EUROCARNI 8-2020

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EUROCARNI

Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Anno XXXV N. 8 • Agosto 2020

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EUROCARNI Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali

Gruppo editoriale Edizioni Pubblicità Italia Srl

EUROCARNI – PREMIATA SALUMERIA ITALIANA – IL PESCE EURO ANNUARIO CARNE – ANNUARIO DEL PESCE E DELLA PESCA US ANNUARIO DEI FORNITORI DELLA SANITÀ IN ITALIA – EURO GENUINE FOOD

Direttore responsabile e editoriale Elena Benedetti Redazione Gaia Borghi – Federica Cornia – Marco Credi

Comitato di redazione Franco Ferrari – Clara Fossato (UNICEB) – Giuliano Marchesin (Unicarve) – Gianni Mozzoni (Legacoop) – Manrico Murzi – Fortunato Tirelli – François Tomei (Assocarni) Comitato scientifico Prof. Giovanni Ballarini – Dr. Alfonso Piscopo

Segreteria di redazione Gaia Borghi

Collaboratori scientifici Dr. Marco Cappelli – Dr. Massimo Chiappini – Prof. Eugenio Del Toma – Dr. Emanuele Guidi – Dr. Pierluigi Roncaglia – Prof. Andrea Strata

Prestampa Marco Credi Marketing e pubblicità Luigi Credi – Lorenzo Fiorentin – Chiara Zaccaroni Fotografia Luigi Credi

Euro Annuario Carne

Abbonamenti Fioretta Fiorentin EURO ANNUARIO CARNE 2020

Amministrazione Andrea Tomassone

La banca dati internazionale del mercato delle carni sempre aggiornata, utile strumento di lavoro per gli operatori del settore lavorazione, commercio e distribuzione carni. Edizione 2020 Copia cartacea: € 95,00

Dal 1984 Edizioni Pubblicità Italia compone le sue riviste con computer Apple®. Il testo è impaginato con Adobe® InDesign® CC 2019. Le illustrazioni sono realizzate con Adobe® Photoshop® CC 2019.

Direzione – Redazione Amministrazione – Pubblicità Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA Tel. 059216688 – Fax 0598671709 E-mail: redazione@pubblicitaitalia.com Web: www.eurocarni-online.com Reg. al Tribunale di Modena n. 798 del 23-10-1985

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Tariffe abbonamenti Annuale (12 numeri): Italia € 65,00 – Estero € 85,00 Sconto librerie: 10% Modalità: effettuare versamento su c/c postale n. 52411311 intestato a Edizioni Pubblicità Italia Srl Piazza Roma 3 – 41121 MODENA ISSN 0394-2910

Ufficio stampa e Media Partner

Stampa

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Intervento realizzato con il cofinanziamento FEASR del Piano di Sviluppo rurale 2014-2020 della Regione Toscana sottomisura 3.2


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EUROCARNI La prima rivista veramente europea

In questo numero:

La carne nel mondo

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Agenda

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Immagini

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Naturalmente carnivoro

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Carni & Co.

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Tendenze

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Meat Pack

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Lettere alla Redazione

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Letture da spiaggia

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A pagina 60.

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Europa, primo continente a impatto climatico zero

Sebastiano Corona 28

Coronavirus e agroalimentare, i comportamenti del consumatore

Sebastiano Corona 34

Slalom

Ricetta per la crisi: fare presto!

Cosimo Sorrentino

40

La carne in rete

Social meat

Elena Benedetti

44

Aziende

CLAI: un sorriso che è territorio, cultura e responsabilità sociale

Elena Benedetti

48

Info alle imprese

Contributi a fondo perduto

Interviste

Carne bovina, bene i consumi negativo il mercato…

Comunicare la carne

La carne rossa made in Britain

60

Un mondo senza allevamenti?

66

Attualità

54 Anna Mossini

Francesca Monti

56

Progettare la carne

Future Food Design: cos’è e come può sensibilizzare l’economia di domani

68

Meat franchising

Roadhouse riparte con due nuovi locali

70

Mercati

UNAItalia: contagi nei macelli in USA e Europa, nessun focolaio…

72

Inchieste

Come il Covid cambierà i consumi di carni bianche

76

La Qualità

Tutti i segreti del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale Igp

78

Macellerie d’Italia

La carne dei Fedalto

Gian Omar Bison

Prodotti tipici

Riscoprire i sapori perduti di un tempo con la salsiccia paesana di Maranola

Massimiliano Rella 88

Ristoranti carnivori

La razza è servita

Massimiliano Rella 92

Locali di gusto

Gusto, nuova sede stessa magia

Massimiliano Rella 96

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EUROCARNI

Mensile di economia, politica e tecnica delle carni di tutte le specie animali Anno XXXV N. 8 • Agosto 2020

€ 5,42

A pagina 68. In copertina: le carni avicole rimangono le più consumate nelle case degli Italiani (photo © grinchh – stock.adobe.com).

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Sapori mediterranei

Gyros, e sai di essere in Grecia

Nunzia Manicardi

98

Nutrizione

Carne di vitello e vitamine del gruppo B: i migliori abbinamenti…

Susanna Bramante

100

Razze

Rilancio della pecora Ciuta, la più piccola delle Alpi

Riccardo Lagorio

104

Convegni

Le opportunità della nuova PAC per un allevamento più sostenibile

Anna Mossini

108

Fiere

Cibus Forum: il Food & Beverage post Covid-19

112

Tecnologie

Il CSB Rack è da sempre la soluzione professionale per il rilevamento…

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Provisur: la nuova generazione di presse tridimensionali di formatura…

116

Trasformazione

L’affumicatura

118

Sono 180 grammi, lascio?

Pecore, cani, maiali, come noi

Statistiche

Dati Anas: le macellazioni suine nell’Unione Europea nel 2019

Giovanni Papalato

122 126

A pagina 78.

A pagina 104. A pagina 44.

www.eurocarni-online.com 8

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Concept design by Angelo Cristofoli

Per noi la razza è un’ opera d’arte

Organizziamo produzioni dedicate grazie all’esperienza nell’allevamento delle razze italiane pregiate Agrifap S.r.l. Società Agricola alleva direttamente e organizza filiere per assicurare costanza e continuità di fornitura

Puntiamo sul prodotto italiano con particolare dedizione per le razze:

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L’attenzione al prodotto italiano si estende anche alle produzioni Biologiche di bovini:

nati, allevati e macellati in Italia

Per informazioni commerciali: Agrifap S.r.l. Società Agricola | Ufficio: +39 045 8876471 | Email: info@agrifap.com | Web: www.agrifap.com


LA CARNE NEL MONDO

Francia La Francia vieta la carne finta: i prodotti a base di proteine vegetali non potranno essere definiti dalle parole steak (bistecca), saucisse (salsiccia) ed escalope (cotoletta). Lo ha stabilito una legge adottata dai deputati francesi lo scorso 27 maggio. La Francia fa così un passo avanti nel dibattito, che investe molti Paesi, sulla liceità dell’utilizzo nel marketing di nomi tipici di prodotti carnei per alimenti sostitutivi a base vegetale. Quello della “carne finta”, ossia hamburger, salsicce e costate vegetali, è un mercato in crescita e molti big dell’alimentare l’hanno approcciato. Come Findus, che ha appena lanciato una nuova linea Green Cuisine di prodotti in apparenza carnei ma fatti a base di piselli. Il gruppo, controllato dalla holding inglese Nomad Foods, stima ricavi per 100 milioni in tre anni, anche basandosi su stime dell’autorevole centro studi Chatam House che considera per il mercato mondiale dei sostitutivi della carne un valore di 4,6 miliardi di dollari. In Italia le prospettive sembrerebbero però incerte considerati, per esempio, i dati del rapporto annuale Coop dello scorso settembre, da cui emerge in generale un crollo nei consumi di tutti i sostitutivi vegetali della carne, ossia quei prodotti che evocano in etichetta prodotti carnei, würstel vegetali (–40,9%), seitan (–8,6%), piatti pronti come burger e crocchette vegetali (–7,6%) e piatti di polpette vegetali (–5,8%). Intanto la legge francese fa un po’ di chiarezza, come successe anni fa anche in Italia col “latte di soia”, definizione considerata fraudolenta e infatti modificata in “bevanda” dopo le forti proteste dei produttori di latte. Resta ancora da stabilire, entro la fine dell’anno, la percentuale esatta di proteine vegetali oltre la quale saranno vietate le denominazioni proprie agli alimenti di origine animale (fonte: EFA News – European Food Agency; photo © youtube.com).

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Unione Europea – Cina Durante i primi due mesi di quest’anno le esportazioni di carne suina europea hanno continuato a crescere rispetto ai valori dell’anno scorso: 817.640 tonnellate contro le 710.260 del 2019, pari ad un aumento del 16%. Anche le esportazioni di carne suina verso la Cina hanno ricominciato a salire, rappresentando il 60% del totale delle esportazioni europee (+77% nei primi due mesi di quest’anno rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, 487.500 vs 275.390 tonnellate) mentre sono diminuite le esportazioni verso le altre destinazioni principali (Giappone –18%, Corea –34%). La Spagna è il principale Paese esportatore con 224.330 tonnellate esportate, oltre la metà delle quali in Cina (148.020 tonnellate); a seguire la Germania, con 190.370 tonnellate, 128.420 delle quali in Cina (fonte: 3tre3.it; photo © Ioan Florin Cnejevici).

Kazakistan Un nuovo complesso industriale per la lavorazione della carne ovina sarà avviato in Kazakistan nel 2022. Lo stabilimento sarà localizzato nella regione di Almaty e avrà una capacità giornaliera di lavorazione pari a 5.000 capi. Il nuovo impianto potrà produrre annualmente 30.000 tonnellate di carne ovina destinata al mercato domestico e a quelli della regione. L’investimento previsto è pari a 10 miliardi di tenge (22 milioni di euro, circa) la realizzazione del progetto, promosso dal Gruppo Baumann GmbH & Co., richiederà 18-20 mesi di tempo (fonte: EFA News – European Food Agency; photo © Sharaf Maksumov).

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AGENDA Camerana (CN) Il 22 e 23 agosto, presso La Pavoncella – Il rifugio della Bistecca a Camerana, in provincia di Cuneo, si svolgerà The Golden Steak 1.0, un evento ad elevato tasso carnivoro nel corso del quale verranno presentate le “bistecche con l’osso” proposte da diverse realtà culinarie provenienti da tutta Italia. Nel corso delle due giornate si metteranno in competizione 6 steak house, due del Nord, due del Centro, due del Sud, che dovranno grigliare in tre diversi servizi (il sabato a pranzo e cena e la domenica solo a pranzo)bistecche con l’osso personalmente selezionate e provenienti dalle loro stesse attività. Le bistecche saranno poi valutate da una giuria composta da veterani del mondo delle carni, allevatori e rappresentanti delle istituzioni. La somma dei punteggi accumulati dalle tre distinte prestazioni verrà poi premiata domenica pomeriggio con l’annuncio del podio dei primi tre classificati. Regista della manifestazione sarà DARIO PERUCCA, allevatore di bovini di razza Piemontese, titolare del marchio “Autentica” nonché ideatore e presentatore della gara di Battuta al coltello di Trinità (CN). Il tutto sarà filmato e immortalato da MICHELE RUSCHIONI e dal suo staff di Braciamiancora.com. Il Rifugio servirà ai tavoli un menù fisso a basa di vacca vecchia piemontese, prodotto d’eccellenza della linea “Top selection for BBQ by Rifugio della Bistecca” di CHRISTIAN RANUSCHIO, titolare de La Pavoncella. Per info e prenotazioni telefonare al numero: 342 0547217 (Christian). facebook.com/RifugioLaPavoncella

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Il meglio della

C A R N E D I V I T EOLl a Ln d eO se La carne bianca di vitello è un alimento straordinario: ricca di proteine e amminoacidi, facilmente digeribile, povera di grassi e con un alto contenuto di ferro. Cosa volete di più? C’è di più!! La carne di vitello ha anche un gusto raffinato e duttilità nella cottura: questo la rende protagonista della storia gastronomica italiana. Non a caso il vitello è tra le carni più presenti nei Menu dei grandi Chef in Italia. Lo sapevate che la vera cotoletta alla milanese è fatta con la carne di vitello? Trovate la ricetta dello Chef Stefano De Gregorio insieme a tante altre su www.carnedivitello.it. Garanzia data dall’integrazione. Tutte le aziende del VanDrie Group sanno di essere responsabili al 100% per la qualità ottimale del prodotto finale. Questo vale sia per gli allevamenti sia per le aziende produttrici di latte in polvere e di carne. In quest’ottica la collaborazione per offrire al consumatore finale la garanzia di un prodotto di elevata qualità diventa logica. Così il VanDrie Group ha sviluppato la sua strategia integrata, assistito da uno dei più avanzati sistemi di controllo. www.vandriegroup.com La carne di vitello con una percentuale di grasso inferiore al 5% ha la seguente composizione media per 100 grammi: 104 kcal, 439 kJ, 22,1 g di proteine e 1,7 g di grassi. (fonte RIVM - NEVO).

“LA COTOLETTA ALLA MILANESE” interpretata da Chef Stefano De Gregorio

Ricetta

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IMMAGINI

Una famiglia di macellai a Mestre dal 1920. Chi entra alla Macelleria Fedalto non trova solamente carne: trova l’esperienza di Nicola e dei suoi famigliari, la passione che scorre nelle loro vene, la tracciabilità e la provenienza dei prodotti, il loro valore e l’altissima qualità. Per saperne di più leggete l’articolo di Gian Omar Bison a pagina 84 (photo © Alberto Gobbato).

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NATURALMENTE CARNIVORO

Loro sono Matteo Marzoli e Elena Ratto, marito e moglie nella vita e, sul lavoro, rispettivamente “butcher” e restaurant manager di Officina della Senape, ristorante carnivoro “verticale” sito in piazza Matteotti, nel cuore di Modena, a due passi dal Duomo e dalla Ghirlandina. Massimiliano Rella li ha fotografati e si è fatto raccontare la loro offerta di accoglienza e ristorazione: l’intervista la leggete a pagina 92 (photo © Massimiliano Rella).

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CARNI & CO.

Eco shopper

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Della serie, niente va lasciato al caso. Tanto meno la shopper (ovviamente) di carta! Qui la versione dell’agenzia creativa Maison d’Idée di MARTIN KUSPAL per un’ipotetica attività dal nome 4 Costole Butchery. Spettacolo!

Arrediamo

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BBQ

COWBOYS LINNY KENNEY (linnykenney.com) è una designer e produttrice di articoli di pellame, realizzati a mano nel suo laboratorio/conceria The Tannery Marketplace a Littleton, New Hampshire (USA). Già nota per la realizzazione di tracolle in pelle per chitarre, Linny si è specializzata nella creazione di borse porta coltelli e utensili per il BBQ e meravigliosi grembiuli che celebrano la cultura americana delle carni cotte sulle braci (photo © linnykenney.com).

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Frattaglie pattern Mazzo Roma non è solo una delle cucine più interessanti della Capitale: è anche creatività con il bellissimo grembiule professionale #CCChef disegnato proprio da FRANCESCA BARRECA e MARCO BACCANELLI. “Un prodotto fatto bene, inserito in un contesto di design puro, spiegando al pubblico il difficile concetto ’chef che illustra’, il tutto in piena pandemia e, soprattutto, a tema frattaglie! La ricetta infatti è quella della nostra amata trippa fritta alla romana” scrive Francesca sul suo account instagram.com/mazzo_roma. Realizzato in tiratura limitata, si può acquistare al prezzo di € 39,90 su linktr.ee/pppattern.it. Lo riceverete in una confezione sottovuoto con una ricetta esclusiva degli chef all’interno del pack e la certificazione, numerata e siglata, degli autori. Meraviglioso!


TENDENZE

Parola d’ordine: omnicanale

Customer journey. Customer experience. Omnichannel. Anche se non è ancora finita l’emergenza Covid-19, il panorama del commercio al dettaglio continua ad evolversi, con molte variabili e innovazioni tecnologiche in costante aggiornamento. Il che significa che i rivenditori sono costantemente impegnati a soddisfare sempre nuove esigenze quando si tratta di assicurarsi che l’esperienza che forniscono soddisfi le aspettative dei clienti. Non è più una novità che i consumatori si aspettino un’esperienza connessa, ma molti rivenditori devono ancora imparare a tenerlo presente. Con la riapertura dei negozi, molti consumatori vogliono poter ordinare on-line e ritirare in negozio, con un’esperienza di ritiro fluida e rapida. Vogliono la stessa esperienza personalizzata sia in-store che on-line, indipendentemente dal dispositivo, e vogliono una transizione fluida tra ogni canale, indipendentemente dal fatto che si tratti di un’esperienza in-app, di una piattaforma social o di un altro mezzo. Nonostante ciò, alcuni rivenditori ancora faticano ad organizzare una customer journey end-to-end, basandosi ancora su sistemi disparati che lavorano in modo disomogeneo e lasciando inesplorate molte potenzialità (fonte: Manhattan Associates; photo © magele-picture – stock.adobe.com).

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#ImpossibilEResistere ... La linea GUSTAmi® è realizzata solo con carni pregiate di altissima qualità, provenienti da ALLEVAMENTI ITALIANI qualificati, dove gli animali vengono nutriti in modo sano e naturale e accuditi nel pieno rispetto del BENESSERE ANIMALE certificato CReNBA.

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GUSTAmi® è un marchio di LANZA S.r.l. Viale Europa, 9 - 37024 Negrar di Valpolicella (VR) - Italy Tel. +39 045 750 00 46 - info@lanzasrl.com


MEAT PACK

Les Quotidiennes Charal, carni francesi d’alta gamma

CHARAL/GROUPE BIGARD, azienda leader francese nella produzione di carni di alta gamma, ha recentemente presentato Les Quotidiennes, una nuova linea di prodotti che unisce la qualità alla semplicità. Classificata A sul punteggio Nutri, si tratta di un’offerta completa di 5 referenze, 3 tagli e 2 carni macinate, al 100% di origine francese. Calibrati in base alle esigenze nutrizionali quotidiane, questi prodotti ogni giorno soddisfano gusti e necessità di tutta la famiglia. Les Quotidiennes sono confezionate sottovuoto con la tecnologia Slim Fresh, che consente di conservare la carne per un massimo di 14 giorni garantendo in modo naturale condizioni perfette per la maturazione. Il prodotto è ben visibile e il packaging di cartone ha una riciclabilità del 75%. >> Link: www.charal.com

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PRESENTA IL SIGILLO ITALIANO I DISCIPLINARI DEL SISTEMA QUALITÀ NAZIONALE ZOOTECNIA (SQNZ) RICONOSCIUTI DAL MINISTERO DELLE POLITICHE AGRICOLE

“Vitellone ai cereali” “Scottona ai cereali” “Fassone di razza Piemontese”

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FORNITORE UFFICIALE


LETTERE ALLA REDAZIONE

AMI Academy, una piattaforma web per entrare nel laboratorio di macelleria In macelleria esistono tante tecniche di macellazione, taglio, disosso, conservazione, lavorazione, frollatura, marinatura e molto di più da poterle chiamare vere e proprie tecnologie. Accademia Macelleria Italiana nasce proprio per far sì che questo patrimonio essenzialmente pratico, fatto di vite dedicate al bancone della macelleria non vada perduto, dimenticato oppure spazzato via da qualche forma di monopolio commerciale organizzato. Il mestiere del macellaio deve continuare per la salute delle persone che non troverebbero più un cibo sostitutivo ricco di proteine disponibili, in quantità sufficienti, a coprire il fabbisogno dell’organismo umano. E che per di più doni così tanta gioia al palato. La cultura culinaria italiana, le nostre tradizioni familiari sono impregnate del mestiere del macellaio e non c’è campanile d’Italia che non annoveri decine di ricette tradizionali con la carne per le quali turisti di mezzo mondo romperebbero il

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lockdown domani e si precipiterebbero in Italia. L’Italia è il Paese del piccolo sano e buono non del fat food (sì avete letto bene!). Selezionare i tagli migliori per le tavole degli Italiani e dei frequentatori dell’Italia che scalpitano per poter tornare a frequentare il Belpaese è compito sacrosanto dei macellai italiani e dei nostri cugini ristoratori ovviamente. AMI Academy segue lo sviluppo del progetto Accademia Macelleria Italiana che dal 2015 si è posta l’obiettivo di sostenere la figura del macellaio e, soprattutto, di dare un futuro agli appassionati di carne che vogliono iniziare a lavorare in questo settore che non conosce crisi in qualunque contesto economico e sociale. Il lancio di questa innovativa piattaforma è un semplice strumento che permetterà almeno in questa fase iniziale, ai semplici appassionati o ai principianti del mondo della carne, di affacciarsi all’interno di un laboratorio di macelleria e di fare una primissima esperienza visiva pratica della quotidiana realtà con cui avranno a che fare quando entreranno in Accademia o nel mondo del lavoro.

Presto saranno pronti percorsi di formazione a distanza destinati ai professionisti che affiancheranno il già ricco panorama formativo per cui è già ben nota Accademia Macelleria Italiana. Siamo assolutamente legati ad un ricambio generazionale se vogliamo la continuazione di questo mestiere, patrimonio culturale Italiano di cui siamo sempre più orgogliosi. In questo periodo che ha visto in prima linea dei veri e propri eroi al banco della macelleria, abbiamo avuto decine di migliaia di visite al sito di Accademia Macelleria Italiana e si abbassa sempre di più la soglia di età degli interessati. Forse è giunta l’ora di smetterla di ambire al posto da colletto bianco dietro una sterile cassa di uno sportello e tornare a pur faticosi ma passionali mestieri. Enrico Conti Direttore didattico Accademia Macelleria Italiana Membro Federazione Italiana Cuochi Nota Photo © www.accademiamacelleriaitaliana.it

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LETTURE DA SPIAGGIA

LAURA DALRYMPLE GRANT HILLIARD (FEATHER & BONE) The Ethical Omnivore A practical guide and 60 nose-to-tail recipes for sustainable meat eating Murdoch Books, 2020 256 pp. – $ 32.91

Viviamo in un’epoca ricca caratterizzata da una relazione sempre più schizofrenica col cibo: da una parte siamo sempre alla disperata ricerca di conoscenze e informazioni e abbiamo un appetito insaziabile per tutto ciò che lo riguarda; dall’altra, non siamo mai stati così distanti dalla produzione effettiva del nostro cibo. In questo contesto la carne è probabilmente l’ingrediente più controverso e frainteso. The Ethical Omnivore propone una soluzione: vivere con coscienza, ponendo le giuste domande direttamente a chi vende carne o alle aziende e imparare a rispettare l’animale “così tanto da essere disposti a cucinare qualcosa di diverso dal petto di pollo”. Il tutto condito da 60 ricette “dal naso alla coda”, che utilizzino cioè tutti i tagli dell’animale e non solo quelli più pregiati, per un’alimentazione carnivora e sostenibile. >> Link: featherandbone.com.au

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OSCAR FARINETTI Serendipity 50 storie di successi nati per caso Slow Food Editore Collana: AsSaggi 304 pp. – € 15,67 La parola serendipity nasce per definire importanti scoperte nate per caso, mentre si stava cercando altro, ma nel tempo il suo significato si è allargato ad indicare cose straordinarie venute alla luce in modo fortuito, dove il caso è stato uno degli ingredienti fondamentali. In queste pagine OSCAR FARINETTI racconta con grandi protagonisti del nostro tempo le serendipity che riguardano il suo mestiere: quello del cibo. 50 storie di altrettante eccellenze alimentari, ricche di ironia e di spunti di riflessione sul senso della vita, sull’importanza della ricerca continua, su quanto conti non mollare mai, soprattutto nei momenti di grande difficoltà. La nostra preferita? La storia della finocchiona di Sergio Falaschi, macellaio e norcino in quel di San Miniato (PI), che insieme alla sua famiglia, tra laboratorio, macelleria e Retrobottega con ristorazione, porta avanti un mestiere tanto antico quanto in evoluzione, con grande garbo ed estro creativo. >> Link: slowfoodeditore.it


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ATTUALITÀ

Europa, primo continente a impatto climatico zero Lo si farà entro il 2050 con il Green Deal, un progetto fortemente ambizioso che disegna una strategia di crescita sostenibile e inclusiva di Sebastiano Corona

S

ono in arrivo una serie di misure complesse per rendere meno impattanti la produzione di energia e lo stile di vita dei cittadini europei, puntando al contempo ad una società giusta e prospera, in un mercato moderno. È

all’interno di questo enorme piano, destinato a rivoluzionare l’esistenza di privati e imprese, che si svilupperà la riforma del sistema agroalimentare che prende il nome di Farm to Fork. Saranno 27 le iniziative legislative in esso contenute che, con una serie

di obiettivi specifici, affronteranno in maniera complessiva una sfida alla sostenibilità, che è anche un elemento centrale dell’agenda della Commissione per il conseguimento degli obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS) delle Nazioni Unite.

I cambiamenti climatici e il degrado ambientale sono una minaccia enorme a livello globale. Per questo motivo l’Europa ha bisogno di una nuova strategia per la crescita che trasformi l’Unione in un’economia “moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva”: questo è l’obiettivo del Green Deal (photo © Igor – stock.adobe.com). 28

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La strategia “dal produttore al consumatore” parte dal principio che il rispetto dell’ambiente sia strettamente interconnesso ad una produzione alimentare che non gravi sugli ecosistemi. La richiesta viene però anche dal mercato: il consumatore europeo si vuole sentire più “vicino” agli alimenti che utilizza, chiede che siano freschi, di filiera corta, poco elaborati e che provengano da fonti sostenibili. Esigenze, queste, che sono aumentate ulteriormente durante la pandemia. In effetti questa politica è già stata avviata da tempo dall’Unione Europea e ha sinora dato dei risultati apprezzabili. Il cibo dei Paesi Membri mostra infatti nel complesso uno standard elevato ed è divenuto nel tempo, e a ragione, sinonimo di sicurezza e qualità. È ora necessario un ulteriore salto di livello affinché diventi il modello globale più elevato anche in termini di sostenibilità. Un salto che darà all’UE il vantaggio del pioniere e che costringerà anche i concorrenti ad adeguarsi, generando così un circolo virtuoso a beneficio di tutto il globo. Verso un sistema alimentare sostenibile Gli obiettivi posti sono ambiziosi e richiedono investimenti dal punto di vista umano e finanziario, ma promettono rendimenti elevati, creando valore aggiunto e riducendo i costi. Agli agricoltori è offerta la possibilità di una bioeconomia circolare ancora poco sfruttata, nonostante le grandi potenzialità. Le bioraffinerie avanzate, per esempio, che producono biofertilizzanti, mangimi proteici, bioenergia e sostanze biochimiche sono il ponte per la transizione ad un’economia ad impatto climatico zero e la creazione di nuovi posti di lavoro nel primario. La richiesta è anche di ridurre le emissioni di metano, sviluppando la produzione di energia rinnovabile e investendo in digestori anaerobici per la produzione di biogas da rifiuti e residui agricoli, come il letame. Il mondo agricolo, al pari dell’in-

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Saranno 27 le iniziative legislative contenute nella riforma del sistema agroalimentare che prende il nome di “Farm to Fork” e che, con una serie di obiettivi specifici, affronterà in maniera complessiva la sfida alla sostenibilità. dustria alimentare, può produrre biogas da altre fonti di rifiuti e residui, dalle acque nere, da quelle reflue e dai rifiuti urbani. Le case rurali e i capannoni sono spesso ideali per la posa di pannelli solari, non a caso la nuova PAC dà priorità ad investimenti di tale tipologia. Questa ed altre misure similari verranno dunque intraprese per accelerare la diffusione di nuove soluzioni per l’efficienza energetica, senza compromettere la sicurezza dell’approvvigionamento. Sui pesticidi chimici verranno intraprese azioni per ridurne l’uso entro il 2030 di almeno il 50% e al fine di predisporre la strada alle alternative, e mantenere lo stesso livello di reddito degli agricoltori, verranno adottate misure diverse che vanno dagli strumenti di difesa integrata alla promozione di metodi alternativi per proteggere i raccolti da organismi nocivi e malattie. Anche l’eccesso di nutrienti, azoto e fosforo soprattutto, sarà contrastato con la riduzione dei fertilizzanti di almeno il 20% entro il 2030.

In riferimento alle emissioni di gas a effetto serra, la Commissione agevolerà l’immissione sul mercato di additivi per mangimi sostenibili e innovativi e valuterà la possibilità di promuovere le proteine vegetali coltivate nell’UE e materie prime per mangimi alternative, quali gli insetti, le alghe e i sottoprodotti della bioeconomia. La resistenza antimicrobica è un altro problema che si intende affrontare. La Commissione riesaminerà inoltre la normativa in materia di benessere animale, compresa quella sul trasporto e sulla macellazione, valutando anche l’ipotesi di introdurre una relativa etichettatura, per una migliore la trasmissione del valore lungo tutta la filiera. È anche previsto il rafforzamento della vigilanza sull’importazione delle piante e la sorveglianza del territorio. Le nuove tecniche innovative, comprese le biotecnologie e lo sviluppo di bioprodotti, possono contribuire ad aumentare la sostenibilità a condizione che siano sicure per i consumatori e l’ambiente.

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De Castro: la strategia Farm to Fork sta alla base del patto fiduciario tra produttori e consumatori UE. Ma non a qualunque prezzo e in base ad un quadro normativo coerente con la riforma della PAC «Siamo pronti a raccogliere la sfida ambiziosa che ci lancia oggi la Commissione europea con la presentazione delle sue strategie Farm to Fork e Biodiversità, ma non a qualunque prezzo. Si tratta — ha commentato Paolo De Castro, coordinatore S&D alla Commissione Agricoltura del Parlamento europeo (in foto) — dell’inizio di un percorso che deve portare alla creazione di un patto fiduciario tra produttori e consumatori europei basato sulla qualità, la trasparenza e sicurezza dei processi produttivi e dei prodotti che arrivano sulle nostre tavole. Le due comunicazioni, benché non ancora vincolanti — ha spiegato l’eurodeputato PD — ci permettono di lanciare un approfondito confronto sul futuro del nostro sistema agroalimentare, che si concretizzerà nei prossimi 10 anni. Come Comagri lavoreremo affinché ciascuno degli interventi nelle 27 aree legislative identificate dalle due strategie sia basato su una rigorosa analisi di impatto e coinvolga tutti gli attori della filiera senza sminuire il ruolo di co-legislatore del Parlamento UE. Non solo dobbiamo superare la dicotomia assurda che si sta venendo a creare tra la riforma della Politica agricola e le misure derivanti da questa strategia: abbiamo bisogno di integrare questi due processi per garantire ai nostri agricoltori un quadro normativo coerente, onnicomprensivo e certo, non decine di normative differenti da dover rispettare, col rischio che i produttori debbano riadattarsi ogni anno a eventuali modifiche. Siamo anche molto preoccupati — prosegue De Castro — che gli obiettivi di riduzione dell’utilizzo di input produttivi possano pregiudicare la capacità produttiva dei nostri agricoltori: ogni vincolo dovrà essere accompagnato dalla messa a disposizione di strumenti alternativi e in questo senso l’apertura della Commissione alle nuove biotecnologie sostenibili per l’evoluzione assistita delle piante ci fa ben sperare. Non ultimo, ci aspettiamo che gli annunci in merito all’indicazione d’origine si concretizzino in un obbligo europeo per tutti i prodotti agroalimentari, così come l’obiettivo di armonizzare i sistemi di etichettatura nutrizionale sia basato su rigorose analisi scientifiche e non porti a semplificazioni inaccettabili come il Nutriscore, che discriminerebbero le nostre produzioni senza informare correttamente i consumatori e prendere in debita considerazione l’importanza di diete varie e bilanciate. L’Italia è da sempre all’avanguardia su molti dei target di sostenibilità identificati dalla strategia: ora dobbiamo lavorare — ha concluso De Castro — per salvaguardare gli sforzi fatti in questi anni e rafforzarli ulteriormente, in modo da sbarrare il passo all’import di prodotti da Paesi Terzi che impongono standard molto meno ambiziosi dal punto di vista economico, ambientale e sociale».

