3 minute read
Non chiamatelo maltempo: è crisi climatica
E l’alluvione in Emilia-Romagna mette a rischio anche la produzione delle Saline di Cervia
di Chiara Papotti
Advertisement
La realtà ha superato le peggiori previsioni: in soli due giorni, lo scorso maggio, la pioggia di due mesi è caduta sui terreni dell’Emilia-Romagna, messi già a dura prova dalla lunga siccità, provocando un’alluvione senza precedenti. Migliaia gli sfollati, morti, dispersi, ancora non quantificabili i danni alle imprese e ai raccolti, si parla di miliardi di euro. «Non c’è memoria di eventi di questo tipo in passato» dice il capo Dipartimento nazionale della Protezione civile FABRIZIO CURCIO. La Romagna, in particolare, è in ginocchio. In questo scenario, al limite dell’apocalittico, anche le saline di Cervia sono finite sottacqua. E se, da una parte, le saline sono servite come “vasca di espansione” naturale, permettendo quindi ad una grande quantità di acqua di non riversarsi direttamente sulla parte costiera della città, dall’altra questa scelta obbligata ha messo a rischio l’intera raccolta del sale 2023.
In questa terra, vittima del cambiamento climatico, le saline dalla storia millenaria producono un sale
“dolce”, unico in Italia, la cui bassa concentrazione di potassio e dei sali più amari è molto apprezzata, non solo nell’alta cucina, ma anche nella lavorazione di salumi e formaggi. Due milioni sono i pezzi di sale venduti in un anno, un quantitativo che lascia senza fiato. L’antica salina è da sempre considerata un vero e proprio museo a cielo aperto. Da qui partiamo per scoprire una zona dal grande fascino, ai margini del Delta del Po, abitata da gente robusta, che non si arrende mai, nonostante l’esondazione del fiume Savio abbia formato un’enorme distesa di acqua, profonda almeno un metro e mezzo.
Mosaico di terre e acque, la zona cervese è densa di memorie storiche. Le origini delle saline di Cervia si perdono nell’antichità classica; qualcuno le ricollega alla presenza etrusca, altri alla colonizzazione greca citando, a sostegno di tale tesi, il vecchio toponimo di Cervia, Ficocle , di sicura origine greca. Quel che è certo è che, già ai tempi dei Romani, la produzione del sale in queste zone era florida e fonte di ricchi commerci. Fino al XVII secolo, Cervia antica sorgeva nelle saline; poi, a partire dal 1689, fu smontata pezzo per pezzo e letteralmente rimontata più a Nord, vicino al lido della marina, in un’area decisamente più salubre. Prima del 1959 erano
144 le saline a gestione privata che prosperavano, poi il Monopolio le trasformò in un’unica grande salina di 827 ettari, dove effettuare la raccolta solo una volta all’anno con mezzi meccanici, secondo il metodo cosiddetto “francese”. L’ambizioso progetto ha, tuttavia, risparmiato la piccola Camillone, un’area contenuta, il cui sale dolce ha ottenuto l’assegnazione del titolo di presidio Slow Food. In questo bacino, il numero 89, la raccolta del sale avviene ancora con l’antico sistema artigianale cervese: la raccolta multipla. Il salinaio divideva il proprio bacino di raccolta, l’ultimo dopo i diversi passaggi in vasche di evaporazione, in cinque piccoli settori. Ogni giorno raccoglieva il contenuto di un settore e, in cinque giorni, esauriva tutto il sale.
Dal 1989, anno in cui venne fondata l’ Associazione Culturale Civiltà Salinara, formata da alcuni salinai che hanno lavorato tutta la vita nelle saline di Cervia, le acque della Camillone producono secondo il metodo antico un sale integrale “dolce” dalle caratteristiche superiori, perché ottenuto con acqua madre che non supera mai i 28,5 gradi Baumè (misura della densità salina dell’acqua).
Poco prima degli anni Duemila, decisioni governative imposero la cessazione della produzione, ma il Comune di Cervia decise di farsi ca- rico delle saline e diede vita alla “Società di gestione Parco della Salina”. Da allora la salina è riconosciuta, per il suo alto valore naturalistico e paesaggistico, come area umida di importanza internazionale ed è divenuta parte del Parco Regionale Delta del Po Emilia-Romagna. Purtroppo la recente alluvione ha macchiato di fango l’oro bianco di Cervia, da molti conosciuto anche come “il sale del Papa”, perché la tradizione vuole che il primo raccolto venga portato in dono al Santo Padre (oltre per il fatto che le saline erano anticamente di proprietà dello Stato Pontificio).
Con l’esondazione lo stabilimento della lavorazione del sale è stato sommerso. L’acqua ha inghiottito i cumuli del vecchio raccolto, mentre quello nuovo, (il sale si produce tra giugno e agosto), sembra perduto prima ancora di partire.
GIUSEPPE POMICETTI, presidente delle saline, è a pezzi, ma non ha dubbi: «sapremo rialzarci», commenta con la voce rotta dall’emozione. Il fango ha distrutto tutto, ma non lo spirito resiliente, indomito e tenace dei Romagnoli. Spalano, con il cuore spezzato, per liberare case, edifici, imprese e negozi. Lavorano con fatica, intonando “Romagna Mia” Si danno forza a vicenda, armati di pale, scope e sorrisi. A loro vanno tutto il nostro sostegno e la nostra stima.
Chiara Papotti