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La carne in rete Social meat Elena Benedetti

Photo © Filippo Attili

Le regole UE devono cambiare

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di Cosimo Sorrentino

In occasione dell’ultimo Social summit del Consiglio europeo informale, tenutosi a Porto, in Portogallo, nel maggio scorso, il presidente MARIO DRAGHI (in foto) aveva cominciato a gettare le basi per una profonda revisione delle attuali regole restrittive dell’UE, che attualmente sono sì parzialmente sospese, ma rimangono pur sempre in piedi sul piano giuridico, in attesa di quella ripresa che tutti cominciamo a vedere. Finalmente, si è ricominciato infatti a fare una profonda rifl essione su detti strumenti che hanno sempre condizionato una forte crescita economica, la quale, negli intendimenti dei fondatori, doveva assicurare un sempre maggior benessere per i cittadini comunitari. Anche noi siamo stati sempre convinti che i parametri stabiliti a Maastricht negli anni Ottanta abbiano frenato lo sviluppo che si pensava potesse avere la UE, poiché essi non avevano tenuto conto, per quanto riguarda l’Italia in particolare, della sua situazione strutturale, sia sul piano economico che sul piano sociale. Un Paese, il nostro, che si è dovuto così indebitare per cercare di tenere un passo che poi ha stentato a mantenere, proprio per la rigidità dei rapporti tra defi cit e PIL e debito-PIL. Recentemente il presidente Draghi, ed in modo piuttosto perentorio, durante il dibattito sulle misure di sostegno svoltosi al Parlamento, ha archiviato le regole del Patto di Stabilità, defi nite in passato per assicurare la disciplina di bilancio dei Paesi dell’Unione, sostenendo che le prescrizioni (defi cit inferiore al 3% del PIL e debito sotto il 60%) “dovevano cambiare”. È ora il momento di politiche espansive ed è ora di spingere gli investimenti per fronteggiare la crisi e far ripartire l’economia fi accata dalla pandemia. L’avvertimento di Draghi è arrivato lo stesso giorno in cui la Commissione UE ha rivisto al rialzo le previsioni di crescita per l’Italia,

segnalando un balzo, a marzo, del 11% della produzione industriale rispetto allo stesso mese del 2020. Viene così stimato un incremento del PIL italiano del 4,4% per quest’anno rispetto alla precedente previsione del 3,5.

Del resto anche l’ISTAT vede per l’Italia una situazione in netta risalita, come dimostra la stabilizzazione delle vendite al dettaglio, il miglioramento delle attese della domanda di lavoro da parte delle imprese e della fi ducia di famiglie e imprese che “concorrono a determinare prospettive favorevoli per i prossimi mesi”.

L’intensità della ripresa non ci appare però omogenea, oltre che condizionata da fattori determinanti come la continuità della campagna di vaccinazione e il rilancio stabile dell’economia europea, ultima a mettersi in moto, ma mercato primario per l’export del made in Italy, fi no all’attuazione del Recovery Plan e, secondo molti osservatori, il valore pre-Covid rimane ancora “un miraggio”.

Ci conforta anche il parere del cosiddetto “falco”, il vicepresidente della Commissione europea VALDIS DOMBROVSKIS, secondo il quale il Recovery aiuterà la ripresa e “rappresenterà un vero punto di svolta nel 2022, quando aumenteranno gli investimenti pubblici al livello più alto in un decennio”. Inoltre, tra coloro che credono che le cose possano andare in senso positivo, abbiamo registrato anche il parere dell’Agenzia di rating Standard & Poor’s, di solito molto critica con il nostro Paese, che ha aggiornato le sue previsioni per l’Italia, indicando per quest’anno una possibile crescita del 4,7%, ben oltre un punto percentuale in più di quella stimata a febbraio dalla UE e migliore, perfi no, di quella indicata ad aprile dal nostro Governo nel suo aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (DEF), nel quale l’andamento del PIL per quest’anno era stato fi ssato al 4,5%.

Tanto premesso, riteniamo opportuno precisare che, anche con le citate previsioni economiche più incoraggianti, la clausola di sospensione del patto di stabilità resta in vigore, ma solo fi no al 2022. E dopo che cosa sarà? A questo punto ci sentiamo di condividere le citate affermazioni di Draghi: basta con il rapporto defi cit-PIL al 3% e basta il parametro debito-PIL al 60% con il disegno della Nuova Europa, quella del post-pandemia, tanto più che dalla crisi economica generata dal Covid non è solo l’Italia ad uscire con un debito al 160%, poiché tutti i Paesi dell’Eurozona hanno accumulato ingenti passivi per le misure di sostegno che hanno dovuto apprestare per l’economia.

Alcuni sostengono sia necessario cancellare il debito legato al Covid ma riteniamo che sia complicato farlo, anche se vediamo possibile una sua indicazione separata dai bilanci dei vari Paesi, ma certamente una soluzione deve essere trovata. In proposito lo stesso Capo del Governo auspica una soluzione del genere unitamente alla necessità di attuare ingenti investimenti mentre i debiti elevati non dovranno essere un ostacolo.

Dai discorsi di Draghi ci sembra di capire che, una volta superata la crisi sanitaria che ci ha per molti aspetti annientato, si dovrà arrivare a creare “un’area comune di bilancio e di gestione della politica fi scale”, per costruire e completare l’architettura istituzionale europea a partire dalla emissione di eurobond stabili e strutturali e non solo legati al Recovery Fund.

Ciò costituirebbe una vera e propria rivoluzione, un grande salto in avanti dell’Unione, tanto che, perfi no il già citato Dombrovskis, ha aperto all’idea di una struttura “permanente” per gli investimenti, simili al Recovery. Si tratta indubbiamente di una portata innovativa ed un disegno di grande respiro, tanto più se si considera che, anche da tante altre fonti europee, si caldeggia un’Europa con una politica fi scale comune.

Il nostro presidente del Consiglio, nel ribadire le sue proposte innovative, ha anche affermato che la pandemia ha cancellato, di fatto, il patto di stabilità “inadeguato prima e, a maggior ragione dopo, per una economia in uscita” dalla catastrofe del Covid. Infatti sono stati possibili margini di azione più ampi di politica di bilancio spingendo sugli investimenti, coi quali favorire l’economia. Grazie alla crescita che potrà derivare dal Piano Nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) l’Italia potrebbe inoltre imboccare un sentiero duraturo e stabile di ripresa economica “che sarà l’antidoto ai rischi insiti nel nuovo debito accumulato”. Insomma la bontà dell’indebitamento non sarà più misurabile con i parametri pre-pandemia.

Ma l’Italia è pronta per giocare detta partita? E qui i dubbi sorgono, poiché manca quello spirito unitario che dovrebbe essere la base principale di un Paese che deve progredire e permangono troppe diffi coltà, soprattutto di carattere sociale, che appaiono ormai strutturate in modo così radicato che è diffi cile scalfi rle.

Verrà il miracolo solo se sapremo essere determinati, se sapremo essere credibili e riscuotere effettiva considerazione anche da parte degli altri nostri competitors.

Cosimo Sorrentino

«È soprattutto in tempi di crisi che il progetto europeo deve dimostrare di essere un progetto per il bene di tutti, proteggendo le persone, sostenendo le imprese, investendo nell’uguaglianza, nel progresso sociale e nel benessere economico. Soddisfare i bisogni dei cittadini europei di assistenza, lavoro, dignità, sicurezza e prosperità per il loro futuro è il cuore di questo progetto» ha dichiarato il presidente del Parlamento europeo David Sassoli al Consiglio europeo informale a Porto

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