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La Salute degli Italiani - Daniel Della Seta

Ricerca scientifica e prevenzione contro le malattie neurodegenerative

MALATTIA DI ALZHEIMER: ALLO STUDIO ANTICORPI MONOCLONALI E “COCKTAIL DI FARMACI” CONTRO LE DIVERSE CAUSE. LA PREVENZIONE RESTA LA PRIMA ARMA

Giornalista, autore e conduttore de "L'Italia che va..." Rai e Focus Medicina.

La “demenza”, nelle sue diverse espressioni, caratterizza sempre più spesso la terza e la quarta età. Distrugge la persona, ma non cancella la vita: per questo la ricerca scientifica è al lavoro per migliorare la quotidianità di chi ne soffre o rischia di andarvi incontro. Il Prof. Marco Trabucchi, Presidente dell’Associazione Italiana Psicogeriatria (AIP), spiega che la demenza in senso generale si può affrontare con “modalità cliniche”. Non disponiamo ancora di farmaci adeguati, ma il progresso è tale che nei prossimi 2-3 anni avremo una risposta sul piano farmacologico. La ricerca scientifica di nuovi farmaci si sta indirizzando verso la capacità di rallentare la formazione della sostanza beta-amiloide nel cervello, responsabile dell’effetto negativo sui neuroni (cellule nervose): queste terapie mirano a una riduzione dei sintomi e a un rallentamento dell’evoluzione della malattia. Oggi, adottando un altro approccio, possiamo proteggere i neuroni con la prevenzione. Prevenzione significa: Marco Trabucchi • Evitare la solitudine • Stimolare il sistema cognitivo • Seguire un’alimentazione adeguata e corretta • Svolgere un’attività fisica (almeno 500 metri di camminata al giorno) Rallentare la comparsa della malattia può voler dire anche non averla mai

QUALCHE DETTAGLIO

Malattia di Alzheimer – È un tipo di demenza che provoca problemi della memoria, del pensiero e del comportamento. La progressione è lenta nel tempo e il peggioramento è ingravescente e continuo, fino a interferire pesantemente con le attività quotidiane.

Beta-amiloide – Proteina normalmente prodotta dalle cellule cerebrali a partire da una proteina precursore. Nella malattia di Alzheimer, per cause non conosciute, frammenti di beta-amiloide difficilmente eliminabili si formerebbero in eccesso e inizierebbero ad accumularsi tra i neuroni, formando, nel tempo, le cosiddette placche. Queste provocherebbero alterazioni sia della comunicazione tra i neuroni, sia delle proteine in questi contenute. Ne deriva un difetto del trasporto di sostanze nutritive per i neuroni e la loro morte graduale in diverse aree del cervello, eventi responsabili dei sintomi. Delirium – Stato confusionale acuto, con alterazione transitoria e oscillante della coscienza.

Quanti sono i pazienti con malattia di Alzheimer?

La Dott.ssa Laura De Togni, neurologa presso l’ASL 9 Scaligera di Verona, ci dice che dal punto di vista numerico, in tutto il mondo, la malattia di Alzheimer è la principale forma di demenza tra le patologie neurodegenerative, rappresentando circa il 60-80% di tutte forme di questo tipo. In Italia ci sono 1,1-1,2 milioni di persone con demenza in generale, di cui il 60-80% è affetto da malattia di Alzheimer (circa 800mila persone).

Laura De Togni

Quali interventi terapeutici?

Va considerato che le cause sono molteplici e non si tratta solo di una patologia neurodegenerativa: conta molto anche lo stile di vita: se si attuassero le azioni preventive emanate da ogni documento scientifico (eliminazione del fumo, controllo delle malattie croniche, socializzazione, cura della depressione, ecc.) probabilmente il 30-40% delle patologie neurodegenerative non si verificherebbe.

Sulle concause sopra citate la ricerca scientifica progredisce: ci sono terapie utilizzate da 20 anni, ma oggi si guarda avanti: si stanno studiando farmaci che non agiscano sul sintomo, ma sulla causa, sul processo di accumulo dell’amiloide. Si tratta di anticorpi monoclonali che inibiscono i primi meccanismi patogenetici dei precursori dell’amiloide: agiscono quindi in una fase precoce. Il futuro sarà sviluppare una terapia che sia un cocktail di farmaci per agire sulle diverse cause. I primi anticorpi monoclonali sono già stati approvati negli Stati Uniti, seppure con molte limitazioni imposte anche di recente: possono essere somministrati solo a pazienti negli studi sperimentali, inoltre sono farmaci molto costosi, privi di sovvenzioni. Al momento, l’EMA (European Medicines Agency, Agenzia Europea dei Farmaci) ha bloccato l’erogazione di queste terapie, ma si spera che la situazione si possa sbloccare in breve tempo.

Delirium

Ogni anno negli ospedali italiani un italiano su 5 va incontro a delirium. Giuseppe Bellelli, Professore Ordinario di Geriatria all’Università Milano Bicocca, evidenzia i risultati di uno studio condotto nel periodo 2015-2017 su 450 ospedali italiani: la prevalenza del delirium è stata del 22-23% tra i pazienti sopra i 65 anni.

Questo significa che tutti i giorni, in ogni ospedale italiano, un anziano ogni cinque va incontro a delirium che, però, il più delle volte, non è adeguatamente riconosciuto soprattutto perché nelle fasi iniziali è caratterizzato “solo” da sopore, difficoltà di concentrazione e sonnolenza. In secondo luogo, non esistono indicatori e biomarcatori per questa condizione, che non è facilmente diagnosticabile e distinguibile, ad esempio, dalla demenza. È noto che il delirium impatta moltissimo sugli esiti (outcome) di salute, a partire dalla mortalità: in base allo studio effettuato, a parità di età e di patologie in corso, il delirium aumenta di due volte e mezzo il rischio di morire durante la degenza ospedaliera. Il decesso è una conseguenza anche a lungo termine. Inoltre, il delirium aumenta di 12 volte il rischio di sviluppare declino cognitivo nel medio termine, sempre a parità di età e di condizioni morbose in atto.

Conoscere le caratteristiche del delirium e le sue modalità iniziali di comparsa, che possono essere molto subdole, è di grande importanza anche per i famigliari e il personale d’assistenza, che devono esserne sensibilizzati.

Il delirium, come sopra descritto, ha un impatto significativo sulla vita del paziente, è un importante tema che riguarda la sanità pubblica e diventa necessario occuparsene in quanto fattore di rischio di declino cognitivo. Va intercettato in modo attivo nei pazienti ospedalizzati, per pianificare valutazioni seriate dopo le dimissioni e ragionare su possibili interventi correlati agli stili di vita nell’invecchiamento.

Giuseppe Bellelli

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