Gli agricoltori devono avere accesso ad una gamma di sementi di qualità di varietà vegetali adattate alle pressioni esercitate dai cambiamenti climatici. La registrazione delle sementi deve essere facilitata per garantire un più agevole ingresso sul mercato per le varietà tradizionali e per quelle adattate localmente.

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Il biologico verrà incentivato sostenendo il passaggio a questo tipo di pratica, sia sulla terraferma sia negli oceani e nelle acque interne. La Commissione presenterà un piano d’azione che contribuirà a raggiungere l’obiettivo di almeno il 25% della superficie agricola dell’UE investita ad agricoltura biologica entro il 2030 e un aumento signifi-

cativo dell’acquacoltura biologica. Parallelamente, verrà velocizzato il passaggio ad una produzione ittica sostenibile, anche negli stock. È prevista inoltre l’adozione di orientamenti per i piani dei singoli Stati relativamente allo sviluppo sostenibile dell’acquacoltura e un sostegno diretto al settore delle alghe, poiché dovrebbero convertirsi

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in un’importante fonte di proteine alternative per un sistema alimentare sostenibile e per la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare a livello globale. Allo scopo di sostenere i produttori primari nella transizione, la Commissione prevede di chiarire le regole di concorrenza per le iniziative collettive che promuovono la sostenibilità nelle catene di approvvigionamento. Aiuterà infatti gli agricoltori e i pescatori a rafforzare la loro posizione economica e contrattuale nella filiera e a garantirsi una quota equa del valore aggiunto della produzione, anche monitorando l’attuazione, da parte degli Stati Membri, delle disposizioni sulle pratiche commerciali sleali. Altro obiettivo, è quello di garantire la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare, in qualsiasi momento, anche in tempi di crisi, la cui origine può essere di natura politica, economica, ambientale o sanitaria. A causa della sua complessità e del numero di soggetti interessati, la filiera può essere infatti colpita su molti fronti. Un esempio classico è quello recente: la pandemia di Covid-19 ha rischiato di generare interruzioni a livello logistico, carenza di manodopera, perdita di alcuni mercati e il cambiamento dei modelli di consumo. L’esperienza recente ha reso consapevolezza anche dell’importanza del personale dedicato, per questo sarà particolarmente importante attenuare gli impatti socio-economici sulla filiera, garantendo principi e diritti ai lavoratori coinvolti, in particolar modo per ciò che concerne quelli precari, stagionali e non dichiarati. Le considerazioni sulla protezione sociale e sulle condizioni lavorative e abitative dei lavoratori, come pure sulla tutela della salute e della sicurezza, rivestiranno un ruolo fondamentale nella costruzione di sistemi alimentari equi, solidi e sostenibili. Stesso discorso vale per le imprese, alcune delle quali più fragili: sono necessarie pratiche sostenibili anche nella trasformazio-

ne, nel commercio all’ingrosso e al dettaglio, alberghiero e dei servizi di ristorazione. I trasformatori, gli operatori della ristorazione e i dettaglianti influenzano il mercato e le relative scelte alimentari dei consumatori, la tipologia e la composizione nutrizionale degli alimenti, i metodi di produzione e le pratiche di imballaggio, trasporto, merchandising e marketing. A tal fine la Commissione elaborerà un codice di condotta per pratiche commerciali e di marketing responsabili. Imprese e organizzazioni saranno chiamate a realizzare azioni concrete in materia di salute e sostenibilità, riformulando, per esempio, i prodotti alimentari, in modo che siano sani, sostenibili, poco impattanti dal punto di vista ambientale ed energetico, rispettosi dei deboli, espressione di modelli di business circolari, frutto di campagne sui prezzi che non distorcano la percezione collettiva del valore degli alimenti. Inoltre, poiché gli imballaggi alimentari svolgono un ruolo essenziale nella sostenibilità, verrà riesaminata la normativa sui materiali a contatto con gli alimenti, al fine di migliorarne la sicurezza e sostenere l’impiego di soluzioni di imballaggio innovative e sostenibili, possibilmente riutilizzabili e riciclabili e atte a ridurre gli sprechi. Ce n’è anche per le Indicazioni Geografiche, il cui quadro legislativo, ove opportuno, includerà specifici criteri di sostenibilità. Inoltre, con l’obiettivo di rafforzare la resilienza dei sistemi alimentari regionali e locali la Commissione, allo scopo di creare filiere più corte, sosterrà la riduzione della dipendenza dai trasporti a lunga distanza. È fondamentale invertire la tendenza all’aumento dei tassi di sovrappeso e obesità nell’UE entro il 2030. Al fine di migliorare la disponibilità e il prezzo degli alimenti sostenibili e di promuovere regimi alimentari sani nell’ambito della ristorazione istituzionale, verranno determinate le migliori modalità per stabilire criteri minimi per gli

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È prevista l’adozione di un sostegno diretto al settore delle alghe, che può rappresentare un’importante fonte di proteine alternative per un sistema alimentare sostenibile e la sicurezza dell’approvvigionamento alimentare. appalti nel settore alimentare. Ciò aiuterà gli enti pubblici a fare la loro parte in sede di approvvigionamento di scuole, ospedali e istituzioni. Anche gli incentivi fiscali promoveranno la transizione verso un sistema alimentare sostenibile che incoraggi i consumatori ad optare per regimi alimentari sani. La proposta della Commissione sull’IVA, attualmente in discussione al Consiglio, potrebbe consentire agli Stati Membri di utilizzare le aliquote in maniera più mirata, ad esempio per sostenere gli alimenti biologici. La Commissione si è altresì impegnata a dimezzare il depauperamento alimentare pro capite a livello di vendita al dettaglio e dei consumatori entro il 2030, utilizzando una metodologia di misurazione dei rifiuti. E poiché l’interpretazione errata delle diciture “da consumarsi entro” e “da consumarsi preferibilmente entro” causa sprechi alimentari, verranno riesaminate le norme di riferimento. Tolleranza zero, invece, sulle frodi, col rafforzamento dei poteri dell’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF), quelli delle autorità di controllo degli Stati Membri, Europol e altri organismi, anche

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utilizzando i dati dell’UE sulla tracciabilità. La politica commerciale dell’UE dovrebbe contribuire a rafforzare la cooperazione coi Paesi Terzi e ad ottenere da parte loro impegni ambiziosi in settori chiave quali il benessere degli animali, l’uso dei pesticidi e la lotta contro la resistenza antimicrobica. L’UE concentrerà la sua cooperazione internazionale sulla ricerca e l’innovazione in ambito alimentare, con particolare riferimento all’adattamento ai cambiamenti climatici e mitigazione dei loro effetti, agroecologia, gestione del paesaggio e governance fondiaria sostenibili, conservazione e uso della biodiversità, catene del valore eque e inclusive, alimentazione e regimi alimentari sani, prevenzione delle crisi alimentari e risposta alle stesse, in particolare nei contesti fragili, difesa integrata, salute delle piante, salute e benessere degli animali e norme in materia di sicurezza degli alimenti, resistenza antimicrobica e sostenibilità degli interventi umanitari e di sviluppo coordinati. Per ridurre il contributo dell’UE alla deforestazione e al degrado forestale a livello globale, nel 2021

la Commissione presenterà una proposta legislativa e altre misure volte a prevenire o ridurre al minimo l’immissione sul mercato dell’UE di prodotti associati alla deforestazione o al degrado forestale. L’UE applicherà una tolleranza zero nella lotta alla pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, contrasterà la pesca eccessiva, promoverà la gestione sostenibile delle risorse ittiche e rafforzerà la governance degli oceani, la cooperazione in ambito marino e la gestione delle zone costiere. L’UE sosterrà inoltre l’applicazione di norme relative alla fornitura di informazioni fuorvianti. Questo è molto altro ancora è contenuto nel Farm to Fork, di cui vedremo gli effetti da domani in poi. Le reazioni degli addetti ai lavori sembrano tuttavia fredde e aleggia un certo scetticismo. Sono molti i dubbi, soprattutto sul fatto che si tratti di vere e proprie opportunità e non vincoli fini a sé stessi. Una cosa è certa: per ora le alternative non sono tante. Come andrà a finire lo vedremo solo col tempo e man mano che le disposizioni verranno formulate e poi rese applicabili. Ne riparleremo di certo e a breve. Sebastiano Corona

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Coronavirus e agroalimentare, i comportamenti del consumatore Una cosa è certa: questo 2020 lo ricorderemo. I libri di storia lo descriveranno come una linea netta di confine tra il prima e il dopo. Perché, pur essendo solo all’inizio della seconda metà dell’anno, e quindi nell’incertezza di quanto accadrà nei prossimi mesi, le sventure già accadute sono innumerevoli e tutte destinate a lasciare un segno di Sebastiano Corona 34

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Covid-19 e alimentare sono due elementi legati tra loro. La fase del lockdown, ad esempio, ha visto gli Italiani bloccati in casa esprimere la propria creatività in cucina. Sono inoltre emersi nuovi comportamenti d’acquisto, dovuti, in certi casi, alla mancanza di alternative. Ma si tratta di abitudini che potrebbero restare, seppur con minor frequenza. Spicca tra tutti la spesa on-line, che in una certa fase ha segnato incrementi a tre cifre percentuali!

Oggi abbiamo problemi legati ad una recessione improvvisa, senza precedenti nella storia recente, una produzione più debole, una contrazione dei consumi, difficoltà legate all’importazione e all’esportazione… La nuova PAC e la discussione sul nuovo bilancio comunitario acquistano ora maggiore importanza. Mai come oggi insomma l’Europa ha avuto bisogno dell’Europa

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a pandemia non ha portato con sé solo un dramma sanitario, psicologico e sociale. Ha trascinato molti settori nel baratro e sarà causa di una recessione globale, con incidenza più o meno importante a seconda dei Paesi. Ma senza risparmiare nessuno, o quasi. Covid-19 e alimentare sono due elementi legati tra loro. Il primo fatto da smentire, a cui hanno erroneamente creduto soprattutto i non addetti ai lavori, è che il comparto non abbia subito ripercussioni. Non è purtroppo così: la crisi ha investito tutti, seppur in maniera diversa. Rispetto però al rapporto tra cibo e consumatori, a seguito della quarantena si osservano reazioni immediate, prevalentemente limitate al lockdown, e conseguenze destinate a dispiegare i propri effetti nei prossimi mesi, forse nei prossimi anni. Sempre che nel frattempo non subentrino ulteriori elementi. Il timore di una seconda ondata di contagi è infatti palpabile ed è una paura che, da sola, genera incertezza e preoccupazione e porta una contrazione dei consumi, con tutti i risvolti che ne conseguono. La fase del lockdown ha visto gli Italiani bloccati in casa esprimere la propria creatività in cucina. Sono emersi nuovi comportamenti in sede d’acquisto, dovuti, in certi casi, alla mancanza di alternative. Ma si tratta di abitudini che potrebbero restare, seppur con minor frequenza. Spicca tra tutti la spesa on-line, che in una certa fase, e per ovvi motivi, ha segnato incrementi a tre cifre percentuali. Da metà febbraio a metà aprile gli acquisti sul web hanno registrato una media settimanale di aumento del 119% rispetto allo stesso periodo del 2019. Nella settimana di Pasqua l’incremento, secondo NIELSEN, è stato del 178%. Prima della pandemia il 75% degli utenti non aveva mai acquistato del cibo on-line (dati NETCOMM). È chiaro che la paura del contagio, le lunghe file per l’ingresso, l’obbligo di recarsi al supermercato in solitudine e molto altro ancora hanno dirottato verso il digitale. Ma in realtà non sono solo le grandi

piattaforme specializzate ad aver dato il servizio. Anche molti piccoli commercianti, panettieri, macellai, pescivendoli, ristoratori, pasticceri lo hanno fornito, talvolta anche in maniera gratuita. Un segnale importante verso i propri clienti, ma anche una prestazione gradita, destinata a rimanere, seppur in parte. Un modo per gli operatori per fare di vizio virtù e avviare o implementare un servizio che sino a quel momento era magari solo marginale. A proposito di cibo, però, le reazioni alla quarantena sono state anche di altra natura: è cambiata in parte la dieta degli Italiani e molti di loro si sono scoperti cuochi, avendo molto più tempo a disposizione. Un sondaggio del CREA ha indagato su questi fenomeni durante il lockdown, registrando l’aumento del consumo di comfort food, dolci in primis, ma anche di frutta, verdura e legumi, a danno dei prodotti di IV o V gamma. Sono ovviamente aumentati i momenti di condivisione del pasto con i famigliari, ma anche l’attenzione agli sprechi: vuoi per una maggiore possibilità di gestire gli avanzi, vuoi per evitare spese eccessive, considerato che la situazione lavorativa di molti consumatori ha messo a repentaglio le entrate, costringendo a far maggiore attenzione al portafoglio. I bambini sono stati maggiormente coinvolti nelle attività di cucina, mentre gli anziani hanno denunciato maggiori difficoltà a fare la spesa. Nel frattempo le dispense si sono riempite in maniera importante di conserve vegetali e animali, surgelati, (+37%) e inoltre di pasta, riso e farina, il cui consumo è triplicato rispetto al 2019. La settimana di Pasqua ha visto un record degli acquisti di ingredienti per preparare dolci come farina (+213%), lievito di birra (+226), mascarpone (+100%), miele (+68%), burro (+86%), zucchero (+55%) e uova (+54%). È inoltre aumentato il consumo di olio (+18%), pesce fresco (+14% rispetto al +30% della carne) e di

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La paura del contagio, le lunghe file per l’ingresso, l’obbligo di recarsi al supermercato in solitudine e molto altro ancora hanno dirottato gli acquisti verso il digitale. E non solo le grandi piattaforme specializzate hanno fornito questo il servizio; anche molti piccoli commercianti lo hanno fornito, talvolta anche in maniera gratuita. Un segnale importante verso i propri clienti, ma anche una prestazione gradita, destinata a rimanere, seppur in parte (photo © SkyLine – stock.adobe.com). alcolici (vino +15%, birra +10%) rispetto allo stesso periodo del 2019. Altri elementi di interesse sono legati al divieto di spostamenti che ha ovviamente generato la colazione e pausa pranzo a casa, un calo della frequenza della spesa (che però è diventata più pesante) e un decremento delle richieste di cibo da asporto, che ha invece poi ripreso nella seconda fase del lockdown. I pasti veloci fuoricasa sono stati sostituiti da piatti più semplici, preparati sul momento, che solitamente si chiudevano con un frutto, abitudine meno frequente prima della pandemia. E nelle performance degli Italiani ai fornelli, c’è stata una gran riscoperta delle ricette della tradizione. Ma il leggero sovrappeso che in molti, costretti per due mesi sul divano, accusano, è dovuto anche ai ricorrenti spuntini, agli aperitivi, alle merende tra un 36

pasto principale e l’altro e, in generale, all’aumento delle porzioni. D’altronde, si sa, il cibo non è solo nutrimento, ma anche coccola per l’anima: secondo l’OSSERVATORIO IZSVE, il 48% degli intervistati di una recentissima indagine ha alleviato l’ansia con alimenti ricchi di carboidrati. Quasi 1 persona su 2 si è dilettata preparando dolci e 1 su 3 impastando pizze e focacce. È però in contemporanea aumentata la richiesta di panificati e diminuita quella di cibi pronti al consumo. A questa situazione di schizofrenia generalizzata, si aggiunge il fatto che centinaia di migliaia di locali pubblici di somministrazione di alimenti e bevande, bar, ristoranti, pub, pasticcerie, aziende agrituristiche, gelaterie, mense e molte altre attività ancora sono rimaste chiuse per quasi tre mesi. E non hanno sofferto solo loro — molte delle attività non hanno

poi mai riaperto —, ma anche tutti i rispettivi fornitori e l’indotto. Ricordiamo infatti che ci sono imprese di produzione o di servizio che operano in parte o in maniera esclusiva con l’HO.RE.CA. che per oltre 12 settimane sono rimaste al palo e non hanno fatturato un centesimo. A parità di codice ATECO, ci sono aziende che hanno continuato a produrre e vendere senza particolari problemi commerciali e ce ne sono altre che hanno dovuto abbassare le serrande provvisoriamente o definitivamente. C’è un mondo, quello delle cerimonie pubbliche e private, degli eventi, dei congressi e delle manifestazioni in generale che non opera da fine febbraio. Tutte le attività di produzione alimentare ad esse legate, quali catering, banqueting, vitivinicolo, dolciario — pensiamo ai confetti!! — e molto altro ancora Eurocarni, 8/20


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non hanno ad oggi ripreso ad operare. Il turismo è stato immobilizzato per mesi e si riprenderà in maniera apprezzabile probabilmente, solo l’anno prossimo. Ci sono le sagre paesane, le fiere e le manifestazioni artistiche dove alimenti e bevande si ritagliano sempre un loro spazio di vendita, che non torneranno nelle nostre abitudini prima di un anno circa. Un dramma, insomma, che presto potrebbe trascinarsi dietro altri settori, anche solo apparentemente indipendenti da tutto questo. Una crisi diffusa che porta a considerare quello agroalimentare un comparto a rischio di crisi, al di là delle valutazioni della prim’ora. Inoltre, non è detto che il peggio non debba ancora arrivare: siamo di fronte alla più grande recessione dell’ultimo secolo. Le similitudini con la crisi finanziaria globale del 2008 sono numerose; tuttavia, al contrario di quanto accadde allora, lo shock economico si è dispiegato stavolta in poche settimane e non in oltre di 15 mesi. All’epoca si ebbe unicamente un calo della domanda,

oggi si assiste anche ad un crollo dell’offerta, a cui si accompagnano tensioni sui prezzi, legate a movimenti speculativi, turbolenze sui mercati finanziari, erosione di fiducia e incertezza elevata sul futuro, anche perché legata all’evoluzione della pandemia. L’impatto economico è strettamente connesso, oltre che alle restrizioni previste per legge, al comportamento dei singoli che, temendo contagi o problemi ad esso legati, evitano di fare acquisti, riducendo il superfluo come viaggi, uscite e ad altre attività sociali. E per un Paese come l’Italia che basa buona parte della sua economia sui flussi turistici interni ed esterni, una tale compressione degli spostamenti e la conseguente compromissione della stagione estiva, darà risvolti nefasti. Si tratta, inoltre, di azioni e comportamenti che a loro volta si traducono in una riduzione del reddito. Per questo la contrazione a breve può tradursi in una riduzione della crescita anche a medio-lungo termine. Le prime stime sul PIL mondiale le aveva fatte l’OCSE a marzo e da-

Durante il lockdown sono ovviamente aumentati i momenti di condivisione del pasto con i famigliari, ma anche l’attenzione agli sprechi. I bambini sono stati maggiormente coinvolti nelle attività di cucina, mentre gli anziani hanno denunciato maggiori difficoltà a fare la spesa (photo © Kzenon).

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vano un –7,6%, quest’anno, prima di registrare un incremento del 2,8% nel 2021. L’Italia risulterebbe tra i Paesi più colpiti, con un –14% e un recupero del 5-8% nel 2021, insieme a Francia, Spagna e Regno Unito. Un problema in più: in un mercato globalizzato non si può infatti dichiarare “mal comune, mezzo gaudio”, considerato che non si possa contare su una piazza estera forte, soprattutto in un momento in cui i consumatori si riscoprono patriottici e sovranisti. Stavamo iniziando a vedere la luce in fondo al tunnel, dopo la crisi del 2008, quando eccoci di nuovo nel dramma: le misure di contenimento hanno fatto crollare la produzione e anche nella migliore delle ipotesi recentemente ventilate annulleranno i parametri positivi registrati negli ultimi anni. Secondo la CNA, Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della PMI, il crollo della produzione di marzo, scesa del 30,6%, è il dato peggiore in assoluto dal 1990 e non sono possibili raffronti tra l’attuale e altre crisi, compresa quella recente, quando la produzione diminuì del 26,8%, ma in condizioni e in un arco temporale diversi. I principali istituti economici di ricerca hanno presentato delle stime che, pur differenti tra loro, non si discostano in maniera importante l’una dall’altra. Per lo SVIMEZ il lockdown ha già prodotto un danno di 47 miliardi al mese, con incidenza maggiore o minore, a seconda della zona del Paese: 37 al Centro-Nord e 10 al Sud. Il PIL invece diminuirà dell’8,4% per l’Italia tra il –8,5% al Centro-Nord e –7,9% nel Mezzogiorno. Sono decisamente più pessimistiche le previsioni del CERVED che segnala un calo del fatturato tra il 7% e il 18%. In questo scenario a tinte fosche il comparto agricolo sarebbe l’unico a mostrare un segno positivo nei ricavi. Secondo ISMEA, invece, la sofferenza nell’agroalimentare ci sarebbe, ma è da ricondurre principalmente all’industria della

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trasformazione, che ha vissuto e tuttora registra difficoltà logistiche, la carenza di personale e una serie di problemi legati al rispetto delle nuove regole sulla sicurezza che, oltre a generare rallentamenti, implicano anche costi importanti. L’agroalimentare non sarebbe dunque tra i più colpiti dal calo del PIL, sebbene per alcuni settori, zootecnia e parte della trasformazione in primis, ci siano delle criticità, talvolta rilevanti. Non sembrano avere ostacoli il cerealicolo e l’olio d’oliva, bene anche i formaggi, mentre stanno soffrendo carni e vitivinicolo. In generale, in Italia i consumi pro capite presenteranno contrazioni del 9,7% fino al 2023. Sul fronte delle importazioni si registrano riduzioni e il calo del consumo interno sarebbe parzialmente compensato da un aumento dell’export. Il consumo pro capite per le carni risulta in linea o in leggero calo, rispetto alle previsioni pre-Covid, con contrazioni che non superano l’1,5%. Sempre secondo il CREA, è in leggero calo la produzione di carni e, nel caso del comparto avicolo, alla diminuzione della produzione si assocerebbe una contrazione dei prezzi. Per le importazioni, si registrano riduzioni che potrebbero perdurare fino al 2023 per carne di maiale e pollo. Per quest’ultimo, l’andamento delle esportazioni invece, rivisto verso il basso all’inizio del periodo analizzato, ritornerà in linea con le stime pre-crisi solo dal 2024. Sul piano degli scambi internazionali non dovrebbero esserci particolari ripercussioni, anche se si prevede un calo dei flussi, sia in entrata sia in uscita, e, sebbene si tratti di un contesto molto delicato per l’Italia, che dipende fortemente dall’estero, per l’approvvigionamento di materia prima, ma anche per l’esportazione di prodotto trasformato. Sono superati i primi tempi della pandemia quando, essendo uno dei pochi Paesi colpiti, l’Italia ha subito, seppur non in maniera ufficiale, restrizioni commerciali e boicottaggi. Oggi ci sono altri problemi, legati ad una recessione improvvisa, senza precedenti nella storia recente, una produzione più debole, una contrazione dei consumi, difficoltà legate all’importazione e all’esportazione e di conseguenza speculazioni sul nome del made in Italy. E ancora: l’inflazione che si potrebbe generare per effetto dei maggiori costi che tutti gli attori della filiera stanno affrontando. La nuova PAC e la discussione sul nuovo bilancio comunitario acquistano ora maggiore importanza per dotare l’Unione delle risorse e degli strumenti necessari per affrontare il dopo Covid-19, anche nel settore agricolo. Mai come oggi l’Europa ha bisogno dell’Europa. Sebastiano Corona Nota A pag. 34, photo © Alex Ishchenko – stock.adobe.com

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SLALOM

Ricetta per la crisi: fare presto! di Cosimo Sorrentino

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e preoccupazioni che avevamo espresso nei precedenti articoli di questa Rivista in merito alla caduta del PIL sul piano mondiale e su quello italiano in particolare hanno trovato purtroppo conferma da vari istituti internazionali e tra questi il Fondo Monetario Internazionale e l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), i quali, nel loro ultimo recente Economic Outlook, sostengono che il mondo stia vivendo una delle peggiori recessioni dal 1929, aggiungendo che sulla “forza della ripresa c’è molta incertezza”. Si tratta in effetti di una perdita di circa

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12.600 miliardi di dollari, costo che l’economia globale dovrà sostenere nel biennio 2020-2021, costo che il FMI chiama great lockdown, se si guarda alle proiezioni fatte a gennaio scorso, prima che avesse inizio lo sfacelo causato dall’epidemia ancora in atto, quando cioè veniva stimata una crescita mondiale del 3,3% per il corrente anno, mentre ora il PIL mondiale viene dato in calo del 4,9% ed in risalita nel 2021 del 5,4%. Ciò significa che il livello di ricchezza mondiale farà registrare sei punti percentuali sotto il previsto. L’economia dell’Eurozona, invece, perderà il 10,2%, ovvero 2,7

punti percentuali in più rispetto alle stime di primavera. Germania, Francia, Spagna e Regno Unito vengono decimate dalla crisi, crisi che, però, non sta risparmiando nessuno: in particolare la Germania quest’anno fa registrare una contrazione del 7,8% — per poi tornare a crescere del 5,4% nel prossimo anno —, la Francia vede stimato il suo PIL in diminuzione del 12,5%, con un incremento del 7,3% nel 2021, la Spagna prevede una flessione del 12,8%, esattamente come l’Italia, seguita da una risalita del 6% nel prossimo anno.

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Fuori dall’Eurozona il Regno Unito vedrà una caduta del 10,2% quest’anno e una risalita di circa 6 punti nel 2021, gli Stati Uniti potrebbero vedere una contrazione dell’8% quest’anno ed un rimbalzo del 4,5% nel prossimo, il Brasile potrà far registrare una diminuzione del 9,1%, la Russia sarà caricata della diminuzione del 6,6% e l’India del 4,5%; in questo panorama il FMI vede solo la Cina in una situazione migliore, in virtù di una minima crescita dell’1%, situazione pari ai livelli fatti registrare negli anni ’70. La nostra Italia vedrà un calo quest’anno simile a quello previsto dalla Spagna, e cioè il –12,8%; calo molto più severo di quello del 9% circa indicato ad aprile scorso. Il FMI dedica inoltre molta attenzione, sul piano mondiale, sia all’occupazione che al debito pubblico: per la prima vede un impatto negativo con milioni di posti di lavoro persi, molto dei quali già nel secondo trimestre di quest’anno, ed anche l’Italia ne fa le spese. Per ciò che riguarda il debito pubblico va male per tutti e l’Italia non fa eccezione, poiché dopo il quasi 135% del PIL registrato nel 2019, dovrebbe raggiungere quest’anno il 166% del PIL ed il rapporto tra deficit e PIL si assesterà sul 12,7% quest’anno e sul 7% il prossimo. Possiamo un poco consolarci vedendo che anche la Francia supererà il 100% del debito, attestandosi al 126% quest’anno e sul 124% nel 2021, mentre la Spagna farà registrare il 124% nel biennio 2020-2021. Anche l’OCSE non si discosta molto dalla previsione del FMI, sottolineando che il percorso della ripresa resta altamente incerto per tutti, con una marcata differenza con quanto sostenuto dal nostro governo e dalla nostra Banca Centrale. Di fronte alla descritta situazione previsionale si impone, in capo ai governanti delle varie nazioni, un’azione decisa ed oculata per riprendere il cammino della necessaria ripresa, anche tenendo conto degli eventuali agguati che si dovranno temere nei confronti

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del non ancora sconfitto virus, che, indubbiamente, ha contribuito a determinare una situazione già non positiva per quest’anno. A nostro parere il primo imperativo che si impone è, soprattutto per l’Italia, quello di fare presto! Ma mentre sul fronte europeo la situazione si presenta più chiara, pur con le diverse posizioni assunte dai Paesi — quelli cosiddetti “frugali” e quelli “spendaccioni” del Sud Europa per l’erogazione di prestiti o sussidi —, l’incertezza decisionale che non può essere condivisa è quella italiana, che fa registrare continua emergenza, con cassa integrazione incompleta, scarsa liquidità per le imprese e decreti attuativi ancora da definire, senza i quali non si può avere operatività. I cardini principali su cui andrebbero impostate le misure urgenti sono i consumi, gli investimenti e l’import-export: i primi hanno subito una forte riduzione (oltre il 50%) tra il primo e il secondo trimestre 2020, gli investimenti sono diminuiti dell’8% mentre le esportazioni hanno subito una contrazione dell’8%, rispetto al 6% delle importazioni, determinando un passivo della bilancia commerciale. Perciò i primi necessari provvedimenti dovrebbero riguardare i consumi delle famiglie e i loro redditi, con una consistente e duratura riduzione del cuneo fiscale, in modo che possano ripartire, con la creazione di nuovi posti di lavoro, la produzione, i consumi e le esportazioni. Dette tre componenti, valutate e seguite attentamente, potrebbero consentire di far fronte alle necessità di adattamento a seguito delle variazioni dei mercati, nel caso in cui gli stessi impongano l’adozione di necessarie contromisure. Meglio sarebbe abbandonare analisi approssimative e strategie astratte che mal si conciliano con la realtà presente. Non c’è tempo per fumose soluzioni se veramente si vuole uscire dal tunnel creato anche dalla pandemia. Fare presto deve essere l’imperativo per ottenere finalmente la tanto agognata ripresa. Cosimo Sorrentino


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LA CARNE IN RETE

Social di Elena

1. Peter’s Farm, vitello premium Conosci Peter’s Farm? È un brand del Gruppo VanDrie per la carne di vitello certificata premium, proveniente da allevamenti con alti standard di qualità in materia di benessere animale, tracciabilità, sicurezza alimentare e massima trasparenza. Sul sito www.petersfarm.com, nella sezione Our farms, c’è una webcam che mostra in tempo reale i vitelli all’interno degli allevamenti. Il live stream è disponibile anche nell’applicazione scaricabile su smartphone (www.petersfarm.com/app). Che dire? Bravissimi (photo © facebook.com/PetersFarmVeal).

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2. Farmer’s Carni al pascolo È il primo laboratorio di ricerca di carni naturali in Friuli Venezia Giulia. Non è una macelleria, non è una gastronomia. Farmer’s è una filosofia, informazione, benessere e, ovviamente, famiglia. Filosofia perché? “Perché siamo noi stessi a ricercare carne, a valutare solo quelle fattorie che meritano di far parte del nostro gruppo e che seguono la filosofia di allevamento naturale. Andiamo a vedere di persona ed a parlare direttamente con gli allevatori, ci facciamo spiegare il metodo di allevamento che utilizzano, che alimentazione usano e come vengono trattati gli animali e vediamo realmente se rappresentano quello che noi cerchiamo, per poi trasferirle al cliente”. Noi li seguiamo sui social, su facebook.com/farmersmeat e su instagram.com/ farmers_meats

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meat Benedetti

3. Le signore delle carni Il mondo delle carni è tradizionalmente un universo maschile ma non sono poche le figure imprenditoriali femminili che lavorano con passione e successo. Un gruppo di professioniste ha dato vita a Meat Business Women (meatbusinesswomen.org), un’organizzazione internazionale che promuove contenuti, un podcast online e incontri di formazione e di networking per addette ai lavori delle carni. Un esempio? Lo scorso luglio la butcher neozelandese HANNAH MILLER CHILDS (in foto) ha organizzato una serata di degustazione guidata di carni e charcuterie neozelandesi (photo © stuff.co.nz).

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4. Lem, shop di qualità Da oltre 50 anni Lem Carni produce, seleziona e lavora carni per la ristorazione di fascia alta. Oggi i tagli e le razze selezionati da Lem Carni sono accessibili a tutti attraverso il sito lemcarni.shop, ben strutturato nella presentazione del prodotto e nella gestione del carrello di spesa. L’iscrizione alla newsletter consente di ricevere uno sconto sul primo ordine e la spedizione è garantita da mezzi refrigerati con consegna in tutta Italia in 24/48 ore (e gratuita per ordini superiori a 99 euro). Noi li seguiamo anche su instagram.com/lem_carni (in foto un Tomahawk di suino; photo © lemcarni.shop).

