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Cosimo Sorrentino
Luci ed ombre sul DEF
di Cosimo Sorrentino
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Aprile ha visto il nostro Governo in piena attività per approntare e defi nire due importanti provvedimenti: il Recovery Plan, da consegnare alla Commissione UE entro lo stesso mese, ed il DEF, Documento di Economia e Finanza, col quale viene predisposto un pacchetto di provvedimenti economico-contabili del prossimo anno. Non potendo ancora illustrare, nella sua completezza, il Recovery Plan, poiché mancano ancora dettagli, tali da far comprendere la realizzazione degli obiettivi che si intendono raggiungere, i tempi e l’attuazione delle riforme che, per ora, sono state solo indicate, riteniamo utile trattare i contenuti del DEF, che pur rappresenta un atto che fa comprendere le intenzioni del Governo in termini di politica economica e di riforme in avvenire. Il DEF è, quindi, il primo atto formale con cui si inaugura la sessione di bilancio per il triennio 2022-24 ed essendo un documento preliminare i suoi contenuti saranno valutati, in prima istanza, dalla Commissione UE, per essere poi aggiornati ed adeguati alle esigenze, in atto nel corso del mese di settembre di quest’anno, quando si avrà la predisposizione del bilancio dello Stato. Il documento è stato già approvato alla metà di aprile, atteso con particolare aspettativa dagli ambienti economici e fi nanziari, tenuto conto di un anno certamente non normale che si sta vivendo a causa della crisi pandemica, che sta condizionando la salute dei cittadini e quella economica e fi nanziaria del Paese.
Le cifre contenute nel documento confermano comunque un rapporto tra defi cit e PIL ancora in crescita nel corso di quest’anno, ma i contenuti appaiono ricchi di progettualità e riforme e ciò non Il presidente Mario Draghi ha aff ermato che il problema non è fare debiti ma garantire che si tratti di debiti “buoni”, debiti cioè destinati a far crescere la produttività e non di debiti “cattivi”, destinati a tenere un tenore di vita non sostenuto da un’adeguata produttività (photo © Alessandra Tarantino/ POOL/AFP via Getty Images).
ci fa esprimere molto entusiasmo, poiché dopo la forte riduzione del reddito nazionale con il –8,9% nel 2020 ed una crescita del 4,5% per il corrente anno, non vediamo come si possa essere soddisfatti. Inoltre, un incremento del +4,8% nel 2022 ed un ancora più modesto +2,6 nel 2023 e un +1,8% nel 2024 rafforzano le perplessità per una crescita che ci appare molto deludente; basti considerare che il Paese deve tener conto che sono stati effettuati interventi in extra defi cit di circa 110 miliardi nel 2020 e di oltre 70 miliardi quest’anno, almeno per ora…
Dopo il crollo registrato nel 2020, un rimbalzo tecnico del PIL è naturale, ma manca la capacità di mantenere tassi di crescita più elevati nel corso del tempo tali da fare la differenza.
Ci colpisce però un fatto che ci teniamo a sottolineare: le stime, come viene riconosciuto espressamente dallo stesso Governo, non tengono conto del Piano previsto dagli oltre 200 miliardi da spendere nei prossimi cinque anni e tale posizione fa apparire prudente ogni previsione, anche perché non è possibile, per ora, conoscere il vero impatto delle misure previste dal detto Piano.
Meglio è essere prudenti e non illudersi, pur non mancando di manifestare un certo ottimismo, che denota, almeno, la volontà di bene operare nel prossimo periodo.
Ricordiamo che il Paese è gravato sempre da un debito pubblico enorme e livelli di defi cit non confortanti e la differenza la faranno la capacità di cambiare passo e dare risposte adeguate a famiglie e imprese.
Dovendo fare una sintesi più appropriata, si può convenire che il DEF prevede un signifi cativo aumento del defi cit e del debito in una prima fase, seguito dal rilancio della crescita, che, come sopra accennato, non appare ottimale e, inoltre, l’inizio della riduzione del rapporto debito-PIL nella fase seguente. Giova a tal proposito anche ricordare che l’UE, costretta dalla pandemia, ha sospeso le regole del debito pubblico, cosa che comporta l’inapplicazione delle previste sanzioni a carico degli Stati inadempienti.
La diffi coltà del programma delineato non si riscontra nella sua enunciazione, che è pur semplice esprimere, ma nella sua realizzazione, che appare molto più complessa, perché non spaventa, almeno al momento, l’aumento del defi cit, ma l’impiego cui l’aumento viene destinato. Per dirla in altri termini, non vediamo problema nell’esposizione del programma ma, come sottolineano anche gli esperti più avveduti a questi problemi, la preoccupazione che sorge riguarda la completa e vera realizzazione del programma stesso in un periodo di 4 o 5 anni di duro lavoro.
