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Accettabilità sociale dell’acquacoltura

di Elena Benedetti

La crescita dell’acquacoltura nell’UE e la sua competitività si basano in gran parte sull’accettazione sociale e sul riconoscimento dei benefici e del valore delle attività e dei prodotti da essa derivati. Ma la popolazione è generalmente favorevole allo sviluppo dell’allevamento ittico? Lo abbiamo chiesto al dott. ANDREA FABRIS, direttore di API.

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Dott. Fabris, cosa intendiamo per accettabilità sociale dell’acquacoltura?

«Partiamo innanzitutto dai dati di consumo e di produzione: in Italia la produzione nazionale soddisfa, tra acquacoltura e pesca, i consumi ittici (pescherie, DO, GDO e HO RE CA.) per un 25%. Il restante 75% è pesce d’importazione. Ricordiamo inoltre che, a livello mondiale, ma anche nazionale, il prodotto consumato di acquacoltura ha superato quello di pesca. Ciò cosa significa? Che l’acquirente medio, la casalinga, il consumatore, mangiano i prodotti di acquacoltura. E anche questa è accettabilità sociale. Resta però ancora qualche pregiudizio o una differenza di percezione tra il prodotto di acquacoltura e di pesca. D’altra parte, se oggi togliessimo dal banco della pescheria o del supermercato salmone, trota, orata, spigola, pangasio, ombrina, rombo, senza dimenticare cozze e vongole, resterebbe poco da offrire!».

Le Zone marine Assegnate per l’Acquacoltura (AZA) sono considerate uno strumento essenziale per lo sviluppo sostenibile dell'acquacoltura, in una prospettiva di “crescita blu” e “transizione verde” verso sistemi alimentari climaticamente neutri, sani e rispettosi dell’ambiente (fonte: ISPRA; in foto, la Sacca di Scardovari, photo © Ditlevsen).

Quindi, partiamo da un dato di fatto, il consumatore accetta il prodotto di acquacoltura.

«Sì, ma risulta ancora difficile accettare l’attività di acquacoltura soprattutto se svolta in prossimità della propria area di residenza. I popoli anglosassoni hanno coniato l’acronimo NIMBY (Not In My Back Yard, non nel mio giardino), che esprime il disagio di certe persone che vedono minacciata la sicurezza della propria area di residenza dall’insediamento di opere o attività indesiderate. Noi percepiamo che c’è questa sensazione di disagio. Occorre lavorare per cambiare la percezione negativa che alcuni hanno dell’acquacoltura».

Perché si parla di accettabilità dal punto di vista sociale?

«L’attività di acquacoltura è sostenibile secondo tre pilastri: ambiente, società ed economia. Essa garantisce ricchezza in zone costiere o rurali che non godrebbero dei benefici di altre attività economiche. Pertanto, dal punto di vista sociale, è utile.

Ciò che a volte manca è la sua percezione positiva. Ci sono pregiudizi, c’è disinformazione. Capita che nell’attribuzione degli spazi non si tenga conto della sua importanza strategica, alla luce anche della forte dipendenza del nostro Paese dai prodotti ittici esteri.

L’altro aspetto riguarda una certa difficoltà a livello locale, sia in fase autorizzativa che post-autorizzativa, nel dialogare con le popolazioni del luogo, coi “vicini di casa”. Anche questo non è sempre facile e a volte porta a scontri. È come se accettassimo di buon grado di consumare spigole e orate d’allevamento ma non approvassimo al contempo che queste che fossero allevate a tre miglia dalla costa presso cui si abita! Mentre si preferisce che queste siano allevate in Grecia o Croazia, anch’esse mete indiscusse di turismo.

Alla base dell’accettabilità sociale ci deve essere una corretta pianificazione degli spazi dell’acquacoltura e delle altre attività antropiche, con le ormai famose AZA, Zone Allocate per l’Acquacoltura. Questo concetto di Zone Allocate per l’Acquacoltura deve riguardare sia gli spazi di mare per gli allevamenti off-shore ma anche le zone costiere, lagunari, salmastre e quelle interne delle acque dolci.

Bisogna dare la priorità a certe zone piuttosto che ad altre, oltre ad un corretto “uso” dell’acqua (ricordiamoci che l’acquacoltura non consuma l’acqua, bensì la utilizza e la restituisce) per l’attività di acquacoltura. Lo sviluppo dell’allevamento ittico non dipende solo dal livello di accettabilità da parte del consumatore ma anche dal ruolo delle autorità locali: sono infatti queste spesso ad avere l’ultima parola su un’autorizzazione, sul decidere se allocare un’area ad attività turistiche o all’acquacoltura».

Come si può operare quindi per promuovere uno sviluppo dell’acquacoltura in Italia considerando eventuali ritrosie da parte di privati e autorità locali?

«Sul fronte del consumatore si può certamente sottolineare l’importanza di un’alimentazione corretta e nutrizionalmente valida oltre dare maggiori informazioni sull’impatto positivo di queste attività a livello locale.