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La sfida dell’estate della Butchers Family Group? Unire tutti i macellai del mondo nell’IBC-International Butcher Contest Ale Elaloui e il suo team del Butchers Family Group si sono lanciati in una nuova idea! La community che su Facebook conta oltre 5.600 followers (facebook.com/ButchersFamilyGroup) — per lo più macellai e operatori del mondo delle carni tutti interconnessi nella condivisione di progetti, autoformazione ed esperienze — si è lanciata in una nuova sfida: unire tutti i macellai del mondo in un contest internazionale, ovvero IBC-International Butcher Contest. Questa competizione digitale aperta ai macellai di tutto il mondo si è svolta tra fine giugno e inizio luglio. L’invito era quello di preparare un mini display a tema libero, utilizzando almeno 3 tipologie di carni scelte e riconoscibili. I butcher hanno scattato 3 foto (display intero, la preparazione migliore e il partecipante accanto al display), che non dovevano contenere elementi che potessero far risalire all’autore/ autrice o alla provenienza, pena la squalifica. L’allestimento doveva essere inedito e non poteva essere anticipato sui social prima della votazione da parte dei giudici e del benestare del Butchers Family Group. Molto interessante è stata la scelta di dare respiro internazionale a questa gara, che ha visto coinvolti 8 giudici altamente qualificati e riconosciuti a livello mondiale che hanno votato il miglior display decretando i primi 3 vincitori. Ad Ale è toccata la scelta del miglior preparato. Scorriamo uno ad uno i giudici coinvolti per questa prima edizione dell’IBC-International Butcher Contest 2020: John Dowey, UK Un maestro macellaio con una vita trascorsa a disossare e lavorare la carne nella sua macelleria aperta nel 1936 e operativa oggi nello storico mercato di High Street a Lurgan, Irlanda del Nord. John porta avanti l’attività di famiglia col figlio Simon. Antonis Karamalegkos, Grecia Un macellaio con una forte passione e un grande appetito, con oltre 30 anni di esperienza nella sua macelleria Carnicero di Atene. Antonis si occupa molto di formazione e organizza seminari carnivori per i giovani apprendisti. È membro di Meating Greece 2020, ambasciatore del Bovillage in Grecia ed è tra i fondatori e nel direttivo del Club dei macellai degli artigiani ellenici. Andrea Laganga, Italia Classe 1985, macellaio per tradizione, butcher per passione. Da anni la mission di Andrea è quella di raccontare la vera figura del “macellaio d’Italia”. Col suo blog @Maremma Che Ciccia è considerato il meat blogger italiano. Tra i fondatori della Nazionale Italiana Macellai e referente del World Butcher’s Challenge, Andrea ha partecipato alla prima “battaglia mondiale dei macellai” a Belfast nel 2018, dove l’Italia ha portato la propria tradizione a cospetto del mondo. Shannon Walker, Australia Figura di culto nel mondo delle carni a livello internazionale e organizzatore di eventi unici come le Butchers Wars dei rave carnivori Meatstock (meatstock.com.au), Shannon lavora le carni dal 1985. Oltre alla gestione della propria macelleria, si occupa di formazione con corsi sulla caccia e sulla lavorazione della carne di selvaggina. Philippe Lalande, Francia Grandissimo boucher francese, Philippe a 33 anni ha vinto l’ambito riconoscimento come MOF-Meilleurs Ouvriers de France. Oggi è tra i senior del team francese del World Butcher’s Challenge, l’Équipe de France Boucherie, e vanta una consolidata esperienza nel settore, anche come formatore delle nuove generazioni. Ana Paris Mercadal, Spagna Ecco una signora delle carni, vera artesana charcutera, che per 36 anni ha gestito insieme al marito una macelleria con 6 dipendenti a Balaguer (Lleida), in Catalogna. Anche oggi Ana dedica tempo ed energia per corsi e programmi formativi indirizzati ai macellai e ai norcini del futuro.

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Marcelo Conceição, Brasile Conosciuto da tutti anche come Bolinha, Marcelo è un consulente molto accreditato nel mondo delle carni, con all’attivo 30 anni di esperienza nel settore. Già proprietario del Açougue do Bola a Porto Alegre, oggi Marcelo gestisce insieme al partner Manoel Vargas la Marcelo Bolinha Carnes, fornendo tagli di carne sia a numerosi ristoranti che direttamente ai consumatori finali. Oscar Yedra, Messico/USA Messicano di nascita e statunitense d’adozione, Oscar Yedra è macellaio da oltre 40 anni. È un grande professionista del disosso e del taglio, con all’attivo il podio in numerosi concorsi di macelleria. Mentore per i nuovi macellai e studenti di cucina, ha partecipato alla stesura di diversi libri di cucina e riviste ed è considerato uno dei migliori macellai d’America. Marcello Trentini, Italia Chef travolgente ed artista eclettico, sovversivo e rigoroso. La sua cucina contaminata passa dal piatto della memoria all’invenzione ardita. Oltre ai suoi Magorabin e Casa Mago Cocktail Lounge, Marcello si muove tra l’Italia e il mondo per consulenze, progetti, conferenze e cene a 4 mani. Robert Retallik, Australia Giudice mondiale nelle competizioni dei macellai di tutto il mondo, il super butcher Robert vanta un’esperienza pluriennale. Già capo dei giudici nella categoria Giovani per il WBC, ha vigilato e controllato lo svolgimento dell’IBC. Una figura di forte lustro per questo contest estivo. Ale Elaloui, Marocco/Italia Nato in Marocco 46 anni fa, Ale abita e lavora a Torino da più di 30 anni, dove ha iniziato a fare il macellaio da giovanissimo e, dopo anni di sacrifici e tanta voglia di crescere professionalmente, 13 anni fa ha aperto la sua macelleria insieme alla moglie Piera. Sempre alla ricerca dell’innovazione e delle fantasie (da qui il nome della sua macelleria, Le Fantasie) Ale ha indossato il tricolore nell’edizione 2018 del World Butcher’s Challenge a Belfast con la Nazionale Italiana Macellai e oggi è presidente dell’associazione Butchers Family Group e amministratore del gruppo @corsogratuitopermacellai. Ale è stato l’ideatore di questa gara mondiale. «Ma per portare avanti un progetto come l’International Butchers Contest non potevo non contare anche su validi collaboratori»ha detto Ale. E così Francesca Baiani, Marco Delfini e Tina Cotellessa hanno rinunciato a partecipare al concorso per dare un supporto alla macchina organizzativa dell’evento. Mentre andiamo in stampa con questo numero della rivista la giuria sta decretando i vincitori. Sul numero di EUROCARNI settembre vi racconteremo tutto per bene. >> Link: facebook.com/ButchersFamilyGroup

Japanese Beef, guida al taglio Al link jlec-pr.jp/it/beef/beef-cuttingguide è possibile visionare in varie lingue Japanese Wagyu Beef – A Visual Guide to Efficient Cutting, la guida completa del Japan Livestock Products Export Promotion Council Secretariat (within the Japan Livestock Industry Association) ai tagli e ai brand di manzo giapponese Wagyu, come Kobe, Kagoshima, Miyazaki, Hokkaido e Hida, tutti disponibili presso l’azienda monegasca Giraudi Meats (www.giraudi-meats.com). >> Link: www.giraudi-meats.com jlec-pr.jp/it/beef/beef-cutting-guide

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AZIENDE

CLAI: un sorriso che è territorio, cultura e responsabilità sociale Ufficializzato il rebranding di CLAI, diretto da un gruppo di comunicazione e marketing con una visione e un respiro internazionali. Ne parliamo con Gianfranco Delfini di Elena Benedetti

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A destra: Gianfranco Delfini, direttore marketing del Gruppo CLAI (photo © CLAI). A sinistra: la salsiccia passita di CLAI nasce dalla tradizione rurale e gastronomica della Romagna, prodotta utilizzando carni selezionate magre di suino italiano con la giusta quantità di grasso e insaccata in budello naturale. Caratterizzata dalla facile pelabilità, all’assaggio ha un gusto dolce e rimane tenera e scioglievole al palato. È disponibile sfusa in budello naturale, da 500 grammi, e affettata in vaschetta da 100 grammi circa, e si trova nelle salumerie, macellerie, nei banchi gastronomia e a scaffale nel libero servizio (photo © CLAI).

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gni storia che ha successo segue un percorso di continuo adattamento e cambiamento, in un processo di aggiustamento verso quelle che sono le dinamiche del mercato, le mutevoli tendenze di acquisto dei suoi clienti e, non dimentichiamolo, il contesto nel quale si opera. Questo vale sia per grandi che per piccole realtà. Perché alla fin fine tutti dobbiamo fare i conti con la nostra capacità di mantenere quote di mercato, rinnovandoci giorno dopo giorno, per farci scegliere ancora una volta. C’è una realtà italiana che ha parecchio da raccontare, forte della strada percorsa fino ad oggi e che ha stupito anche uno dei graphic designer più famosi al mondo, giusto per capirci colui che disegnò l’iconica mela di Apple. Ma andiamo con ordine. «Pensi ad una cooperativa di lavoratori agricoli imolesi, operosa da oltre 50 anni e attiva nell’agroalimentare nel settore dei salumi, con una vocazione nella specializzazione del salame, e in quello

delle carni fresche bovine e suine. Immagini che al suo interno si sia lavorato tantissimo per celebrare la propria identità con un’operazione di rebranding pianificata nel 2020 e volta a traghettare l’immagine dell’azienda in un mercato moderno e in evoluzione» mi dice GIANFRANCO DELFINI, direttore marketing del Gruppo CLAI, in una piacevole chiacchierata telefonica ad inizio estate. «Poteva una pandemia globale fermare 545 lavoratori e allentare i progetti multicanale sui quali è stato speso tanto lavoro, risorse e investimenti?». La risposta è ovviamente no! L’intervista con Delfini l’ha confermata, con l’affermazione di un punto forte e chiaro: «a nostro parere ci sono grosse opportunità in questa crisi globale e noi di CLAI abbiamo senza alcun dubbio le risorse per portare novità al settore. La nostra azienda sta lavorando a progetti di forte crescita nel lungo periodo e il rebranding — l’esercizio strategico di ripensare il brand in un’ottica più evolutiva — era ap-

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In alto: il centro direzionale Villa La Babina a Sasso Morelli, Imola, Bologna (photo © CLAI). In basso: CLAI, Cooperativa Lavoratori Agricoli Imolesi, è una realtà che ha come fine la produzione di carne bovina e suina e salumi di qualità. La cooperativa conta 256 soci, sia soci allevatori che conferiscono il bestiame che soci lavoratori che svolgono la loro attività nei vari settori dell’impresa. Oggi CLAI occupa 545 lavoratori ed il fatturato 2019 è pari a 270 milioni di euro (in foto due addetti alla legatura dei salami; photo © CLAI).

punto uno strumento per concretizzare questo percorso di crescita nel miglior modo possibile. In questo modo siamo in grado di trasmettere anche a chi non ci conosce la storia e la realtà di CLAI attraverso nuovi obiettivi di posizionamento di mercato e di vendite».

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E forse, dopo i mesi di chiusura che ci siamo lasciati alle spalle era davvero il momento di portare una proposta positiva. Ma chi è CLAI? «CLAI, Cooperativa Lavoratori Agricoli Imolesi, è una realtà che ha come

fine la produzione di carne bovina e suina e salumi di qualità e lo fa con estrema attenzione e sensibilità» sottolinea Delfini. L’azienda opera principalmente in due stabilimenti: a Sasso Morelli di Imola (BO), in una sede dedicata alla produzione dei salumi, e a Faenza (RA), dove

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sono attive le linee di macellazione e sezionamento dei bovini e dei suini, adottando le procedure operative più avanzate per assicurare il benessere animale e alti standard di qualità nel sistema di trasformazione e lavorazione. I prodotti dell’azienda sono presenti in tutti i canali di vendita e in tutte le regioni italiane e negli ultimi anni CLAI ha esteso la propria presenza sui mercati esteri soprattutto nel comparto dei salumi. Rebranding per costruire un futuro col sorriso Per realizzare la strategia di rebranding che porterà l’identità e la strategia di comunicazione della cooperativa nell’evoluzione del proprio business, CLAI si è affidata all’Università di Milano-Bicocca, per ottimizzare il processo interno di valore, e a ROB JANOFF, uno tra i più quotati graphic designer al mondo, per far emergere nel nuovo logo i valori, l’identità e le distintività della cooperativa: “le nostre persone”, la filiera 100% italiana e la “tradizione e innovazione”. Il nuovo logo di CLAI, presentato ufficialmente nel mese di luglio, è un sorriso, potente strumento del marketing, empatico e diretto. Frutto di un lungo lavoro di scambio con Janoff e il suo team di creativi, volati in Italia per visitare la cooperativa al fine di coglierne l’essenza, il nuovo logo è oggi più che mai la nuova immagine di CLAI. «Per noi la persona è sempre al centro, il che significa che la felicità sta nella realizzazione del proprio io, nell’essere consapevoli del saper fare e nel credere in una comunità di persone» mi dice Gianfranco Delfini. L’idea di felicità torna spesso nelle sue parole. «È un concetto legato al benessere, allo stare bene nel modo più immediato possibile, attraverso l’empatia, il sorriso, la scelta dei prodotti giusti. Quei prodotti di qualità per momenti di qualità da trascorre insieme alla propria famiglia, ai propri amici». Responsabilità sociale e territorio, la forza di CLAI «Ma non dimentichiamoci che

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Questo è il nuovo logotipo che identifica CLAI, reinterpretato dal graphic designer statunitense ROB JANOFF, conosciuto in tutto il mondo per la creazione del logo di Apple. A Janoff CLAI ha riconosciuto la capacità di racchiudere nel nuovo brand i tratti e la storia della loro realtà.

dentro a quel sorriso c’è anche la responsabilità sociale, le materie prime di filiera, i soci allevatori» aggiunge Delfini. «La nostra è una filiera tutta italiana con 140 soci allevatori di bovini e suini. A Faenza curiamo la macellazione e la lavorazione delle carni per il canale tradizionale, oltre alla lavorazione delle cosce e dei salumi. Vede, noi abbiamo gli allevatori che siedono nel consiglio di amministrazione di CLAI e che si fanno sentire! Il pro è che questa è una cooperativa vera. Il contro è che per prendere decisioni ci sono più passaggi ma la forza di questa realtà straordinaria è che tutto viene condiviso». E la condivisione crea visione e forza nella sua realizzazione. «Poi c’è il concetto di una cooperativa attiva sul territorio e questo aspetto è importante per favorire lo sviluppo del nostro mercato locale, della cultura del nostro operare, delle attività benefiche che supportiamo, del nostro ruolo d’impresa. Questo è un qualcosa molto importante e vogliamo comunicarlo». La strategia di CLAI Questo processo strategico di nuova immagine aziendale su quali presupposti fonda il proprio prodotto? «Per prima cosa deve essere un prodotto buono, di qualità, italiano

— come tutte le nostre carni —, proveniente da una filiera controllata e tracciata e, non ultimo, socialmente responsabile» mi risponde di getto Gianfranco Delfini. «Oggi di che cosa ha bisogno il nostro cliente? Ce lo chiediamo tutti i giorni: bisogna capire le occasioni d’uso sia in termini nuovi che aggiuntivi e lavorare sui nuovi prodotti». Come ad esempio i salumi senza conservanti, «vera esaltazione della materia prima», o soluzioni nuove, lavorazioni uniche («come il nostro Salame Milano che sta nelle celle di stagionatura 15 settimane!»). CLAI è sul mercato da 10 anni: «oggi siamo 545 persone, 150 in più rispetto allora. A parte una manciata di persone — tra le quali il sottoscritto — i nostri uomini e le nostre donne sono tutti del territorio, cresciuti a pane e CLAI come sento sempre ripetere. Anche per questo la responsabilità sociale è una nostra priorità, sia nella selezione delle materie prime che nel processo produttivo». Quella di CLAI è una bella storia tutta italiana, autentica, fatta di persone e di relazioni e di una coerenza che non scende a compromessi per sacrificare la qualità. Elena Benedetti >> Link: www.clai.it

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MARR celebra i 15 anni di quotazione in Borsa MARR Spa ha da poco celebrato l’entrata nel sedicesimo anno dalla quotazione in Borsa (segmento STAR) avvenuta nel giugno 2005. Una nota della società, leader assoluto in Italia nella distribuzione al foodservice, spiega “che in questi anni la società ha raggiunto molti traguardi, qualitativi e quantitativi, e lo stimolo, per continuare a rafforzare ed accrescere la propria posizione di leadership sul mercato delle forniture alla ristorazione extradomestica, è immutato”. In effetti, in una video-grafica pubblicata nell’homepage del sito aziendale (www.marr.it), MARR ricorda che oggi ha 45.000 clienti e in 15 anni la capitalizzazione di Borsa è triplicata, i ricavi sono raddoppiati, la quota di mercato è passata dall’8 al 16% e che in 20 anni la società del gruppo Cremonini ha realizzato 22 acquisizioni. Risultati che permettono di affrontare la pandemia con una fiduciosa visione di lungo periodo. “Il particolare momento storico attuale — prosegue la nota —, che a causa della pandemia ha significativamente colpito le attività della ristorazione e del turismo, trova MARR preparata a rispondere alle esigenze del proprio Mercato di riferimento, come ha sempre fatto dalla sua nascita oltre 45 anni fa e come ha dimostrato di saper fare negli ultimi 15 anni. Il 2020 sarà certamente un anno difficile, con riflessi sull’andamento del titolo, ma i risultati che la società sta registrando nelle ultime settimane sono confortanti e confermano il graduale trend di riallineamento già ipotizzato e comunicato al mercato. I positivi risultati conseguiti anche nel recente passato sono una conferma della capacità di Marr di superare le difficoltà e questo anniversario è certamente uno stimolo per continuare a migliorare anche attraverso nuovi paradigmi che vedono centrali la digitalizzazione e la sostenibilità”. Il positivo andamento della performance operativa di MARR dalla quotazione si è riflesso sull’andamento del titolo che è passato dai 6,6 euro dell’IPO a circa 20 euro a fine 2019 con un rendimento totale effettivo arricchito da significativi dividendi (circa il 4% annuo di dividend yield) a fronte di un mercato (Ftse Mib) che nello stesso periodo ha registrato una flessione del 27%. Il titolo ha ovviamente risentito dell’impatto del lockdown sulla ristorazione, ma ha già dato significativi segni di ripresa dopo le prime riaperture. «I risultati di questi 15 anni — sottolineano l’AD FRANCESCO OSPITALI e il presidente UGO RAVANELLI (in foto) — sono stati ottenuti attraverso un impegno costante e determinato da parte di tutta l’organizzazione, donne e uomini, della società; una risorsa che, attraverso la propria competenza e specializzazione, è in grado di garantire la continuità della performance e della crescita». >> Link: www.marr.it

Ugo Ravanelli e Francesco Ospitali, rispettivamente presidente e AD di Marr Spa.

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INFO ALLE IMPRESE

Contributi a fondo perduto

Regione Toscana Finanziamenti a fondo perduto del 40% – Settore agroalimentare Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale (FEASR) 2014–2020 Bando misura 4.2.01 Sostegno delle imprese agroindustriali di trasformazione e/o commercializzazione di prodotti agricoli: bovini, suini, avicoli, cunicoli, funghi, ortofrutticoli, olive, uve, lattiero caseario, cerealicoli, sementiero, piante officinali, florovivaismo

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al 15 giugno 2020 è operativo il bando dei settori in oggetto: gli interessati possono presentare la domanda di contributo entro il 30 settembre 2020 per investimenti da realizzare nelle annate 2020-2021 per: 1. acquisto di macchine e attrezzature di lavorazione, trasformazione, confezionamento; 2. impianti tecnologici di servizio alla attività di trasformazione dei prodotti; 3. acquisto di celle frigorifere per l’utilizzo nei vari settori; 4. analisi di controllo laboratorio; 5. investimenti per la produzione di energia da fonti rinnovabili ad esclusivo uso aziendale;

6. investimenti con hardware e software per la gestione operativa dell’azienda ed al commercio; 7. attrezzature per il personale “spogliatoi, mensa, servizi igienici, ecc…”; 8. spese generali per consulenze tecniche di gestione dell’iniziativa. Per approfondimenti, siamo a disposizione per visite. Contattateci.

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INTERVISTE

Carne bovina, bene i consumi, negativo il mercato: intervista a Giuliano Marchesin Il direttore di UNICARVE traccia una panoramica a tutto campo dell’attuale situazione di un comparto con grandi potenzialità di crescita. Ancora troppo elevata, però, è la percentuale di carne importata dall’estero: il 47% del fabbisogno nazionale di Anna Mossini

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l comparto della carne bovina italiana è in grande sofferenza. Non tanto per i consumi, che, come afferma GIULIANO MARCHESIN, direttore di UNICARVE, Associazione

Produttori Carni Bovine del Triveneto (www.unicarve.it) vanno bene. Quanto per il mercato, per la redditività degli allevatori. La recente emergenza sanitaria da Covid-19 e

la conseguente chiusura del canale HO.RE.CA. non hanno influito più di tanto, perché nel segmento della ristorazione i consumi riguardano in maggioranza carne di provenienza estera. Il quadro, però, è complesso a causa di una frammentazione della filiera e, non ultime, di campagne mediatiche che ciclicamente attaccano gli allevamenti intensivi. «Gli allevatori di bovini da carne italiani portano ogni anno all’estero oltre 1 miliardo di euro per acquistare i ristalli da ingrassare» ha affermato Marchesin durante la recente assemblea annuale dell’associazione. «Solo il 53% del fabbisogno nazionale di carne bovina è prodotta in Italia, ben il 47% arriva dall’estero: in pratica, 1 bistecca su 2 è straniera». La filiera che non c’è

Giuliano Marchesin, direttore di Unicarve.

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Direttore, come stanno andando i consumi di carne bovina in Italia? «I consumi stanno andando bene, è il mercato del bovino da carne a segnare il passo. Purtroppo il settore sconta l’individualismo che ancora impera nei primi due anelli della filiera: la produzione e la trasformazione. Allevatori e macellatori pensano troppo spesso di essere un po’ i primi della classe e, anziché cerca-

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re di collaborare per migliorare le condizioni di mercato di entrambi, optano per una gara al ribasso pensando di recuperare quote che, però, da anni a questa parte anziché aumentare diminuiscono. Attualmente importiamo il 47% del fabbisogno nazionale di carne bovina, uno 0,7% in più dell’anno scorso. Spesso davanti a queste percentuali si preferisce parlare di filiera, che purtroppo dal mio punto di vista non esiste perché anziché confrontare i dati delle contrattazioni in cui ognuno inevitabilmente tira l’acqua al suo mulino, si dovrebbe partire dal riconoscimento dei costi di produzione. Oggi la remunerazione è a cascata: la Grande Distribuzione Organizzata paga in base ai listini dei prezzi di mercato che arrivano da tutta Europa e anche da Oltreoceano; questo induce i macellatori a corrispondere agli allevatori un prezzo che garantisce solo a loro, però, dei margini economici. Se esistesse invece un’autentica filiera le cose andrebbero diversamente: ci sarebbe una corretta remunerazione che, a sua volta, genererebbe un reddito per tutti gli anelli produttivi evitando a qualcuno di rimetterci in termini di redditività». Quindi dobbiamo ritenere che la debolezza della filiera sia un problema “atavico”, soprattutto per gli allevatori? «Assolutamente sì. Ma basterebbe poco per invertire il trend. Sarebbe sufficiente che gli allevatori utilizzassero gli strumenti che la PAC mette loro a disposizione. Ovvero, far funzionare le Organizzazioni di prodotto e le Associazioni di organizzazioni produttori per poter gestire il mercato dei bovini da carne e condizionarlo, partendo proprio dai costi di produzione». Ad esempio? «Il Regolamento europeo 1308/2013 di riconoscimento delle Organizzazioni di prodotto e delle loro Associazioni prevede che gli statuti possano stabilire degli obblighi da far rispettare a tutti gli aderenti. Gli allevatori che aderi-

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Consorzio Sigillo Italiano è un brand nato per aiutare i consumatori a riconoscere le produzioni di qualità degli allevatori italiani. Il marchio si riconosce per una grande Q con al centro l’Italia, cerchiata dal tricolore della bandiera. Sono gli allevatori italiani ad averlo ideato e costituito un Consorzio per promuoverlo e comunicarlo ai consumatori, che riconoscono al made in Italy una marcia in più sotto il profilo della qualità e della sicurezza alimentare. >> Link: sigilloitaliano.it

scono a queste forme associative dovrebbero concordare un listino prezzi, per categorie di bovini, stabilendo un minimo sotto al quale non andare, pena una sanzione pari al doppio dei centesimi di ribasso del valore del capo. Lavorando sulla qualità del bestiame e della carne prodotta, oltre che sulla tracciabilità, il settore tornerebbe in attivo, consentendo agli imprenditori di reinvestire in azienda per migliorare il benessere animale, la gestione dei reflui e la biosicurezza a tutto vantaggio dell’ambiente, degli animali e dei consumatori». L’importanza di un marchio Qual è stato l’andamento del mercato durante il periodo di emergenza sanitaria Covid-19? «All’inizio, quando la stampa ha iniziato a seminare terrorismo con le immagini degli scaffali vuoti nei supermercati che tra i consumatori più impressionabili ha innescato la corsa all’accaparramento delle merci, il nostro settore ha registrato un raddoppio delle macellazioni. Poi i consumi si sono stabilizzati, registrando comunque una tendenza positiva, poiché abbiamo risentito poco della chiusura dei canali HO.RE.CA. in quanto, ed è noto, quasi il 90% della ristorazione pubblica e privata consuma carni estere che da sempre sono in vendita a prezzi più competitivi rispetto alle nostre. Diverso invece il discorso relativo agli acquisti delle famiglie, grazie alle quali, come dicevo all’inizio, i consumi sono aumentati.

A questo proposito vorrei sottolineare un aspetto per me di grande soddisfazione. Nel novembre dello scorso anno abbiamo introdotto il marchio Consorzio Sigillo Italiano su confezioni di carne bovina italiana commercializzata da una delle più importanti catene della GDO nazionale. Il trend è stato da subito molto positivo, ma, soprattutto, durante il periodo di lockdown, gli acquisti di carne a marchio Consorzio Sigillo Italiano sono aumentati del 15%». Quanti sono gli allevamenti che hanno aderito al Consorzio Sigillo Italiano e a quanto ammonta la consistenza totale dei capi? «I capofiliera sono in costante aumento poiché inizia a farsi strada il concetto di dare un nome alla carne per farla riconoscere ai consumatori attraverso il marchio del Consorzio Sigillo Italiano. Attualmente contiamo cinque Organizzazioni aderenti al Disciplinare di produzione del Vitellone e della Scottona allevati a cereali per un totale di oltre 600 allevamenti certificati e circa 230.000 bovini prodotti. Seguono poi i Disciplinari del Fassone di razza Piemontese, con oltre 150 allevamenti certificati pari a circa 30.000 bovini. È in fase di ultimazione il Disciplinare di produzione del Bovino Podolico al pascolo, dell’Uovo+ Qualità ai cereali e del pesce di Acquacoltura sostenibile». Quali sono le iniziative che il Consorzio Sigillo Italiano sta mettendo in campo per promuovere la carne bovina prodotta in Italia, soprattutto in questo periodo?

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ANABIC, l’impegno di un’associazione per valorizzare la biodiversità Chianina, Romagnola, Marchigiana, Maremmana e Podolica: sono cinque le razze che afferiscono all’ANABIC (Associazione nazionale allevatori bovini da carne, www.anabic. it) e tre di loro, la Chianina, la Romagnola e la Marchigiana, fanno parte del Consorzio del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale Igp. Razze autoctone, legate al territorio di origine, di qualità e, soprattutto per la Chianina, di grande richiamo, ma spesso confinate a produzioni non sufficientemente valorizzate e per questo meno apprezzate da un punto di vista commerciale. «Il lungo periodo di lockdown, con la chiusura del canale HO.RE.CA., ha penalizzato anche il consumo delle carni bovine prodotte dalle cinque razze che rappresentiamo» spiega STEFANO PIGNANI, direttore di ANABIC (in foto) — con una domanda che, ad eccezione della Chianina che ne ha risentito meno, si è ridotta del 5% e una contrazione dei prezzi che in generale non è stata inferiore al 10%, percentuale che invece, ancora per la Chianina, non è andata oltre il –3-4%. Con la riapertura dei ristoranti e degli agriturismi, dove spesso sono presenti piccoli allevamenti di queste razze, la situazione si è un po’ risollevata, ma la pesantezza del mercato che già registravamo nel periodo pre-Covid, accentuatasi con l’epidemia, oggi fa ancora sentire i suoi effetti e per molti allevatori, soprattutto quelli che producono bovini di razza Romagnola e Marchigiana, andare avanti a volte è complicato. Per invertire questa tendenza, che con l’andare del tempo potrebbe pregiudicare la sopravvivenza di un patrimonio zootecnico che è un po’ l’emblema della biodiversità, stiamo lavorando per individuare le strategie più efficaci per promuovere e far conoscere le caratteristiche di queste razze partendo dal loro legame al territorio e alla storia che caratterizza la loro produzione». Dal legame col territorio al miglioramento genetico tutto si tiene Promozione, comunicazione, valorizzazione, miglioramento genetico. Sono questi i pilastri su cui fondare il rilancio di queste razze secondo il direttore di ANABIC. «Oltre il 70% dei capi allevati vive allo stato brado o semibrado» afferma ancora Pignani. «Per noi questo aspetto è un valore che va comunicato, enfatizzato, attraverso il quale è possibile raccontare cosa rappresentano queste razze per i territori dove vengono allevate. Ma la biodiversità può trovare un valido alleato anche e soprattutto nella ricerca scientifica finalizzata al miglioramento genetico delle razze, nell’individuazione di razioni alimentari in grado di migliorare l’accrescimento del bestiame, ridurre le emissioni, favorire un miglior benessere animale che a sua volta produce una condizione sanitaria soddisfacente e tale da limitare l’utilizzo dei farmaci, in primis gli antibiotici. In pratica, stiamo lavorando ad un progetto virtuoso che vogliamo ci conduca al riconoscimento dell’Indice genetico di sostenibilità di queste razze. Le potenzialità per conquistare le ampie fasce di mercato nazionale oggi appannaggio di produzioni importate ci sono tutte, occorre saperle sfruttare mescolando la tradizione con l’innovazione. Un percorso magari complesso e non sempre facile, nel quale però crediamo e per il quale stiamo sfruttando tutte le migliori condizioni operative per raggiungere gli obiettivi fissati». A.Mo.

