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Intervista a Lorenza Serafina Feliciani, moglie di Cagliostro

di Sabrina Turco

Occhi di un azzurro intenso e cristallino come un cielo limpido, che ricordano la trasparenza dell’acqua del mare che abbraccia le coste. La vidi arrivare, incorniciata da una Roma magica e misteriosa, capelli dorati adagiati sulle spalle che ondeggiano al ritmo del suo lento avanzare, senza fretta di raggiungermi.

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Corpo esile, slanciato, di straordinaria bellezza, col fascino provocante dipinto dalla grazia. Lorenza, moglie di Cagliostro, figlia di un ottonaio, cresciutanella povertà, tra piazza Farnese e Campo dei Fiori. L’appuntamento, ai piedi della scalinata di Trinità dei Monti, nello splendido quadro di Piazza di Spagna, uno scenario che non ha eguali al mondo. In una tiepida serata d’ottobre, Lorenza, dal principio un po’esitante ha poi accettato l’invito. Prese posto accanto a me insieme a tutta la sua avvenenza. La stessa che usò da giovanissima per affrancarsi dalla povertà in cui era cresciuta. La stessa che a causa di suo marito, divenne anche la sua condanna. Così, come ormai mi capita da un po’ di tempo, ho deciso di confrontarmi con una donna del passato perché credo fermamente che le storie di un tempo siano ancora le nostre. Donne strozzate dalla povertà che cercano un riscatto, anche a costo della propria vita. Donne umiliate, sfruttate, calpestate nella loro intelligenza, ignorate per la libertà che gli è stata negata. Donne a cui è stata tappata la bocca, tarpate le ali ... Per tutte loro, ho intrapreso questo viaggio attraverso i secoli.

Un alito di vento mi sfiorò il viso, Lorenza iniziò il suo racconto.

«Sono nata poverissima, giravo scalza o in ciabatte, tra i vicoli di Roma. Non sapevo né leggere, né scrivere ma in compenso sapevo che la mia condizione mi aveva resa scaltra – come direste voi ora. Come altre donne del popolo, avevo fame di denaro e volevo buttarmi alle spalle la mia misera vita. Crebbi e non ci volle molto per attirare su di me gli sguardi morbosi degli uomini. Ora mi giudicherai per quanto sto per dirti, ma decisi di concedermi a loro in cambio di quel denaro che pensai mi avrebbe reso libera e sciolto dalle catene della mia condizione. Ma è proprio in una simile occasione che incontrai l’uomo che sarebbe diventato mio marito e anche, a suo modo, il mio carnefice».

La guardai, cercando di cogliere il grido di aiuto racchiuso nel suo momentaneo silenzio, mi venne da pensare che la povertà può essere davvero una tiranna che ti spinge verso l’abisso. Motivo di vergogna e di imbarazzo, se ne subisce il peso in silenzio.

«Quando incontrai Giuseppe Balsamo, era il 1768, era appena uscito di prigione. Ero la donna della sua vita – mi disse –, la sua anima gemella. Intravidi una via d’uscita che però, portò alla fine di entrambi. Tra noi fu subito attrazione. Ci sposammo immediatamente iniziando la nostra vita coniugale colma di intrighi e astute macchinazioni. Come scrisse qualcuno successivamente».

Le cronache li descrivono come una Bonnie e Clyde di tempi antichi, lui un uomo istrionico, astuto e un abile affabulatore. Non ci volle molto perché Cagliostro, abbandonando ogni pudore, spingesse la sua compagna a scivolare nei letti di uomini ricchi affinché glieli restituisse inebetiti e pronti ad essere truffati. Il ritratto di questa coppia, descritto negli anni, disegna una Lorenza seducente e licenziosa, come se questa fosse l’unica equazione possibile per una donna come lei e il suo bagaglio di storia. Addirittura alcuni articoli recenti ne parlano come “bendisposta a certi giochetti d’alcova”. Inutile dire che alcuni di questi articoli recano una firma maschile...

Mentre ascoltavo Lorenza raccontare la sua storia , mi sono chiesta se un imbroglione come Cagliostro, famoso per la sua abilità nel raggirare nobili signori e ricchi mercanti, non abbia raggirato anche sua moglie, preda del suo fascino, per trascinarla in una vita di macchinazioni, appunto. Ma forse per secoli è stato più semplice pensare a lei come sua complice piuttosto che vittima di un uomo privo di scrupoli.

