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4 • Un coniglio un po’ fissato

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Storia 4

Un coniglio un po’ fissato

C’era una volta un coniglio un po’ viziato o forse un po’ fissato o addirittura viziato e pure fissato, che adorava le carote (e questo non suona strano, essendo un coniglio) ma le voleva perfette. Come sono le carote perfette? Lui lo sapeva bene. Aveva dei criteri precisi, che gli permettevano infallibilmente di classificare una carota come degna dell’etichetta di perfetta, quindi mangiabile.

Doveva essere lunga come la sua zampa di dietro (destra o sinistra non importa, perché tanto lui aveva le zampe di dietro lunghe uguali) e grossa come la sua zampa davanti (idem).

Quanto al colore, obbligatoriamente arancione. Ovvio? No, aspetta. Doveva essere arancione come il colore dei petali dei fiori arancioni con le foglie

un po’ lunghe e tonde all’estremità, vellutine e non molto appetitose.

Se non erano di quell’arancione lì, non andavano bene. Poteva capitare di sentirlo borbottare, esaminando con attenzione una carota da poco strappata: «No e poi no, questa non va. Guarda che colorino sbiadito... è pallida come una primula con l’influenza» (le primule sono delicati fiori gialli).

Una cosa che non sopportava erano le carote con le radici. Sì, perché dal fittone della carota (si chiama così la parte della carota che mangiamo) spuntano le radici, ma sono tanto sottili che sarebbe bastata una passata di zampa a farle sparire. Però se erano troppe (diciamo più di una decina), questo coniglio viziato e fissato le scartava.

«Non mangerò mai delle carote pelose! Bleee!» esclamava sputacchiando con disgusto. «Carote pelose! Che schifo!»

E quelle storte, allora? Le carote storte le disprezzava, addirittura. E le rimproverava.

«Come sei venuta su male!» diceva. «Non lo sai che una carota come si deve è bella diritta?»

E rimproverava anche se stesso.

«Dovevo capirlo subito, sciocco che sono. Potevo risparmiarmi la fatica, e invece ho continuato a tirare. Ma io lo sentivo che quella opponeva resi-

stenza, che non si lasciava sfilare docile e gentile. Quando fanno così sono troppo grosse, e quindi legnose, pfuà! Oppure hanno dei bitorzoli, pfuà pfuà! O addirittura si sdoppiano».

A lui una carota che si sdoppiava faceva impressione, non voleva nemmeno vederla. La prendeva per il ciuffo e la lanciava lontano.

Dopo che questo coniglio viziato e fissato aveva visitato un orto, tutto intorno trovavi sparpagliate quattro, cinque, dieci carote ovviamente tutte imperfette. Altre dieci circa, a volte anche di più se il coniglio aveva molta fame, erano finite nella sua pancia, dopo essere state opportunamente rosicchiate dai suoi denti robusti.

«Così non va bene» lo avvertiva il coniglio Ruben, che era suo amico. Ma il coniglio Efrem (è arrivato finalmente il momento di svelarne il nome) non gli dava retta. «Prima o poi il contadino si arrabbierà» insisteva il prudente Ruben. Inutilmente.

«Questa no. No. Hum… forse. No. Sì! Brava carotina, ora ti mangio… Oh, come sei buona… Ma io lo sapevo, sai? Carotine così belline sono una garanzia. Tu invece sparisci, stortignacola. Via!»

Come aveva predetto il coniglio Ruben, il contadino si arrabbiò.

«Chi fa strage delle mie carote?» gridava. «Se acchiappo quel coniglio lo faccio in salmì!»

Aveva immaginato subito infatti che responsabile di tutto fosse un coniglio. Tanto più che, guardandosi bene intorno, aveva riconosciuto le orme, impresse sopra un’aiuola da poco zappata e ancora molle di innaffiatura. Non c’erano dubbi!

«Coniglio sprecone e cafone» sbraitava. «Te la faccio vedere io! Se t’acchiappo! Se t’acchiappo!»

Nonostante le sue lunghe orecchie, il coniglio Efrem non sentì quelle minacce. Dormiva beatamente nella sua tana, che si trovava piuttosto lontana dall’orto del contadino. Spaparanzato sopra un giaciglio di fieno fragrante, con la pancia piacevolmente piena e quasi strapiena, il coniglio sognava una montagnola di carote tutte identiche, tutte perfette. Lui si avvicinava e, senza nemmeno fare la fatica di scovare e scavare e sfilare, ne afferrava una a caso, tanto erano appunto tutte perfette. A quel punto però la montagnola crollava e gli preci-

pitava addosso, seppellendolo.

«Ah! Soffoco!» ansimò il coniglio tirandosi su di scatto. Capì subito che era solo un sogno e si lasciò di nuovo sprofondare nel fieno, sorridendo beato.

Non avrebbe sorriso se avesse saputo che cosa stava facendo intanto quell’Edmondo, il contadino arrabbiato.

Edmondo stava progettando una trappola. Non troppo complicata, perché lui era un contadino e non un inventore, ma abbastanza efficace per catturare un coniglio e abbastanza robusta per tenerlo imprigionato, una volta catturato.

«Se ci entri, da qui non esci più» ridacchiava il contadino mentre piantava chiodi, incollava assi e fissava una rete di ferro sopra uno sportellino chiuso da una molla.

