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3 • Al mercato con i baffi finti
from Abbasso lo spreco!
Storia 3
Al mercato con i baffi finti
Ti è mai capitato di scoprire che una persona che credevi di conoscere bene in realtà è diversa? Che fa cose che non ti saresti mai aspettato? Che si traveste per non farsi riconoscere? A me, sì. La persona a cui mi riferisco è il signor Michele.
Il signor Michele, che abita nell’appartamento di fronte al nostro, ha ottantaquattro anni. Lo sa tutto il palazzo, perché non perde occasione di ripeterlo. In realtà ne avrebbe ottantatrè, perché essendo nato a dicembre ancora gli ottantaquattro non li ha compiuti, ma lui da gennaio annuncia: «Ottantaquattro!» Guai a contraddirlo. Se è proprio messo alle strette, allora tira fuori che bisognerebbe contare anche i nove mesi dentro la pancia della mamma. Insomma, ha sempre ragione lui. Però è
un tipo simpatico. È alto e magro, a parte un po’ di pancia che si appoggia sopra la cintura dei pantaloni, e ha una voce potente, che è molto utile quando recita. Fa l’attore, per divertimento, in una compagnia che si chiama 4 spASSI. Deve essere scritto proprio così, o in un altro modo che comunque faccia subito notare la parola assi, per esempio così: 4 spassi. Sembra un nome strano, ma dopo che te l’hanno spiegato diventa chiaro. Quattro come il numero degli attori (il signor Michele e tre suoi amici), che sono dei veri assi, cioè sono molto bravi a far ridere, quindi sono degli spassi.
«Vale la pena di fare quattro passi per venirci a vedere!» ripete il signor Michele, e ogni volta ride come se trovasse ancora divertente questa vecchia battuta.
«È il segreto per recitare bene» mi ha confidato una volta che gli ho chiesto se non si stancava di ripetere dieci volte e anche di più la stessa parte. «Considerare ogni volta come l’unica. Cancellare quel che c’è stato prima, quel che forse ci sarà poi… La realtà è tutta lì, e tu ci sei dentro fino al collo».
Io credo che non farò mai l’attrice. E poi devi studiare un sacco di battute a memoria. Il signor Michele ha un’ottima memoria. Si ricorda perfino di quella volta che sono inciampata nel gradino e ho
rotto mezzo dente davanti.
«Memoria, vista e udito ancora non mi hanno abbandonato! A 84 anni!»
È vero, porta gli occhiali solo per leggere le parole piccole; quelle grandi le vede anche senza.
Sono stata così precisa, e anche un po’ lunga lo ammetto, perché le cose che ho scritto sono importanti per capire il fatto che voglio raccontare. Se sei già stufo di leggere, hai due possibilità: o smetti qui oppure fai uno sforzo e continui. Solo la seconda possibilità ovviamente ti permette di sapere quel che viene poi. Devo solo aggiungere che sul pianerottolo si aprono tre porte, perché ci sono tre appartamenti. Quello dove sto io, quello del signor Michele e quello dove abitano Alina e Stepan (e i loro genitori). Alina e Stepan sono miei amici e sono in gamba, specialmente Alina.
Una mattina io, Alina e Stepan decidiamo di andare a fare un giro al mercato, che si tiene nella piazza Verdi ogni martedì e sabato. Non che ci interessino tanto le bancarelle, sempre le solite: frutta e verdura, vestiti, calze, borse e ombrelli, piatti e casalinghi… Alina si ferma spesso a guardare la bancarella di una signora cicciotta e sorridente del Senegal, però non compera niente.
«Guarda, guarda!» dice la signora del Senegal.
«Guardare è gratis!»
