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Dalla ricerca all’alta formazione, con SUSHIN il passo è breve
La contaminazione nata dall’incontro e dallo scambio di idee ed esperienze di ambiti disciplinari diversi ha contribuito a generare un Master di alta formazione sulla sostenibilità in acquacoltura. A raccontare questa esperienza alla nostra Redazione sono i coordinatori IKE OLIVOTTO e GIORGIA GIOACCHINI, docenti all’Università Politecnica delle Marche e ricercatori del progetto SUSHIN, e VALENTINA CAIRO, project manager di AGER.
Professor Olivotto, per far fronte alle necessità alimentari di una popolazione in continua crescita, anche l’acquacoltura italiana dovrà aumentare velocemente le produzioni di pesci, crostacei e molluschi rimanendo competitiva sui mercati. Come sarà possibile affrontare e vincere questa sfida?
«La FAO stima che nel 2030 la pesca non sarà in grado di soddisfare il crescente aumento dei consumi e i prodotti ittici allevati passeranno dall’attuale 45% al 62% del pesce consumato a livello mondiale. La stessa FAO ha dato anche indicazioni precise per aumentare le produzioni e l’unica strada possibile è di adottare al più presto modelli di allevamento basati sulla sostenibilità, declinata nei suoi tre aspetti principali: ambientale, economica e sociale.
Da diversi anni molti centri di ricerca, compresa la mia Università, stanno studiando e mettendo a disposizione degli allevatori nuove tecniche, conoscenze e tecnologie per il settore acquacoltura applicando i parametri della sostenibilità. Queste ricerche sono oggi più che mai volte a favorire il benessere animale promuovendo l’impiego di prodotti naturali, alla diminuzione dell’impatto ambientale degli allevamenti attraverso molteplici strategie e a favorire elevati standard qualitativi del prodotto ittico a beneficio dei consumatori, garantendo il giusto reddito agli acquacoltori.
È ormai chiaro che l’espansione di un’acquacoltura basata sulla sostenibilità può avvenire solamente se si affi ancano alle innovazioni tecnologiche prodotte dalla ricerca nuovi professionisti di alto profilo per facilitare il trasferimento di queste innovazioni agli allevatori e per ricoprire i nuovi ruoli altamente specialistici di cui l’acquacoltura ha oggi bisogno.
Per questa ragione abbiamo dato vita al Master di alta formazione “Acquacoltura del futuro: innovazione tecnologica e gestionale a favore di sostenibilità e redditività”, realizzato in primis grazie al finanziamento della Regione Marche (Programma FEAMP 2014-2020, Misura 2.50) e all’esperienza maturata con SUSHIN, un progetto di ricerca dove il nostro ateneo era partner e che aveva l’obiettivo di promuovere la sostenibilità degli allevamenti di trote, branzini e orate, le tre specie più allevate in Italia».
In quale modo SUSHIN ha stimolato la nascita del Master?
«Il progetto ha avuto il grande merito di raggruppare sotto un unico ombrello qualificati centri di ricerca italiani in acquacoltura, che, dopo quattro anni di sperimentazioni, sono riusciti a mettere a punto un nuovo mangime per trote, branzini e orate che non contiene farina di pesce. Un risultato molto importante in termini di sostenibilità, in quanto permette di ridurre la quantità di pesce selvatico che di norma viene trasformato in farine per alimentare i prodotti ittici allevati. Senza alcun dubbio, SUSHIN è stato l’apripista del Master per due aspetti: l’interdisciplinarità dei centri di ricerca che hanno collaborato al progetto e i numerosi e positivi risultati scientifici e applicativi ottenuti.
Nella strutturazione del percorso formativo abbiamo quindi mantenuto l’impostazione interdisciplinare coinvolgendo molti ricercatori di SUSHIN come docenti, affinché portassero il loro bagaglio di conoscenze ed esperienze raccontando i risultati ottenuti dal progetto e aprendo gli orizzonti verso le nuove frontiere della ricerca.
Questo ha permesso di far toccare con mano ai partecipanti le molteplici sfaccettature della sostenibilità applicata all’acquacoltura, a partire dalla nutrizione dei pesci, passando attraverso sistemi innovativi di allevamenti a bassissimo impatto ambientale, per arrivare al grosso problema dei contaminanti emergenti come ad esempio le microplastiche».