Del resto lo stesso presidente negli ultimi tempi MARIO DRAGHI ha affermato che il problema non è fare debiti, ma garantire che si tratti di debiti “buoni”, debiti cioè destinati a far crescere la produttività e non di debiti “cattivi”, destinati a tenere un tenore di vita non sostenuto da una adeguata produttività.
La corsa per la ripresa è, per ora, un progetto ma anche una speranza, che bisogna certamente coltivare, ma sempre con cautela, perché, come già detto, non ci piacciono i toni troppo entusiastici sull’intero impianto del DEF.
Il periodo è gravido di enormi diffi coltà, con l’ISTAT che nel Rapporto sulla competitività dei settori produttivi rileva come il 45% delle imprese italiane sia “strutturalmente a rischio”, ovvero realtà “esposte a una crisi esogena, subirebbero conseguenze tali da metterne a repentaglio l’operatività”. Il 25% è defi nito “fragile”, cioè, pur non avendo un “rischio operativo immediato”, è comunque “particolarmente colpito dalla crisi”. Solo l’11% risulta solido, anche se il dato rappresenta una quota più signifi cativa in termini sia di occupazione (46%) sia di valore aggiunto (69%).
Ciò nonostante non è possibile non approvare le cifre del DEF, ma è necessario dichiarare anche la disponibilità, da parte di tutti, di destinare risorse verso impieghi più produttivi, rinunciando alle spese correnti a favore delle quali forze politiche e sociali hanno fatto spesso fronte comune con i noti negativi risultati.
Cosimo Sorrentino
Etichetta ambientale
Il 26 settembre scorso è entrato in vigore il DLgs 116/2020, che recepisce la Direttiva UE 2018/851 sui rifi uti e la Direttiva (UE) 2018/852 relativa agli imballaggi e ai rifi uti di imballaggio
di Sebastiano Corona
Secondo queste nuove disposizioni tutti gli imballaggi devono d’ora in poi essere opportunamente etichettati secondo modalità stabilite dalle norme tecniche UNI applicabili e in conformità alle determinazioni adottate dalla stessa Commissione per facilitarne la raccolta, il riutilizzo, il recupero e il riciclaggio, oltre che in modo da fornire una corretta informazione al consumatore sulla loro destinazione fi nale. A ciò si aggiunge l’obbligo, per i produttori, di indicare la natura dei materiali utilizzati sulla base della Decisione 97/129/CE.
Le novità più rilevanti sono dunque due. La prima è che l’etichet-
tatura ambientale degli imballaggi
diventa obbligatoria. La seconda è che i produttori, così defi niti dal Decreto Legislativo 152/2006 come “i fornitori di materiali di imballaggio, i fabbricanti, i trasformatori e gli importatori di imballaggi vuoti e di materiale di imballaggio”, devono
indicare la natura dei materiali di
imballaggio utilizzati.
Gli obblighi citati sono entrati formalmente in vigore il 26 settembre 2020, ma sono stati contestualmente previsti periodi transitori o di proroga per consentire l’adeguamento alle nuove prescrizioni. Il Governo è poi successivamente intervenuto con il cosiddetto Decreto Milleproroghe, che ha disposto la sospensione fi no al 31 dicembre 2021 dell’obbligo di etichettatura
La nuova disciplina è la risposta, seppur parziale, ad una crescente richiesta di informazioni circa la sostenibilità ambientale dei packaging in genere. Da uno studio effettuato dall’Osservatorio Immagino di GS1 Italy emerge infatti che soltanto il 25,4% dei prodotti alimentari riporta in etichetta le informazioni necessarie per smaltire la confezione nella giusta maniera. Per il consumatore è quindi diffi cile conferire correttamente le confezioni dei prodotti, alimentari e non
Il CONAI, Consorzio nazionale Imballaggi ha immediatamente pubblicato delle Linee Guida per orientare gli operatori del settore. Pur non essendo indicazioni con forza di legge, si possono considerare un utilissimo strumento di lavoro per chi opera nel campo. Il documento è infatti frutto di una consultazione pubblica molto partecipata che ha visto il coinvolgimento di alcuni dei principali e più autorevoli attori della fi liera. Info sul sito: www.conai.org
sugli imballaggi destinati al consumatore fi nale, mentre resta invece in vigore l’obbligo di apporre su tutti gli imballaggi (primari, secondari, terziari) la codifi ca identifi cativa del materiale.
Un’ulteriore novità si ha anche con riferimento all’etichettatura
dell’imballaggio compostabile o
biodegradabile, la quale deve riportare: la menzione della conformità degli standard europei; gli elementi identifi cativi del produttore e del certifi catore e idonee istruzioni per i consumatori in merito al conferimento nel circuito di raccolta differenziata e riciclo dei rifi uti organici.
La nuova disciplina è certamente la risposta, seppur parziale, ad una crescente richiesta di informazioni circa la sostenibilità ambientale dei packaging in generale. Da uno studio effettuato dall’Osservatorio Immagino di GS1 Italy,emerge infatti che soltanto il 25,4% dei prodotti
alimentari riporta in etichetta le informazioni necessarie su come
smaltire la confezione. Questo signifi ca che per il consumatore è diffi cile conferire correttamente le confezioni dei prodotti, siano esse alimentari o meno.