Di solito il nostro giro si conclude davanti al camion del rosticciere. Prendiamo un sacchetto di patatine fritte e ce le dividiamo. Stiamo appunto aspettando, c’è sempre la fila perché il profumo che si diffonde intorno è irresistibile, quando Stepan ci fa cenno di guardare verso la fontanella. Guardiamo. C’è un signore che fruga tra gli scarti di frutta e verdura (li ammonticchiano tutti lì, accanto alle cassette di plastica vuote e agli scatoloni di cartone da buttare, poi passerà a pulire il camion della nettezza urbana). Lo fa con attenzione, osservando bene prima di allungare la mano verso una mela o una mezza zucca o un cespo di insalata. Osserva molto bene anche quello che ha raccolto, lo gira da tutte le parti. Ora sta esaminando un mazzo di cipolle. Ne stacca alcune, che tornano nel mucchio degli scarti; le altre le infila nella borsa azzurra che tiene appesa al braccio.
«Beh?» faccio a Stepan, stupita. Non è la prima volta che vediamo qualcuno, uomini e donne, anziani per lo più, ma anche qualche ragazza o ragazzo, che cerca tra gli scarti qualcosa che si possa recuperare. Non è bello… Un giorno avevamo deciso di rinunciare alle patatine e di regalare i soldi a una ragazza, ma non abbiamo osato avvicinarci;
un altro giorno le patatine le avevamo già comprate, allora le abbiamo regalate al bambino di quella ragazza. Di solito però facciamo finta di niente. Anche alle scene tristi ci fai l’abitudine.
Stepan mi guarda, stupito anche lui, e sta zitto.
Scuoto la testa per fargli capire che non ho proprio capito. Allora Alina si copre la bocca con la mano, come a trattenere un grido che stava per uscire. Mi viene vicino e mi sussurra nell’orecchio: «È il signor Michele!»
«Ma va!» esclamo io.
«È lui» insiste Alina.
Effettivamente gli assomiglia. La stessa statura, la stessa pancia appoggiata sulla cintura, gli stessi capelli grigi un po’ lunghi pettinati all’indietro…
«Ha gli occhiali!» obietto.
Alina si stringe nelle spalle.
«E i baffi!»
Ieri sera il signor Michele i baffi non li aveva. Sono sicura perché l’ho incrociato mentre tornava dalla passeggiata con Billo, il cane della signora del terzo piano; lei ha una gamba rotta e il giretto a Billo non glielo può far fare.
Faccio notare a quei due che i baffi non ti crescono in una notte. Però forse hanno ragione… Sembra proprio il signor Michele, a parte i baffi e gli occhiali.
«Potrebbero essere finti» dice Alina.
«Perché uno dovrebbe mettersi i baffi finti?» chiede Stepan.
«Per non farsi riconoscere, ovvio» sbuffa Alina.
«Per non farsi riconoscere mentre fruga tra gli scarti del mercato» preciso io.
Siamo così intenti a discutere che un paio di persone ci sono passate davanti nella fila. Che importa? Ormai le patatine non ci interessano più.
Eppure ancora non sono convinta. È troppo assurdo quel che sta succedendo, anche se succede
proprio sotto i miei occhi.
«Mettiamoci là» dico ai miei amici. Là è un buon posto per spiare senza essere visti e anche per sentire, perché è uno spazio vicinissimo alla fontanella, un angolo creato dal muro di un palazzo e dal portellone posteriore di un camion, da cui ogni tanto l’ambulante scarica sacchi di patate.
Anche la giacca verde è quella del signor Michele… Ora è chino a scrutare dentro una cassetta di peperoni rossi e verdi. Devono essere tutti marci, perché l’anziano signore scuote la testa e non ne prende nemmeno uno.
I vigili! Due vigili urbani si sono fermati proprio alle sue spalle.
«Scusi. Signore, dico a lei».
La voce del vigile fa trasalire il signor Michele, che subito si raddrizza. Guarda i vigili molto imbarazzato.
«Ah… io… Non faccio niente di male. È tutta roba che va buttata» sussurra.
«Ci dice il suo nome, per favore? Favorisca anche i documenti».
Il signor Michele si massaggia la nuca, impacciato. «Li ho lasciati a casa» dice piano.
«È in grado di tornare a casa? Si ricorda dove abita?» chiede ancora il vigile.