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«Con le OP UNICARVE e SCALIGERA abbiamo partecipato al Bando del PSR Misura 3.2 della Regione Veneto per un totale di oltre 400.000 euro da destinare alla comunicazione verso i consumatori attraverso campagne promozionali, spot televisivi e attività nei punti vendita. Purtroppo i tempi di approvazione dei progetti, che inizialmente dovevano essere presentati a inizio anno, sono slittati a causa dell’emergenza sanitaria, quindi dobbiamo attendere il 19 agosto, termine ultimo stabilito per le graduatorie regionali al fine di conoscere l’esito e iniziare con le attività legate alle varie iniziative». Strategie efficaci In un recente webinar promosso da un’importante industria farmaceutica, lei ha affermato che nel pre-Covid le vendite di carni a marchio Consorzio Sigillo Italiano erano molto positive, mentre durante il lockdown si era registrato un calo di 10 cent./kg: com’è oggi la situazione? «Praticamente, per le ragioni che dicevo prima in merito alla gestione del mercato dei bovini da carne e all’assenza di una vera filiera, i 10 centesimi in meno sono diventati 30: siamo infatti passati da 2,60 €/kg pagati per un bovino di razza Charolaise — cifra che copriva i costi di produzione — a 2,30 €/kg in nemmeno due mesi, con una perdita secca per capo di oltre 200 euro. Il dramma è che nei punti vendita le bistecche non hanno subito nessun calo di prezzo in proporzione allo stesso valore e l’unica spiegazione per giustificare questa situazione di mercato riguarda l’abbondanza di carne estera importata, con la GDO che approfittando della situazione a lei così favorevole, ha acquistato mezzene provenienti dalla Francia e dalla Polonia a quasi 50 cent./kg in meno rispetto a quelle italiane». Per amore o per forza nei prossimi mesi gli Italiani si recheranno meno all’estero: è utopistico pensare che questa situazione potrà favorire un aumento

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dei consumi interni e, di conseguenza, ridurre, seppur gradatamente, la quota di carne importata? «Credo che per reciprocità di condizioni, considerate le limitazioni agli spostamenti rese difficoltose da regole a volte assurde, se in Italia non arriveranno i milioni di turisti che popolavano le nostre città d’arte, le spiagge, i laghi e le montagne, il consumo di carne bovina nazionale non sarà destinato ad aumentare, considerato anche che nel periodo estivo i consumi di questa tipologia di prodotto da sempre subiscono una forte riduzione». È concreto il rischio che alcuni allevamenti siano destinati a chiudere? «Se questa situazione di mercato e il disinteresse delle istituzioni verso la zootecnia bovina da carne dovesse continuare sarà inevitabile la chiusura di molte stalle, con un conseguente calo delle produzioni». Perché cita le istituzioni? «Da tempo abbiamo chiesto una revisione del DM 4 marzo 2011 che ha istituito il Sistema Di Qualità Nazionale Zootecnia (SQNZ) ma, a tutt’oggi, non abbiamo ricevuto nemmeno un cenno di risposta. Analoga la situazione relativa alla certificazione sul benessere animale: il Ministero della Salute ha deciso di chiudere un ciclo di valutazione basato sul metodo del CReNBA (Centro referenza nazionale benessere animale di Brescia) passando al Classyfarm, un progetto finanziato dalla Commissione. Ebbene, a distanza di quasi 3 anni dall’avvio stiamo ancora aspettando che il dicastero della Salute e delle Politiche Agricole si mettano d’accordo su come gestirlo e renderlo utilizzabile per gli allevatori. È quindi evidente che, oltre al Covid-19, siamo costretti, da anni, a fare i conti con una burocrazia ministeriale che non ha assolutamente i tempi dell’imprenditore che ogni mattina si alza, alimenta i suoi bovini e se riesce a venderli a un buon prezzo guadagna, altrimenti rischia del suo.

Purtroppo l’amara considerazione che mi sento di fare è questa: chi ogni mese può contare su uno stipendio sicuro difficilmente riesce a mettersi nei panni di chi fa impresa. Questo è il male oscuro che blocca il nostro Paese, leader per la qualità delle sue produzioni ma fanalino di coda nella gestione amministrativa dello Stato». Futuro incerto Quali sono le grandi differenze che separano gli allevatori italiani da quelli degli altri Paesi rendendoli meno competitivi? «Faccio un esempio banale ma concreto. Il controllo della sicurezza alimentare e della salute dei bovini in Italia è affidato ai veterinari pubblici, mentre il Ministero delle Politiche Agricole ha altri compiti di gestione della politica agricola. In Francia, invece, i controlli vengono svolti da veterinari assunti dal Ministero dell’Agricoltura: ovvero, controllore e controllato sono praticamente la stessa persona. Altro problema: il benessere animale nei Paesi dell’Est può essere paragonato a quello presente nei nostri allevamenti? Personalmente ho dei dubbi. Gli allevatori italiani a questo riguardo hanno fatto e continuano a fare ingenti investimenti per rispettare quanto prevedono i Disciplinari certificati da organismi terzi: possiamo dire lo stesso per altri Paesi?». Qual è la sua prospettiva sul futuro del comparto? «Se allevatori e macellatori decideranno di saldare i primi due anelli della filiera, con i primi impegnati a utilizzare gli strumenti che la Pac mette loro a disposizione, il futuro potrà essere positivo e faciliterà la creazione di una vera filiera italiana della carne bovina. Questo potrebbe favorire la nascita di nuove aziende e l’ammodernamento tecnologico di quelle esistenti per un percorso virtuoso verso la sostenibilità totale del nostro sistema di allevamento protetto». Anna Mossini

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COMUNICARE LA CARNE

La carne rossa made in Britain NFU Cymru smonta, uno ad uno, i 9 falsi miti che circolano in rete (e non solo) sulle carni rosse e i latticini

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La carne rossa e i latticini made in UK sono il prodotto di uno degli standard di benessere e sostenibilità più elevati a livello mondiale dal punto di vista del rispetto ambientale. Inoltre, la carne rossa e i latticini svolgono un ruolo chiave in una dieta equilibrata come fonti di nutrienti essenziali che difficilmente si possono ottenere da altre fonti

Oltre 11.000 produttori di latte e 23.600 produttori di carne bovina e ovina nel Regno Unito sono associati al Red Tractor Assurance, ente certificatore che promuove e regola la qualità degli alimenti in Inghilterra, Irlanda del Nord e Galles con garanzie in ottica ambientale e di benessere animale

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a filiera britannica delle carni rosse e del latte ha una grande storia da raccontare. Una storia che spesso viene adombrata dalla comune tendenza a descrivere l’agricoltura come un qualcosa di omologato a livello mondiale, mentre così non è. National Farmers’ Union of Cymru (NFU CYMRU), l’unione nazionale degli allevatori gallesi, ha recentemente pubblicato un documento dal titolo “The facts about British red meat and milk”, che va a smontare alcuni dei principali miti e idee sbagliate sulla produzione britannica di carne rossa e latticini. «L’obiettivo è quello di informare il consumatore — dati scientifici alla mano — sull’impatto effettivo che carne e latticini hanno sull’ambiente, nonché evidenziare l’importanza della carne rossa e dei prodotti lattiero-caseari come parte di una dieta equilibrata, oltre della salute e delle norme di benessere animale a cui gli allevatori britannici sottostanno con piani di certificazione» sottolinea JEFF MARTIN, responsabile AHDB Italia – Agriculture and Horticulture Development Board. Non tutta la produzione di carne rossa nel mondo è la stessa In Gran Bretagna, la maggior parte del bestiame è allevata a pascolo, in estesi appezzamenti di terra nei quali l’alimentazione degli animali è principalmente a base di erba. Secondo la Commissione Governativa sui Cambiamenti Climatici (UK Committee on Climate Change, 2020), le emissioni di gas a effetto serra derivanti dalla produzione di carne bovina britannica rappresentano circa la metà della media globale. Gli agricoltori britannici sono molto orgogliosi dei loro elevati standard di produzione e mirano ad allevare bestiame da carne e da latte nel massimo rispetto delle indicazioni relative al Climate Change, al fine di raggiungere nel 2040 emissioni nette di gas a effetto serra pari a zero. Ricordiamo poi che la carne rossa e i latticini made in UK sono il prodotto di uno degli standard di benessere e sostenibilità più elevati a livello mondiale dal punto di vista

del rispetto ambientale. “I nostri pascoli estesi forniscono l’habitat per la fauna selvatica, mentre quelli gestiti indoor assorbono l’anidride carbonica dall’atmosfera e la immagazzinano” scrive NFU Cymru. “Una considerazione chiave quando si acquista la carne dovrebbe essere se è stata prodotta con gli stessi elevati standard di benessere animale e ambientali della carne britannica. La carne rossa e i latticini svolgono un ruolo chiave in una dieta equilibrata come fonti di nutrienti essenziali che difficilmente si possono ottenere da altre fonti. Attualmente, il 98% delle famiglie britanniche acquista latte, mentre il 91% delle famiglie britanniche consuma regolarmente di carne rossa”. I consumatori sono orientati ad acquistare carne e prodotti lattierocaseari locali, prodotti in modo sostenibile, e la maggior parte dei rivenditori si rivolge ai prodotti UK per far fronte alla domanda interna. Il Regno Unito è autosufficiente nella produzione lattiero-casearia per circa l’85% e il 75% nella produzione di carne bovina, mentre sale al 98% per l’agnello. Oltre 11.000 produttori di latte e 23.600 produttori di carne bovina e ovina nel Regno Unito sono associati al Red Tractor Assurance (www.redtractor.org.uk), l’ente certificatore che promuove e regola la qualità degli alimenti in Inghilterra, Irlanda del Nord e Galles con garanzie in ottica ambientale e di benessere animale. FALSO MITO 1 La zootecnia da carne e da latte UK è la principale fonte di emissioni di gas serra Nel 2017 le emissioni totali di gas serra prodotte dal Regno Unito sono state 460 milioni di tonnellate (mt) di CO2. Di queste, quelle generate dal comparto zootecnico sono state pari al 10% delle emissioni totali del Regno Unito. Bovini e ovini hanno rappresentato il 5,7% delle emissioni totali del Regno Unito. Che cosa significa? Che manzo e agnello britannici sono tra i più efficienti e sostenibili al mondo grazie alla vasta disponibilità di terreni adibiti a pascolo naturale. Inoltre, misure come l’uso di additivi per

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Il pascolo ben gestito produce cibo e fibre e mantiene il terreno coperto di vegetazione. Ciò migliora la conservazione dell’acqua e la qualità del suolo, prevenendo l’erosione e favorendo la conservazione degli habitat faunistici (in foto, ovini al pascolo presso Keepers Lake a Brecon Beacons in Galles; photo © Stephen Davies – stock.adobe.com). mangimi naturali, una crescente attenzione alla salute e al benessere di bovini e ovini e l’implementazione di specifici programmi di allevamento consentiranno agli animali di diventare più efficienti e contribuiranno a ridurre ulteriormente le emissioni di metano dal bestiame. I pascoli gestiti attivamente rappresentano anche un buon immagazzinamento di carbonio, così come le siepi che separano i campi. Se questa terra fosse destinata ad altri usi, gran parte di quel carbonio rischierebbe di andare disperso nell’atmosfera come anidride carbonica. In tal senso alcuni studi hanno evidenziato che i terreni agricoli e di pascolo potrebbero essere considerati un dissipatore di

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carbonio più affidabile rispetto alle zone boschive. Le ricerche citate e documentate da NFU Cymru sottolineano l’importanza dei miglioramenti nella produttività del bestiame al pascolo al fine di ridurre significativamente l’impatto sul riscaldamento climatico dell’attuale zootecnia da carne e da latte made in UK. FALSO MITO 2 La zootecnia da carne e da latte fa male all’ambiente Il bestiame svolge un ruolo chiave nella manutenzione e valorizzazione degli habitat faunistici. Qualche esempio? Il ruolo del pascolo, la chiave per conservare lo stato di molti habitat naturali come habitat

come i prati calcarei e le brughiere montane. Il bestiame svolge un ruolo importante nel mantenimento e nella valorizzazione dei terreni utilizzati per le colture. Lo sviluppo di prati di erba e trifoglio, oltre alla rotazione di seminativi, portano benefici alla salute del suolo e alla fertilità dei terreni grazie al letame da pascolo del bestiame che aumentare la materia organica. FALSO MITO 3 I terreni adibiti a pascolo potrebbero essere utilizzati per la coltivazione agricola Il clima del Regno Unito è ideale per la produzione naturale di erba e foraggi. Circa il 65% dei terreni

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agricoli nel Regno Unito è più adatto alla produzione di erba piuttosto che ad altre colture. “Se non facessimo pascolare il bestiame su questi terreni non potremmo ricavare cibo alternativo”. FALSO MITO 4 Bovini e ovini britannici mangiano colture che potrebbero invece essere destinate all’alimentazione umana Circa il 70% della dieta tipica di una mandria di bovini britannici è composta da erba, col restante 30% costituito da sottoprodotti, insilato e cereali, provenienti da colture che non sarebbero mai utilizzate nella catena di approvvigionamento alimentare umana. L’87% delle carni bovine del Regno Unito viene quindi prodotto prevalentemente da una dieta animale a base di foraggio. Ciò cosa significa? Che la produzione di carne bovina nel Regno Unito non è certo causa di deforestazione come avviene invece in altre parti del mondo. L’apporto di una piccola quantità di cereali, oppure colture proteiche, nell’integrazione della dieta di bovini e ovini a base di foraggio consente di ricavare una maggiore quantità di proteine nel prodotto. FALSO MITO 5 La sostituzione di carne e latte con alimenti alternativi abbasserà la mia impronta di carbonio Non tutti i modelli di produzione delle carni rosse sono i medesimi: la considerazione che va fatta è sull’origine dell’allevamento e su quali standard ambientali e di benessere animale sono stati applicati. Ed è qui che la carne bovina britannica ha una grande storia da raccontare: secondo l’ultimo rapporto del 2020 dalla Commissione Governativa per i Cambiamenti Climatici, le emissioni di gas serra prodotte dalla carne bovina britannica sono circa la metà la media globale. Ogni tipo di produzione alimentare genera un impatto sull’ambiente e la zootecnia ovviamente non è da meno. Tuttavia, sarebbe fuorviante eliminare dalla propria dieta carne e latte per pensare di ridurre così le emissioni

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di anidride carbonica. Ci sono un numero di attività che impattano maggiormente rispetto ad una scelta vegetariana o vegana. I prodotti a base vegetale non sempre hanno un impatto minore sull’ambiente: tutto dipende dal ciclo di produzione, dalla gestione delle risorse e delle energie impiegate. FALSO MITO 6 Carne e latte sono nocivi per la tua salute La carne rossa e i latticini sono riconosciuti essere una parte importante di una dieta equilibrata. Attualmente il 98% delle famiglie britanniche compra latte, mentre il 91% delle famiglie del Regno Unito consuma carne rossa. Quest’ultima è una delle fonti più ricche di nutrienti essenziali come ferro, zinco e vitamine del gruppo B nella dieta, oltre all’apporto significativo di proteine nobili. Negli ultimi 20 anni la carne rossa ha visto ridurre il suo contenuto di grassi. Un esempio: un taglio di manzo magro presenta una media di grasso pari al 5% e una porzione di agnello solo l’8% di grassi. Le carni rosse magre svolgono un ruolo importante in una dieta sana per il loro elevato apporto nutritivo. Ciò significa che esse contengono una grande varietà di nutrienti in una quantità relativamente contenuta di cibo. Dal punto di vista della biodisponibilità — ovvero la frazione di un nutriente che l’organismo è in grado di assorbire e di utilizzare per le proprie funzioni fisiologiche — il ferro e lo zinco presenti nelle carni rosse sono più biodisponibili rispetto a molte fonti alimentari alternative. Gli studi scientifici riportano anche i benefici di un’alimentazione ricca di proteine animali contro l’aumento di peso e l’obesità, nella riduzione del rischio di diabete di tipo 2 e delle malattie cardiovascolari associate, oltre ad una possibile riduzione del rischio di alcuni tumori, compreso il cancro del colon-retto. «Nel Regno Unito, la carne e i prodotti a base di carne contribuiscono a fornire nutrienti essenziali,

La copertina della pubblicazione “The facts about British red meat and milk” redatta dalla National Farmers’ Union of Cymru (NFU Cymru), l’unione nazionale degli allevatori gallesi, che smonta i 9 più diffusi falsi miti sulle proteine animali. tra cui proteine, ferro, zinco, vitamina B12 e vitamina D. Chi sceglie di evitare o eliminare la carne dalla propria dieta deve acquisire questi nutrienti attraverso alimenti alternativi e ciò richiede conoscenza della nutrizione di base, una sorta di alfabetizzazione alimentare e capacità di pianificare la gestione dei propri pasti» dichiara la prof. ssa JUDY BUTTRISS del British Nutrition Foundation. «Il risultato può sicuramente essere una dieta varia senza carne, adeguata dal punto di vista nutrizionale, sebbene siano sempre consigliati integratori di vitamina B12 per i vegani, che comunque non sostituiscono i benefici dei nutrienti essenziali che apporta in egual misura la carne». FALSO MITO 7 Le carni e il latte alternativi sono migliori per la tua salute Le carni e il latte prodotti con sostanze vegetali sono stati oggetto di grande attenzione da parte dell’industria e del mercato, ma come sottolinea NFU Cymru, “occorre esaminare i loro contenuti dal punto di vista nutrizionale”. Un esempio su tutti: le cosiddette carni alternative

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La carne rossa è un’ottima fonte di nutrienti preziosi per la salute, tra cui il ferro (un minerale vitale per la formazione dei globuli rossi), lo zinco facilmente assorbibile (importante per un sano funzionamento del sistema immunitario, per la crescita e la fertilità), il potassio e il selenio (antiossidanti collegati alla riduzione del rischio di malattie cardiache e di alcuni tumori), vitamine del gruppo B, inclusa la B12, che è importante per globuli rossi sani, la crescita e l’apporto energetico. Non ultimo, NFU Cymru ci ricorda che carne rossa è naturalmente povera di sale (in foto uno splendido English roast di manzo inglese; photo © annapustynnikova – stock.adobe.com). presentano un contenuto di sodio più elevato rispetto alla carne rossa. Anche se sono fatte con fagioli, tofu, e altri alimenti vegetali, i sostituti della carne possono essere ricchi

grassi saturi. I produttori di carni alternative spesso utilizzano oli di cocco e di palma, entrambi ricchi di grassi saturi, per dare nell’assaggio una sensazione simile carne di man-

Le cosiddette carni alternative presentano un contenuto di sodio più elevato rispetto alla carne rossa. I produttori di carni alternative spesso utilizzano oli di cocco e di palma, entrambi ricchi di grassi saturi, per dare nell’assaggio una sensazione simile carne di manzo macinata. È quindi importante leggere con attenzione le etichette sui prodotti NO-MEAT per quantificare il contenuto di grassi

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zo macinata. È quindi importante leggere con attenzione le etichette sui prodotti NO-MEAT per quantificare il contenuto di grassi. FALSO MITO 8 Le carni rosse e i latticini sono pieni di antibiotici e di ormoni Il Regno Unito è il quinto Paese col livello più basso di antibiotici impiegati in zootecnia nella lista che comprende 31 Paesi europei, e che segue solo i Paesi nordici (Norvegia, Islanda, Svezia e Finlandia). Tra il 2014 e il 2018 la quantità di antibiotici utilizzati nelle aziende agricole del Regno Unito si è ridotta del 53%,

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grazie ad un uso più rigoroso ed appropriato impiegato per tutelare il benessere degli animali e solo per stretta necessità. E naturalmente i prodotti animali possono solo entrare nella catena alimentare catena quando sono sicuri per il consumo umano. Sul fronte degli ormoni e di altre sostanze anabolizzanti negli allevamenti per la promozione della crescita degli animali nel Regno Unito (così come in tutta Europa) l’uso è semplicemente vietato. A tal proposito Red Tractor regolamenta i protocolli di controllo, tracciabilità, sicurezza, e produzione responsabili presso gli 11.186 caseifici associati e i 23.666 allevatori di carni rosse del Regno Unito.

FALSO MITO 9 Gli allevatori britannici non hanno cura dei propri animali e del loro benessere Gli agricoltori e allevatori si preoccupano profondamente della salute e del benessere dei loro animali in quanto questi sono il nucleo centrale della loro attività. Il Regno Unito è sempre stato in prima linea nell’emanazione di leggi e regolamentazioni in materia di animal welfare, con all’attivo un solido e completo quadro giuridico a tutela della salute e del benessere degli animali. Per l’Animal Protection Index, che classifica i Paesi in tutto il mondo per l’impegno a migliorare il benessere

degli animali, il Regno Unito è uno dei quattro Paesi che hanno ricevuto il voto più alto. Ma come si assicura il benessere animale nell’azienda agricola? Esistono diversi passaggi che si eseguono in loco da parte di esperti e sotto la guida veterinaria. I bovini sono alloggiati al chiuso quando occorre tutelare la loro salute e il loro benessere, o nei mesi invernali se la crescita dell’erba a pascolo è limitata o il maltempo rende impossibile la loro permanenza all’esterno. Fonte: Jeff Martin Responsabile AHDB Italia Agriculture and Horticulture Development Board

Lotta alle fake news La strumentalizzazione del consumo di carne in materia di tutela dell’ambiente e della salute propria e degli animali è un tema complesso che richiede investimenti e strategie di comunicazione. Le fake news circolano in rete e sui media da anni e hanno condizionato non poco i consumatori. Le nuove tendenze delle cosiddette carni alternative hanno invaso gli scaffali dei retailer per poi non registrare nelle vendite i numeri sperati. NFU ha smontato, uno ad uno, i falsi miti di quella propaganda NO MEAT che cerca proseliti soprattutto nelle giovani generazioni di consumatori anagraficamente più sensibili ai temi dell’ambiente e del benessere animale e lo ha fatto con un documento esaustivo e diretto nei contenuti. In Italia Carni Sostenibili è un altro bell’esempio di voce che — bufala dopo bufala — smonta attraverso il portale www.carnisostenibili.it e i canali social collegati tante bugie e manipolazioni (photo © pavel siamionov – stock.adobe.com).

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Un mondo senza allevamenti? La risposta è semplice: sarebbe un mondo che non offrirebbe più cibo. Carni Sostenibili ci spiega che senza zootecnia si aprirebbero le porte a squilibri nutrizionali da correggere con cibi ultra-processati

C’

è chi pensa che senza allevamenti il mondo avrebbe più cibo a disposizione mentre è esattamente il contrario. Aspetti nutrizionali, salutistici, sociali, uso dei terreni marginali, dieta reale dei ruminanti, aspetti sociali e culturali… Un mondo senza allevamenti sarebbe molto più povero e avrebbe solo più fame.

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Poco più di una manciata di anni per arrivare al 2050 e saremo davvero in tanti. Per quella data, dice chi se ne intende di proiezioni demografiche, la Terra ospiterà almeno 9,7 miliardi di persone, due miliardi più di oggi. Non sarà solo merito della natalità, ma anche dell’allungamento dell’aspettativa di vita (oggi, a livello globale, è di 72,6 anni).

Ci saranno più bocche da sfamare e cambieranno le abitudini alimentari dei Paesi con economie emergenti e in sviluppo. Migliori condizioni economiche contribuiranno a far uscire dalla povertà fasce sempre più ampie di popolazione. Maggiori disponibilità economiche coincideranno con un aumento della richiesta di carne. È sempre accaduto, accadrà ancora.

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Sotto il profilo salutistico la trasformazione in carne offre vantaggi rispetto al consumo diretto di cereali e altri vegetali edibili impiegati in alimentazione animale (photo © Countrypixel – stock.adobe.com).

A questo punto è opportuno chiedersi se il mondo potrà soddisfare l’aumentata richiesta di cibo e in particolare di carne. L’agricoltura ha già dato in passato ampia dimostrazione della capacità di rispondere alle maggiori richieste di alimenti. Ricerca, miglioramento genetico, innovazioni tecnologiche e colturali potranno ripetere il “miracolo”.

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Ma occorre scegliere la direzione giusta. Invece, sulla scia di movimenti d’opinione ispirati ad una visione “romantica” del mondo agricolo, si corre il rischio di “affamare” il mondo che verrà. Accade quando si punta il dito sugli allevamenti, accusandoli di “sprecare” cibo che potrebbe invece arrivare direttamente sul piatto, senza passare dalla bocca degli animali per diventare carne. Meglio allora mettere una tassa sulla carne (incuranti degli effetti che questo potrebbe avere) per scoraggiarne il consumo? O magari mettere al bando gli allevamenti per far credere di risolvere in un sol colpo i problemi di fame e cambiamenti climatici? Sarebbe una scelta rovinosa, della quale non sempre si ha piena coscienza. Vediamo perché. Uno studio della FAO mette a disposizione i “numeri” cui fare riferimento. Per produrre carne bovina gli animali allevati nel mondo utilizzano circa sei miliardi di tonnellate di alimenti (calcolo fatto sulla sostanza secca). L’86% di questi alimenti non sarebbe utilizzabile direttamente dall’uomo. Non solo le erbe dei pascoli, alle quali corre subito il pensiero, ma anche tanti altri nutrienti che provengono da lavorazioni di materie prime come l’orzo dopo che si è prodotta la birra, gli agrumi dai quali si è estratto il succo, le barbabietole dalle quali si è ricavato lo zucchero. Sottoprodotti naturali e ricchi di sostanze nutritive che, se non utilizzati, potrebbero avere un considerevole impatto ambientale. Gli animali invece li trasformano in modo efficace in preziose proteine, e non solo. Resta la quota di cereali e leguminose, poco oltre il 10%, che invece di essere utilizzata per gli animali potrebbe essere destinata all’uomo. Ma non è detto che ciò sia conveniente. Le stime della FAO indicano che per produrre un chilo di carne siano necessari tre chili di cereali. Sono medie e come tali vanno interpretate. Nel caso delle specie avicole l’indice di conversione degli alimenti è assai più efficiente, sotto il rapporto 2 a 1. Merito dei progressi nella ricerca.

Ma non è questo il dato importante: la trasformazione in carne offre molto più che le sole proteine ricche di amminoacidi essenziali, difficili da trovare nei vegetali. È noto l’apporto di vitamine del gruppo B e poi minerali, come ferro, zinco e via elencando. Sotto il profilo salutistico la trasformazione in carne offre dunque vantaggi rispetto al consumo diretto di cereali e altri vegetali edibili impiegati in alimentazione animale. Un mondo senza allevamenti non offrirebbe all’uomo più cibo a disposizione, semmai aprirebbe invece le porte a squilibri nutrizionali da correggere con cibi ultra-processati. La “carnenon-carne” prodotta in laboratorio ne è un esempio. Senza trascurare le conseguenze sull’ambiente: solo la presenza degli animali consente l’utilizzo di terreni marginali e assicura quella dell’uomo preservando un delicato equilibrio idrogeologico. Pascoli e boschi abbandonati a se stessi favoriscono la crescita di specie vegetali e animali alloctone. Le stesse emissioni di gas climalteranti da parte dei ruminanti sono da rivedere alla luce della capacità di pascoli e colture nella fissazione del carbonio nel terreno. Poi c’è il grande capitolo della fertilità dei campi, garantita dalla presenza degli animali, senza necessità di concimi chimici. Nel considerare la competizione alimentare fra uomo e animali nel mondo che verrà non si possono trascurare gli aspetti sociali. Un piccolo allevamento di polli, qualche suino o la presenza di un bovino, infatti, può essere la via di uscita dalla fame nelle aree del mondo più povere. Accadeva anche da noi. Se potessimo chiederlo ai nostri nonni, giusto un secolo fa, ce ne darebbero conferma, ricordando l’importanza degli animali di bassa corte nello sfamare la gente dei campi e non solo. Fame che in tante parti del mondo esiste e che in futuro potrebbe farsi sentire più di oggi. Soprattutto se non ci fossero animali da allevare. Fonte: Carni Sostenibili www.carnisostenibili.it

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PROGETTARE LA CARNE

Future Food Design: cos’è e come può sensibilizzare l’economia di domani di Francesca Monti

Paul Gong, designer speculativo, artista e curatore, ha progettato “The Cow of Tomorrow”, la mucca del domani, muscolosa e potenziata. Il progetto parte di una ricerca scientifica e utilizza la biotecnologia per ottimizzare la macellazione e produrre i tagli di carne bovina più desiderabili (photo © Paul Gong 2020).

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I

l Future Food Design fa parte di quel settore del design chiamato speculativo. Questo modello di progettazione si basa sull’ampliamento dello sguardo, dell’immaginazione e delle prospettive al fine di proporre nuovi immaginari futuri possibili, capaci di porre domande e, a volte, di dare risposte sui grandi problemi della società. Il design speculativo è sostanzialmente un catalizzatore di ispirazioni utili a ridefinire collettivamente la nostra relazione con la realtà.