Ed è altrettanto difficoltoso scegliere di fronte allo scaffale, tenendo conto, oltre che delle caratteristiche dell’oggetto o dell’alimento in sé, anche dell’impatto ambientale della confezione.
In sostanza, è spesso diffi coltoso
fare una scelta di sostenibilità ambientale perché non si hanno infor-
mazioni a suffi cienza, vanifi cando così qualunque sforzo da parte dei cittadini verso acquisti consapevoli e rispettosi dell’ambiente.
Corre però l’obbligo di segnalare che le nuove disposizioni europee hanno generato forti dubbi interpretativi. Non a caso CONAIConsorzio nazionale Imballaggi ha immediatamente pubblicato delle Linee Guida per orientare gli operatori del settore.
Pur non essendo indicazioni con forza di legge, si possono considerare un utilissimo strumento di lavoro per chi opera nel campo. Il documento è infatti frutto di una consultazione pubblica molto partecipata terminata il 30 novembre scorso, che ha visto il coinvolgimento di alcuni dei principali e più autorevoli attori della fi liera, come l’Istituto Italiano Imballaggio, Confi ndustria, UNI, Federdistribuzione.
Il primo aspetto che il CONAI pone in evidenza è che i contenuti obbligatori da riportare sull’etichetta, su tutti gli imballaggi (primari, secondari e terziari) sono unicamente questi: 1. la tipologia di imballaggio (scritta per esteso o mediante una rappresentazione grafi ca) per esempio: fl acone, bottiglia, vaschetta, etichetta, lattina; 2. l’identifi cazione specifi ca del materiale (codifi ca alfanumerica ai sensi della Decisione 97/129/CE, integrata eventualmente con l’icona prevista ai sensi della UNI EN ISO 10431:2002 (imballaggi in plastica), oppure, ai sensi della CEN/CR 14311:2002 (imballaggi in acciaio, alluminio e plastica); 3. la famiglia di materiale di riferimento e l’indicazione sul tipo di raccolta (se differenziata o indifferenziata); 4. l’indicazione sul tipo di raccolta (se differenziata o indifferenziata) e, nel caso si tratti si raccolta differenziata, indicazione del materiale di riferimento.
Gli ultimi due, però, va ricordato, sono stati al momento sospesi fi no al 31 dicembre 2021. Altre indicazioni si possono considerare volontarie e in questo modo vanno gestite. È inoltre opportuno sottolineare che anche il richiamo alle norme UNI è generico, considerato — anche in questo caso — la loro caratteristica di volontarietà.
Si evincono inoltre due situazioni differenti per la strutturazione dei contenuti minimi dell’etichetta ambientale, a seconda del circuito di destinazione degli imballaggi: B2B (professionale) o B2C (consumatore). In più vanno considerati gli imballaggi monocomponente e multicomponente.
Nel documento, CONAI indica anzitutto che l’etichettatura ambientale deve essere prevista
I tempi permettono un adeguamento alla normativa che tenga conto dei ritmi di lavoro e delle relative necessità organizzative. Tuttavia, è raccomandato attivarsi quanto prima: le sanzioni sono infatti severe (photo © I-Viewfi nder).
per tutte le componenti separabili manualmente dal sistema di imballaggio: l’etichettatura potrà essere riportata alternativamente sopra alle singole componenti separabili, sopra al corpo principale dell’imballaggio o sopra alla componente che riporta già l’etichetta e rende facilmente leggibile l’informazione da parte del consumatore.
Quando ciò non sia possibile, è ammesso il ricorso a soluzioni digitali (come QR-Code o apposite app), proprio perché tutti gli imballaggi devono essere etichettati nella forma e nei modi che l’azienda ritiene più idonei ed effi caci.
Tuttavia, è raccomandato che vengano rispettati i colori universali: blu per la carta, marrone per l’or ganico, giallo per la plastica rici clabile, turchese per i metalli, verde per il vetro, grigio per l’indifferenziato.
L’etichetta ambientale va prevista per tutte le componenti separabili manualmente del sistema di imballo, cioè una componente che l’utente può separare completamente e senza rischi dal corpo principale con il solo utilizzo delle mani e senza dover ricorrere a ulteriori strumenti e utensili.
Inoltre, CONAI fornisce un prezioso strumento on-line (e-tichetta), che le aziende potranno utilizzare per creare autonomamente l’etichetta, in conformità ai riferimenti normativi. È disponibile al sito www.conai.org oppure direttamente al sito e-tichetta.conai.org.
Nell’identifi cazione per materiale il legislatore non ha previsto la discriminante della destinazione al “consumatore”, pertanto non ci sono elementi per escludere gli imballaggi destinati anche a usi professionali dall’identifi cazione e classifi cazione in base alla Decisione 129/97/CE.