Io avrei voluto uscire dal nascondiglio e dire ai vigili che l’avremmo accompagnato noi, che era il nostro vicino, e che dovevano lasciarlo in pace perché il signor Michele è una brava persona. Alina ha capito e mi ha trattenuta per il braccio.
«Non deve sapere che sappiamo» mi ha sussurrato la mia amica.
Aveva ragione. Del resto il signor Michele se la cavava bene da solo.
«Certo che mi ricordo» risponde al vigile, in tono tranquillo. «E sono perfettamente in grado di tornarci. Grazie dell’interessamento».
I due vigili si scambiano un’occhiata. La risposta decisa del signor Michele deve averli convinti, infatti lo salutano con un cenno del capo e finalmente si allontanano.
Il signor Michele resta lì, impalato, con le spalle basse, le braccia lungo i fianchi. Ha l’aria tanto stanca.
«Che si fa?» chiede Stepan.
Non lo so. Comunque abbiamo tutti e tre voglia di tornare a casa, infatti senza dirci una parola ci avviamo insieme.
Camminiamo piano piano, in silenzio. In silenzio saliamo le scale.
«Ehi, ragazzi!»
La voce del signor Michele risuona dietro di noi. È una rampa sotto.
«Se fate una sosta di quattro, no diciamo cinque minuti, vi raggiungo!»
Lo aspettiamo un po’ sollevati dalla sua voglia di scherzare che ci dice che è proprio lui, il nostro vicino pronto alla battuta. La sua immagine così come ci è familiare cancella quella dello sconosciuto che fruga tra i rifiuti.
Però quando ce lo troviamo davanti non riusciamo a trattenere un moto di stupore.
«Beh, che cosa c’è? Un fantasma?»
Il signor Michele si gira alla ricerca del fantasma che evidentemente gli aleggia alle spalle e così si vede riflesso nello specchio appeso alla parete, vicino alla porta dell’appartamento dei Munafò (la moglie è una maniaca dell’aspetto e ci tiene tanto a essere sempre a posto).
«Oh!» esclama toccandosi i baffi.
Poi ridacchiando dice: «Sto proprio invecchiando. Mi sono dimenticato di toglierli, dopo le prove».
«Al mattino?» chiede Stepan. Di solito infatti provano nel pomeriggio. Quando vivi sullo stesso pianerottolo, finisci per conoscere le abitudini dei tuoi vicini.
Allora ci spiega che lo spettacolo è imminente e
che lui e gli altri tre assi ci stanno dando dentro. Noi sappiamo che dice una bugia, perché lo abbiamo visto, poco prima, al mercato travestito con occhiali e baffi finti.
«Abbiamo fatto una prova straordinaria» si giustifica.
«I baffi le stanno bene» dice Alina.
«Io mi preferisco al naturale» dice lui e se li toglie con un piccolo ahi. «Pronti per riprendere la scalata?»
Si avvia e noi saliamo con lui. Appesa al braccio regge la borsa di plastica azzurra.
Ti risparmio la lunga discussione che, quel pomeriggio, portò me, Alina e Stepan a decidere che avremmo chiesto al signor Michele di darmi ripetizioni di tedesco.
Che c’entra il tedesco con la frutta ammaccata? Niente, direttamente. Però se hai dei soldi lasci perdere la frutta ammaccata e compri quella buona. Come dare dei soldi al signor Michele senza offenderlo? Pagandogli appunto delle lezioni di tedesco. In un primo momento in realtà avevamo pensato di chiedergli lezioni di teatro. Ma i nostri genitori sarebbero stati d’accordo? Certo, recitare può essere utile nella vita, ma mamma e papà, sono sicura, pensano che conoscere le lingue lo sia molto di più. Il signor Michele il tedesco lo conosce, perché da giovane ha vissuto tanti anni in Germania (faceva il gelataio). Io a scuola mi impegno con il tedesco, ma mi imbroglio con quelle parole chilometriche! Quindi un aiuto mi serve davvero. Un aiuto che diventa un aiuto per il signor Michele. Che non si è mai lamentato della sua pensione, anche se non deve essere granché, e non vuole fare sapere che è povero… però non è certo ricco. Nei prossimi giorni ci faremo venire qualche altra idea.