Come possiamo affrontare le sfide future? In che direzione ci stiamo muovendo? Sono due grandi domande, alle quali si sta cercando di dare risposta anche attraverso il design. Siamo tipicamente abituati ad immaginare questo approccio applicato all’innovazione estetica e funzionale dei prodotti; in realtà il design si sta sempre più occupando di questioni di ampio respiro. Si tratta dell’applicazione di uno sguardo intrinseco alla sua natura, che troviamo in una delle sue prime espressioni nella ferrovia di Great Western passante per Oxford, progettata da ISAMBARD KINGDOM BRUNEL nel 1833 e rappresentata nel celebre dipinto di TURNER “Pioggia, vapore e velocità” nel 1844. La ferrovia è stata pensata non solo per migliorare il viaggio come esperienza, ma anche immaginandola all’interno di un sistema di trasporto integrato attraverso il quale ci si potesse imbarcare su un treno a Londra e sbarcare a New York. Chiaro esempio di come il design non si limiti alla forma e all’esperienza ma tenti di plasmare e migliorare la qualità degli stili di vita. L’aspetto interessante di questo approccio alla costruzione di scenari futuristici è il fatto che trascende dalle limitazioni etiche, politiche, culturali e tecnologiche. Sostanzialmente la visione proposta non è reale, ma può essere possibile, plausibile, preferibile e probabile. La funzione principale del design speculativo è quella di generare domande, riflessioni e

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La funzione principale del design speculativo è quella di generare domande, riflessioni e dibattiti che aiutino a capire meglio il nostro tempo e in modo particolare il mercato del domani. Per questo motivo anche aziende come Pepsi e Ford hanno iniziato a prendere in considerazione gli scrittori di fantascienza, ovvero quei designer dotati di un approccio futuristico e quasi fantascientifico, capaci però di trasformare la loro visione in prodotti e strategie concrete e innovative

dibattiti che aiutino a capire meglio il nostro tempo e in modo particolare il mercato del domani. Per questo motivo anche aziende come Pepsi e Ford hanno iniziato a prendere in considerazione gli scrittori di fantascienza, ovvero quei designer dotati di un approccio futuristico e quasi fantascientifico, capaci però di trasformare la loro visione in prodotti e strategie concrete e innovative. Quali sono le questioni più dibattute oggi nel mondo del food? Sicuramente i cambiamenti climatici, ma anche l’aumento della popolazione, la scarsità di risorse e la povertà restano temi caldi, forse non così impattanti nell’agenda setting dei mass media, ma ancora molto presenti e vicine a noi. Entriamo ora nel merito del settore della carne, vediamo cosa stanno proponendo i Future Food Design di successo e cerchiamo di riflettere su quali potrebbero essere le domande e le questioni che potrebbero guidare l’economia del settore nel prossimo futuro. PAUL GONG (paulgong.co.uk), designer speculativo, artista e curatore, ha progettato “The Cow of Tomorrow”, la mucca del domani, muscolosa e potenziata. Il progetto parte da una ricerca scientifica e utilizza la biotecnologia per ottimizzare la macellazione e produrre i tagli di carne bovina più desiderabili. Ciò che porta Gong è un prototipo, un modo per valutare e anticipare la traiettoria tecnologica per un futuro sostenibile prima che l’industria trasformi metodi e logiche in realtà. Il tentativo del designer

non è portare ad una soluzione ottimale ma far riflettere. Spiega Gong: «Questo progetto esplora il modo in cui le tecnologie emergenti facilitano il tentativo dell’uomo di aumentare il suo controllo sulla natura e se ciò sarebbe positivo o negativo». Se la domanda di certi tipi di tagli aumenta notevolmente, mentre la richiesta di altre tipologie cala e rimane bassa la produzione, il mercato, il sistema capitalistico, porterà le aziende in quella direzione, ovvero ad investire sul controllo tecnologico della natura animale. L’esempio introduce un tema fondamentale, ovvero quello della responsabilità dei consumatori. Come sostiene l’economista LUIGINO BRUNI, le persone devono iniziare a metterci la testa quando fanno la spesa. Il nostro potere non è solamente legato all’acquisto del prodotto in sé, ma diventa importante e rilevante soprattutto in merito alle logiche etiche, sociali, ambientali che vi sottendono. Se vogliamo cambiare dobbiamo iniziare dal mondo in cui spendiamo i nostri soldi, perché, come ribadisce Bruni, la responsabilità civile è anche del consumatore, non solo dell’imprenditore. Dunque, riscopriamo la ricerca di valore e di eticità negli alimenti, ovvero la loro dimensione più umana e a noi prossima, capace di guidarci verso un domani sostenibile e desiderabile in cui la natura animale viene apprezzata nella sua totalità e unicità. Francesca Monti Monti – Selezione e lavorazione carni www.monticarni.it

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MEAT FRANCHISING

Roadhouse riparte con due nuovi locali Tra le novità, il servizio “Click & Drive” e il nuovo menu estivo. In arrivo aperture a Milano, Bologna, Beinasco (TO) e Bolzano

R

oadhouse Restaurant riparte nello sviluppo della sua rete di locali in Italia con l’apertura di due nuovi ristoranti, portando a 153 il numero totale dei locali della catena: quello a Borgomanero (SP 142, altezza via Piola) è il quinto della provincia di Novara, mentre precedente c’era stata l’apertura di quello di Lonato del Garda (BS), all’interno del centro commerciale “Il Leone Shopping Center” (via Mantova). Entrambi i ristoranti offrono ampi spazi per pranzare o cenare e complessivamente daranno lavoro ad oltre 30 giovani. Nei nuovi locali, come in tutti i Roadhouse, sarà possibile gustare il nuovo menu Made in Summer, con specialità fresche e dal gusto italiano. Inoltre, i prodotti come Il Tartare Burger, insalate, carpacci e carni grigliate al momento beneficeranno del servizio Click & Drive che offre la possibilità non

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solo di ordinare e pagare dall’App, ma anche di ritirare direttamente al volante della propria auto. «Dopo le riaperture graduali dalla fine di maggio i nostri locali sono pienamente operativi e proseguono anche col servizio di delivery e take away», spiega NICOLAS BIGARD, AD di Roadhouse. «Per il take away, in particolare, abbiamo approfittato di questi mesi per ideare e lanciare il nostro servizio Click & Drive, con la possibilità, in modalità contactless, di ordinare e pagare dall’App, ma anche di ritirare direttamente al volante nell’area riservata dei parcheggi dei nostri ristoranti. Si può prenotare il ritiro e ricevere in auto l’ordine all’orario prescelto senza alcuna attesa o fila. A consegnare in tutta sicurezza è il personale di Roadhouse». I locali hanno il WIFI gratuito e offrono la possibilità, tramite

l’App Roadhouse, di utilizzare la fidelity card per ottenere sconti e promozioni esclusive, oltre a pagare tramite smartphone evitando la fila in cassa. Inoltre, col nuovo servizio di booking on-line, direttamente dall’App, sarà possibile prenotare il tavolo nel proprio Roadhouse preferito. Ricordiamo infine che i ristoranti Roadhouse sono aperti al pubblico 7 giorni su 7, indicativamente a pranzo dalle 12:00 alle 14:30 e a cena dalle 19:00 alle 23:30. Il menu prevede un vasto assortimento di piatti unici a base di carne alla griglia (Ribeye, New York Strip, Filet Mignon, T-Bone Steak, hamburger, ecc…), accompagnati da un’ampia scelta di contorni e seguiti da una ricca varietà di dessert. Il prezzo medio a persona è compreso tra i 17 e 19 euro. >> Link: www.roadhouse.it

Eurocarni, 8/20


McDonald’s ha scaricato Beyond Meat La sperimentazione è durata sei mesi ma non è stata prolungata. Gli hamburger di “finta carne” forniti da Beyond Meat a McDonald’s per il mercato canadese non devono aver incontrato un grande successo e il colosso di Chicago non ha dato alcuna indicazione sulla prosecuzione del programma. McDonald’s ha comunicato che sta valutando gli insegnamenti tratti dall’esperimento canadese per decidere su eventuali futuri menu a base vegetale. Lo scorso fine giugno il titolo di Beyond Meat alla borsa di New York ha sofferto per la notizia, aprendo le contrattazioni con un crollo di circa il 10% (fonte: EFA News – European Food Agency).

e

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MERCATI

UNAItalia: contagi nei macelli in USA e Europa, nessun focolaio in Italia. Garantita sicurezza lavoratori e approvvigionamenti Carni bianche le più consumate dagli Italiani. Crescono produzione (+0,8%) ed export (+4,2%). 2020 incertezza per crisi Covid sulla filiera avicola

N

el primo trimestre 2020 nella GDO si registra una forte crescita nei consumi di carni bianche (+8,9%) e di uova (+14,1%, il prodotto più acquistato durante il lockdown) mentre rimane

forte l’incertezza legata alla crisi Covid sulla filiera avicola a causa della chiusura di interi canali di vendita, a partire dall’HO.RE.CA. E mentre in Europa e negli USA esplode la crisi dei focolai Covid

nei macelli, l’Italia registra una situazione profondamente diversa. Quanto sta accadendo all’estero non rispecchia in alcun modo la realtà italiana e delle aziende della filiera avicola: a fare il punto sul

Le carni avicole rimangono le più consumate nelle case italiane (35%), seguite dalle bovine (33%) e dalle suine (20%).

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Il bilancio italiano delle carni di pollame (t x 000) 2018

2019

Tot. carni Diff. in % avicole 18/17

Pollo

Tacchino

934,0

301,0

1.314,0

Importazione

73,8

16,9

Esportazione

102,9

Utilizzazione interna

Tot. carni Diff. in % avicole 19/18

Pollo

Tacchino

–2,9

948,0

301,0

1.323,9

+0,8

95,1

–2,8

72,9

17,2

93,8

–1,3

69,6

176,8

–5,2

116,3

63,8

184,3

+4,2

904,9

248,3

1.232,3

–2,6

904,6

254,4

1.233,4

+0,1

Consumo p.a. (kg)

14,98

4,11

20,40

–2,5

15,00

4,22

20,45

+0,2

% di autoapprovv.

103,2

121,2

106,6

==

104,8

118,3

107,3

==

Produzione

settore è UNAItalia, l’associazione che rappresenta la quasi totalità della produzione avicola nazionale, durante l’annuale assemblea dei soci svoltasi nel mese di giugno a Bologna. Secondo i dati diffusi in questa occasione, sono cresciuti nel 2019 la produzione di carni bianche (pari a 1.324.000 tonnellate +0,8% sul 2018) e l’export (184.300 tonnellate, +4,2%), mentre è rimasto stabile il fatturato, pari a 4,5 miliardi. Le carni avicole crescono nei consumi (20,45 kg pro capite, +0,2% sul 2018), grazie a una filiera 100% made in Italy, sempre più apprezzata dagli Italiani, ma anche di un rinnovato slancio dell’export, in linea con quello della carne avicola in UE (+5%). Nell’ultimo anno il pollo italiano, infatti, ha acquistato in competitività, grazie soprattutto alle performance sui mercati UE come Germania, che assorbe oltre il 40% dell’export avicolo italiano, Grecia (13%) e Francia (7%). Sul fronte uova, l’Italia ha prodotto nel 2019, 12 miliardi 258

milioni di uova (+0,04% rispetto al 2018) e il fatturato complessivo del comparto nel 2019 si è attestato sui 2,5 miliardi di euro. Complessivamente le aziende associate a UNAItalia — oltre il 90% della produzione avicola del Paese — hanno fatturato 5,5 miliardi, e dato lavoro a 64.000 persone, tra la fase di allevamento (38.500) e quella di trasformazione (25.500). Forlini: grande capacità organizzativa e resilienza nella crisi Covid. Ora supporto delle istituzioni e strategia di lungo periodo «Il bilancio 2019 per le carni bianche è tutto sommato positivo — ha detto il presidente di UNAItalia, ANTONIO FORLINI. «Il settore ha tenuto, rivelando una crescita dell’export, soprattutto per il pollo (+13% in volumi). Le sfide per il 2020 saranno difendere questa conquista ma anche tenerci stretto il primato di autosufficienza di questo settore (107%), che è tra i pochi non costretti a importare dall’estero.

Le carni avicole crescono nei consumi (20,45 kg pro capite), grazie ad una filiera 100% made in Italy, sempre più apprezzata dagli Italiani, ma anche di un rinnovato slancio dell’export, in linea con quello della carne avicola in UE (+5%). Nell’ultimo anno il pollo italiano, infatti, ha acquistato in competitività, soprattutto attraverso le performance sui mercati UE come Germania, che assorbe oltre il 40% dell’export, Grecia e Francia

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La filiera durante la pandemia ha dimostrato grande capacità organizzativa, continuando a produrre in sicurezza, proteggendo i propri dipendenti e assicurando continuità negli approvvigionamenti. Ad oggi non si sono registrati focolai di Covid nei siti produttivi delle aziende aderenti a UNAItalia, contrariamente a quanto accaduto negli USA e in Europa. Quanto sta accadendo all’estero non rispecchia in alcun modo la realtà italiana e delle nostre aziende. Le misure per la sicurezza hanno avuto anche un impatto sulla produzione, comportando un rallentamento delle linee e impedendo nella prima fase di far fronte in modo sistematico alle richieste di mercato, e generando nei mesi successivi un magazzino-scorte significativo per alcune tipologie di prodotti. Queste condizioni hanno comportato costi aggiuntivi per le aziende e condizioni di mercato penalizzanti. Grazie al modello integrato di filiera siamo finora riusciti a superare la crisi senza trasferire le perdite sulla fase agricola e continuando a garantire il reddito degli allevatori. La nostra capacità di resilienza non è però infinita e necessita di un supporto da parte delle istituzioni: dobbiamo fare fronte alla competizione internazionale che spesso vede i nostri competitor, già agevolati da costi di produzione più bassi, sostenuti dai rispettivi governi con misure di sostegno agli investimenti.

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Tale situazione rischia di mettere in pericolo l’autosufficienza del settore avicolo italiano ed esporre le nostre imprese, oggi tutte di proprietà italiana, a possibili processi di acquisizione dall’estero. Auspichiamo quindi una strategia di lungo periodo che veda coinvolti tutti gli attori, dalle associazioni agricole alla GDO, con una visione chiara sulla creazione e ridistribuzione del valore, anche nel solco dei processi di cambiamento sollecitati dal mercato e indicati dalla strategia europea From Farm to Fork». La fotografia del settore durante il lockdown: pesano il calo dei consumi fuoricasa e lo scenario incerto Il 2020 per le carni avicole e uova è ancora un’incognita. Sul fronte dei consumi, la produzione e il mercato delle carni avicole hanno risentito degli aggiustamenti innescati dalle

nuove dinamiche causate dall’emergenza Covid-19. «Dovremo affrontare una domanda sempre più altalenante dovuta allo spostamento degli acquisti sul retail (GDO e dettaglio tradizionale), a discapito dei consumi fuori casa che registrano un calo consistente delle vendite nel canale HO.RE.CA.» continua Forlini. «Una perdita importante, seppur più contenuta rispetto ad altri comparti dell’agroalimentare, non compensata però dalla crescita dei consumi domestici». Secondo i dati ISMEA sui consumi domestici delle famiglie italiane nel primo trimestre, durante il lockdown il segmento più dinamico è stato quello delle uova, vere star del carrello, che chiudono il primo trimestre 2020 con un +14%, dopo settimane in cui le vendite hanno superato del 50% il valore dello stesso periodo dell’annata precedente.

Per quanto riguarda le carni fresche, l’aumento generale è stato del 6,3%, trainato soprattutto dalle vendite di carni bianche che, dopo un +20% nelle prime settimane di marzo, si sono assestate su un dato trimestrale del +8,9%. Se nelle prime settimane di lockdown l’andamento è stato favorevole per via di una domanda particolarmente dinamica a cui il settore ha ben risposto grazie a una forte integrazione verticale della filiera, da aprile le dinamiche di mercato sono cambiate. «La pressione della domanda sulle carni avicole — ha spiegato Forlini — si è sensibilmente ridotta a partire da fine aprile a causa della minore capacità di spesa dei consumatori, per la mancanza di liquidità indotta dalla crisi. Auspichiamo un ritorno alla “normalità” in tempi medi e una stabilizzazione della domanda e dell’offerta.

Secondo i dati Ismea sui consumi domestici delle famiglie italiane nel primo trimestre, durante il lockdown, per quanto riguarda le carni fresche, l’aumento generale è stato del 6,3%, trainato soprattutto dalle vendite di carni bianche che, dopo un +20% nelle prime settimane di marzo, si sono assestate su un dato trimestrale del +8,9%.

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La filiera avicola italiana durante la pandemia ha dimostrato grande capacità organizzativa, continuando a produrre in sicurezza, proteggendo i propri dipendenti e assicurando continuità negli approvvigionamenti. Le vendite nei canali fuoricasa, anche se in ripresa dopo il lockdown, non toccheranno comunque i volumi dell’anno precedente a causa della riduzione dei flussi turistici, soprattutto dall’estero, e del blocco della ristorazione aziendale e di comunità». Anche per le uova, che almeno per le vendite nella GDO sembrano non risentire del passaggio dalla fase 1 alla fase 2 del lockdown, si segnala la difficoltà nel segmento degli ovoprodotti, destinati all’industria alimentare e alla ristorazione collettiva. 2019: pollo e carni avicole le più consumate dagli Italiani Si conferma la passione tra gli Italiani e le carni bianche: con il 35% dei consumi domestici delle carni fresche, anche per il 2019 le carni avicole sono le più consumate nelle case italiane, seguite in seconda battuta dalle carni bovine (33%) e suine (20%). Gli Italiani ne mangia-

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no circa 20,45 kg a testa (+0,2% sul 2018), soprattutto il pollo, con un consumo pro capite di 15 kg l’anno (+0,13%), seguito dal tacchino (4,22 kg, +2,7% sul 2018). Quello tra gli Italiani e il pollo è un amore che si consolida negli anni: i consumi pro capite sono aumentati del 25,4% dal 2010 ad oggi, passando da 11,96 kg del 2010 ai 15 kg attuali. La carne avicola è anche l’unica nel 2019 a registrare una crescita della spesa (+0,7%), a fronte di valori negativi per tutte le altre tipologie (elaborazione dati ISMEA, su dati NIELSEN; dinamica degli acquisti domestici 2019). I fan di pollo & Co. sono soprattutto al Sud (29% degli acquisti), seguiti a pari merito (26%) dal Nord Ovest e Centro Italia. A sorpresa il Nord, che è la zona a maggior vocazione avicola, raccoglie solo il 19% degli acquisti domestici per area. Ad essere acquistati sono per il 60% i tagli freschi (petto, coscia, fesa, ecc…),

ma anche panati e preparati, che guadagnano un 10% a volume, a dimostrazione della tendenza crescente a scegliere prodotti ad alto valore aggiunto, facili e veloci da preparare. Fonte: Ufficio stampa UNAItalia Nota UNAItalia è l’associazione che rappresenta oltre il 90% della produzione avicola nazionale, circa il 30% di quella delle uova da consumo, altrettanto delle carni cunicole e una fetta cospicua di quella suinicola. Quello avicolo è l’unico settore completamente autosufficiente nel panorama delle carni italiane, la produzione nazionale copre il 106,6% delle carni di pollo consumate. Il comparto delle carni avicole è 100% made in Italy, tutto il pollo che portano in tavola gli Italiani è allevato, macellato e distribuito in Italia. >> Link: www.unaitalia.com

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INCHIESTE

Come il Covid cambierà i consumi di carni bianche

Q

uale sarà il futuro delle carni bianche nel mondo post Covid-19? DASHA SHOR, analista alimentare di Mintel, ha parlato di “Consumer Trends and Buying Patterns” durante uno dei webinar organizzati dall’International Poultry Council (internationalpoultrycouncil.com), l’associazione mondiale che rappresenta i produttori di carni avicole. L’emergenza sanitaria ha accelerato molti cambiamenti nelle abitudini di acquisto dei consumatori, che erano comunque già in fase di emersione, come, ad esempio, l’interesse per i prodotti alternativi alla carne, ma ha anche risvegliato nuovi interessi più direttamente correlati alla pandemia. Riguardo a questo, le carni bianche sembrano più avvantaggiate nella capacità di risposta a tali cambiamenti, ma i produttori devono allinearsi in fretta ai trend se non vogliono perdere terreno. I produttori devono anche essere consapevoli che la recessione globale cambierà anche ciò che i consumatori stanno cercando sugli scaffali dei supermercati o dai servizi di consegna. Carni bianche e proteine alternative alla carne L’aumento dei prezzi e le preoc-

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cupazioni per la salute potrebbero alimentare la crescente domanda di proteine alternative. A livello globale, negli ultimi 3 anni, c’è stato un aumento del 13% della domanda di proteine alternative. Mentre l’Europa rimane il mercato più grande, la richiesta è stata particolarmente forte in Nord America, che rappresenta oltre la metà della crescita nell’ultimo anno, e l’interesse sta crescendo fortemente anche in Asia. Dasha Shor ha osservato che le aziende che producono proteine alternative non stanno cercando di soddisfare i vegetariani, ma sono piuttosto interessate a catturare il ben più ampio mercato dei flexitariani (chi predilige seguire un modello di alimentazione di tipo vegetariano, senza rinunciare ad alimentarsi sporadicamente di proteine animali, www.treccani.it) e, per questo, tentano di imitare l’aspetto e la consistenza della carne. Se, ad oggi, gli sforzi in questo settore si sono concentrati su hamburger e salsicce, alternative al pollo e al tacchino, ad esempio a base di alghe, sono già in commercio e si prevede che aumenteranno. L’interesse dei consumatori per la salute e la connessione tra

il Covid-19 e la dieta ha portato ad un rinnovato interesse del consumatore per la salute, cosa che sta avvantaggiando le alternative vegetali rispetto alla carne. La metà dei consumatori statunitensi, ad esempio, crede che le proteine vegetali siano più sane delle proteine animali, mentre il 40% dei consumatori di carne trasformata nel Regno Unito ritiene di doverne ridurre il proprio consumo. Anche se i consumatori sono più preoccupati per la loro salute, sono pochissimi a trovare le diete vegane siano particolarmente allettanti. Per quanto riguarda le carni alternative, la loro complessità e il grado di lavorazione sono considerati particolarmente preoccupanti ed è qui che il pollo può essere vincente. Tuttavia, oltre a competere direttamente con proteine alternative, ci sono altri modi in cui i produttori di proteine animali possono trarre vantaggio dall’interesse per le alternative a base vegetale. Oltre ad entrare direttamente nel segmento specifico, infatti, le aziende possono incontrare i consumatori “a metà strada”, con prodotti pensati ad hoc. In tutti i casi, per garantirsi una sopravvivenza a lungo termine sul

Eurocarni, 8/20


L’emergenza sanitaria ha accelerato molti cambiamenti nelle abitudini di acquisto dei consumatori, come l’interesse per i prodotti alternativi alla carne, ma ha anche risvegliato nuovi interessi direttamente correlati alla pandemia. Riguardo a ciò, le carni bianche sembrano più avvantaggiate nella capacità di risposta a tali cambiamenti, ma i produttori devono allinearsi in fretta ai trend emersi (photo © Jess rodriguez – stock.adobe.com).

mercato le aziende devono diventare completamente trasparenti. La carne rossa è già stata associata ad una serie di problemi di salute. Il pollo viene considerato più sano, ma dato che Covid-19 è una zoonosi, tutti i produttori di proteine animali devono ora fare tutto il possibile per rassicurare i consumatori sulla sicurezza dei loro prodotti. In Cina e in India, ad esempio, i prodotti a base vegetale sono considerati sempre più spesso maggiormente sicuri rispetto ai prodotti animali. E in India il jackfruit (nome scientifico Heterophyllus artocarpus, frutto esotico conosciuto anche come giaca o jako) è stato molto utilizzato in cucina come alternativa al pollo a seguito di indiscrezioni su una connessione tra pollo e Covid-19. Minor potere d’acquisto La sicurezza, tuttavia, non è l’unico elemento che ha accelerato il cambiamento delle esigenze dei consumatori. È probabile che la recessione porti i consumatori ad acquistare meno carne e fare acquisti meno frequenti, e ciò può accelerare la tendenza a mangiare “meno ma meglio”. Questa tendenza si sta sviluppando da tempo tra

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i consumatori preoccupati per il benessere degli animali e l’impatto sull’ambiente: il Covid-19 ha aggiunto nuovi elementi a questo scenario. Lo sviluppo del coronavirus ha visto le comunità unirsi e i consumatori tenderanno ad orientarsi in modo particolare verso prodotti locali. Locale potrebbe non necessariamente significare della porta accanto, ma prodotti all’interno del Paese di origine dei consumatori, i quali cercheranno sempre più di assicurarsi che le aziende trattino con rispetto non solo gli animali ma anche le loro comunità. I consumatori vorranno, quindi, una sostenibilità intesa nel suo senso più ampio. È inoltre probabile che il valore aumenti di importanza: questo è altamente soggettivo e i produttori dovranno identificare cosa significhi valore per ciascun mercato. Per alcuni, infatti, può significare una qualità superiore, mentre per altri può significare una maggior comodità. Fonti: UNAItalia www.unaitalia.com WATTAgNet.com www.wattagnet.com (How Covid-19 will change poultry consumption patterns)

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Tutti i segreti del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale Igp La carne di Chianina, Marchigiana e Romagnola è stata la prima carne fresca italiana ad ottenere la certificazione Igp dall’Unione Europea. Su vitellonebianco.it è possibile tracciare il prodotto e segnalare eventuali abusi

U

n “gigante” si aggira per l’Italia da oltre 2000 anni: è il Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale, la cui carne ha ottenuto nel 1998 l’Indicazione Geografica Protetta, prima Indicazione Geografica di qualità per le carni bovine fresche approvata dall’Unione Europea per l’Italia.

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Una Igp che certifica la carne prodotta dalle razze tipiche dell’Appennino centrale: Chianina, Marchigiana, Romagnola Col termine “vitellone” nei territori del Centro Italia sono da sempre indicati i bovini da carne di età compresa fra i 12 e i 24 mesi. Si tratta di animali giovani, la cui carne è molto

magra, di un colore rosso intenso con basso contenuto di grasso e colesterolo. L’aggettivo “bianco” si riferisce al mantello costituito da peli bianchi che ben risaltano sulla cute nero-ardesia, caratteristica che consente a questi bovini di tollerare le radiazioni solari tipiche dei pascoli appenninici.

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Il Consorzio di tutela Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale Igp Costituito nel 2003, il Consorzio è stato ufficialmente riconosciuto dal Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali nel 2004. Formato da 1827 soci tra allevatori, macellatori e porzionatori, punta a promuovere e valorizzare il prodotto, informando anche il consumatore. L’attività principale è quella di vigilanza, tutela e salvaguardia dell’IGP da abusi, atti di concorrenza sleale, contraffazioni ed uso improprio dell’Indicazione Geografica. L’attività di controllo, annualmente concordata con l’Ispettorato Centrale per il Controllo della Qualità, è svolta dagli agenti vigilatori qualificati del Consorzio su tutta la filiera e in particolare nei centri di macellazione e lavorazione, macellerie e ristorazione, attraverso controlli incrociati tra dati di tracciabilità e analisi comparativa di DNA. Nel 2019 i controlli effettuati sono stati 165, mentre le analisi effettuate nel 2019 sono state 158. Sono ormai 15 anni che il Consorzio svolge anche attività di contrasto alle imitazioni e alle contraffazioni. Per questo è stato messo a disposizione degli utenti una sezione del sito dedicata alla raccolta delle segnalazioni sul prodotto www.vitellonebianco.it/inviaci-letue-segnalazioni. In tempo reale è possibile segnalare irregolarità, pubblicità ingannevole, falsificazione del prodotto o dell’Indicazione Geografica, o semplicemente per comunicare ristoranti o macellerie in cui questa carne viene venduta. Attraverso la compilazione di un semplice modulo (anche in forma anonima) si può inviare la segnalazione all’ufficio vigilanza del Consorzio che provvederà, attraverso i propri agenti vigilatori, ad intervenire con gli opportuni controlli o a coinvolgere gli organi ufficiali di vigilanza.

Infine, con “Appennino centrale” si indica la zona di origine dove, tradizionalmente, i bovini Chianini, Marchigiani e Romagnoli sono allevati e alimentati con foraggi e concentrati caratteristici del territorio. La certificazione IGP non si riferisce al bovino, ma solo ed esclusivamente, alla carne prodotta dalle razze previste dal Disciplinare di produzione. Non esiste una razza Igp Non esistono quindi la Chianina, la Romagnola o la Marchigiana IGP. La razza è solo uno dei requisiti necessari per ottenere la certificazione finale del prodotto. Per poter certificare la carne, infatti, devono essere rispettati tutti i requisiti applicati sia alla fase di allevamento (razze, area di nascita e allevamento, alimentazione, tipologia di allevamento) che alle fasi successive (macellazione, frollatura

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della carne, colore, caratteristiche chimico fisiche, modalità di vendita e lavorazione). È per questo che la sola razza, senza la certificazione IGP “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale”, non è garanzia di qualità, tipicità e tradizione. Le razze Chianina, Romagnola e Marchigiana sono infatti allevate in Italia e nel mondo, ma solo la denominazione protetta “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP” permette di tutelare, valorizzare e difendere oltre alle razze anche il loro legame col territorio tipico di origine e produzione. I numeri del prodotto certificato Nel 2019 i capi certificati con l’IGP “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale” sono stati 18.194 (9.344 di razza Chianina, 6.459 Marchigiana e 2.391 Romagnola) ovvero oltre l’85% dei capi delle razze chianina, marchigiana e romagnola presenti in Italia.

Occhio alla Fiorentina È indubbio che, soprattutto in alcune zone d’Italia, dire “Fiorentina” equivale a dire “Chianina”. Niente di più sbagliato: la “Fiorentina” è un taglio di carne e non una razza bovina. Da questo equivoco nasce il malinteso che gran parte delle macellerie e dei ristoranti offre carne di razza Chianina o di “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP”. I numeri svelano una realtà diversa. Ogni anno, infatti, vengono certificati come IGP Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale poco più di 18.000 capi bovini; considerando che da ogni capo si ottengono circa 40 Fiorentine, possiamo stimare al massimo 725.000 fiorentine certificate a marchio IGP, sicuramente troppo poche per trovarle in ogni ristorante macelleria italiana. Non è tutta Chianina ciò che luccica Dire “carne di Chianina”, “carne

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In alto: Chianina. In basso: Marchigiana. A destra: bovini di razza Romagnola. I profumi delle essenze dei prati e dei pascoli dell’Appennino centrale con cui si alimentano gli animali si ritrovano nell’aroma e nel sapore delle carni prodotte dalle razze Chianina, Marchigiana e Romagnola certificate con l’Igp “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale”.

di Marchigiana” o “carne di Romagnola” sottintende la qualificazione della razza del bovino che, da un punto di vista legislativo, identifica l’iscrizione dell’animale al Libro Genealogico Nazionale, garantendone la “purezza genetica”. Solamente la carne derivante dai bovini di razza potrà avvalersi della certificazione IGP “Vitellone Bianco Dell’appennino Centrale”. Il fattore genetico, insieme alle peculiarità ambientali, influisce,

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infatti, sulla qualità di queste carni che presentano un basso contenuto di grasso (minore del 3%), di colesterolo (minore di 500 ppm) e un alto valore proteico (maggiore del 20%). La qualità tracciata in tempo reale Negli anni è cresciuta la domanda di carni certificate e sono aumentate le frodi a carico dei consumatori e dei produttori. Per contrastare il fenomeno, il Consorzio di Tutela del

Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP ha messo a disposizione la possibilità di conoscere, in tempo reale, l’origine e il percorso della carne certificata: dall’allevamento alla tavola. All’indirizzo maps. vitellonebianco.it/#/ristorantimacellerie è possibile verificare la tracciabilità della carne in vendita e avere la mappatura delle macellerie e ristoranti, iscritti al circuito “Ristorante Amico”, che hanno in carico il prodotto.

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Un sapore inconfondibile che richiama i profumi del Centro Italia La grande attenzione legata all’alimentazione e al rapporto naturale col territorio e i pascoli si riflette sull’aspetto e sul sapore delle carni del Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP. La grana è fine e il colore rosso vivo. Anche la consistenza è soda ed elastica, con piccole infiltrazioni di grasso nella massa muscolare. L’alto pregio della carne di Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP è frutto di un mix vincente che ha tra i suoi ingredienti principali la predisposizione genetica,

i sistemi naturali di allevamento e un’alimentazione di qualità. I profumi dei prati e le essenze tipiche dei pascoli dell’Appennino distinguono la carne di Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP da tutte le altre. Il Vitellone Bianco: razze salvate dall’estinzione Gli allevamenti molto piccoli (con una media di 35 capi per azienda) spesso dislocati in zone montane e in aree marginali, un’alimentazione basata su foraggi e concentrati locali, razze più tardive rispetto ad altre specializzate da carne determinano, per l’intera filiera, alti costi di produ-

zione non concorrenziali con quelli della carne proveniente dall’estero e dai grandi allevamenti intensivi del Nord Italia: tali problematiche hanno portato a considerare, agli inizi degli anni ’90, le razze Chianina, Marchigiana e Romagnola in via di estinzione. Il riconoscimento Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP ha rappresentato, e rappresenta tuttora, l’unica possibilità di rilancio e valorizzazione per queste razze tipiche, creando un mercato diversificato per qualità e tipicità dal resto del mercato della carne bovina. >> Link: www.vitellonebianco.it

I numeri della filiera 3.177 allevatori, 79 mattatoi, 78 operatori commerciali, 117 laboratori di sezionamento e 1.076 macellerie: sono questi i numeri della filiera del “Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale”, i cui soggetti sono tenuti al rispetto rigoroso dei requisiti stabiliti dal Disciplinare di produzione per far sì che la carne prodotta possa essere certificata con l’IGP. Tutta la filiera è soggetta a rigidi controlli. Una carne che arriva dal cuore dell’Italia La zona di produzione del Vitellone Bianco dell’Appennino centrale Igp è un viaggio che attraversa il cuore dell’Italia. Il Disciplinare di produzione comprende infatti l’intero territorio di Umbria, Marche, Molise e Abruzzo e le province di Bologna, Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini per l’Emilia-Romagna, le province di Arezzo, Firenze,Grosseto, Livorno, Pisa, Pistoia e Siena per la Toscana, le province di Frosinone, Rieti, Viterbo e parte delle province di Roma, Latina per il Lazio. Benevento, Avellino e parte della provincia di Caserta per la Campania.