Tutti gli imballaggi sono quindi sottoposti all’identifi cazione e classifi cazione. Solo relativamente all’apposizione dei codici di identificazione del materiale, sulla base della Decisione 97/129/CE, l’obbligo è espressamente in capo ai produttori.
Per gli imballaggi monocomponente destinati al consumatore fi nale devono essere riportate la codifi ca identifi cativa del materiale di imballaggio secondo la Decisione 129/97/CE e le indicazioni sulla raccolta. Si suggerisce di indicare la formula “Raccolta (famiglia di materiale)” e di invitare il consumatore a verifi care le disposizioni del proprio comune.
All’adeguamento della nuova disciplina sono chiamati a rispondere tutti gli operatori del settore, non solo i produttori di materiali di imballaggio, i fabbricanti, i trasformatori e gli importatori di imballaggi vuoti e di materiali di imballaggio, ma anche i commercianti, i distributori, gli addetti al riempimento, gli utenti di imballaggi e gli importatori di imballaggi pieni
Le altre informazioni che possono essere volontariamente apposte in etichetta ambientale riguardano la tipologia di imballaggio e le indicazioni al consumatore per supportarlo in una raccolta differenziata di qualità.
Per gli imballaggi costituiti da più componenti, invece, è necessario distinguere le componenti non separabili manualmente (ad esempio una etichetta in carta adesa a una bottiglia in vetro), dalle componenti che invece possono essere separate manualmente dal consumatore fi nale (ad esempio, una confezione multipack di merendine). Questo perché l’identifi cazione e la classifi cazione ai sensi della Decisione 129/97/CE va prevista per tutte le componenti separabili manualmente del sistema di imballo.
Gli imballaggi destinati al B2B, ad esempio gli imballaggi destinati ai professionisti o gli imballaggi da trasporto o legati alle attività logistiche o di esposizione, possono non presentare le informazioni relative alla destinazione fi nale degli imballaggi, ma devono obbligatoriamente riportare la codifi ca dei materiali di composizione in conformità alla Decisione 129/97/CE. Tutte le altre informazioni restano volontariamente applicabili.
Ma c’è da chiedersi quale sia il perimetro dell’obbligo dell’etichettatura ambientale. Si riferisce agli imballaggi, cioè: “composti di materiali di qualsiasi natura, adibiti a contenere determinate merci, dalle materie prime ai prodotti fi niti, a proteggerle, a consentire la loro manipolazione e la loro consegna dal produttore al consumatore o all’utilizzatore, ad assicurare la loro presentazione, nonché gli articoli a perdere usati allo stesso scopo”. Pertanto, i prodotti che non si possono considerare tali non sottostanno all’obbligo dell’etichettatura, che non riguarda per esempio i budelli per salumi, le buste portalettere o le posate.
Per sapere cos’è imballaggio e cosa non lo è si può fare riferimento al sito CONAI. Allo stato attuale tutti gli imballaggi immessi al consumo in Italia rientrano nell’obbligo di etichettatura, pertanto sono esclusi quelli destinati alla commercializzazione in altri Paesi dell’Unione europea o all’esportazione in Paesi terzi.
Merita un ulteriore approfondimento la fi gura del soggetto obbligato. È vero che si possono considerare tali (Decreto Legislativo 152/2006) i produttori di materiali di imballaggio, i fabbricanti, i trasformatori e gli importatori di imballaggi vuoti e di materiali di imballaggio.
Tuttavia, occorre considerare che la parte più signifi cativa di imballaggi viene conferita attraverso i prodotti preconfezionati e l’etichettatura di queste unità di vendita è spesso decisa e defi nita dall’utilizzatore dell’imballaggio che sceglie i contenuti e la forma e ne approva il layout da stampare e/o riprodurre sul packaging. Pertanto la scelta dell’etichettatura ambientale può facilmente diventare un’attività di condivisione per la sua formulazione, tra fornitore di packaging e utilizzatore. Il lavoro collettivo svolto tra le parti e in comune accordo porterà a scegliere la formula opportuna di etichettatura ambientale.
Al debutto di una nuova norma che condizionerà pesantemente la vita nelle imprese di prodotti alimentari e non solo le imprese mostrano apprensione e disorientamento per l’ennesima disposizione poco chiara che si appresta a far parte del nostro ordinamento. I tempi permettono un adeguamento che tenga conto dei ritmi di lavoro e delle relative necessità organizzative. Tuttavia, è raccomandato attivarsi quanto prima: le sanzioni sono infatti severe. Sono inoltre chiamati a risponderne tutti gli operatori del settore, non solo i produttori di materiali di imballaggio, i fabbricanti, i trasformatori e gli importatori di imballaggi vuoti e di materiali di imballaggio, ma anche i commercianti, i distributori, gli addetti al riempimento, gli utenti di imballaggi e gli importatori di imballaggi pieni.