Il coniglio Ruben, che per caso passava di lì, sentì i colpi e i suoi sospetti si trasformarono in certezze. Il contadino tramava qualcosa, quell’orto stava diventando un posto pericoloso.

«È pericoloso, dammi retta!»

Il coniglio Ruben insisteva, ma il coniglio Efrem non gli dava retta.

«E allora che ci fai qui?» gli domandò.

«Sono venuto proprio per avvisarti!»

Intanto Efrem frugava nell’aiuola, spezzan-

do i ciuffi delicati, dava una tiratina a questa e a quest’altra piantina. Decideva. Strappava, osservava, assaggiava, rosicchiava, lanciava, ruttava (succede anche ai conigli, se mangiano troppo avidamente), strappava di nuovo…

Vedendosi ignorato, il coniglio Ruben raccolse svelto tre o quattro carote scartate (una era addirittura doppia) e scappò via a zampe levate.

Il coniglio Efrem era così concentrato nella sua ricerca delle carotine perfette che non si chiese che cosa potesse essere quella cosa di fianco all’aiuola delle carote, con un bel mazzo di carote all’interno. Alcune, si vedeva lontano una prateria, erano mosce e storte e pelose e bitorzolute da fare pena; ma ce ne erano un paio eccellenti.

«Davvero eccellenti!» esclamò il coniglio Efrem, sentendo l’acquolina in bocca. Con un balzo le raggiunse, cadde nella trappola e il suo peso fece scattare la molla dello sportellino.

«Sono in trappola!» esclamò. Anche un coniglio meno sveglio l’avrebbe capito.

Non rischiava certo di morire soffocato (dalla rete passava aria a sufficienza) e nemmeno di fame, almeno per un po’.

«Quanto potrò resistere con soltanto due carote a disposizione?» si chiese. E si rispose: «Poco, probabilmente».

Perché quelle altre, le imperfette, non aveva nessuna intenzione di mangiarle. Assolutamente no!

«Piuttosto muoio di fame» decise.

Non si saprà mai se avrebbe mantenuto la parola dopo un paio di giorni di prigionia. Infatti dovette aspettare meno di quanto aveva immaginato.

Già il mattino dopo, il contadino si presentò a controllare la trappola.

«Ha funzionato!» esclamò soddisfatto.

Come si aspettava, dentro c’era un coniglio. Lo meravigliò molto però il fatto che quel coniglio si fosse pappato solo due carote, le migliori.

«Sarà un caso?» si chiese.

Si aspettava di trovare il mazzo di carote intatto (un coniglio spaventato forse non le avrebbe nemmeno toccate); oppure di non trovarne nessuna (un coniglio affamato certo le avrebbe divorate tutte). Che razza di coniglio era dunque quello? Un coniglio dal palato raffinato!

A quel punto il contadino si rallegrò pensando che

un coniglio che si era nutrito del meglio sarebbe stato certamente molto gustoso in salmì. Ma subito gli venne un altro pensiero, meno mangereccio. Pensò che, invece di cucinarlo, avrebbe potuto sfruttare quello strano coniglio per il controllo qualità. Già, perché le sue carote erano tutte buonissime, dolci e croccanti, ma quando le portava al mercato per venderle, metà restavano nella cassetta e doveva buttarle. I clienti compravano solo quelle di una certa misura: non troppo lunghe, non troppo grosse e soprattutto belle diritte. O quel coniglio aveva fatto un corso di economia e commercio oppure aveva innato il senso di ciò che la gente voleva. In ogni caso, l’avrebbe messo alla prova.

Il coniglio Efrem superò la prova brillantemente. Davanti a un mucchio di carote, infallibilmente pescava le migliori ignorando quelle all’aspetto difettose. Lui avrebbe voluto anche mangiarsele, le migliori, ovvio! Ma il contadino era stato chiaro. A parole e a gesti gli aveva fatto capire da subito come stavano le cose. «Le carote sono per il mercato, se ti azzardi a pappartele, ti faccio la pelle e da quella bella pelliccetta ci ricavo un collo per la mia giacca. Lo stesso se ti scopro a fare il lazzarone».

Così il coniglio doveva lavorare come uno schiavo a selezionare carote per molte ore al giorno. Però,

come si dice: la sentinella ogni tanto si dimentica che è di guardia, ma il prigioniero non si dimentica mai che vuole scappare.

Non sempre il contadino si ricordava, o aveva tempo, di controllare il coniglio, mentre al coniglio la voglia di carote perfette non passava mai. E ogni tanto riusciva a soddisfarla!

Un giorno il contadino lo beccò sul fatto.

Che sgridata si prese, povero coniglio! Per di più ebbe ridotta la sua razione, già non molto abbondante e di qualità appena accettabile, per una intera settimana.

«Ah, è così! Allora mi costringi a giocare sporco!»

Per ripicca, ogni tanto nel gruppo delle carote perfette ne infilava qualcuna che non avrebbe dovuto stare lì, perché troppo grossa, dopo aver provveduto ad accorciarla un pochino rosicchiandola da vero esperto. E scoprì, guarda un po’ che sorpresa, che le carote grosse, da lui sempre rifiutate e disprezzate, non erano poi così male!

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