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Partita la stagione dell’alpeggio: saliti ai pascoli delle valli piemontesi 165.000 capi bovini e centinaia di greggi Dopo i lunghi mesi dell’emergenza sanitaria, il festoso concerto dei campanacci che accompagna la salita ai pascoli delle mandrie è un rintocco di speranza che scandisce la ripartenza di un po’ tutte le attività. La più antica pratica zootecnica negli ultimi anni ha conosciuto un significativo rilancio anche in Piemonte. Secondo i dati dell’ARAP Associazione Regionale Allevatori Piemonte, infatti, sono quasi 165.000 i capi bovini sulla via della monticazione, cui vanno aggiunti centinaia di greggi di pecore e capre. Grandi numeri che vedono in testa la provincia di Cuneo con circa 100.000 capi, destinati alle 350 località d’alpe distribuite dalle Marittime al Monviso. Seguono la provincia di Torino con 43.000 bovini, Biella (quasi 12.000), il Verbano-Cusio-Ossola (4.500), Vercelli (3.500), Alessandria (2.000). In coda le province di Novara, con un migliaio di armenti, e Asti, con 300 capi. Una curiosità: anche la Liguria ha i sui alpeggi, molti con vista mare, e ad occuparsene è sempre l’ARAP che da un paio di anni ha preso in carico il piccolo ma dinamico sistema allevatoriale della Riviera, caratterizzato dalla presenza della razza bovina Piemontese e di altre razze bovine autoctone a limitata diffusione come la Cabannina e la Varzese-Ottonese. La transumanza assume oggi nuove valenze: dal presidio delle Terre Alte alla promozione della produzione lattiero-caseria di eccellenza, fino alla salvaguardia delle biodiversità animali. «I nostri marghé sono depositari di conoscenze e tecniche apprese dai padri e costantemente supportate dalle innovazioni tecnologiche. Dal loro lavoro deriva il benessere dei bovini e la valorizzazione della razza Piemontese e delle altre razze bovine, ovine e caprine che costituiscono il patrimonio zootecnico delle nostre regioni» ha osservato ROBERTO CHIALVA, presidente ARAP. Abbiamo detto in precedenza come la monticazione — dove primeggia la Piemontese —, investa tutta una serie di razze minori per numero ma preziose per la biodiversità, attestate sull’intero arco alpino regionale e tutelate da apposite misure dei PSR. Fra queste figurano la Pezzata Rossa d’Oropa, Valdostana, la Barà-Pustertaler, razza rustica per eccellenza, la Bruna (in foto) tipica dell’Ossola ma con un’enclave nel Cuneese. Nel regno degli ovini vengono portate ai pascoli diverse razze autoctone: Frabosana-Roaschina, Sambucana, Biellese, Camosciata, per completare l’elenco con la Tacola e la pecora di Langa. Tra i caprini abbiamo la Vallesana, la Fiurinà e la localizzata Roccaverano, senza dimenticare la Camosciata delle Alpi. Tiziano Valperga, direttore ARAP, ha sottolineato che «la transumanza alpina non è soltanto il trasferimento delle mandrie in montagna. L’alpicoltura è in primo luogo cura dell’ambiente montano e conservazione delle essenze foraggere pregiate, tenendo conto dell’equilibrio tra leguminose e graminacee. È un corretto rapporto tra pascoli e armenti, tra numero degli animali e la superficie, con l’uso di recinti, piste, ricoveri e l’assicurazione dei punti d’acqua per l’abbeveraggio. L’alpeggio è infine una grande attrattiva del turismo montano, la cui importanza è oggi più che mai ribadita da quel ritorno alla normalità di cui abbiamo tutti un gran bisogno». Fonte: A.R.A. Piemonte

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La carne dei Fedalto di Gian Omar Bison

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EDALTO , nella terraferma veneziana, è un cognome importante nel settore della macelleria. Da un secolo esatto i Fedalto infatti propongono carne nelle botteghe di famiglia e, da poco più di un anno, anche nella ristorazione. Da CESARE, classe 1898, che avviò la sua prima attività a Piazzale Giovannacci a Marghera, al nipote NICOLA, titolare dell’esercizio di Via Caneve a Mestre inaugurato nel 2011. Dalla tipica azienda agricola di famiglia alla Gazzera (quindici i fratelli di Cesare), che garantiva poco oltre la sussistenza, al FC 1920 Il ristorante, del quale Nicola è socio, sono passati 100 anni di trasformazioni urbanistiche, consumistiche e sociali.

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Ma la carne, declinata in maniera diversa, con le nuove e differenti aspettative e pretese dei consumatori, è sempre stata e continua ad essere il centro degli affari di casa Fedalto. «Nonno Cesare è rimasto in attività fino ai primi anni Ottanta insieme a mio padre Giuseppe e agli altri figli Roberto e Giancarlo. Chiusa la prima macelleria, ci siamo

trasferiti nel 1992 a Piazza Mercato sempre a Marghera, dove siamo rimasti fino al 2010. Io sono nato in macelleria ed è sempre stato il mio mestiere. La sede attuale l’abbiamo avviata praticamente da zero nel 2011 con mia moglie ed è stata pensata così com’è adesso, con una gastronomia importante e scaffali da dedicare ai

Una famiglia di macellai a Mestre dal 1920. Chi entra alla Macelleria Fedalto non trova solamente carne: trova l’esperienza di Nicola e dei suoi famigliari, trova la passione che scorre nelle loro vene, trova infine la tracciabilità e la provenienza dei prodotti, il loro valore e l’altissima qualità

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PERCHÈ MEATY E’ un’iniziativa, ideata da Ecod, per creare sinergie vincenti tra le industrie che producono l’eccellenza italiana nel settore carni e pesce e i loro fornitori di tecnologie ed ingredientistica, in un quartiere fieristico moderno e razionale come quello di Bologna.

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In alto: la famiglia Fedalto in macelleria. In basso: il banco carni della macelleria di Mestre. A destra: tempo, temperatura e ventilazione controllate, materia prima di qualità e tanta pazienza. Sono questi gli ingredienti necessari per una frollatura ad hoc che esalta il sapore della carne. È questa la filosofia dei Fedalto per un’esperienza di gusto unica (photo © Alberto Gobbato).

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prodotti agroalimentari, gourmet in primis, i formaggi dove siamo specializzati e a rotazione ne proponiamo più di 400 tipologie! Il marchio di fabbrica, o il timbro di bottega che dir si voglia, per Nicola è la Chianina Vitellone Bianco dell’Appennino Centrale IGP, Indicazione Geografica Protetta condivisa con la Marchigiana e la Romagnola. «Per noi è la Formula Uno della carne bovina. Ce la invidiano in tutto il mondo per quanto la resa in quantità non sia elevata come altre razze. E in più c’è un Disciplinare specifico di produzione che per noi resta una garanzia. Negli anni abbiamo lavorato tanto anche la razza Piemontese e la Garronese ma la Chianina resta il nostro biglietto da visita. Ci riforniamo direttamente dal Consorzio di produzione che ci vende mezzene o lombate tra le quali quelle allevate nell’azienda agricola San Giobbe, 800 ettari in Val di Chiana, e dall’azienda Agrifap Corte Pizzolo». Per la carne suina, utilizzano il classico suino pesante padano ma propongono anche delle selezioni come il suino Nero calabro, allevato allo stato brado, e il maiale dei Carpazi di razza Mangalica, «la migliore secondo noi in quanto ha una carne e un grasso diversi dai soliti». Insaccano direttamente salsiccia, salami e musetti. Per l’avicolo, si servono quasi completamente dall’azienda Malocco Vittorio e figli Spa (marchio Ducale) più qualche altro fornitore. A completare le carni proposte, l’agnello d’Alpago della Cooperativa agricola Fardjma di Tambre (BL). «Non facciamo gastronomia, niente di cotto. Prepariamo dei “pronto cuoci” e proponiamo alcuni tagli di carne sottovuoto per avvantaggiare il cliente nella conservazione e nel trasporto, fermo restando che non è il sottovuoto che mantiene la carne, ma la temperatura. Un sottovuoto a zero gradi dura anche due mesi ma a quattro gradi dura pochi giorni». A scaffale una proposta di vini interessante. Lo stesso dicasi per le birre artigianali e per la pasta. Ristomacelleria? «Qui in comune di Venezia sembra più complesso

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che, ad esempio, a Treviso, ottenere le autorizzazioni per arrivare alla somministrazione di alimenti e bevande. Forse per un’interpretazione diversa della normativa. Eppure in tutta Italia, in particolare al Sud, funziona che dal produttore si possa anche mangiare. E comunque da noi la gente tende ad andare più ai centri commerciali e a comprare online. Il centro cittadino viene vissuto poco. Ma il centro città sono i suoi negozi e l’economia di quartiere e questi vanno incentivati di più e meglio». Per quanto riguarda FC 1920 Il ristorante, parte del complesso culturale-museale-ricreativo M9, i Fedalto sono in società col caposala e lo chef. «Lo abbiamo in gestione da un anno. Non possiamo lamentarci — sottolinea Nicola — ma è il complesso M9 che secondo noi lamenta delle difficoltà di natura organizzativa. A breve chiuderemo per spostarci altrove. Ci siamo entrati con dei costi molto alti perché

ci era stato garantito che avremmo goduto di un afflusso importante di persone, verso il centro nel suo complesso, grossomodo attorno alle 200.000 unità all’anno, grazie al calendario di eventi ed attività sviluppato e con tutti i locali affittati. Ma ad oggi non è ancora così. I presupposti c’erano ma la realtà è ben diversa. Forse comunicazione e pubblicità diverse, oltre che un programma di appuntamenti da ripensare, potrebbero aiutare. Abbiamo dedicato tanta passione, tempo, lavoro e denaro ma siamo costretti a lasciar perdere. Abbiamo deciso di chiudere e stiamo cercando per riaprire da un’altra parte sempre nei dintorni di Mestre e sempre con ristorazione a base di carne di alto livello. Dove mi vedo fra dieci anni? Fra dieci anni vorrei essere in giro per l’Europa con la mia moto». Gian Omar Bison >> Link: www.fc1920.it

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PRODOTTI TIPICI

Norcineria tipica alle pendici dei monti Aurunci

Riscoprire i sapori perduti di un tempo con la salsiccia paesana di Maranola di Massimiliano Rella

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iscoprire i sapori e gli aromi di un tempo per nutrirsi bene, in salute e col piacere della tavola. Dall’89 con questa filosofia i FRATELLI PIETRO e CESARE TUCCIARONE gestiscono la macelleria di famiglia nel borgo di Maranola, vicino Formia (LT), alle pendici dei monti Aurunci. Tra i prodotti norcini più saporiti

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e identitari della fascia appenninica del basso Lazio, al confine della Campania, c’è la salsiccia al coriandolo, una bontà fresca, stagionata e/o affumicata che assume sfumature un po’ diverse man mano che si saltella di paese in paese. Non è solo campanilismo “norcino”. Avevamo co nosciuto questa famiglia di insaccati su PREMIATA

SALUMERIA ITALIANA con un servizio dedicato alla Salsiccia al Coriandolo di Monte San Biagio (RELLA M., La salsiccia di Monte San Biagio punta all’Igp, in PREMIATA SALUMERIA ITALIANA n. 6/2013, pag. 56). Tra il borgo che segnava un tempo il confine del Regno di Napoli dallo Stato Pontificio e, più a sud di Gaeta, il borgo di Maranola, c’è una distan-

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A sinistra: le lunghe catene di salsiccia paesana di Maranola, fresca e stagionata e al finocchietto alla Macelleria Norcineria Tucciarone. In alto: Cesare e Pietro Tucciarone. In basso: mezzena di suino. za geografica di appena 30 km. La distanza norcina si misura invece in termini di sfumature speziate e affumicature al legno d’ulivo, varianti piccole e sottilmente impercettibili di una famiglia di salsicce che, pur cambiando nome, non cambia molto di sostanza. Ma una cosa va chiarita senza esitazione: la Salsiccia paesana di Maranola che i fratelli Tucciarone producono artigianalmente nel loro laboratorio con macelleria ai piedi dei monti Aurunci, sulle colline affacciate sul golfo di Gaeta, è una specialità che vale un viaggio gastronomico o, più semplicemente, una deviazione dalla costa per salire nel borgo-frazione di Formia. Motivo valido: una spesa di qualità a un buon prezzo. Tra i prodotti tipici della gastronomia del Sud Italia gioca un ruolo da protagonista la carne di maiale, di cui la salsiccia è diretta discendente in tutte le sue lavorazioni, profumazioni e declinazioni.

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In alto: pancette appese. In basso: il laboratorio della Macelleria Norcineria Tucciarone.

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I ricordi del passato ci consegnano un rito che si svolgeva nelle case e nei cortili delle famiglie contadine, ogni anno in autunno, sotto l’occhio vigile degli anziani, in un clima di festa, con gli uomini attorno al maiale macellato a tagliare le sue carni, con le donne a “sciogliere” la sugna in grossi calderoni e i ragazzi a preparare rami di “ventrisco” (un particolare arbusto di lentisco) e i bambini a spargere sale sui pezzi di lardo e ventresca. La carne era scelta secondo l’utilizzo finale — lonza, pancetta, capocollo, prosciutto — senza trascurare la sugna per condire il “sanguinaccio dolce” tanto caro ai più golosi. Il momento magico avveniva quando il capofamiglia cominciava a insaccare i pezzi di carne nel budello, che prendeva forma, e li legava con uno spago e bucava per evitare il ristagno dei liquidi. Alla fine della giornata le catene di salsicce venivano appese ai soffitti ad affumicare. A Maranola di Formia, paese medievale sul golfo di Gaeta, il macellaio Pietro Tucciarone, 56 anni, lavora in modo artigianale la carne del suino per le sue lunghe “catene” di salsicce paesane. Il papà era commerciante di bestiame ma lui, nell’89, decise di aprire la macelleria riuscendo a far inserire anni dopo la Salsiccia paesana di Maranola nell’associazione per la promozione della Salsiccia al coriandolo dei monti Aurunci, la “Madre” di tutte le salsicce locali fatte con metodo tradizionale. Tucciarone utilizza carni di suino pesante nazionale; quello di territorio quando è reperibile. La base dell’impasto si ottiene da spalla e prosciutto, cui vengono aggiunte le rifilature di tutti i tagli dell’intero maiale. Le carni sono tagliate a punta di coltello, a calibro grosso 22, e impastate con una concia variabile a seconda della salsiccia finale. Gli ingredienti base sono: sale e coriandolo per la versione “dolce”, più peperoncino per la piccante. Un’altra tipologia è quella con finocchietto selvatico, contraddistinta da uno spago verde anziché rosso.

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Affumicatura delle salsicce. Una volta insaccate in budello naturale si ottengono le salsicce fresche, prodotto di base da consumare cotte con salsa di pomodoro o broccoletti. Le fresche possono a loro volta affumicare per 2-3 ore in modo naturale al legno d’ulivo non trattato e diventare così “fresche affumicate”. Il procedimento delle salsicce stagionate — e/o stagionate affumicate — prende invece una strada diversa già a partire dall’insacco nel budello naturale. «La stagionata è insaccata un po’ più stretta per evitare la formazione di bolle d’aria — ci spiega Pietro Tucciarone — e non viene legata perché deve stagionare in una forma a ferro di cavallo per 20-35 giorni a seconda del clima e dell’umidità, pulita a intervalli regolari». Le salsicce sono stagionate in ambienti “profumati” di ventrisco, il lentisco dei monti di Maranola. Tra fresche, stagionate e affumicate

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i Tucciarone producono 50.000 kg di salsicce l’anno, ma in prospettiva aumenteranno grazie a un prossimo ampliamento del laboratorio. Tra gli altri prodotti troviamo capocolli, guanciali, filetti e pancette arrotolate, anche affumicati ma con affumicatura più lunga e intensa. Infine una variante di salsiccia paesana affumicata di fegato e interiora (cuore, polmoni, guanciale, ecc…), in versione più fresca che stagionata e decisamente invernale. Prezzi al pubblico delle salsicce: 9,50 €/kg, 10,00 €/kg la affumicata, 18,00 €/ kg la stagionata, di fegato 8,00 €/kg. Massimiliano Rella Macelleria di Tucciarone Pietro Via Rotabile 123 04023 Maranola di Formia (LT) Telefono: 0771 735753 Nota Photo © Massimiliano Rella.


RISTORANTI CARNIVORI

La razza è servita A Modena c’è un ristorante verticale sulla carne, dall’antipasto al secondo, dolce ovviamente escluso, ma si attendono miracoli di Massimiliano Rella

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i chiama Officina della Senape e prende il nome da un altro vezzo della coppia — coppia nel lavoro e nella vita — che lo gestisce: l’idea di fare le salse in casa, a partire da quella a base di semi dell’omonima pianta delle brassicacee, detta appunto senape. I due protagonisti del concept sono MATTEO

MARZOLI, il butcher dell’Officina, e la moglie ELENA RATTO, responsabile di sala: una nuova “squadra” entrata in campo a maggio 2019 con la riorganizzazione del locale che Marzoli aveva in realtà aperto anni fa con un altro socio. Allora il menu proponeva piatti modenesi e ricette di carne, poi nel

Le Tartare Classiche dell’Officina della Senape: Superba, Lunigiana, Myazaki e Parisienne (photo © instagram.com/officinadellasenape_official). 92

2014 l’idea di una verticalizzazione spinta, che guida ancora questo bel ristorante dagli arredi moderni, con grandi vetrate a vista e tavoli anche sotto i portici razionalisti di piazza Matteotti, nel cuore di Modena. Cosa s’intende però per verticalizzazione carnivora? Dire “solo carne” è riduttivo, perché il concetto non comprende le tecniche di frollatura, marinatura e cottura — e ci sono pure crudi e battute — che si possono applicare ad una materia prima di qualità, selezionata tra i tagli pregiati della “pistola” posteriore (lombata più coscia) da fidati fornitori. Che sono la HRC GOURMEAT, di Meolo (VE), azienda specializzata su carne di qualità per il settore della ristorazione, dalla quale Officina della Senape acquista lombate e tagli di pregio, e CARLO’S BEEF di Mantova, da cui arriva ad esempio ottima fesa con la giusta marezzatura (più marezzata) per comporre La Forca, un insieme di filetti di fesa appesi con del bacon di Chianina piccante su una struttura a gancio, brevettata dal ristorante modenese, servito con una ciotola di riso basmati e zucchine e tre salse dell’Officina della Senape: senape, BBQ e salsa di soia. Porzione conviviale per minimo due persone, anche tre… Una volta acquistata la carne non passa però direttamente in cucina ma in cella frigorifera per una frollatura “fai da te” e questo è un altro aspetto qualificante di Officina della Senape, che gestisce il delicato passaggio tutto in casa, frollando artigianalmente le carni Eurocarni, 8/20


«Il nostro concept è lavorare con varie razze e dare espressione alle carni con tecniche diverse, dalla frollatura alla marinatura, unendo salse fatte da noi e ingredienti di stagione. Nel futuro una Tartareria, un locale verticale sui crudi»

minimo 30 — massimo 60-70 giorni — orchestrando temperature e tassi di umidità. «Il nostro concept è lavorare con varie razze e dare espressione alle carni con tecniche diverse, dalla frollatura alla marinatura, unendo salse fatte da noi e ingredienti di stagione» ci spiegano Matteo e Elena. «Così proponiamo 8 crudi diversi ogni 4-5 mesi, una media di 250 battute a settimana. Utilizziamo inoltre 8 diverse carni per la tartare, razze come la Garronese, la Bianca modenese, la Pezzata rossa, il Wagyu giapponese o la Mora del Baltico. Stiamo pensando di aprire una Tartareria, cioè un locale verticale sui crudi, ma anche una nuova serie di piatti da degustazione basati su diverse frollature». Ricordiamo anche che tutte le salse per le tartare sono autoprodotte artigianalmente, incluse la senape e la barbecue, in tutto una ventina di ricette, anche originali come la

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In alto: Matteo Marzoli, il butcher dell’Officina, e la moglie Elena Ratto, restaurant manager, coppia nella vita come nel lavoro. In basso: i bei locali di Officina della Senape in piazza Matteotti a Modena, nel centro storico, a due passi dal Duomo, capolavoro del romanico, e dalla Ghirlandina.

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La Forca, con tanto di brevetto depositato, è appositamente studiata per mantenere intatte le proprietà della carne durante il pasto. Qui filetto di fesa “appeso” con bacon di Chianina piccante, riso basmati e zucchine, accompagnato dalle tre salse dell’Officina della Senape: senape, BBQ, salsa di soia.

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salsa di gorgonzola e Sangiovese per la tagliata o la salsa di wasabi e teriyaki per la tartare di Wagyu (servita a parte per le bistecche). Tra gli antipasti sono in carta 8 battuti al coltello, con specificazione di provenienza, razza e tipo di carne. Troviamo poi in menu 4 crudi, come la fesa di scottona nazionale marinata in casa, con vari condimenti, ad esempio senape e ravanelli o yogurt greco, albicocche e basilico. Le marinature sono un altro filone aureo dell’Officina e offrono al cliente piatti come la Texana, una carne con marezzatura di livello almeno 3. Il cube roll è marinato sottovuoto una settimana con mix di spezie e, ingrediente principale, fumo liquido naturale ottenuto per distillazione da legno di sequoia o di acero grazie al contatto tra le gocce di vapore e il fumo stesso. Dopo una settimana il cube roll è tolto dal sottovuoto, grigliato e servito su lastra d’ardesia. Con un’offerta così tanto carnivora è naturale che la gran parte dei vini siano rossi, l’80% da Toscana e Piemonte, ma con discreta rappresentanza di Lambruschi e Sangiovese di Romagna. In totale 80 etichette, tra cui una lista di Champagne da abbinare ai crudi. I ricarichi sono contenuti per far girare la cantina e il cliente anziché l’intera bottiglia può optare per alcune etichette al calice, introdotte a rotazione. Un paio di suggerimenti? Il Sangiovese di Romagna Superiore 2016 di VILLAVENTI, cantina biodinamica di Roncofreddo (FC), un rosso fermentato in anfora georgiana, naturale, di corpo e freschezza, ottimo per i crudi (€ 5,00 a calice). Invece per tagliata e bistecche un Chianti Classico Docg 2017 biologico di cantina DIEVOLE (€ 5,00). E la cena è servita (il locale è aperto solo di sera, tranne la domenica, anche a pranzo). Massimiliano Rella

In alto: la senape fatta rigorosamente in casa. In basso: un taglio di Bianca romagnola (photo © instagram.com/officinadellasenape_official).

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Officina della Senape Piazza Matteotti 19/24 41121 Modena Telefono: 059 8756752 Web: www.officinadellasenape.com

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LOCALI DI GUSTO

Gusto, nuova sede stessa magia di Massimiliano Rella

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n trasloco in grande stile per una delle insegne più conosciute della ristorazione capitolina. Gusto, dopo oltre vent’anni, lascia piazza Augusto Imperatore per trasferirsi in un grande spazio a due passi da piazza Navona, in quello che era il ristorante Il Passetto, aperto ad inizio ’900. Non cambia però la formula gastronomica che ha contraddistinto Gusto fin dalle

origini (era il ’98), già allora locale poliedrico con ristorante, pizzeria, wine bar, cigar club, cantina, pralineria, live music, ecc…. In carta il cliente trova tanti piatti di carne e pesce, dalle fiorentine alle tagliate, dai saltimbocca alle grigliate di pescato fresco. Ma anche rotisserie e hamburgeria, con carni arrostite e vari tipi di burger (vegano, affumicato, di pesce, ecc…) e naturalmente

i primi più rappresentativi della tradizione italiana, come la pasta alla gricia, l’amatriciana, le lasagne o le fettuccine ai frutti di mare. Il tutto con grande attenzione per la materia prima a partire dagli ingredienti apparentemente più basici, come l’olio extravergine d’oliva, quello laziale di ALESSANDRO MUSCO. In carta dei vini il cliente può scegliere tra 350 etichette italiane con

Smocker Burger.

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un’attenzione particolare a piccoli produttori bio e naturali. Dicevamo che Gusto conferma la sua formula poliedrica, quindi oltre alla pizzeria e al cibo da strada, proposto questo in uno degli spazi di questo grande locale (400 m2 e 300 coperti tra interni e dehors), l’ospite ha a disposizione anche un bar che serve cocktails tra il classico e il rivisitato, whiskey, vodka, gin, calvados, con un menu ben rifornito. Due parole anche sugli interni. La proprietaria di Gusto, ALESSANDRA MARINO, col suo studio di architettura ha deciso di concentrarsi sui colori per contestualizzare i vecchi arredi, mobili poveri e nobili in egual misura. Le diversa, infatti, sono caratterizzate da tinte inedite e distintive. Così, entrando da uno dei due ingressi, quello di piazza S. Apollinare, il cliente è accolto dalla sala Corallo, che prende il nome dal colore della boiserie e che senza interruzione architettonica confluisce nella sala Belle Époque, dominata dal rosa e dall’oro. Entrando invece da via Zanardelli è la sala Picasso a fare gli onori di casa, questa connotata da un gigantesco specchio di 7X3 m che riflette grandi finestre e un antico mosaico dai colori tenui. Un’altra delle sale è dedicata invece a ENZO CUCCHI, in onore di una grande tela che arreda l’omonima sala, questa dominata da toni grigi, rosa e mattone. Conto tre portate: € 47,00. Massimiliano Rella Gusto Piazza Sant’Apollinare 41 / Via Zanardelli 14 – 00186 Roma Telefono: 06 62286019 E-mail: gustoal28@gusto.it Web: www.gusto.it

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In alto: amatriciana. Al centro: tataki di tonno. In basso: sala Belle Époque.

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SAPORI MEDITERRANEI

Gyros, e sai di essere in Grecia Cipolla, pomodori, salsa tzatziki con yogurt, cetrioli e aglio, l’immancabile pita e la carne di maiale che lo differenzia dal kebab turco e dallo shawarma arabo. Un piatto di confine di Nunzia Manicardi

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ssomiglia al kebab turco e allo shawarma arabo ma nel gyros la carne, condita con pomodori, cipolla e salsa tzatziki, non è di pollo, montone, pecora, agnello, tacchino e manzo spesso mischiate insieme bensì quasi sempre di maiale, alimento vietato nella religione islamica che vige negli altri Paesi prima citati. La carne arricchita dei vari ingredienti viene appoggiata sulla pita, il tipico pane greco morbido e di forma circolare che, a causa dello spessore, viene poi avvolta non a stretto rotolo, come negli altri casi, ma rimanendo un po’ aperta a cono. Il pita gyros (questo è il suo nome completo) è

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un capolavoro del cosiddetto “cibo da strada” ma è anche perfetto come piatto unico ed economico per pranzo o cena oppure per uno spuntino sostanzioso. In Grecia viene venduto in diversi tipi di locale: nel gyradiko e nel souvlatzidiko, che ricordano i fast food americani o le rosticcerie italiane, e nella psistaria e nello psitopolio, che sono simili alle grill steak house. Nei ristoranti e nelle trattorie viene invece di solito impiattato, in porzioni solitamente molto generose e spesso accompagnate da patatine fritte che anche, nelle versioni street food, sono non di rado inserite all’interno dell’involto.

Si tratta di un’introduzione abbastanza recente che sta riscuotendo sempre maggior successo. Del gyros esistono alcune varianti che vengono proposte soprattutto nelle località turistiche e con nomi adeguatamente tradotti in inglese. C’è quella con pollo (pita kotopoulo), quella con spiedini di carne (souvlaki pita) e, molto di rado, con pesce e frutti di mare. Talvolta si aggiunge la paprika. Se lo tzatziki non è gradito per la presenza dell’aglio lo si può sostituire con il tirokafteri, crema a base di formaggio feta e peperoncino piccante. Per assecondare il gusto dei tanti turisti stranieri in molte

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località queste salse tradizionali vengono sostituite con ketchup e maionese, prodotti tutt’altro che greci che snaturano e banalizzano sia il gusto che la tipicità di questo bel piatto così mediterraneo e così completo, anche dal punto di vista nutrizionale, nella sua semplicità e immediatezza. La carne va preparata con l’apposita marinatura con spezie e aromi e poi tagliata a fette. La cottura avviene su di uno spiedo verticale che fu inventato nel 1860 in Turchia e che poi intorno al 1820 i Greci adottarono chiamandolo gyros (cioè “che gira”). Le operazioni preliminari vanno fatte tutte prima dell’apertura del locale di vendita. Le fette di carne sono infilzate una sopra l’altra fino ricoprire completamente l’asta appuntita del gyros. Il girarrosto comincia in seguito a ruotare su se stesso prendendo calore da una griglia sistemata in prossimità e resa incandescente tramite elettricità o gas. Quando lo strato esterno diventa croccante, lo si taglia in strisce sottili mediante un coltello elettrico per carne oppure con una macchinetta automatica. Viene tagliata di continuo prima che si bruci e raccolta in una vaschetta. Di conseguenza, i pezzi di gyros all’interno della pita hanno diversa consistenza: quelli meno cotti sono più teneri, mentre quelli più cotti sono anche più croccanti. Ogni avventore, se assiste al taglio, può dare indicazioni sulle proprie preferenze. Nel frattempo si preparano le singole porzioni, ponendo le strisce di carne sulla pita insieme con gli altri ingredienti Tradizionalmente anche la pita veniva preparata sul posto. Oggi è più facile trovarla come prodotto industriale, confezionata in lunghe pile all’interno di buste sigillate, vendute ai ristoratori che possono anche conservarle per diverso tempo alla giusta temperatura. Quando deve essere preparato il gyros, la pita viene scaldata su una piastra inumidita con l’olio. Gli ingredienti continuano ad essere gli stessi, semplici e, si spera, genu-

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Taglio della carne per la preparazione del gyros pita (photo © guruXOX – stock.adobe.com). ini: farina, acqua, lievito di birra, sale, zucchero e olio d’oliva. Viene cotta al forno senza aggiunta di condimenti. La salsa tzatziki sulla tavola greca non manca mai ed è altrettanto presente in tutti i Balcani e in Medio Oriente. Comincia a comparire anche in Europa, sulla spinta della diffusione della cucina etnica. Di solito viene servita come antipasto insieme a crostini di pane o come accompagnamento a carne, pesce o verdure o, ancora, per insaporire la farcitura della pita, il kebab, i falafel e, nel nostro caso, il gyros. Lo tzatziki è molto facile da preparare. Pochissimi sono gli ingredienti necessari: cetrioli, yogurt greco, aglio, limone, olio extravergine d’oliva (altro prodotto tipico greco), aneto, sale. La parte più impegnativa, se così si può dire, riguarda il modo in cui va preparato il cetriolo. Per un risultato ottimale bisogna ricordarsi di trattarlo nel modo corretto, come per altro facciamo anche in Italia. Bisogna cioè tagliarlo in punta e poi, con il pezzetto rimosso, sfregare con un movimento circolare l’estremità del cetriolo stesso.

In questo modo si elimina il sapore amarognolo e lo si rende più digeribile. Successivamente, si toglie la buccia e la si grattugia grossolanamente insieme con la polpa (noi Italiani tendiamo invece a buttarla via). Dopo di che, il tutto va lasciato in un colino per un’oretta per far scolare l’acqua di vegetazione, strizzato e unito un po’ alla volta con gli altri ingredienti, tra cui l’aglio tritato nel mortaio o nel frullatore fino a ridurlo alla consistenza di una crema. Per apprezzarne al massimo il sapore, lo tzatziki va servito freddo. L’ideale sarebbe lasciarlo riposare per una mezz’ora in frigo dove, in un contenitore di vetro, può essere conservato anche per un paio di giorni. L’aneto, se non piace, può essere validamente sostituito con l’erba cipollina e il succo di limone con un cucchiaio di aceto bianco di vino Nunzia Manicardi Nota A pagina 98 gyros pita con salsa tzatziki, cipolla e pomodori (photo © ricka_kinamoto – stock.adobe.com).

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NUTRIZIONE

Carne di vitello e vitamine del gruppo B: i migliori abbinamenti per un assorbimento ottimale di Susanna Bramante

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a carne di vitello è ricca di vitamine del gruppo B e in particolare di B1, B2, B3, B5 e B12, le cui quantità variano tra i diversi tagli. I metodi di cottura e gli abbinamenti con altri alimenti influenzano il grado di assorbimento di queste vitamine. Vediamo quali sono i migliori abbinamenti funzionali per un assorbimento ottimale.

Trattandosi di vitamine idrosolubili, queste si disciolgono in acqua e possono andare perse se la carne non viene cotta in modo corretto: per questo motivo è essenziale non far perdere alla carne i suoi succhi, affinché le vitamine non vengano dilavate. Sono anche molto sensibili al calore, ad eccezione delle vitamine B2, B3 e B12, che sono le più

resistenti: per fortuna però la carne di vitello si presta a non essere cotta eccessivamente, così che tutte le vitamine non vengano distrutte. Le vitamine del gruppo B vengono assorbite meglio se presenti tutte insieme contemporaneamente nello stesso pasto: a questo proposito la carne di vitello è una fonte ottimale, riuscendo a coprire da sé e con soli

Carré di vitello, un taglio prelibato. La carne di vitello, molto morbida e digeribile, è particolarmente adatta a bambini, anziani e sportivi: fornisce infatti proteine pure con un bassissimo contenuto in grassi.