Sebastiano Corona
Nota
A pagina 44, photo © New Africa – stock.adobe.com
Social
di Elena
2. Bracevia, arrosticini on-line
1. Mr Beefy e Black Angus
Col brand Mr Beefy l’Azienda Agricola Massella Placido di Mozzecane (VR) ha creato una fi liera perfetta che parte dall’allevamento di capi di razza Black Angus e commercializza tagli anatomici, porzionati, in osso e una linea Supreme, tutti disponibili anche nello shop on-line shop.mrbeefy.it (photo © instagram.com/mrbeefy_angus). Bracevia è un concept sviluppato nel 2005 da AGNESE VOLPONE e MAURIZIO CUTROPIA per valorizzare le carni ovine d’Abruzzo. Le materie prime sono di altissima qualità: carni fresche di pecore prevalentemente locali, alcune provenienti da allevamenti bio del territorio abruzzese e, nei periodi di maggiore richiesta, anche dall’Irlanda. Al centro della produzione ci sono naturalmente gli arrosticini, acquistabili sul sito web www.bracevia.it e proposti di diverse grammature, fatti a mano o a macchina, classici e nella variante di carne di fegato con cipolla e peperoncino.
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Benedetti
3. Iruki, passione basca
Conoscete Cárnicas Iruki (DASTATZEN GROUP)? È un’azienda basca, con sede nel piccolo comune di Astigarraga (Gipuzkoa), che seleziona e commercializza carni pregiate di allevamenti locali e internazionali, dalla Frisona galiziana alla Rubia gallega, buoi e razze dei Paesi Baschi fi no alla Simmental bavarese e le polacche. Il sito iruki.es è una meraviglia, potente nelle immagini e ricco di suggestioni che raccontano con orgoglio la cultura delle carni di questa regione del Nord della Spagna (photo © iruki.es).
4. II boss delle costate
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Su Instagram ha oltre 13.000 followers ed è conosciuto come il #bossdellecostate. CLAUDIO TROLESE, dell’omonima macelleria di Arzignano (VI), è bravissimo a promuovere sui social (facebook.com/www.macelleriatrolese.it e instagram.com/macelleria_trolese_claudio) tagli BBQ, razze, frollature, marezzature, tutto di qualità garantita. Insieme allo staff seleziona carni da tutto il mondo e spedisce in tutta Italia con consegne in 24 ore (photo © instagram.com/macelleria_trolese_claudio).
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Marina Spironetti vince The Claire Aho Award for Women Photographers nell’ambito del contest “Pink Lady Food Photographer of the Year” 2021
Il Pink Lady® Food Photographer of the Year è un contest annuale a cui partecipano i fotografi più creativi e originali specializzati nel racconto del cibo e delle sue espressioni più varie e autentiche. Aperto sia agli amatori che ai professionisti provenienti da tutto il mondo, il contest ha quest’anno premiato uno scatto italiano opera della bravissima MARINA SPIRONETTI (instagram.com/marinaspironetti). Scatto che immortala MARTINA BARTOLOZZI (instagram.com/mementomartina) nella cella dell’Antica Macelleria Cecchini a Panzano in Chianti. Scattata la scorsa estate quando Martina lavorava nel butcher shop di DARIO CECCHINI, questa foto ha vinto nella categoria Claire Aho Award for Women Photographers, istituita in memoria della più grande fotografa fi nlandese, deceduta nel 2015 all’età di 90 anni. «È un grande onore essere la prima vincitrice di questa nuova categoria. Un grande grazie va anche a tutte le fantastiche donne che ho incontrato a Panzano» ha scritto Marina sul suo profi lo Instagram. Le immagini vincitrici di Pink Lady Food Photographer of the Year saranno esposte dal prossimo 20 novembre al 12 dicembre alla Royal Photographic Society di Bristol, una delle più antiche società fotografi che del mondo. Bravissimi tutti (“Ritratto di donna macellaia di Panzano – Martina”, photo © Marina Spironetti, Pink Lady® Food Photographer of the Year).
Pink Lady® Food Photographer of the Year è il concorso mondiale che celebra l’arte della fotografi a legata al cibo e che festeggia quest’anno il decimo anniversario. Dal 2011, anno della sua creazione, il concorso ha ricevuto circa 70.000 opere di oltre 9.000 fotografi professionisti e amatoriali di 80 diverse nazionalità. La collaborazione tra Pink Lady® e il concorso è nata dal desiderio di valorizzare, al di là dell’estetica delle opere presentate, la storia umana e la diversità delle culture alimentari dei vari paesi, ma anche la convivialità e i momenti condivisi attraverso l’occhio artistico di talenti rinomati o dilettanti.
