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NUTRACEUTICA Arrigo F.G. Cicero
COVID-19: un aiuto dalla Vitamina D
Dipartimento di Scienze Mediche e Chirurgiche, Alma Mater Studiorum Università di Bologna
Della vitamina D, in genere, sono note due cose: • è legata all’esposizione solare; • è indispensabile per la salute delle ossa.
mente trasmissibile e virulenta che determina una malattia respiratoria chiamata COVID-19 che nel mondo ha già determinato la morte di 6 milioni di persone.
La scoperta che la vitamina D può essere prodotta nell’organismo dei mammiferi a livello della cute esposta alle radiazioni UV risale agli anni venti del secolo scorso, ma il meccanismo e la sequenza delle reazioni chimiche coinvolti in questo processo sono stati chiariti a partire dal 1980. Le concentrazioni di vitamina D nel siero raggiungono il massimo dalle 24 alle 48 ore dopo l’esposizione alle radiazioni UV e, successivamente, i suoi livelli decrescono rapidamente. La vitamina D può essere immagazzinata nelle cellule adipose del tessuto sottocutaneo o di altre sedi per poter essere utilizzata successivamente, fino a due mesi dopo.
Esistono evidenze epidemiologiche che indicano che bassi livelli plasmatici di vitamina D sono associati ad un aumentato rischio di una maggiore gravità di COVID-19 e di relativa mortalità, e ciò è confermato anche nei bambini. L’assunzione di vitamina D (supplementazione) durante le prime fasi di COVID-19 ha ridotto: • il periodo di ricovero ospedaliero; • la necessità di ricorrere alla somministrazione di ossigeno; • la mortalità. Questi effetti favorevoli su COVID-19 sono particolarmente visibili quando sono utilizzati dosaggi elevati (100.000 UI in singola dose). I dati attualmente disponibili indicano che la supplementazione con vitamina D potrebbe aumentare la risposta immunitaria innata antivirale, ridurre il grave processo infiammatorio che accompagna COVID-19, mantenere l’integrità delle strutture polmonari e favorirne il reintegro, ridurre la tendenza protrombotica associata alla gravità dell’infezione.
La vitamina D può essere assunta anche con la dieta; ne sono ricchi il pesce azzurro, i gamberetti, il salmone, le uova, il formaggio, il fegato e la carne. Sia che provenga dalla sintesi cutanea, che dalla dieta, la vitamina D è prontamente immagazzinata nel tessuto adiposo che la rilascia nei periodi di ridotta produzione, come ad esempio durante i mesi invernali. Diversi studi hanno dimostrato che gli individui obesi tendono ad avere concentrazioni più basse di vitamina D rispetto ai soggetti normopeso: infatti un pannicolo adiposo eccessivo possiede un’attività sequestrante su tale vitamina.
In conclusione, numerosi studi clinici hanno indicato che la prognosi dei pazienti con COVID-19 potrebbe essere migliorata dalla supplementazione con vitamina D e, dal momento che l’apporto alimentare di quest’ultima è economico e sicuro, essa potrebbe essere presa in considerazione nel trattamento dei pazienti con COVID-19.
Studi sperimentali hanno evidenziato che la forma attiva della vitamina D esercita diverse azioni sui vari componenti del sistema immunitario e che suoi bassi livelli possono aumentare il rischio di malattie immuno-correlate (psoriasi, diabete di tipo 1, sclerosi multipla, artrite reumatoide, tubercolosi, sepsi, infezioni respiratorie e COVID-19). Da ciò deriva che sono stati condotti numerosi studi clinici con lo scopo di verificare l’efficacia della somministrazione della vitamina D per il trattamento di queste malattie.
Letture consigliate • Charoenngam N, Holick MF. Immunologic Effects of Vitamin D on Human Health and Disease. Nutrients. 2020; 12(7):2097. • Sparavigna A. Vitamina D e cute: metabolismo, fisiologia, patologia. Scripta Medica 2011; 14(1):41. • Cicero AFG, Fogacci F, Borghi C. Vitamin D Supplementation and COVID-19 outcomes: Mounting Evidence and Fewer Doubts. Nutrients. 2022; 14:3584.
Come è noto, SARS-COV-2 (Severe Acute Respiratory Syndrome Coronavirus 2) è una infezione da coronavirus alta-
2022;5,3.
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