Come in un lieve sussurro, trascinato da una frizzante brezza capitolina, Lorenza riprese il suo racconto:

«Cagliostro iniziò a praticare l’alchimia e tutta una serie di dottrine esoteriche che gli aprirono molte porte, facilitando la fondazione di una propria loggia Massonica. A cui fece aderire adepti di elevato ceto sociale per ottenere prestigio e soprattutto potere economico. Capii presto che non ero più compresa nei suoi piani. Le mie prestazioni, non erano più necessarie ai suoi scopi. L’uomo di cui mi ero innamorata, l’uomo che mi aveva strappata alla strada, l’uomo a cui avevo ceduto tutta me stessa assecondandone i suoi loschi piani, lasciandomi trascinare, di nuovo, nel torbido, mi aveva dimenticata in un angolo. Come un vecchio strofinaccio usato, sporcato e macchiato in modo irreversibile, mi aveva buttata via... senza neanche guardarsi indietro».

«È allora che hai deciso di denunciarlo?».

«Forse si. Mi sentivo usata, ancora una volta, sopraffatta da un destino cucitomi addosso dalla vita e che non riuscivo a lasciare».

«Quindi hai iniziato a provare astio e rancore nei confronti di tuo marito che, nel frattempo, era diventato sempre più potente sia come massone che come alchimista».

«Penso sia andata proprio così».

«Sai Lorenza, anche ai nostri giorni esiste questa pratica diffusa tra alcuni uomini. Sto parlando del maltrattamento psicologico, della violenza psicologica, che si trasforma in un vero e proprio abuso emotivo o abuso mentale. Una forma di maltrattamento secondo la quale una persona sottomette e controlla l’altra attraverso svariati comportamenti dannosi, come gli insulti, le umiliazioni, le colpevolizzazioni, le minacce, fino – come in questo caso – a costringerti ad andare con altri uomini. Tu dipendevi da lui perché in lui avevi visto un’opportunità di riscatto, l’opportunità per eccellenza, direi. Avresti fatto qualsiasi cosa per assecondarlo, come donna innamorata. Ma raggiunti i suoi vili scopi non ha più avuto bisogno di te... Oggi diremmo che Cagliostro, tuo marito, ha abusato della sua posizione per soggiogarti e usarti per i suoi fini».

Lorenza, increspando un amaro sorriso, riprese a ricordare...

«Mentre la sua fama cresceva sia come alchimista che come capo massonico cresceva anche la sua ambizione ma questo lo rese incauto. E fu in quel momento che pensai di poterne uscire, denunciandolo per maltrattamenti».

Gli errori del passato oltre la sua fama di mago e alchimista non gradita alla Chiesa, fecero il resto.

Cagliostro venne presto arrestato e rinchiuso a Castel Sant’Angelo con pesanti capi di imputazione. Gli interrogatori e il processo proseguirono a lungo.

«Chiamata a testimoniare confermai le mie accuse. Fui assolta dal reato di complicità. Ma non era ancora finita. Fui costretta all’esilio per quindici, lunghi anni, nel convento di Santa Apollonia. In seguito tornai alle mie origini. Avevo perso ogni cosa. Lavorai come portinaia tornando a vivere nella miseria. A mio marito fu risparmiata la vita in cambio di un’abiura per i suoi peccati ma finì i suoi giorni in una cella nella fortezza di San Leo. In un certo senso siamo stati condannati a vita entrambi per i nostri peccati ».

La ringraziai per il suo prezioso racconto e per le sue lacrime, incamminandomi per le vie del centro di una capitale ormai piombata nel silenzio. Senza accorgermene le parole e i momenti appena trascorsi in compagnia di Lorenza mi avevano preso per mano e condotta fino a via Margutta. Sentii un’ombra sfiorarmi, la stessa ombra che ancora oggi si vede vagare proprio tra i cortili di via Margutta e via del Babbuino.

Tra sussurri e lamenti l’anima dannata e straziata di Lorenza, disperata, cammina fino al luogo dove Cagliostro fu arrestato...

Ed è lì che si sente ancora un grido soffocato...

Fontana del Babuino.

Il Babuino (o, con pronuncia romanesca, Babbuino), è una delle sei statue parlanti di Roma. È la raffigurazione di un “sileno giacente” su una base rocciosa, chiamato dal popolo di Roma “babbuino” perché così brutto e deforme da poter essere paragonato ad una scimmia. Una tesi interessante, ma non dimostrata, vuole che in realtà il termine "babbuino" non sia altro che una variante fonetica del diffuso termine popolare "babbione". Questo, a sua volta, deriverebbe dal latino "bambalio, bambalionis" avente significato di "vecchio svanito e cialtrone; imbecille". (Fonte: wikipedia)

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