>> Link: www.pinkladyfoodphotographeroftheyear.com/categories www.instagram.com/FoodPhotoAward
Carne in laboratorio, dal 2030 più competitiva
Entro la fi ne del decennio la carne coltivata in laboratorio potrebbe diventare competitiva rispetto a quella tradizionale. Uno studio ne evidenzia i benefi ci ambientali
di Roberto Villa
Un cambio culturale di portata storica: più alternative, più mercati
Non c’è da nascondersi dietro un dito: il settore della produzione zootecnica è sotto assedio. Un assedio culturalestorico in primis — il distacco fi sico della società moderna dall’antico modello dell’uomo cacciatore e poi allevatore — e ambientale in secundis — la colpevolizzazione delle emissioni e della deforestazione — non meno che economico, nel quale vanno inseriti tutti i fi loni alternativi che si stanno sviluppando oggigiorno, dagli alimenti costituiti da alternative vegetali alle carni, alle proteine derivate da insetti o da alghe. Ci vorrà forse una generazione prima che il cambiamento nel gusto e nelle abitudini si compia, la strada è tracciata e per certi aspetti sembra irreversibile, anche se ciò non implica necessariamente che l’attuale modello millenario verrà soppiantato in toto: ci sarà sicuramente più scelta e le industrie di trasformazione avranno più segmenti di mercato da soddisfare.
Uno dei fi loni più all’avanguardia dal punto di vista tecnologico riguarda le carni realizzate a parti-
Le società operanti nella produzione di alimenti proteici vegetali, nelle carni coltivate in laboratorio e nelle proteine da processi fermentativi hanno nel complesso raccolto 5 miliardi di capitali investiti nel decennio 2010-2020, più di metà dei quali nel solo 2020 (photo © Firn – stock.adobe.com).
Le salsicce di maiale della New Age Meats, una delle aziende più attive nel settore della carne coltivata in laboratorio (photo © New Age Meats).
re da colture cellulari: uno studio recente rivela che una loro applicazione su larga scala le renderebbe economicamente competitive entro il 2030 e sarebbe accompagnata da un signifi cativo impatto ecologico.
Entro il 2030 carne coltivata in laboratorio su larga scala sotto i 6 $/kg. Riscaldamento globale –92% e acqua utilizzata –78%
Uno studio realizzato dalla società indipendente CE Delft e commissionato dal Good Food Institute (gfi .org), un ente senza fi ni di lucro che si pone come obiettivo la ricerca sulle proteine alternative a quelle da fonti animali classiche, ha evidenziato attraverso un modello che un futuro stabilimento per la produzione su larga scala della carne coltivata a partire da tessuti animali sarebbe in grado di vendere questa carne artifi ciale ad un prezzo competitivo con la carne bovina, sotto i 6 dollari per chilogrammo. Tale prezzo consentirebbe una penetrazione di mercato ad oggi impensabile, con notevoli benefi ci dal punto di vista dell’impatto ambientale: in confronto con la carne di bovino allevata, la carne di origine cellulare porterebbe ad una riduzione del 92% dell’impatto sul riscaldamento globale e del 93% sull’inquinamento dell’aria, con un azzeramento pressoché totale ça va sans dire del consumo di terreno (–95%) ed un decremento assai cospicuo del consumo di acqua (–78%). L’analisi del ciclo di vita (Life cycle assessment, LCA) condotta durante lo studio analizza vari scenari, inclusa l’adozione di fonti di energia rinnovabile da parte sia dell’allevamento tradizionale sia della carne coltivata in laboratorio; nello scenario più favorevole la carne artifi ciale ottiene risultati migliori di qualsiasi tipologia di carne convenzionale: gli impatti ambientali con l’uso di tecnologie energetiche rinnovabili sono ridotti del 93% rispetto al bovino, del 53% rispetto al suino e del 29% rispetto all’avicolo. Con l’utilizzo di fonti energetiche tradizionali la differenza è minore; tuttavia, rimane sempre a favore della carne coltivata. Tra i temi collaterali ai quali lo studio fa riferimento pur senza approfondirli ci sono i benefi ci per la salute umana (trasmissione di malattie zoonotiche all’uomo, antibiotico-resistenza indotta) e la messa a disposizione dei terreni, non più adibiti a pascoli o alla coltivazione di colture per l’alimentazione animale, per l’impianto di colture erbacee o arboree dedicate al sequestro di anidride carbonica dall’atmosfera.
Il 2020 anno record per gli investimenti sulle alternative alle proteine tradizionali, con oltre 2,6 miliardi di euro
Il Good Food Institute rileva che il 2020 è stato un anno da primato per gli investimenti nel settore delle proteine alternative con importi che hanno superato i 2,6 miliardi di euro, vale a dire un valore più che triplicato rispetto agli 830 milioni dell’anno precedente. Le società operanti nella produzione di alimenti proteici vegetali, nelle carni coltivate in laboratorio e nelle proteine da processi fermentativi hanno nel complesso raccolto 5 miliardi di capitali investiti nel decennio 2010-2020, più di metà dei quali nel solo 2020. Gli investimenti hanno riguardato per 1,75 miliardi aziende che si occupano di alternative vegetali delle carni, dei prodotti lattiero-caseari e delle uova; per 300 milioni le colture cellulari da laboratorio (sia per carni sia per lattiero-caseari e ovoprodotti), un valore sei volte superiore al 2019 e pari al 72% dell’intero ammontare raccolto sin dalla nascita di questa industria nel 2016; circa 500 milioni sono stati investiti infi ne nelle biofermentazioni proteiche, oltre il 50% degli 840 milioni investiti a partire dal 2013.
