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"Ranchella N" Dalla scoperta di un nuovo vitigno all'avvio di un progetto innovativo , di Candida De Amicis
DALLA SCOPERTA DI UN NUOVO VITIGNO ALL’AVVIO DI UN PROGETTO INNOVATIVO
di Candida De Amicis
Si possono fare interessanti ritrovamenti passeggiando nei boschi, ma scoprire una nuova varietà di vite ha dello straordinario. Si tratta di una varietà a bacca rossa rinvenuta in Trentino, resistente naturalmente alle malattie fungine, “ trasferita” nei ricchi suoli vulcanici laziali di Grottaferrata, che ora ha un nome “Ranchella N” con codice 928 ed è al centro di un progetto innovativo. Ma questa è una lunga storia fatta di passione, perseveranza e grande lavoro i cui protagonisti, Francesco e Marco Ranchella, all’epoca della scoperta, avevano 17 e 16 anni.
«T utto iniziò nell’ormai lontano 2005, quando in un bosco del Trentino a 800 m slm trovammo una vite arrampicata su un abete. Da qui iniziò la nostra avventura e la nostra piccola rivoluzione agricola» – racconta Francesco, e dalla sua voce traspare l’entusiasmo.
La vite si arrampicava per 10 metri e dai rami pendevano grappoli di uva rossa. Guardandosi intorno, si resero conto che quel terreno scosceso era anticamente coltivato e terrazzato, si vedevano le macère di almeno 7 terrazzi. Ma la cosa più interessante era che la vite godeva di ottima salute, nonostante non fosse curata nè potata e parzialmente ombreggiata dagli alberi intorno: produceva un’uva tintoria e molto zuccherina. I ragazzi non si limitarono ad assaggiarla, decisero di prelevare qualche tralcio per portarlo a Grottaferrata, dove vivono, per poterla innestare e moltiplicare, nonostante il periodo non fosse quello giusto. Ma audentes fortuna iuvat così la primavera successiva, dopo un lavoro meticoloso, spuntò la prima gemma, la vite aveva radicato. Cominciò a crescere rigogliosa e in autunno arrivarono le foglie rosso amaranto.
Era giunto il momento di innestarla, perché solo grazie all’innesto della vite europea sulla vite americana, resistente alla fillossera, le specie europee non si sono estinte. Per scegliere il portainnesto giusto i due fratelli tornarono in Trentino, ma della vite non c’era più traccia, il bosco era stato tagliato. “Capimmo immediatamente di avere quindi una grande responsabilità per la sopravvivenza di quella vite, ma non avremmo mai saputo come era stata piantata”. Piede franco o portainnesto? Cominciarono le prove e i risultati migliori si ottennero piantando la vite a piede franco, ossia con le sue radici naturali. La vite non si ammalava e mostrava caratteri di resistenza a oidio, peronospora e fillossera, permettendo l’abolizione dell’utilizzo di fitofarmaci in viticoltura. Per questo la sua coltivazione per la produzione del vino, ha impatto zero con l’ambiente.
Fu realizzato un piccolo vigneto sperimentale situato su un terreno collinare di origine vulcanica a Grottaferrata, a circa 400 m slm, dove le estati sono miti e gli inverni abbastanza rigidi; le viti hanno resistito senza
alcun problema. Viste le condizioni del luogo in cui giaceva la vite raccolta, per ricreare il suo Habitat nativo, si è scelta la tecnica dell’inerbimento del suolo senza alcun tipo di lavorazione del terreno.
Dopo anni di sperimentazione e ripropagazione, il piccolo vigneto ora produce grappoli il cui grado zuccherino, a fine agosto, è di 26 gradi Brix, restituendo un vino di oltre 15 gradi alcolici. Il vino ha un ottima corposità ed equilibrio organolettico, bouquet complesso e fruttato, con retrogusto di ciliegia e frutti rossi dolci, persistente al palato e buona presenza di tannini.
Ma era necessario sapere a quale varietà appartenesse la vite ritrovata. Per questo motivo Francesco Ranchella decise di contattare FEM2-Ambiente, laboratorio accreditato dall’Università degli Studi di Milano-Bicocca, per identificare la vite attraverso l’analisi del DNA di campioni di tralci.
Ebbene il profilo genetico della vite non corrispondeva a nessuno di quelli presenti nei diversi database internazionali. La ricerca continuò presso il CREA-Centro di ricerca per la viticoltura e l’enologia di Conegliano (TV),
dove fu identificato, grazie all’esperienza del Dott. Daniele Migliaro, uno dei genitori della vite, il Carignano.
Il risultato dell’analisi ha quindi permesso di iscrivere la vite nel registro nazionale delle varietà. Un iter durato tre anni che si è concluso nel febbraio del 2021 con l’inserimento della vite nella sezione dedicata ai vitigni di uve da vino, con il nome di Ranchella N con codice 928.