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100 g di carne dal 30 al 50% del fabbisogno giornaliero di queste vitamine. Fumo e alcol invece ne inibiscono l’assorbimento, oltre a sostanze come la caffeina, teofillina e saccarina, che ne diminuiscono la biodisponibilità. Ecco perché per trarne il più possibile dal cibo occorre limitare alcolici, caffè, tè e dolcificanti. Anche la compresenza di micronutrienti come calcio e fosforo, manganese, magnesio, selenio, zinco, vitamina D, antiossidanti come vitamina E, vitamina C e betacarotene nello stesso pasto, creano sinergie per un migliore assorbimento. Diventa quindi funzionale accompagnare la carne di vitello con frutta e verdura crude. Via libera dunque a vitello insieme alla frutta come melone e albicocche per il betacarotene, a verdure come zucca, carote e patate dolci, o agli agrumi come le arance per la vitamina C, coadiuvanti che aumentano l’assorbimento delle vitamine del gruppo B. La vitamina B1 o tiamina ha diverse funzioni nel nostro organismo, ed in particolare è importante per l’attività neuronale ed il sistema nervoso, nel processo di crescita dei bambini e nella loro capacità di apprendimento, per il cuore e l’integrità dei globuli rossi, e ha un ruolo nella sintesi di ormoni e nel dimagrimento, in quanto trasforma il glucosio e i grassi in energia, aumentando il metabolismo. La vitamina B1 viene assimilata meglio se nello stesso pasto non sono presenti troppi carboidrati: l’eccesso di carboidrati limita infatti l’assorbimento di questa vitamina aumentandone il fabbisogno.

Saltimbocca di vitello con asparagi e funghi. La vitamina B3 o niacina, insieme alla B12, è la più rappresentata nella carne di vitello, riuscendo con 100 grammi di carne a coprire il 50% del fabbisogno giornaliero di entrambe. La vitamina B12 si trova nella sua forma biologicamente attiva solamente nei cibi di origine animale e la sua carenza si verifica in caso di dieta vegetariana stretta o in gravidanza, in quanto in questa fase delicata i fabbisogni risultano aumentati. Coinvolta nel metabolismo dei grassi, degli amminoacidi, nel corretto sviluppo e funziona-

mento del sistema nervoso e nella produzione dei globuli rossi, una sua carenza può essere pericolosa nel bambino, per cui diventa essenziale assumerla con gli alimenti. Un eccesso di vitamina C può distruggerla, per cui non bisognerebbe assumere nello stesso pasto troppi alimenti ricchi in questa vitamina. La vitamina B3 è fondamentale per la respirazione cellulare, per la crescita, per la sintesi del DNA e degli ormoni, per il funzionamento del sistema nervoso, protegge la pelle e i capelli, favorisce la circolazione sanguigna, il processo di digestione

Conosci il blog Sfizioso.it? Sfizioso è un viaggio, il più gustoso dei viaggi. Tra le pagine di questo blog si parla di cibo e di vino con un obiettivo chiaro e forte: tornare a raccontare le nostre radici. Questo perché Sfizioso è anche una sfida: parlare di cibo come un piacere della vita sano e intelligente. Come? Attraverso i volti di amici, chef, blogger ed esperti che raccontano piatti e culture gastronomiche in giro per l’Italia. >> Link: Sfizioso.it

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Vitello tonnato con giardiniera di verdure. Fonte di proteine nobili già di per sé, diventa funzionale l’accostamento tra la carne di vitello con uova o pesce, come il classico vitello tonnato, per l’apporto di selenio, colina, inositolo, biotina e vitamina D, senza dimenticare di condire con olio extravergine di oliva a crudo. degli alimenti ed il metabolismo di carboidrati, grassi e proteine. Per riuscire ad assorbirla meglio è essenziale un buon apporto di proteine nello stesso pasto, in quanto una carenza proteica ne aumenta il fabbisogno. Fonte di proteine nobili già di per sé, diventa funzionale l’accostamento tra la carne di vitello e legumi come fagioli, oppure con uova o pesce, come il classico vitello

tonnato, per l’apporto di selenio, colina, inositolo, biotina e vitamina D, senza dimenticare di condire con olio extravergine di oliva a crudo per gli antiossidanti e vitamina E che potenziano l’assorbimento delle vitamine del gruppo B. La vitamina B5 o acido pantotenico è molto sensibile alle temperature, svolge un ruolo fondamentale nel metabolismo di grassi, proteine e carboidrati ed è coinvolta nella

La carne di vitello è ricca di vitamine del gruppo B e in particolare di B1, B2, B3, B5 e B12, le cui quantità variano tra i diversi tagli. I metodi di cottura e gli abbinamenti con altri alimenti influenzano il grado di assorbimento di queste vitamine. Ad esempio, è essenziale non far perdere alla carne i suoi succhi, affinché le vitamine non vengano dilavate

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sintesi di colesterolo e ormoni. Protegge i capelli e la pelle, aiutando nella cicatrizzazione di ferite, nel recupero da ustioni, a prevenire l’acne, l’invecchiamento e le rughe: per questo viene utilizzata in molti prodotti cosmetici, anche se introdurla con l’alimentazione è molto più efficace. Ecco perché la carne di vitello diventa un’alleata di salute e bellezza: un contorno di funghi o piselli oppure abbinamenti stravaganti con datteri e fichi o con frutta secca come mandorle e pistacchi per il calcio e fosforo, o noci, nocciole e arachidi, per il magnesio, zinco e selenio, costituiscono ingredienti insoliti ma efficaci per la creazione di piatti gustosi e funzionali ad un massimo assorbimento delle vitamine del gruppo B. Bisogna solo lasciar spazio alla fantasia. Susanna Bramante

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COMITATO TECNICO SCIENTIFICO MARCA 2020

blickdesign.it

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RAZZE

Rilancio della pecora Ciuta, la più piccola delle Alpi di Riccardo Lagorio

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on lasciava adito ad interpretazioni l’Atlante etnografico delle popolazioni ovine e caprine allevate in Italia, dato alle stampe dal CNR nel 1983. La popolazione della pecora Ciuta era da considerarsi in forte pericolo di estinzione. Almeno per due considerazioni. Una di tipo sociale, conseguenza del fatto che gli allevatori erano anziani e svolgevano l’attività come ancillare ad un’altra principale; la seconda di carattere economico, causata dall’inserimento nelle greggi di razze a migliore produttività. Il centinaio di capi allora censiti era la premessa alla inevitabile scomparsa della Ciuta, che si concentrava in Val Masino, in provincia di Sondrio. Un ambiente molto difficile, caratterizzato da pascoli poveri e scoscesi in cui gli animali si alimentavano al pascolo, integrato con fieno e foglie secche. Sull’Atlante venivano messe a disposizione dei lettori anche le caratteristiche degli animali: l’altezza e il peso degli esemplari femmine da 40 a 45 cm e da 30 a 35 kg, dei maschi da 45 a 50 cm e da 35 a 40 kg rispettivamente. La macellazione degli agnelli era considerata di scarsa resa ed eseguita al raggiungimento di 12 o 15 kg. La lana che si ottiene è di circa 1 kg per capo e, benché considerata di qualità non eccelsa, l’attività di lavorazione del vello è ancora ben testimoniata negli anni Ottanta da numerosi scatti fotografici. La fertilità si contava in tre parti su due anni. In questa vallata alpina capitò un emissario di Pro Specie Rara, la fondazione elvetica per la diversità sociogenetica dei vegetali e degli animali (prospecierara.ch), alla ricerca di qualche notizia ed esemplare di

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suino dal manto nero, segnalato nei porcili montani, contattando anche la veterinaria dell’ATS locale, SILVANA CERASA. Che lo avrebbe convinto ad approfondire il tema del recupero di una pecora impressa nei suoi ricordi di bambina, una pecora dalla fattura piccina, che sapeva essere praticamente scomparsa. Correva il 2004 e le ricerche, qualche anno prima, non avevano dato buoni frutti poiché la pecora Ciuta era vittima dell’ibridazione con razze più produttive come Bergamasca o Merino. «Il contributo di tutti gli attori in gioco permise però di individuare gli ultimi esemplari riconducibili alla pecora Ciuta e cominciare il lavoro di recupero della razza, malgrado il problema della consanguineità fosse ben presente, essendo gli animali pochi e provenienti tutti dallo stesso ceppo» racconta con trasporto MARCO PAGANONI, responsabile del progetto Pecora Ciuta di PatriMont, che si propone la conservazione delle razze di montagna. La caparbietà del gruppo di lavoro ha portato al riconoscimento della razza Ciuta nell’albo delle razze ovine italiane il 15 febbraio 2018 e il raggiungimento di oltre 200 esemplari. Che, benché non rappresenti il limite numerico che dà certezza di rinascita della Ciuta, ne ridisegna il futuro prossimo. «Nell’autunno dello scorso anno, su richiesta di un allevatore, ho avuto il compito di lavorare le carni di Ciuta» dice LORENZO PEDRINI dell’omonima macelleria di Valdisotto. «Ne sono nate delle salsicce, con la presenza del 25% di pancetta di suina, dalla caratteristica forma a corna come quelle regolarmente prodotte con carne di maiale. Le

In Val Masino, la vallata d’origine della razza, solo l’azienda agricola del giovane Stefano Villani possiede questo animale. «Siamo orgogliosi di potere essere annoverati come allevatori di questa razza». Che a tavola è apprezzata arrosto o sotto forma di arrosticini. Interessante sarebbe un suo utilizzo nella salumeria ovina

La pecora Ciuta può rappresentare un utile tassello nell’impiego del territorio più impervio della montagna. Le piccole zampe esili, infatti, le permettono di sfruttare gli anfratti tra una roccia e l’altra e brucare dove nessun animale riesce a farlo, anche in quelle aree dove sono più rigide le temperature

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La pecora Ciuta è stata mantenuta in una piccola valle laterale della Valtellina, dove vive durante quasi tutto l’anno tra pascoli e boschi. Il suo habitat è molto duro, su pascoli ripidi ad altezze che vanno dagli 800 ai 2700 m di altitudine.

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In alto: arrosticini di pecora Ciuta. In basso: tosatura della pecora, Poira di Civo, 1985 (photo © Roberto Bogialli).

una nota casa di filati per essere trasformata in tappeti, scendiletto e abbigliamento esterno come tabarri. In Val Masino, la vallata d’origine della razza, solo l’azienda agricola del giovane Stefano Villani possiede questo animale. «Il vello è per lo più bianco e di lana mista; tuttavia ci sono animali di altro colore e maculati. Offre comunque una buona protezione contro le temperature rigide di questa terra e siamo orgogliosi di potere essere annoverati come allevatori di questa razza» rivela. A tavola la Ciuta è apprezzata arrosto o sotto forma di arrosticino. Le aree marginali dove viene allevata pare non abbiano molte altre alternative. La Ciuta, insomma, offre buone ragioni per il suo stesso rilancio. Riccardo Lagorio •

spezie che abbiamo aggiunto erano sale, pepe, cannella, chiodi di garofano e aglio ripassato in vino rosso. Tuttavia, nella nostra zona si è praticamente persa la tradizione dei salumi di pecora» racconta. In verità, nel Livignasco, la salumeria ovina conta una lunga storia, come accade per il borsàt: l’insacco è ottenuto dalla pelle e dalla parte sottocutanea della pecora, riempito di carne di muscolo, grasso di pecora, aglio trito, sale e pepe, erbe aromatiche e fatto bollire per ore.

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«La pecora Ciuta può raffigurare un utile tassello nell’impiego del territorio più impervio della montagna. Le piccole zampe esili permettono alla pecora Ciuta di sfruttare gli anfratti tra una roccia e l’altra e brucare dove nessun animale riesce a farlo, magari proprio in quelle aree dove sono più rigide le temperature come sul passo della Forcola” ribadisce Paganoni. Anche la lana, considerata inizialmente poco interessante, pare abbia strappato la preferenza di

Azienda agricola Ca’ Berardi Marco Paganoni Via Ca’ Berardi 35 23010 Albosaggia (SO) Telefono: 327 672250 E-mail: marco.paganoni.80@ gmail.com Azienda agricola Stefano Villani 23010 Val Masino (SO) Telefono: 333 7902177 (agnello; viene cucinato) Macelleria Pedrini Località Santa Lucia 23030 Valdisotto (SO) Telefono: 0342 904145

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Compral Carni, nuove azioni in Italia ed Europa con il Coalvi per ampliare il mercato della Piemontese

Tempo di bilanci anche per la cooperativa Compral Carni che, a stretto giro di ruota dopo la “gemella” Compral Latte, ha tenuto mercoledì 24 giugno l’assemblea dei soci al Giardino dei Tigli di Cussanio (CN). Anche in questo caso i lavori si sono svolti osservando le misure di sicurezza predisposte in modo rigoroso dai gestori dell’hotel, con i posti distanziati in sala, l’uso di igienizzanti e delle mascherine. Presenti ai lavori i vertici di Anaborapi, l’associazione nazionale degli allevatori della razza Piemontese, col presidente RENATO GIORDANO e il direttore ANDREA QUAGLINO e il direttore del Coalvi, il Consorzio di tutela e valorizzazione della Piemontese, GIORGIO MAREGA. Il fatturato si assesta su 29,5 milioni di euro, scontando un piccolo calo fisiologico in un contesto di grande tensione del comparto agroalimentare e in particolare del settore carni. Lo ha sottolineato nella sua relazione introduttiva il presidente ROBERTO CHIALVA, che non ha mancato di segnalare come la solidità della cooperativa abbia saputo rispondere a una delle congiunture più complesse della sua ormai lunga storia. «Siamo nati nel 1982 e in questi quasi 40 anni di attività abbiamo vissuto tante fasi difficili — ha ricordato Chialva — riuscendo ogni volta a superare gli scogli e ad andare avanti, come si fa in una grande famiglia che sa condividere gioie e dolori. Ora il rapporto domanda-offerta si sta riorientando e dobbiamo essere pronti ad affrontare l’onda di un mercato congestionato, cercando nuove opportunità anche all’estero. Compral Carni, grazie allo spirito dei suoi 220 soci-allevatori, resta e intende rafforzare il proprio ruolo di principale polo regionale della carne di razza Fassona». Esaminando l’andamento dei mercati, coi quali la cooperativa deve fare i conti come tutte le aziende, il direttore BARTOLOMEO BOVETTI ha fatto il punto sulla strategia di Compral Carni. «L’avvento della pandemia ha stravolto il circuito distributivo e il crollo del canale HO.RE.CA. si è ripercosso pesantemente sulle tipologie e i tagli di carne che vanno per la maggiore, Fassona in primis. Per Compral, che tratta carni di eccellenza, significa dover riorganizzare flussi e canali di sbocco. In poche parole — ha precisato Bovetti — servono azioni, azioni e ancora azioni. Ci stiamo confrontando con la Grande Distribuzione, diamo sostegno alle nostre macellerie, vogliamo sperimentare strade nuove con la linea Fassoneria puntando sulla formula bistrot e il potenziamento del take-away. In quest’ambito è prezioso il contributo di Coalvi, che fa parte della squadra». Cogliendo lo spunto, Marega ha ribadito la necessità di ulteriori iniziative promo-pubblicitarie, rispondendo anche ad alcune osservazioni emerse nel dibattito che ha proceduto l’approvazione del bilancio. «Come abbiamo imparato in questi anni, la miglior difesa è l’attacco. I mercati non li facciamo noi e tanto meno sono lì ad aspettarci. Vogliamo ampliare la nostra rete a livello nazionale, a partire dalle macellerie del Centro-Sud che dimostrano di apprezzare la carne di Piemontese, e andremo a cercare clienti in giro per l’Europa. L’estero è ancora terra di scoperta per la nostra carne: i sondaggi svolti in Germania, Belgio e Lussemburgo dicono che c’è spazio. E noi dobbiamo occuparlo, valorizzando l’IGP riconosciuta al Vitellone della coscia Piemontese che è un ottimo biglietto da visita». >> Link: compral.it

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CONVEGNI

Le opportunità della nuova PAC per un allevamento più sostenibile Se ne è discusso nel corso di un convegno organizzato dalla AOP Italia Zootecnica. Per la prima volta il documento che stabilirà le regole per il settore agrozootecnico 2021-2027 introduce la possibilità di finanziare le Organizzazioni di prodotto e le Associazioni di organizzazioni produttori di Anna Mossini

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l termine dell’annuale assemblea di UNICARVE, che si è tenuta a Padova il 29 giugno scorso, si è svolto il convegno dal titolo “La PAC post Covid-19, il

ruolo delle OP/AOP, la nuova PAC ispirata da Farm to Fork”, organizzato dalla AOP ITALIA ZOOTECNICA (www. italiazootecnica.it), associazione di organizzazioni produttori bovini da

carne. I lavori sono stati introdotti dal presidente FABIANO BARBISAN, che ha voluto sottolineare la delicatezza della contingenza che stiamo vivendo e le numerose incognite

Il tavolo dei relatori al meeting organizzato a Padova, presso l’Hotel Crowne Plaza, da Unicarve: da sinistra, Veronica Bertoldo, Fabiano Barbisan e Samuele Trestini.

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Il pubblico che ha partecipato al convegno, uno dei primi svolti in presenza dopo l’emergenza sanitaria. A livello nazionale la zootecnia bovina da carne tocca un valore di 2 miliardi e 910 milioni di euro e il Veneto, sempre sul piano nazionale, si colloca al terzo posto con il 14,09% dopo la Lombardia (23,57%) e il Piemonte (14,57%); rispetto a queste due regioni però il Veneto è riuscito ad aggregare il comparto in OP/AOP. che gravano sul futuro «in cui le richieste del consumatore — ha affermato — dovranno avere un ruolo sempre più importante nella nostra attività di allevatori di bovini da carne, impegnati da sempre in un percorso di tracciabilità che continuerà e che rappresenta la nostra migliore garanzia». La parola è poi passata a SAMUELE TRESTINI, docente presso il Dipartimento di Economia e Politica agroalimentare dell’Università di Padova, e a VERONICA BERTOLDO della Direzione agroalimentare della Regione Veneto.

La PAC che verrà Minacce e opportunità della PAC per la zootecnia da carne è stato il tema approfondito da Trestini, che ha avviato la sua relazione ponendo l’accento sulle numerose incertezze da fronteggiare, inserite in un contesto normativo in continua evoluzione. «La futura PAC — ha scandito — dovrà centrare 9 obiettivi: 1. garantire un reddito equo agli agricoltori; 2. aumentare la competitività; 3. riequilibrare la distribuzione del potere nella filiera alimentare; 4. mettere in atto azioni per con-

La dotazione finanziaria assegnata all’Italia dalla nuova PAC 2021-2027 arriverà a circa 36,3 miliardi di euro. Per la prima volta nella storia di tutte le riforme PAC la Commissione introduce la possibilità di finanziare le OP-Organizzazioni di prodotto e le AOP-Associazioni di organizzazioni di produttori di quasi tutti i comparti agricoli attraverso la realizzazione di specifici programmi operativi

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trastare i cambiamenti climatici; 5. tutelare l’ambiente; 6. salvaguardare il paesaggio e la biodiversità; 7. sostenere il ricambio generazionale; 8. sviluppare aree rurali dinamiche; 9. proteggere la qualità dell’alimentazione e della salute. In aggiunta, si accompagna un obiettivo trasversale che coinvolge tutti gli altri: il rafforzamento del sistema legato alla conoscenza e all’innovazione. Esiste una domanda crescente da parte dei cittadini/consumatori e riguarda la richiesta di cibo salutare, sicuro, nutriente e sostenibile che garantisca la riduzione degli sprechi e migliori la salute e il benessere degli animali. In questo contesto, la sicurezza degli alimenti lungo la filiera, indirettamente influenzata dal benessere degli animali allevati per la produzione di cibo, è un aspetto che non può essere disatteso e al quale si lega un altro tema molto attuale e importante: l’antibioticoresistenza, una sfida a cui anche la PAC è chiamata a dare un contributo in sinergia coi nuovi regolamenti sull’utilizzo dei prodotti veterinari, gli alimenti medicati e la ricerca». Il bilancio tra opportunità e minacce della nuova PAC poggia su un equilibrio che solo con uno sforzo sinergico potrà avvantaggiare le prime. «Il sostegno all’attività agricola — ha concluso Trestini — è una scelta confermata dalla nuova PAC come pure dal Green Deal europeo. Le condizioni al sostegno vanno verso la capacità del settore della zootecnia da carne di rispondere alle esigenze dei cittadini che sono anche consumatori: avremo a disposizione un buon lasso di tempo per individuare le buone pratiche capaci di ridurre gli impatti ambientali attraverso la loro quantificazione, la valutazione degli investimenti da affrontare e delle opportunità offerte dal mercato». Cittadino e consumatore «È altresì possibile sviluppare strumenti di gestione dei rischi di mer-

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cato, puntare sulla preferenza dei consumatori verso le certificazioni sul benessere animale e sull’impatto ambientale e gli eco-scheme del primo Pilastro e i pagamenti agro-climatico-ambientali del secondo Pilastro. Di contro, non si può sottovalutare che il comparto sia esposto mediaticamente e debba quindi dimostrare, oltre al rispetto delle relative norme, di saper fare di più migliorando la sostenibilità ambientale, la responsabilità sociale, l’etica produttiva e l’equità dei redditi. A questo — ha terminato Trestini — dobbiamo collegare il rischio della non piena reciprocità nell’applicazione delle future norme della strategia legata al progetto Farm2Fork perché limitata dagli accordi WTO. Senza dimenticare che l’applicazione del capping rischia di disincentivare il rispetto della condizionalità rafforzata e limitare l’adozione delle buone pratiche collegate alle certificazioni di qualità sostenute dagli aiuti accoppiati». Non esistono ancora certezze sull’entrata in vigore della nuova PAC 2021-2027. Nella migliore delle ipotesi lo slittamento potrebbe fissare la data al primo gennaio 2022, ma in molti scommettono che si scivolerà al 1o gennaio 2023, vivendo giocoforza un periodo transitorio. La dotazione finanziaria assegnata all’Italia arriverà a circa 36,3 miliardi di euro, suddivisi in 24,9 miliardi destinati ai pagamenti diretti; 2,5 miliardi alle misure di mercato; 8,9 miliardi allo sviluppo rurale. «Nell’elenco dei Paesi beneficiari dei fondi PAC — ha affermato introducendo la sua relazione Veronica Bertoldo — l’Italia si posiziona al quarto posto dopo la Francia, con i suoi 62,3 miliardi, la Spagna, con 43,7 miliardi, e la Germania, con 40,9 miliardi. Per la prima volta nella storia di tutte le riforme della PAC la Commissione introduce la possibilità di finanziare le Organizzazioni di prodotto e le Associazioni di organizzazioni di produttori di quasi tutti i comparti agricoli attraverso la realizzazione di specifici programmi operativi, mentre fino a oggi il

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contributo finanziario si era concentrato sostanzialmente sui settori dell’ortofrutta e dell’olio di oliva. Un settore che “pesa” Relativamente al Veneto, dove la zootecnia dei bovini da carne genera un valore pari a 410 milioni di euro pari ad un’incidenza sull’agricoltura regionale del 6,66%, sono 5 le OP carni bovine più una AOP inserite nella voce “altri settori”. A livello nazionale la zootecnia bovina da carne tocca un valore di 2 miliardi e 910 milioni di euro e il Veneto, sempre sul piano nazionale, si colloca al terzo posto con il 14,09% dopo la Lombardia (23,57%) e il Piemonte (14,57%); rispetto a queste due regioni però il Veneto è riuscito ad aggregare il comparto in OP/AOP. La zootecnia ha la necessità di affrontare le nuove sfide dei mercati attraverso un miglioramento dell’efficienza produttiva aziendale, valorizzando sia il benessere animale che la sostenibilità delle produzioni con un occhio di riguardo all’impatto ambientale: sappiamo bene ormai come la PAC 2021/2027 abbia verso l’ambiente un’ambizione molto più elevata rispetto alle precedenti. Gli interventi settoriali previsti — ha proseguito Bertoldo — attraverso la realizzazione dei programmi operativi e l’introito dell’aiuto comunitario, dovrebbero quindi permettere alle OP di aumentare l’attrattività per associare nuovi produttori, accrescere il livello di aggregazione, il valore della produzione commercializzata e la capacità di spesa e contribuzione della UE». Il “marchio” si vede GIULIANO MARCHESIN, direttore della Aop Italia Zootecnica, ha concluso i lavori del convegno e, oltre a puntare il dito su alcuni aspetti richiamati nell’intervista a pagina 56, ha ricordato che per dare un valore aggiunto alle produzioni degli allevatori italiani occorre farle uscire dall’anonimato attraverso l’adozione di un marchio, «posto che in Italia solo il 20% gode di un riconoscimento DOP, IGP, STG, DOCG,

DOC, IGT, mentre il rimanente 80% viaggia sugli scaffali della GDO in forma anonima, questo vuol dire che proprio per questo può essere facilmente sostituito da uno simile che, magari, costa meno. La risposta è il marchio Consorzio Sigillo Italiano, sotto il quale oggi sono già operativi 6 Disciplinari di produzione riconosciuti dal MIPAAF e dalla Commissione europea. Si tratta del Vitellone e della Scottona allevata a cereali; del Fassone di razza Piemontese; del Bovino Podolico al pascolo; dell’Uovo+ qualità ai cereali e dell’Acquacoltura sostenibile. Ad essi si dovrebbero presto aggiungere il Vitello al latte e cereali; la Carne di bufalo di alta qualità; il Maiale nero dell’Aspromonte; l’Agnello della Sicilia e il Coniglio al fieno. Da una nostra recente indagine abbiamo appurato che il consumatore, quando acquista la carne, guarda il colore, il taglio e il prezzo. In un banco frigo dove le indicazioni sono poco leggibili è costretto a chiedere informazioni al macellaio perdendo tempo e alimentando una certa forma di disagio. Diverso il discorso se le informazioni che cerca sono invece riportate sulla confezione in maniera chiara insieme a un marchio identificativo come il Consorzio Sigillo Italiano. Dal 7 novembre dello scorso anno una delle più importanti catene della GDO ha inserito la carne con questo marchio in oltre 50 punti vendita registrando un grande successo. Ma un marchio senza finanziamenti non vale quasi nulla. Per questo è necessario attivare l’Interprofessione per ogni settore zootecnico applicando l’erga omnes e raccogliendo di conseguenza finanziamenti privati da investire nella comunicazione del marchio. Se vogliamo che le bistecche che arrivano sulla nostra tavola siano sempre e solo italiane e ridurre fino ad azzerarlo quel miliardo di euro che ogni anno i nostri allevatori portano all’estero con l’importazione dei ristalli da ingrassare la strada è questa». Anna Mossini

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20° SALONE INTERNAZIONALE DELL’ALIMENTAZIONE

parma

4/7maggio2021

welcome to foo d la n d


FIERE

Il primo evento phygital di networking per rilanciare consumi e export

Cibus Forum: il Food & Beverage post Covid-19

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ome reagire ai nuovi scenari aperti dall’emergenza Covid-19: se ne parlerà a Cibus Forum, in programma dal 2 al 3 settembre prossimi a Parma. Cibus ha sempre rappresentato un momento di riflessione e condivisione per la community agroalimentare nazionale. La gravità della crisi attuale necessita però di un confronto più approfondito e proprio per questo motivo FIERE DI PARMA, in collaborazione con FEDERALIMENTARE, ha organizzato “Cibus Forum – Food & Beverage e Covid: dalla transizione alla trasformazione”. Cibus Forum, che accoglierà gli operatori in un quartiere fieristico con un sistema di gestione accessi volto a garantire la sicurezza e la salute dei visitatori, sarà un evento fisico trasmesso anche in diretta streaming, al fine di consentire anche a buyer e retailer esteri di assistere ai lavori. Accanto alle sessioni di discussione ci sarà anche una ricca offerta espositiva dove aziende food e food technologies presenteranno agli operatori le ultime novità del settore. E, infine, un’area lounge e uno spazio innovazione. «L’idea è quella di confrontarsi per accelerare una normalizzazione dei processi di produzionedistribuzione-somministrazione che sia premessa per un rilancio dei consumi interni e una rapida ripresa dell’export» ha dichiarato ANTONIO CELLIE, CEO di Fiere di Parma. «Utilizziamo i risultati di questo stress test per progettare coralmente il prossimo ciclo di sviluppo con la partecipazione attiva e dialogante di tutta la filiera». «Sarà un momento strategico per tutto l’agroalimentare» conferma IVANO VACONDIO, presidente di Fe-

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deralimentare. «Faremo il punto sulla situazione dell’HO.RE.CA., da cui dovranno ripartire i nostri consumi interni e sui quali è arrivato il momento di fare un ragionamento serio: non possiamo più permetterci il loro stallo». Le quattro sessioni di Cibus Forum sono articolate su uno schema che prevede relazioni di istituti di ricerca, illustrazioni di case history, tavole rotonde coi principali attori della filiera agroalimentare. Il programma di incontri sta prendendo forma definitiva. CRISTINA ALFIERI, Gruppo Food, inaugurerà il Forum moderando una sessione dedicata al cambiamento dei consumi post Covid-19 e intitolata “Consumi e nuovi valori. L’impatto del Covid-19 sulle abitudini dei consumatori. Quali prospettive e quali opportunità?”. Nel pomeriggio DEBORA ROSCIANI di Radio 24 coordinerà la sessione “Salute e sicurezza: la riorganizzazione dei luoghi di lavoro e di consumo”. L’on. PAOLO DI CASTRO condurrà la sessione di apertura del 3 settembre, “Come si modificano i rapporti di filiera: valenza strategica e prospettive future per l’agroalimentare”, dedicata all’impatto del contagio sulla filiera agroalimentare. L’incontro sarà completato da un panel di discussione sull’interpretazione del progetto europeo “Farm to Fork”. Nel pomeriggio, l’on. ALFONSO PECORARO SCANIO modererà la sessione “Ripartire bene: la sostenibilità e l’innovazione come risposta all’emergenza” dedicata all’ambiente e al potenziale della sostenibilità come driver della ripresa del settore. Un tema trasversale alle sessioni sarà quello dell’export del food & beverage italiano, un’incognita rilevante, come ha ricordato in

conferenza stampa ANNA FLAVIA PASCARELLI, manager food & beverage division di ICE. «I tempi della ripresa dell’export dipenderanno dall’andamento della pandemia, che oggi comprime significativamente le nostre esportazioni su diversi mercati. Confidiamo, e in qualche caso lo abbiamo già verificato, che non appena un Paese si avvia alla ripresa dell’attività, la domanda di prodotti italiani si rianimi». Altro tema ricorrente saranno le case history e le proposte delle aziende più innovative, come Costa Group, specializzata nella progettazione e arredamento di locali. «Presenteremo a Cibus Forum le soluzioni studiate a supporto dei ristoratori, in collaborazione con FRANCESCO PANELLA, ristoratore e ambasciatore della tradizione culinaria italiana negli USA» ha anticipato FRANCO COSTA, presidente di Costa Group. «Abbiamo avviato una ricerca rivolta al domani, coinvolgendo imprenditori di settori diversi per trovare insieme proposte e idee che andassero oltre il dopo Covid e ne è scaturito un lavoro prezioso, attento: soluzioni che contribuiranno a traghettare il settore dell’ospitalità verso il futuro». >> Link: cibusforum.cibus.it

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Giornata della Sunicoltura 2020: il 2 dicembre a Reggio Emilia si parlerà di Peste Suina Africana Sarà la PSA (Peste Suina Africana) il tema al centro del dibattito della prossima edizione della Giornata della Suinicoltura. Organizzato come sempre da Expo Consulting Srl di Bologna, l’evento è fissato per il prossimo 2 dicembre a Reggio Emilia, presso il Centro Internazionale Loris Malaguzzi, una struttura moderna e funzionale in grado di accogliere pubblico e relatori in condizioni di totale sicurezza, dotato di ampi spazi dove l’affluenza di visitatori, che come in passato è attesa numerosa anche in questa occasione, troverà una comoda e sicura sistemazione. Negli ultimi mesi sul comparto suinicolo nazionale si sono accesi i riflettori della grave crisi economica iniziata verso la fine dello scorso anno ed esplosa con l’emergenza sanitaria legata a Covid-19. Una crisi non ancora risolta, che ha in parte offuscato un altro tema di stretta attualità, rispetto al quale in ogni Stato Membro il comparto è chiamato ad adottare i più elevati standard di biosicurezza. Stiamo parlando della PSA, che, secondo l’ultimo aggiornamento annuale curato da EFSA e riferito al periodo novembre 2018 – ottobre 2019, conta diversi focolai in ben 9 Paesi della UE, situati soprattutto nell’Europa dell’Est, con la Polonia che proprio nelle ultime settimane ha dovuto registrare il quarto focolaio dall’inizio del 2020; non dimentichiamo però quello scoppiato alcuni mesi fa in Belgio, dove l’adozione di un efficace cordone sanitario è riuscito finora a circoscrivere il contagio evitando una diffusione dagli effetti devastanti. La guardia quindi non va abbassata e la recente pandemia da Covid-19, pur con le dovute differenze, ci fa capire quanto sia sottile e labile il confine che può separare le zone infette da quelle non infette. Nel caso della PSA, infatti, un’eventuale epidemia negli allevamenti suinicoli italiani avrebbe per il settore conseguenze drammatiche, con la perdita di alcune delle più importanti eccellenze dell’agroalimentare made in Italy e inevitabili, enormi ripercussioni economiche. La Giornata della Suinicoltura affronterà il tema della PSA in tutte le sue angolazioni: dalla situazione epidemiologica in atto alle strategie di prevenzione e controllo sia nazionali che europee; dal lavoro e dai progressi del mondo scientifico nella ricerca di un vaccino agli scenari micro e macroeconomici che si verificherebbero con un’epidemia, senza tralasciare i piani predisposti dalle Istituzioni pubbliche per gestire i focolai e fronteggiare l’emergenza prima che si manifesti. Una visione a 360 gradi, la cui analisi sarà affrontata dai più importanti esperti e scienziati di fama nazionale e internazionale, che hanno sempre permesso alla Giornata della Suinicoltura di imporsi sulla scena come un evento dal notevole valore aggiunto per l’intera filiera suinicola nazionale. >> Link: www.expoconsulting.eu

Meat-Tech e IPACK-IMA, nuove date Meat-Tech, il salone di Ipack Ima specializzato nelle soluzioni per l’industria dei prodotti a base carne e piatti pronti, si svolgerà il prossimo anno in contemporanea con TuttoFood, dal 17 al 20 maggio 2021. La scelta di questa contemporaneità con una fiera internazionale dedicata al prodotto alimentare — con 3.079 espositori e 82.551 visitatori nell’ultima edizione —, pone i presupposti di un progetto unico nel panorama europeo per la filiera del food, che apre nuove opportunità e contaminazioni. Per quanto riguarda invece IPACK-IMA, la fiera specializzata nel processing e packaging food e non food, le date sono state riprogrammate al 2022, dal 3 al 6 maggio. «L’attuale contesto internazionale ci ha indotto a prendere le decisioni strategiche che rispondono alle esigenze dei nostri clienti — ha commentato VALERIO SOLI, presidente di Ipack Ima Srl — a cui vogliamo offrire la possibilità di incontrarsi a Milano in un contesto esclusivo e a loro dedicato per fare affari con tutti i principali protagonisti dell’industria nel mondo». «La decisione di riprogrammare IPACK-IMA non è stata facile — ha sottolineato ROSSANO BOZZI, AD di Ipack Ima Srl — ma, dopo attente valutazioni ed approfondimenti, abbiamo preferito dare priorità ai bisogni dei nostri espositori e visitatori che sono attualmente impegnati, e prevediamo lo siano ancora per molti mesi, nella gestione di un periodo molto delicato». In un momento in cui le fiere vivono una situazione che nessuno poteva prevedere, la capacità di aggregare progetti ad elevato valore aggiunto per target omogenei rientra in una strategia di medio-lungo periodo che ha un nuovo e primo punto di partenza nel maggio del 2021. >> Link: www.ipackima.com

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TECNOLOGIE

Il CSB Rack è da sempre la soluzione professionale per il rilevamento dei dati aziendali. Oggi è ancora più robusto, più affidabile, più ergonomico

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on la nuovissima generazione del CSB Rack, il gruppo CSB ha migliorato ulteriormente il suo prodotto. Questo PC industriale robusto e affidabile soddisfa da decenni le particolari richieste dell’industria alimentare. Grazie al CSB Rack il rilevamento dei dati, la visualizzazione e la gestione dei processi in ambienti con temperature estreme ed elevata umidità non è più un problema. I dati aziendali saranno rilevati in tempo reale, proprio laddove sono prodotti, senza dover interrompere la fase di lavoro. Questo consente maggiore efficienza e riduce la quota di errori.

