi ciale, un’approfondita ricerca indipendente, condotta fra Stati Uniti ed Europa, al cui centro ci sono le start-up delle produzioni artifi ciali, i loro fi nanziatori e i legami con il movimento vegano che più di tutti le supporta.

Introduzione di GIORGIO CANTELLI FORTI, professore emerito dell’Alma Mater Studiorum Università di Bologna, past president della Società Italiana di Farmacologia (SIF) e presidente dell’Accademia Nazionale di Agricoltura.

GILLES LUNEAU

Carne artifi ciale? No, grazie La prima grande inchiesta sulle lobby del cibo in provetta

Traduzione: Federico Cenciotti Editore: Castelvecchi, 2021 Collana: Nodi 304 pp. – € 17,50

L’autore

Giornalista, saggista e regista francese, Gilles Luneau dirige la rivista GLOBALMAGAZINE. Ha collaborato con le riviste LE NOUVEL

OBSERVATEUR, GÉO, VSD e CHALLENGES. È esperto di globalizzazione e questioni agroalimentari. Fra i suoi testi tradotti in italiano ricordiamo L’alimentazione in ostaggio. Le mani delle multinazionali su quel che mangiamo (con J. BOVÉ, 2016).

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