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Salampatata Massimiliano Rella

Dall’ingegno popolare un salume a base di rapa

CIUÌGHE DEL BANALE

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di Chiara Papotti

Dolomiti da contemplare. Come cartoline che mutano a ogni svolta della strada appagando la sguardo, innescando nuove curiosità. In rifugi e villaggi un paesaggio umano altrettanto mutevole e interessante: ristoratori capaci di reinventare i sapori antichi, contadini e artigiani tenaci e capaci. I sapori di queste terre, i formaggi d’alpeggio, il vino, i salumi, sono quelli di una civiltà povera, arrivati intatti sino ai giorni nostri con il loro delizioso retaggio di gusto, storia e tradizioni.

A San Lorenzo Dorsino, comune italiano istituito nel 2015 dalla fusione dei territori di San Lorenzo in Banale e Dorsino nella provincia di Trento, è custodito un presidio Slow Food unico, dal sapore inimitabile e dalla storia affascinante: la ciuiga del Ba nale. Preparata per la prima volta nella seconda metà dell’800 dal macellaio PALMO DONATI, oggi è mantenuta in vita da un unico produttore. Nello specifi co si tratta, in realtà, della Famiglia Cooperativa Brenta Paganella (www.cooperazionetrentina.it) e la sua storia merita di essere raccontata.

Nel 1890 il sacerdote don Guetti, impressionato dalle condizioni di miseria in cui vivevano i contadini e i pastori della zona, fondò cooperative di mutuo soccorso, nella quali, chi aveva disponibilità, investiva a vantaggio dei meno abbienti somme di denaro affi nché potessero superare momenti di diffi coltà. È con questo nobile scopo che nacque in quegli anni la Famiglia Cooperativa Brenta, tuttora operativa.

Le ciuighe del Banale sono testimonianza di estrema povertà nei secoli passati del territorio delle Giudicarie Esteriori, la vallata che si trova incastonata tra il lago di Garda e le Dolomiti di Brenta. Le famiglie che abitavano queste zone allevavano prevalentemente maiali, vendevano i tagli anatomici migliori e si accontentavano di consumare i meno nobili.

All’epoca, il macellaio di San Lorenzo in Banale Palmo Donati aggiunse alle parti meno pregiate del suino (ovvero la testa, il cuore e i polmoni) le rape bianche, tubero dallo scarso sapore, ma molto diffuso e di poco costo. In questo modo, con la minima spesa, ottenne un salume sostanzioso e saporito che andava incontro alle necessità della povera gente.

In alto: la ciuìga del Banale è molto apprezzata per le sue note aromatiche di pepe nero e aglio e per il gusto rotondo conferito dall’affumicatura. Si consuma cotta, abbinata ad un’infi nita varietà di piatti. L’abbinamento classico è quello con le patate lesse (photo © www.italianfoodexperience.it). A sinistra: San Lorenzo Dorsino, in provincia di Trento, è situato alle pendici sud-orientali delle Dolomiti di Brenta, a pochi chilometri dal lago di Molveno, all’ingresso del Parco Naturale Adamello Brenta (photo © bikemp – stock.adobe.com).

A distanza di oltre 150 anni, si è conservata l’usanza di portare avanti questa produzione con qualche piccola modifi ca del processo produttivo.

Mentre originariamente si utilizzava circa il 30% di carne meno pregiata e il restante 70% di rape, oggi si utilizzano anche le parti migliori del maiale (spalla, pancetta, gola e coppa), lavorate con una percentuale minore di rape (circa il 35-40% sul prodotto fi nito). Alle carni macinate si aggiungono le rape cotte precedentemente in un grande paiolo e strizzate per bene al fi ne eliminare l’acqua in eccesso.

Le proporzioni ideali per la preparazione delle ciuighe sono 40 kg di rape ogni 60 kg di carne. All’impasto ottenuto si aggiunge sale fi no, pepe nero e aglio tritato.

L’operazione fi nale prevede che il composto ottenuto venga insaccato nel budello gentile, che viene ricavato dall’ultima parte dell’intestino retto del suino. Al termine di questa procedura si effettua l’affumicatura rigorosamente naturale con cruschello di faggio, che ha una durata di circa 8 giorni, operazione fondamentale per asciugare le ciuighe e conservarle al meglio.

La produzione delle ciuighe del Banale rimane ad oggi molto limitata, il presidio Slow Food si propone di incrementare la produzione, mantenendo la tecnica tradizionale al fi ne di stimolare, intorno a questo salume, l’interesse della ristorazione e dei consumatori.

L’insaccato è molto apprezzato per le sue note aromatiche e per il gradevole gusto conferito dall’affumicatura.

Può essere consumato anche dopo soli 3 giorni di stagionatura, facendolo bollire in acqua per circa venti minuti. Si può abbinare, seguendo la tradizione, a patate lesse o purè, polenta e crauti, cavoli tagliati fi ni. Se le si consuma dopo una decina di giorni dall’inizio della stagionatura, le ciuighe assumono una consistenza maggiore e si possono tagliare a fette, come i salami più classici.

Oggi la ciuiga del Banale è un presidio Slow Food, per il quale la Cooperativa Brenta Paganella ha l’esclusiva sulla produzione e sulla commercializzazione. Chissà cosa direbbe il macellaio Palmo Donati oggi, vedendo la sua invenzione diventare prodotto di altissima qualità, estremamente ricercato e apprezzato oltre i suoi confi ni.

Chiara Papotti

SALAMPATATA

di Massimiliano Rella

A sinistra: il Salampatata realizzato con carne suina locale e patate rosse di montagna dalla macelleria gastronomia Da Teresa di Caluso (TO). In alto: a sinistra, l’impasto del Salam d’Patata e il norcino Giovanni Actis Dato mentre lo insacca nel budello naturale. A destra, la legatura del salame.

Il Salampatata, o Salam d’Patata, è un curioso salume inserito nel paniere dei Prodotti Tipici della provincia di Torino. Un salume povero, contadino, simpatico e gustoso, nato in tempi di “magra”, quando la carne era ancora un bene prezioso, e oggi salito allo status di prodotto tipico del Canavese, quella vasta area a nord del Piemonte al confi ne con la Val d’Aosta, dove anticamente si coltivava la canapa. Troviamo varianti di Salampatata nella piccola regione valdostana: ad esempio il Bouden, la cui ricetta prevede anche un’aggiunta di sangue di maiale, da cui deriva il colore rosso bruno e intenso del salume. Il Salam d’Patata del Canavese, invece, prevede soltanto carne di maiale, metà magra, metà grassa, macinata e impastata con quantità quasi uguale di patate rosse di montagna (lessate con la buccia), che sono raccolte tra settembre e marzo, prima che i tuberi comincino a fermentare. All’impasto il bravo norcino aggiunge pepe a grani e pepe fi no, noce moscata grattugiata, cannella e chiodi di garofano polverizzati. E ciascuno, a suo gusto, anche un pizzico di personalizzazione. Ad esempio, la storica macelleria gastronomia Da Teresa (Piazza Ubertini 5, Caluso, Torino; telefono: 011 9891046) aggiunge un goccio di vino bianco Erbaluce di Caluso, un mix “segreto” di aromi naturali e il conservante E252. Il tutto è

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