L’Europa, col 17% del totale investito, è all’avanguardia con 440
milioni nel 2020, più che quadruplicati rispetto ai 100 milioni raccolti nel 2019.
Le nuove imprese operanti in questo settore sono capaci di attirare investimenti sempre crescenti, ciò che sostiene CARLOTTE LUCAS, Corporate Engagement Manager di Good Food Institute, è la necessità di dare costanza alla raccolta fondi anche nelle fasi successive di sperimentazione su larga scala e di industrializzazione, in modo da realizzare una concreta alternativa disponibile sul mercato, capace di contribuire al raggiungimento degli obiettivi della Conferenza sul clima di Parigi e al contempo garantire un’alimentazione proteica suffi ciente alla popolazione mondiale crescente.
Roberto Villa
Il vaccino anti-crisi si chiama “local e-commerce”
di Chiara Papotti
Photo © Creativeteam – stock.adobe.com
NETCOMM, il Consorzio del Commercio Digitale Italiano, in collaborazione con
NETSTYLE e TUTTOFOOD MILANO, ha recentemente scattato una fotografi a sull’uso dell’e-commerce in Italia durante l’emergenza Covid-19. L’indagine statistica, riferita al 2020, evidenzia un vero e proprio boom dello shopping on-line. Tra i dati raccolti emergono la frequenza di acquisto on-line, aumentata del 79%, e la propensione dei consumatori a preferire le “consegne contactless” (consegne senza contatto). Ma la novità più sorprendente è la rivincita dei local e-commerce. Per local e-commerce, o commercio di quartiere, si intende una particolare tipologia di commercio integrato che le piccole e medie imprese sviluppano in sinergia con piccoli negozi, al fi ne di vendere prodotti o servizi on-line ad un pubblico di
Con quasi 4 miliardi di persone bloccate in casa, il lockdown ha modifi cato rapidamente il modo di fare acquisti. In tanti sono stati costretti ad acquistare on-line per la prima volta direttamente dal negozio vicino, richiedendo la consegna a domicilio per evitare i disagi e la paura dell’uscire di casa. E il piccolo commerciante ha dovuto affrettarsi ad aprire un local e-commerce o potenziare quello già in possesso per sopravvivere
Oggi 7 Italiani su 10 hanno scaricato una app sullo smartphone per lo shopping: diffi cilmente torneremo indietro dall’on-line! Messi da parte i dubbi iniziali, quindi, oggi aprire un local e-commerce è un’occasione da non perdere. Negozi al dettaglio, macellerie e botteghe alimentari possono sfruttare a loro favore questa opportunità per crescere in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo
acquirenti che si trova in prossimità della loro sede.
In epoca pre-Covid gli e-commerce di quartiere erano cosa rara e gli audaci negozianti che decidevano di aprirli rischiavano di fare un buco nell’acqua, scontrandosi con i grandi colossi del commercio on-line, che crescevano con costanza nella loro dimensione globale. Impossibile fare loro la guerra, i fedelissimi di eBay o di Amazon hanno continuato a fare i loro acquisti sulle grandi piattaforme di commercio internazionale, ma allo stesso tempo sono andati a cercare i local e-commerce dei negozianti di fi ducia per comprare prodotti freschi e facilmente deperibili: ortofrutta, ittico, carne.
Durante il lockdown, con quasi 4 miliardi di persone bloccate in casa, il modo di fare acquisti è cambiato rapidamente. In tanti si sono visti costretti ad acquistare on-line per la prima volta direttamente dal negozio vicino, richiedendo la consegna a domicilio per evitare i disagi dovuti alle regole imposte in piena quarantena. Il piccolo commerciante si è dovuto affrettare ad aprire un local e-commerce o potenziare quello che già possedeva per non essere sconfi tto dalla crisi economica.
Questa la ragione per cui l’ecommerce di prossimità ha registrato una crescita sorprendente che, in condizioni normali, avrebbe ottenuto in molti anni.
Il modern food retail, la modalità di acquisto multicanale nel settore alimentare attraverso il sito internet, ha visto così una crescita del 130% per i prodotti freschi e confezionati. Una vera e propria rivoluzione se si considera che nel 2019 pochissimi facevano la spesa on-line.
Oggi 7 Italiani su 10 hanno scaricato una app sul proprio smartphone per lo shopping e, secondo il Report annuale di Everli1, il principale marketplace europeo per la spesa on-line nato nel 2014, la crescita dell’e-commerce nel nostro Paese ha raggiunto il +208% rispetto al 2019 sugli acquisti via sito e via app.