Probabilmente l’altro genitore è un ibrido di vite selvatica, il quale fornisce tutti i caratteri di resistenza alle malattie. Un incrocio, dunque, fra il Carignano e una vite selvatica ignota, per cui Ranchella N fa parte delle PIWI, un acronimo tedesco che indica le varietà di vite resistenti alle malattie fungine.
Il lavoro dei fratelli Ranchella non si è fermato “solo” al salvataggio di un vitigno destinato all’estinzione ma è proseguito con un innovativo progetto in fase di realizzazione. Dopo aver fatto richiesta di privativa, presso il CPVO, per avere il diritto esclusivo di sfruttamento del Ranchella N, il progetto prosegue con la coltivazione del vigneto sperimentale, grazie all’aiuto del Dott. Marco Stefanini della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige”, a zero impatto ambientale, con la creazione di un habitat simile a quello originale e con vite a piede franco. Verrà effettuata una vinificazione in bianco, sfruttando la caratteristica della varietà tintoria, ovvero con polpa colorata, senza la permanenza delle bucce nei mosti, ottenendo un vino morbido e delicato ma con la caratteristica corposità dei rossi.
La cantina, di impianto molto antico, si trova a Marino e ha richiesto un lungo lavoro di ristrutturazione, ancora in fase di completamento; la fermentazione che qui verrà effettuata sarà fatta in Dolia Romani, appositamente progettati e realizzati dai due fratelli. “La caratteristica che li differenzia da tutte le altre anfore in terracotta è una particolare impermeabilità dell’interno, una vetrificazione che non permette ai mosti di entrare in contatto con le superfici porose, ma di restare unicamente in contatto con il vetro avendo però la stabilità termica di un isolante come la terracotta.” Non sarà necessario quindi, come avviene per l’acciaio, la gestione delle temperature e si eviterà la cessione, anche se minima, delle particelle dei metalli presenti; né sarà necessario ripristinare la resina, che riveste internamente i vasi in cemento, degradata dalla corrosione dei mosti e dei vini.
“Finita la fermentazione nel Dolium di nuova concezione, il nostro vino giovane viene fatto maturare per diversi mesi in barrique di legno che conferiscono al vino le note finali di equilibrio. Il passaggio finale prevede poi l’affinamento di almeno 3 anni in bottiglia in grotte scavate a mano nei secoli, fra strati di colate laviche del nostro antico vulcano Laziale.”
Vinificazione in bianco, ma le bucce separate dal mosto daranno vita a una grappa profumata, delicata e complessa. La fermentazione delle vinacce avverrà in atmosfera controllata e la successiva distillazione, che prevede un passaggio di vapore all’interno della massa, in un particolare tipo di alambicco, appositamente concepito dai fratelli Ranchella, che verrà fatto realizzare da ditta specializzata.
La Cantina Distilleria, dunque, completamente realizzata in pietra e mattoni con volte a botte, ospiterà unicamente questa varietà in purezza, la Ranchella N, frutto probabilmente della selezione naturale, un “Ibrido Raffinato”, come è stato definito dal Dott. Zavaglia, del Centro di Ricerca per la Viticoltura (CRA-VIT).
Tutta l’energia elettrica necessaria all’attività viene prodotta mediante un innovativo impianto fotovoltaico a inseguimento passivo, portando completamente a zero le emissioni in ambiente, sia in termini di CO2 che in termini di trattamenti chimici sulla coltivazione. Un progetto che si sta realizzando in una regione, il Lazio, caratterizzato da suoli e terre eterogenee, circondato da mare, colline, pianure e vulcani spenti, potenzialmente una delle regioni italiane più vocate alla produzione di vino di qualità. Una regione in cui si coltiverà una nuova varietà di vite PIWI, identificata grazie al DNA e salvata dall’estinzione, la Ranchella N, secondo un’Agricoltura che, per i giovani protagonisti, segnerà una nuova epoca culturale.
E come si potrebbe non essere d’accordo con chi ha avviato un incredibile progetto che unisce antichità e innovazione, che ha la sua origine in una scoperta casuale, ma che deve la sua realizzazione alla capacità dei due giovani fratelli di perseguirlo con passione, competenza, ostinazione, sacrificio e convinzione.
Una considerazione: le viti Pilzwiderstandfähig, comunemente chiamate Piwi, pronipoti dei vitigni selezionati nell'Ottocento, sono vitigni con una lunga tradizione e attualmente coltivati soprattutto in Germania, Svizzera, Austria e Ungheria. Sono presenti però anche in Trentino Alto Adige, in Veneto e, ora anche nel Lazio.