Prima di cena ho suonato alla porta del signor Michele.
«Alice, vieni!»
Il suo appartamento è più piccolo del nostro, e molto più ordinato. Aleggiava un intenso odore di cipolle, che mi ha fatto arricciare il naso.
Il signor Michele se ne è accorto, perché è scoppiato a ridere.
«Eh sì, questa sera cipolle! Ti dà fastidio l’odore? Io trovo che sia un profumo… appetitoso».
Scoperchia una pentola che borbotta sul fornello.
«Adoro la zuppa di cipolle. Anche quella di zucca… Oh, ma tu sei venuta per qualche ragione, immagino. La tua mamma è di nuovo senza sale?»
È già capitato più volte, infatti.
«No, sono venuta a chiederle ripetizioni di tedesco» dico io, e sento che sto un po’ arrossendo.
«Oh, il tedesco. Una bella lingua, precisa».
«Con parole che non finiscono mai» sbuffo io.
Il signor Michele scoppia a ridere un’altra volta.
«Già. Der Haustürschlüssel. La chiave della porta di casa. E senti quest’altra: Kapitänsuniformknopf. Però devi ammettere che lì dentro c’è proprio tutto, non si può sbagliare. Ti fa vedere il bottone, l’uniforme e anche il capitano!»
«Io sbaglio, eccome! Perciò mi serve un aiuto. Un paio di ore alla settimana…»
Il signor Michele scuote la testa.
«È passato così tanto tempo… Temo di aver dimenticato molte cose».
«Io dico di no. Un attore ha la memoria allenata» obietto prontamente.
«E va bene, proviamo!»
«Proviamo! Poi viene la mamma, per il prezzo…»
«Eh, no! Il prezzo lo decido io!» esclama il signor Michele.
Lo guardo, un po’ stupita e anche un po’ preoccupata. E se chiedesse cinquanta euro all’ora? O cento addirittura?
«Kostenlos!»
Continuo a guardarlo stupita e preoccupata.
«Eh?»
«Abbiamo già incominciato la lezione» ridacchia lui. «In tedesco vuol dire gratis. In realtà, gratis è una parola latina».
A questo punto faccio sicuramente una faccia ammirata, perché sto pensando: «Quante cose sa, il signor Michele!»
Deve leggermi nel pensiero, perché dice: «Ottantaquattro anni sono un sacco di tempo, sai? Un sacco di tempo per imparare un sacco di cose…»
Sono già alla porta quando il signor Michele mi ferma e mi mette una ciotola tra le mani dicendomi: «Qui c’è un assaggio della mia zuppa di cipolle per i tuoi genitori. Credo che a loro piacerà».
«Ma… e per lei?»
«Ce n’è a sufficienza, stai tranquilla. Le cipolle oggi erano… in offerta speciale!»
Un minuto dopo sono di nuovo davanti alla porta dell’appartamento del signor Michele.
«La mamma dice che gratis non va bene, ma di questo parlerete un’altra volta. Dice anche che accetta la sua zuppa se lei accetta di venire a mangiarla da noi».
E così ceniamo insieme: io, i miei genitori e il nostro vicino. Ammetto che all’inizio avrei preferito che il signor Michele non ci fosse. Non sarebbe stato gentile rifiutare la sua zuppa davanti a lui. Infatti ero sicura che non mi sarebbe piaciuta, quella cosa che mi trovavo davanti. Un piatto pieno…
Invece l’ho vuotato tutto e ho anche fatto il bis. Le cipolle del mercato, quelle in offerta speciale erano buonissime!
Il signor Michele mi guardava raccogliere anche l’ultima goccia della sua zuppa e intanto sorrideva soddisfatto.
«Danke» mi ha sussurrato. Ho capito: grazie. Il mio tedesco sta già migliorando.