Sono cambiate le modalità di acquisto e diffi cilmente torneremo indietro.
Piccoli commercianti e negozi di quartiere si stanno rendendo conto che la vendita on-line, da strumento secondario rispetto alla vendita al dettaglio, sta diventando un’alleata indispensabile per gli acquisti di tutti i giorni.
Messi da parte i dubbi iniziali che, per quanto comprensibili, non dovrebbero spaventare come qualche anno fa, oggi aprire un local e-commerce è un’occasione da non perdere. Negozi al dettaglio, macellerie e botteghe alimentari in genere possono sfruttare a loro favore questa opportunità per crescere in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo. Se stai pensando di aprire un local e-commerce, ma hai ancora qualche timore, ecco alcuni consigli utili da tenere presente:
Affi dati ad un professionista
Realizzare gratuitamente e in piena autonomia un e-commerce è possibile; sono tantissimi i siti che oggi ti guidano passo passo, ma soltanto la consulenza di un esperto in digital marketing potrà darti tutte le informazioni necessarie per creare una piattaforma di successo a seconda del singolo caso.
Non sottovalutarti
Secondo l’ultimo rapporto “The future of Commerce 2021” di Shopify2 il 62% dei giovani consumatori preferisce comprare prodotti green e sostenibili da realtà indipendenti e il 65% degli intervistati ha dichiarato di voler sostenere le piccole attività. Nonostante si faccia ancora maggiormente ricorso ai marketplace per comodità, grazie alle nuove abitudini acquisite in piena pandemia le piccole realtà indipendenti potrebbero guadagnare spazio nel mercato digitale rafforzando la propria presenza, migliorando e velocizzando l’esperienza di acquisto.
Sii promotore di una logistica di prossimità sostenibile
Il tema della sostenibilità è un valore su cui fare leva al momento dell’apertura di un local e-commerce. Le consegne in prossimità riducono considerevolmente l’inquinamento
Chi si affi da ad un e-commerce di prossimità di solito conosce già il negoziante e si fi da del suo operato: è quindi fondamentale off rire sempre supporto in tempo reale (photo © Daisy Daisy – stock.adobe.com).
atmosferico. Basti pensare che autovetture, furgoni, camion e autobus producono oltre il 70% delle emissioni di gas a effetto serra generate dai trasporti.
Tanti sono i commercianti che durante il lockdown hanno consegnato spese a domicilio in bicicletta, a piedi, con mezzi elettrici o ibridi potendo contare su piccole distanze. Accelerare il cambiamento nella mobilità è decisivo nella battaglia per il clima e scommettere sulle piccole attività indipendenti può contribuire a favorire la logistica sostenibile.
Offri un’esperienza multicanale
Se i più giovani sono la forza trainante della crescita irreversibile dell’ecommerce, la clientela tradizionale è quella che potrebbe preferire un sistema di acquisto ibrido, che includa cioè la possibilità di scegliere e prenotare on-line, ma ritirare e pagare la merce direttamente in negozio. Diversi i vantaggi per entrambe le parti: il consumatore risparmia sulla spedizione e può ritirare nel momento più opportuno, senza dover tarare i propri orari alla consegna prevista; il venditore, dal canto suo, non deve farsi carico della consegna, guadagna una vista in negozio e l’opportunità di vendere qualcosa in più. Chi apre oggi un local e-commerce deve riuscire a integrare lo store on-line con il negozio fi sico, sapendo che il canale
di vendita digitale non sostituisce
ma integra il negozio retail.
Il contatto umano vince sempre
Chi si affi da ad un e-commerce di prossimità di solito conosce già il negoziante e si fi da del suo operato; è quindi fondamentale offrire sempre supporto in tempo reale, garantendo anche assistenza vocale. Il dialogo diretto e il contatto umano non sono paragonabili a nessuna email generata automaticamente dai grandi colossi delle vendite on-line. Sul tuo local e-commerce proponi un tour virtuale del negozio, oltre che i prodotti in vendita, e mostra il tuo staff al lavoro per non privare il tuo cliente di un’esperienza tradizionale. Non pensare che le persone vogliano da te solo un prodotto, crea occasioni di incontro, anche virtuali, e coltiva il rapporto di fi ducia che vi unisce.
Nonostante la crescita degli acquisti on-line nei negozi di quartiere, non mancano alcuni ostacoli per i venditori al dettaglio, tra cui costi di gestione, carenza di competenze specifi che e diffi coltà nella gestione della catena logistica. Bisogna quindi lavorare su questi aspetti per migliorare l’esperienza di acquisto e sostenere le piccole realtà
indipendenti che rappresentano la spina dorsale delle comunità loca-
li, nonché il motore della crescita economica post Covid-19.
Chiara Papotti
Note
1. blog.everli.com/it/spesa-online2020-abitudini-di-consumo-italiani 2. www.shopify.com/future-of-commerce/2021