Tra i consumatori italiani emerge un cambiamento dell’opinione in termini positivi nei confronti del pesce d’allevamento: si parla sempre più frequentemente di sostenibilità e di attenzione all’ambiente. Ciò nonostante, c’è ancora molto da fare, soprattutto verso una certa ritrosia da parte di chi abita e frequenta aree costiere in prossimità di impianti di allevamento.

Per gli amministratori occorre rimarcare la valenza strategica dell’acquacoltura, in termini di ricchezza per il territorio, creazione di posti di lavoro e di nuove esperienze. E far capire che si possono sviluppare sinergie tra le varie attività, tra acquacoltura, turismo e ristorazione».

Le autorità locali giocano un ruolo centrale in questo contesto, corretto?

«Assolutamente. L’acquacoltura è gestita molto a livello locale e regionale e per questo sarebbe importante avere indicazioni centrali. Ciò che manca è questa pianificazione territoriale, fondamentale per tutte le attività, per il turismo, per la pesca, per l’allevamento.

Ci sono tutta una serie di parametri da inserire all’interno di un contesto geografico marittimo così come ci sono esigenze di idoneità: per fare acquacoltura a mare, come in impianti a terra, sono necessarie

Pier Antonio Salvador eletto presidente del Working Party on Fish

Lo scoro aprile a Bruxelles, nella sede del COPA-COGECA, Comitato delle organizzazioni agricole europee che riunisce 60 organizzazioni dei Paesi membri e 36 organizzazioni partner di altri Paesi, il presidente API-Associazione Piscicoltori Italiani, Pier Antonio Salvador, è stato eletto alla presidenza del Working Party on Fish (FISH). «Ritengo il lavoro nell’ambito di Copa-Cogeca fondamentale per tutto il comparto dell’acquacoltura europea» ha affermato il presidente dell’associazione che riunisce i piscicoltori di Confagricoltura. «Nel prossimo biennio gli obiettivi dell’ufficio di presidenza del gruppo di lavoro saranno quelli di rafforzare la collaborazione tra pesca e acquacoltura, ridurre l’impatto della burocrazia per piscicoltori e pescatori, dare informazioni migliori sul pesce consumato nei canali Ho.re.ca., aumentare la visibilità e la conoscenza dell’acquacoltura e della pesca sostenibili». Il Working Party on Fish del Copa-Cogeca è uno dei gruppi di lavoro composti da rappresentanti ed esperti delle organizzazioni affiliate in cui si affrontano problematiche e prospettive di mercato che riguardano i diversi settori agricoli ed alimentari, e in cui vengono discusse ed elaborate le posizioni congiunte di Copa e Cogeca. Il presidente Salvador resterà in carica fino alla primavera 2025 e sarà affiancato dai vicepresidenti Elena Ghezzi (rappresentante settore pesca Alleanza Cooperative Italiane) e Bernhard Feneis (DBV,Germania; fonte: Confagricoltura).

A livello mondiale il consumo del pesce ha un tasso di crescita importante e l’acquacoltura rappresenta l’unica vera alternativa all’impoverimento dei nostri mari. La scelta di consumare il pesce di acquacoltura rappresenta un atto responsabile anche per gli aspetti economici e sociali e non solo per le ricadute ambientali.

adeguate caratteristiche idriche (qualità, idrodinamica, ecc…). Concludendo, il processo è semplice da riassumere ma certamente complesso nell’attuazione: l’UE dà le linee guida in materia di pianificazione territoriale, il Paese le recepisce e le Regioni le applicano. Definendo le zone dedicate all’acquacoltura e formando il consumatore, preserviamo le at-

Chi è API, l’Associazione Piscicoltori Italiani

tività dedicate all’acquacoltura che tradizionalmente sono caratteristica di un luogo guardando ad uno sviluppo futuro aperto e accogliente».

Elena Benedetti

API, che non ha fini di lucro, si propone come scopo la tutela, lo sviluppo ed il consolidamento di tutte le attività di allevamento ittico sia in acque interne che in acque marine e salmastre. Pertanto promuove tutti gli interventi in campo economico, scientifico, tecnico, assicurativo, professionale, sindacale e legale che sono necessari per conseguire tale obiettivo. L’assistenza in campo economico vuole incontrare le esigenze degli allevatori sulle possibilità di ottimizzazione delle proprie risorse, ed eventuali opportunità di finanziamenti pubblici. L’interesse dell’API in campo scientifico si concretizza attraverso la collaborazione con le diverse istituzioni scientifiche per arricchire le conoscenze da mettere a disposizione delle aziende, sia per quanto riguarda le innovazioni tecnologiche che per l’eventuale assistenza veterinaria da fornire agli associati. La competenza e la professionalità dei consulenti sono caratteristiche che l’Associazione Piscicoltori Italiani ritiene necessarie per garantire agli associati un’adeguata assistenza. In campo sindacale e legale, API si impone come obiettivo un rapporto sempre più stretto con le istituzioni e gli organismi territoriali competenti in materia di acquacoltura concertando le esigenze istituzionali e quelle degli acquacoltori.

>> Link: www.acquacoltura.org

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