Rispetto di tutti gli standard igienici Dotato di un robusto alloggiamento in acciaio inox V4A e vetro di protezione infrangibile per display con superficie impermeabile, la sua tecnologia touchscreen lo rende facile all’uso e idoneo anche in caso di utilizzo di guanti. Nelle aree di produzione è spesso necessario pulire attrezzature e macchinari in modo particolare, per esempio mediante pulizia ad alta pressione. Proprio per soddisfare questi severi standard igienici, il CSB Rack è stato sviluppato con un design facile da igienizzare.

Adattabile per montaggio a parete o a pavimento Si sa che gli ambienti e le esigenze d’uso sono differenti da azienda ad azienda. Per questo il nuovo CSB Rack è disponibile sia nella versione a parete che in quella a pavimento. Gli accessori, così come i diversi alloggiamenti per stampante o scanner, sono combinabili in modo modulare, per allestire la postazione di lavoro nel miglior modo possibile. L’elevata versatilità del nuovo CSB Rack lo rende un apparecchio irrinunciabile se si desidera semplificare la routine lavorativa e ridurre le quote di errori.

A sinistra: CSB Rack Series 2 con custodia per stampante. A destra: CSB Rack Series 2

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A sinistra: CSB Rack Series 2 da parete. A destra: CSB Rack Series classica. Progettato per conciliare le esigenze del lavoro umano con quelle della produzione Il nuovo supporto con colonna orientabile in alto, in lungo e in largo è ergonomico e soddisfa tutte le esigenze di un lavoro moderno. Poiché regolabili in altezza, monitor, tastiera e alloggio stampante si possono adattare in modo rapido e flessibile all’altezza dei dipendenti; sono girevoli lateralmente e possono essere inclinati in avanti o indietro grazie ad una funzione di ribaltamento. Alcuni esempi pratici, ovvero cosa ne pensano i clienti «Nella nostra sala lavorazione — spiega C ARLO S ARTORI della Macelleria Sartori — utilizziamo una postazione CSB-Rack per il controllo delle merci in entrata e in uscita, e per la gestione delle varie fasi della produzione, ai fini di garantire e facilitare la completa gestione della rintracciabilità di un prodotto». Grazie al collegamento con la bilancia, il CSB Rack rileva i dati della merce in entrata e in uscita in tempo reale e li integra immediatamente nel gestionale, garantendo un controllo affidabile di quantità e qualità. È questa la base d’inserimento di tutte le informazioni riguardanti la rintracciabilità dei bovini, dei suini e della merce commercializzata. Alla Capecchi Spa di Roma, invece, partner di riferimento della ristorazione di qualità, il CSB-Rack

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è posizionato al ricevimento merci. Qui registra quantità e qualità delle materie prime in entrata, con informazioni su codice e nome articolo, data di entrata, locazione magazzino, fornitore, codice lotto, scadenza o TMC e l’eventuale esito dei controlli qualitativi sull’intera fornitura. I dati sono trasmessi in tempo reale e direttamente al gestionale diventando la base del Sistema Informativo Lotti. Altri due CSB-Rack sono posizionati al sezionamento di mezzene. Qui si registrano i risultati della lavorazione, controllando in tempo reale efficienza e rese di reparto, perché comparate con quelle attese sulla base degli ordini di produzione. Trota Oro Srl è l’itticoltura di montagna di alta qualità. «Con l’utilizzo del CSB Rack in sala lavorazione — spiega DANIELE LEONARDI, che col padre ed i fratelli è alla guida dell’azienda — abbiamo unificato in un unico processo la preparazione ordini, la pesatura e la prezzatura, ed evitato così molteplici inserimenti delle stesse informazioni». Presso il Salumificio Valpolicella Spa, collegata a bilance e CSB-Rack è la linea di peso-prezzatura CSB-System, utilizzata per il confezionamento e la gestione di etichette personalizzate e multilingua. Così facendo la preparazione ordini, la pesatura e l’etichettatura diventano un unico processo operativo e si evitano le doppie gestioni dei dati, nel rispetto di una rintracciabilità completa e trasparente. Questi dati, inoltre,

sono trasmessi in tempo reale e direttamente al gestionale CSBSystem. All’interno dello stabilimento della Brazzale Moravia di Livotel, in Repubblica Ceca, l’ERP CSB-System è presente nei diversi reparti di: Raccolta latte, Ingresso Merci, produzione Gran Moravia, Produzione Freschi e Cagliate, Frescura Gran Moravia, Ingresso e Uscita Saline, Stagionatura, Preparazione Bancali e Spedizioni. Ognuno di questi reparti dispone di uno o più CSB Rack. Ogni Rack, ove necessario corredato di scanner, bilancia ed etichettatrice, è utilizzato dal personale interno, adeguatamente formato, per la registrazione ed il controllo dei prodotti durante tutte le varie fasi di lavorazione. Una volta definiti gli ordini di produzione, questi sono distribuiti tra i vari reparti e anche qui gli utenti si avvalgono di CSB-Rack con tecnologia touchscreen per gestire i carichi di produzione senza mai tralasciare la tracciabilità e i controlli qualità. Segue lo stoccaggio per la stagionatura e l’evasione ordini. Referente: • Dott. A. MUEHLBERGER CSB-System Srl Via del Commercio 3-5 37012 Bussolengo (VR) Telefono: 045 8905593 Fax: 045 8905586 E-mail: info.it@csb.com Web: www.csb.com

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Provisur: la nuova generazione di presse tridimensionali di formatura Hoegger X3/X4 stabilisce nuovi standard

La nuova pressa Hoegger X3i.

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a vasta esperienza di PROVISUR nella pressatura di tutti i tipi di prodotti a base di carne si riflette nell’ultima generazione di presse modello Hoegger X3/X4. Il controllo della formatura dei prodotti garantisce la massima resa a costi di esercizio minimi, anche in presenza di ampie deformazioni. Soluzioni innovative per esigenze complesse La formatura dei prodotti a base di carne richiede al costruttore del

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macchinario requisiti estremamente complessi. Con la nuova generazione di presse tridimensionali Hoegger X3/X4 Provisur offre soluzioni innovative per esigenze complesse di qualità senza compromessi. La gamma dei macchinari varia da presse semplici e indipendenti fino a linee di produzione completamente automatizzate con elevate capacità produttive. Il sistema modulare per unità di carico e scarico dei prodotti permette una perfetta integrazione delle

presse nelle linee di produzione già esistenti. Il cuore della nuova generazione di presse X3/X4 è la tecnologia dei servomotori. Coi nuovi servomotori è possibile ottenere percorsi di traslazione rapidi e precisi e un’applicazione controllata della forza. Grazie alle sue elevate prestazioni, la pressa di formatura di nuova generazione X3/X4 è in grado di autoregolare la forza applicata che consente una formatura controllata e delicata di ogni prodotto. Ora an-

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che coi prodotti di forma irregolare e non uniforme si ottengono risultati di pressatura eccellenti. Infine, i vantaggi economici sono evidenti: col monitoraggio permanente di tutti i processi di pressatura il rendimento è massimizzato e il giveaway è ridotto al minimo. I requisiti dell’Industria 4.0 hanno influenzato in modo significativo lo sviluppo dei nuovi modelli di pressa Hoegger X3/X4. La sofisticata architettura di controllo e un HMI all’avanguardia costituiscono una piattaforma di sviluppo aperta e versatile: l’accesso remoto alla macchina, la manutenzione preventiva e il supporto al servizio clienti tramite programmi di assistenza sono solo alcune delle caratteristiche. L’ampio pannello di controllo touch screen consente un facile utilizzo e offre un cruscotto che permette la visualizzazione immediata dei dati relativi a tutti i processi di funzionamento del macchinario. I risultati ottimali sono garantiti anche grazie ad un numero illimitato di ricette memorizzabili. Provisur Technologies GmbH Italy Telefono: 0521 1627631 351 955 00 75 E-mail: sorin.banu@provisur.com

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1. Pancetta prima della formatura.

2. Pancetta dopo la formatura.

3. Massima resa.

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TRASFORMAZIONE

L’affumicatura Una tecnica antica con evoluzioni moderne. Il punto di “Sale, pepe e sicurezza”, il blog curato da esperti in sicurezza alimentare dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie

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affumicatura è una tecnica di conservazione del cibo antica. Nonostante le lavorazioni più tradizionali o alcuni amatori dell’affumicatura casalinga utilizzino ancora oggi costruzioni in pietra o piccoli edifici in legno, l’industria alimentare si è invece modernizzata adottando attrezzature in acciaio inox. L’uomo iniziò ad apprezzare il particolare aroma che questo trattamento rilasciava

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sul cibo e, col passare dei secoli, affinò sempre di più la tecnica fino a costruire delle vere e proprie smokehouse, letteralmente “case del fumo”. In questi edifici, costituiti per la maggior parte da un unico ambiente, un solo ingresso e privi di finestre, il cibo veniva appeso all’interno e, successivamente, avvolto dal fumo creato nella camera stessa, oppure convogliato da una camera di combustione esterna.

Nonostante le lavorazioni più tradizionali o gli amatori dell’affumicatura casalinga ancora oggi utilizzino costruzioni in pietra o piccoli edifici in legno simili ad armadi col tetto, l’industria alimentare si è invece modernizzata adottando attrezzature in acciaio inox. I cibi più notoriamente sottoposti ad affumicatura sono il pesce, la carne, i salumi e i formaggi. Fra i pesci troviamo il salmone, la trota,

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l’aringa, il tonno e il pesce spada; fra i prodotti di carne troviamo invece le salsicce, lo speck, il prosciutto, i würstel e la pancetta; fra i formaggi e i latticini ci sono in particolare la scamorza, la provola, il caciocavallo e la ricotta. Il processo d’affumicatura Uno dei fattori più importanti per il processo d’affumicatura è la legna: per una buona riuscita del trattamento è importante sia di tipo non resinoso, per esempio come quella di faggio, quercia, castagno, noce o acacia. Col fine poi di donare al prodotto maggiori caratteristiche organolettiche, alla legna possono essere aggiunte anche erbe aromatiche come alloro, rosmarino, timo o maggiorana. Grazie alla combustione lenta, incompleta e senza fiamma della legna e delle erbe aromatiche, il fumo che si forma contiene e trasferisce all’alimento sostanze ad azione antimicrobica come fenoli, carbonili e acidi organici, e sostanze antiossidanti sui grassi come i composti fenolici. In passato il trattamento veniva condotto a temperature tali da ridurre la carica batterica superficiale e disidratare il prodotto, per farlo conservare per lunghi periodi di tempo: in questo modo si univa l’azione del calore e della disidratazione all’azione conservante delle sostanze citate. Le tecniche di affumicatura Le tecniche di affumicatura oggi impiegate sono essenzialmente tre e si distinguono in base alla temperatura del fumo impiegato e alla durata del processo: • affumicatura a freddo, quando l’alimento viene trattato con fumo tra i 20 e i 25 °C, il trattamento varia da pochi giorni ad alcune settimane; in genere è la tecnica che viene usata per il salmone e gli alimenti semigrassi; • affumicatura semicalda, quando il processo viene condotto tra i 25 e i 45 °C; di solito è usata per trattare salumi e insaccati come prosciutto, speck, lardo e pancetta;

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L’affumicatura è una tecnica di conservazione del cibo antica: si dice che l’uomo l’abbia scoperta per caso addirittura nella Preistoria. Secondo alcune ricostruzioni, gli uomini primitivi essiccavano la carne cacciata appendendola nelle caverne dove vivevano: così facendo, involontariamente la esponevano anche al calore del fuoco che accendevano per riscaldarsi e al fumo derivante

• affumicatura a caldo, ovvero con l’impiego di fumo tra i 50 e i 90 °C; viene fatta per poche ore e per prodotti di pronto consumo. Dalla conservazione all’aromatizzazione Sebbene nasca come tecnica di conservazione, l’industria alimentare dei Paesi occidentali tende oggi a considerare il trattamento di affumicatura come una tecnica di aromatizzazione degli alimenti, da associare anche ad altre tecniche di conservazione come l’aggiunta di conservanti o il sottovuoto. Ciò l’ha portata ad utilizzare un aroma chiamato “fumo liquido”, che è un estratto delle componenti aromatiche del fumo prodotto in modo naturale. Il fumo liquido può essere

aggiunto come additivo ed essere applicato al prodotto per nebulizzazione, docciatura, immersione o iniezione, in modo da donare all’alimento il sapore caratteristico di affumicato. Quali rischi ci sono con l’affumicatura? Il rischio per la salute dei consumatori legato al processo di affumicatura è il possibile accumulo a concentrazioni elevate di sostanze chimiche tossiche o cancerogene come gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), tra cui il benzo(a) pirene e il benzo(a)antracene. Gli IPA sono una serie di composti carboniosi che si sviluppano da qualsiasi fenomeno combustivo. Queste sostanze possono contaminare il

Uno dei fattori più importanti per il processo d’affumicatura è la legna: per una buona riuscita del trattamento è importante sia di tipo non resinoso (photo © Butch – stock.adobe.com).

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Pancetta affumicata. Il rischio per la salute dei consumatori legato al processo di affumicatura risiede nel possibile accumulo a concentrazioni elevate di sostanze chimiche tossiche o cancerogene come gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA). Per questo motivo, quando acquistiamo un prodotto affumicato è sempre bene rivolgersi a canali di vendita convenzionali e di fiducia, sottoposti a controlli (photo © Zbigniew Lewczak). Eurocarni, 8/20


prodotto affumicato per vari motivi, che dipendono dalla qualità del legno utilizzato per la produzione del fumo o da come viene condotto il trattamento di affumicatura. Per esempio la scarsa quantità di ossigeno nella camera di affumicamento, o una temperatura di produzione del fumo molto elevata, sono fattori che ne favoriscono la formazione. La combustione condotta in una camera separata rispetto alla camera di affumicatura ha il vantaggio di permettere il filtraggio del fumo e trattenere le componenti corpuscolate. Anche il fumo liquido, essendo ottenuto per distillazione, permette di ridurre notevolmente il tenore delle sostanze potenzialmente nocive, ma è una tecnica meno efficace ai fini della conservazione rispetto a quella tradizionale: per questo il suo utilizzo rende necessaria l’associazione con altre tecniche di conservazione. L’Unione Europea, col Regolamento (UE) 1881/2006 e successive modifiche, ha stabilito i tenori massimi di idrocarburi policiclici aromatici (IPA) che possono essere presenti nei prodotti affumicati senza che questi provochino un danno a breve o lungo termine per la salute dei consumatori. La legislazione italiana inoltre vieta l’impiego di legni o vegetali legnosi per la produzione del fumo che siano stati incollati, impregnati, colorati, dipinti o trattati in modo analogo. Per un consumo sicuro e consapevole Quando acquistiamo un prodotto affumicato è sempre bene rivolgersi a canali di vendita convenzionali e di fiducia e non a produttori o venditori improvvisati. In questo modo siamo certi che chi vende o produce l’alimento affumicato è tenuto ad effettuare dei controlli sui propri prodotti al fine di garantire al consumatore il rispetto dei limiti di legge e quindi un alimento sicuro. L’acquisto attraverso canali di vendita convenzionali ci garantisce anche la sorveglianza e il controllo da parte dell’autorità pubblica.

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L’industria alimentare utilizza un aroma chiamato “fumo liquido”, che è un estratto delle componenti aromatiche del fumo prodotto in modo naturale. Il fumo liquido può essere aggiunto come additivo ed essere applicato al prodotto per nebulizzazione, docciatura, immersione o iniezione (photo © pavelvozmischev – stock.adobe.com). Come per tutti i rischi di tipo chimico, è sempre valido il consiglio di variare spesso la propria dieta e mantenersi informati e aggiornati sulle eventuali allerte alimentari consultando fonti autorevoli ed istituzionali. Per un acquisto consapevole infine è necessario leggere bene l’etichetta. Infatti troveremo indicazioni diverse in base al fatto che l’alimento sia stato sottoposto a trattamento di affumicatura o invece sia stato aromatizzato con fumo liquido. Nel primo caso il prodotto riporterà la dicitura “prodotto affumicato”, mentre nel secondo caso deve essere indicato tra gli ingredienti “aroma di affumicatura” o “aroma di affumicatura ricavato da [prodotti,

categorie o basi alimentari]”, come per esempio: “aroma di affumicatura ricavato dal faggio”. Fonte: Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie Blog “Sale, pepe e sicurezza” curato da esperti in sicurezza alimentare dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie, che fornisce informazioni sui rischi per la salute collegati alla preparazione e al consumo di alimenti www.salepepesicurezza.it www.izsvenezie.it Nota A pagina 118, salsicce in affumicatoio tradizionale; photo © Voyagerix –stock.adobe.com

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SONO 180 GRAMMI, LASCIO?

Animals, Pink Floyd

Pecore, cani, maiali, come noi di Giovanni Papalato

I

mmagina un maiale gigante libero nel cielo di Londra. Immagina che atterri sui campi di una fattoria nel bel mezzo della campagna inglese, spaventando tutti gli animali, per poi venire recuperato e infine agganciato ad un ancoraggio per terminare l’artwork di una tra le copertine più iconografiche degli ultimi decenni e di quelli a venire. È Algie, che fluttua tra i quattro camini della Battersea Power Station, ex centrale elettrica della riva sud del Tamigi, mentre sullo sfondo un tramonto turneriano incombe scuro su Londra. Chi scrive non è un grande estimatore dei Pink Floyd, per usare un eufemismo. Sono stati formativi, certo, ma rimango molto legato solo al primo periodo del gruppo, quello originale nato grazie al genio di SYD BARRETT. Le fasi successive, la progressiva dittatura di WATERS prima e la autoreferenziale gestione a firma GILMOUR poi, non fanno per me. Questo non significa che non si possa discutere per ore dell’importanza di diversi album della compagine inglese, scritti e prodotti nel corso di oltre due decenni, durante i quali si sono appunto avvicendate le due leadership. Li vidi anche live nel 1994 a Modena e anche Algie era lì. Prima metà degli anni ’90, personalmente formativi si diceva. Non suonarono però nemmeno un brano da “Animals”, un disco ostico e spiazzante uscito nel loro decennio più prolifico, iniziato nel 1970 con “Atom Earth Mother”, pubblicato in mezzo a tre album che rappresentano quanto di più identificabile esista con la band londinese, che finisce di conseguenza per essere ingiustamente considerato minore.

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Algie in volo sul Tamigi tra i camini della Battersea Power Station. Se non mi piacciono “quei Pink Floyd”… perché ho questo disco? Orwelliano, spiazzante, sprezzante, è il capitolo finale di una trilogia sul genere umano iniziata solo quattro anni prima con “The Dark Side of the Moon”. L’adattamento allo stile de “La Fattoria degli Animali” di due brani non inclusi poi nel precedente “Wish you were here” che diventano “Sheeps” e “Dogs” sono la base per un disco estremamente concreto. Le pecore siamo noi, il popolo che accetta tutto, anche quello che non dovrebbe. I cani sono gli arrivisti aggressivi, mentre i maiali di “Pigs (three different ones)” sono tre ben definiti tipi di politici. Cinque brani in quaranta minuti, quattro a firma Waters, uno di Gilmour. Pigs on the Wing (part one) è un’anomalia perché è un pezzo breve, perché è fatto solo di chitarra e voce e perché è una canzone d’amore. Waters la scrisse per la moglie e, prima di questa occasione, l’ultima volta in cui aveva suonato un’acustica era stata per If, all’interno di “Atom Heart Mother”.

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Il resto del lato A è occupato da un unico brano, Dogs, lungo più di 17 minuti. Gilmour entra con un giro ricorsivo di accordi, salendo di volume prima di cantare. È importantissimo il contributo del synth di WRIGHT che ripropone i suoni già centrali nel precedente Wish you were here, dialogando perfettamente con la chitarra affilata all’interno di una ritmica secca e minimale tenuta dalla batteria di MASON. C’è spazio anche per il latrato dei cani, sovrainciso e caricato di eco in una lunga suite nella quale la componente strumentale è predominante, laddove le denunce e il cinismo di Waters disegnano destini tragici di chi arriva a uccidere per soddisfare il proprio folle bisogno di potere. Un’oscura narrazione all’interno della quale un assolo di Gilmour ciclicamente risplende, illumina e pulisce come fosse una luce ad illuminare per qualche secondo un campo buio. Il destino dei cani è segnato da loro stessi. Finiranno a morire malati in qualche paese tropicale,

in completa solitudine; oppure saranno trovati morti al telefono, o affogati, trascinati sottacqua dal peso dalla “pietra”, simbolo dell’accumulo delle loro colpe per i loro comportamenti inumani. È tempo di girare facciata. Il lato B si apre con un grugnito di maiali ottenuti applicando una talk box alle quattro corde elettrice, su cui entra un giro di hammond che ricorda per accordi certi preludi di BACH. È su questo tema che germoglia un assolo di basso, seguito dagli accordi di una chitarra ritmica che aprono e chiudono e quasi introducono la batteria assieme alla voce di Waters. Pigs (three different ones) è un’irriverente, canzonatoria e, soprattutto, spietata denuncia contro coloro che fanno i propri interessi alle spalle degli altri. Maiali che, riprendendo la specifica del titolo, sono raccontati in tre strofe, ognuna delle quali rappresenta una determinata categoria politica. Il rivolgersi direttamente con un epiteto e la grottesca alternanza di alcuni versi cantati in modo marcatamente enfatico ed

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altri quasi sussurrati, è funzionale a dipingere lo squallore e la tristezza di tre individui che corrispondono senza particolari dubbi a tre famosi personaggi politici contemporanei alla produzione dell’album. La prima strofa nasconde, sotto accuse ad imprenditori senza scrupoli, collegamenti all’allora primo ministro JAMES CALLAGHAN. La seconda parte è invece riferita, nonostante il suo nome non sia esplicitamente riportato, alla leader dell’opposizione, all’epoca MARGARET THATCHER. Se l’attacco dapprima è sottile (“good fun with a hand gun”), le accuse diventano decisamente più pesanti quando si parla di lei con “bus stop rat bag” e “fucked up old hag”. La terza strofa cita per nome MARY WHITEHOUSE, un’attivista politica che voleva reintrodurre la censura nelle radio, dipingendola come una persona sessualmente repressa (“house-proud town mouse”). Questo gesto ha contribuito a peggiorare l’immagine che la Whitehouse si era fatta dei Pink Floyd, che li riteneva promotori dell’uso di droghe fin dagli esordi. Al tempo accadde anche che alcuni, non conoscendo il contesto politico britannico, interpretarono il verso “Hey you, Whitehouse” come “Hey you, White House”, arrivando a concludere erroneamente che i Pink Floyd volessero criticare la politica statunitense. Dopo le prime due strofe, entra la chitarra acustica, con un tema basato sui due accordi iniziali, mentre non smettono di grugnire i maiali. Si uniscono poi progressivamente gli altri strumenti fino a quando sulla dinamica creatasi entra Gilmour a squarciare con un assolo di elettrica filtrata che rimanda a versi e lamenti animali ottenuti giocando con wah wah e talk box. Placatosi l’assolo, circolarmente si torna al principio attraverso il fraseggio iniziale dell’hammond di Wright a cui si unisce organicamente il basso di Waters. Manca la terza strofa, che Mason introduce come in precedenza. La conclusione è un ritorno corale che supporta un convulso assolo di Gilmour che finisce confluendo nell’agreste apertura del brano successivo, “Sheeps”. Ecco

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che così la trilogia si completa: le pecore sono il popolo subordinato, servile e malleabile che necessita di un capo branco per sentirsi al sicuro. Attenzione: per quanto meno colpevoli di cani e porci, la critica aspra e decisa di Waters non li risparmia. Non è giustificabile la loro sottomissione, la mancanza di un’autodeterminazione. Così, attraverso una descrizione accurata e altamente simbolica come dipinta in un quadro, la scena si svolge tra cinguettii di uccelli e un placido belare, col Rhodes di Wright che assume tinte lounge. Ad infrangere questa bucolica atmosfera di apparentemente imperturbabile inconsapevolezza entra il basso che, denso, quasi materico nel suo incidere inesorabile, copre le tastiere e crea una palpabile sensazione di pericolo. È quindi la batteria che taglia idealmente la tela, svelando le tensioni sociali attraverso il dialogo di tutta la band, a ritmo sostenuto. Quando, dopo la seconda strofa, l’intensità si interrompe bruscamente, lo scenario sonoro muta in un inquietante timing di basso e synth, su cui si alternano come in uno scontro diversi assoli. Un punto cruciale e significativo e, al termine di questi “conflitti” quando una voce filtrata attraverso un vocoder recita una versione decisamente stravolta del Salmo 23 in cui Dio è raffigurato come un macellaio che accudisce le sue pecore con lo scopo di farne cotolette. La ripresa del cantato coincide con le pecore che si ribellano ai loro sfruttatori, liberandosi dal controllo dei cani. Ma è una vittoria che non significa assolutamente emancipazione. Così, esattamente come nel romanzo di ORWELL, alcune pecore dichiarano la morte dei cani intimando però alle altre di “restare nelle loro case e fare ciò che viene detto loro”, assumendone lo stesso ruolo con l’aggravante di venire dallo stesso contesto. Nulla è davvero cambiato. Non si sfugge alla naturale indole alla sottomissione propria del popolo. Quindi, nonostante questo fondamentale inciso, la tonalità del

brano passa in maggiore, con una progressione di accordi che ricorda una parata, prima di tornare al principio del brano. È tristemente immutata la natura di subordinazione, nonostante le lotte, i sacrifici, le consapevolezze. Ora il cinguettio assieme al belare ha un peso completamente diverso rispetto all’inizio. La tela è ridipinta, il quadro ha decisamente un’altra lettura. Waters decide di chiudere il disco con la seconda parte di Pigs on the Wing. Se nella prima descrive cosa succederebbe se lui e la moglie non si curassero vicendevolmente, in questa dichiara che ognuno dei due è consapevole dell’amore reciproco, asserendo che finalmente hanno trovato un rifugio dalle meschinità della società, qui rappresentata appunto dai “porci in volo”. “Animals” è un disco che giudica, che osserva dall’esterno, dall’alto. Il netto contrasto tra l’intimità familiare e la società vista come altro da sé sono il segno di un distacco, di un disagio. I Pink Floyd sono una band che dieci anni prima era nata nella cultura alternativa, sperimentando e poi rappresentando la psichedelia. Ora, nel 1977, l’Inghilterra è la patria europea del punk ed è tutto stravolto. I quattro sono diventati per i giovani un emblema di rock visto come un simulacro inutilmente ingombrante. JOHN LYDON, all’epoca JOHNNY ROTTEN, voce dei Sex Pistols, incarnava e celebrava tutto questo, indossando una t-shirt su cui era stampato “I HATE” sotto cui aveva scritto a pennarello “PINK FLOYD”. Per quanto abbia venduto molto e sia amato dalla critica musicale di ieri come da quella contemporanea, “Animals” non ha mai raggiunto la popolarità dei lavori precedenti e successivi di cui sopra. È nella sua natura, è politico, diretto, polemico, antagonista. Una reazione, un disco ostile e spietato. Gli animali possono assomigliarci più di quanto non vogliamo o è il contrario? Giovanni Papalato Nota A pagina 122, photo © Lucio Pellacani.

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STATISTICHE

Dati Anas: le macellazioni suine nell’Unione Europea nel 2019

Fonte: elaborazione su dati Eurostat.

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