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Dossier

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Storia 1

La gara

Io l’avevo detto, ma non mi ascoltano mai. L’avevo detto che non era l’ora giusta per fare la spesa al supermercato.

«Alle 16 e 30 del sabato pomeriggio! Ci troveremo mezza città» avevo detto.

«Allora vuol dire che mezza città pensa che questa sia l’ora giusta per fare la spesa. Sei in minoranza, mollusco» aveva replicato mio fratello Aldo.

È diventato più maturo, da un paio di settimane, e usa questa sua nuova capacità di fare ragionamenti (semplici!) come arma contro di me. Infatti siamo in guerra. Da sempre: praticamente gliel’ho dichiarata io quando è nato. Purtroppo più passa il tempo più perdo il vantaggio iniziale. Aldo ora è più alto e robusto di me, infatti mi chiama mollu-

sco e anche limaccio (sarebbe limaccia, ma lui se ne infischia di certi dettagli). Comunque ci ho azzeccato. Dopo un paio di inutili esplorazioni su e giù e di qua e poi di là attraverso il parcheggio, siamo ancora dentro la nostra auto perché non c’è nemmeno un posto libero. Nemmeno uno!

«Eccolo! Eccolo!» grida improvvisamente la mamma, agitandosi tutta.

Sulla nostra destra, laggiù, c’è un buco vuoto tra una station wagon e un furgoncino azzurro.

«Presto!» grida ancora la mamma. È un buon posto, abbastanza vicino a una delle entrate del super. Soprattutto, è l’unico disponibile.

Poi stiamo tutti zitti e per qualche secondo si sente circolare dentro l’abitacolo la tensione dell’attesa. Papà frena un po’ e ha già disposto le mani sul volante per la manovra quando da sinistra sbuca un grosso muso grigio, seguito dall’auto intera. Punta decisa verso il nostro posto. Papà frena, ovvio, per evitare lo scontro, e così è come se glielo cedesse, quell’unico posto prezioso.

«L’abbiamo visto prima noi!» esclama Aldo. Questo dimostra che la sua capacità di ragionamento è ancora molto parziale: un po’ c’è e un po’ no. Come può affermarlo con sicurezza? Lui non c’era sulla macchinona grigia. Comunque il posto noi, che for-

se l’abbiamo visto per primi e forse no ma non si sa, mica glielo lasciamo così, per pura gentilezza!

«Stavo per entrarci io» fa segno papà, con la faccia aggrottata e minacciosa.

L’uomo alla guida si limita a sollevare le spalle, con un mezzo sorrisino. Anche gli altri tre occupanti sorridono, ma di scherno e ci guardano dall’alto in basso. La grigiona, cioè la macchinona grigia punta arrogante davanti a sé, però avanza pianissimo. Si ferma. Avanza ancora di qualche centimetro.

«Non ce la fa! Non riesce a entrare!» esulta il papà.

«Ben gli sta! Così imparano ad andare in giro con quella macchina gigantesca» ridacchia la mamma.

«Chissà quanto consuma» dico io.

«Chissà quanto è comoda» dice Aldo, che non ha per niente senso ecologico.

È chiaro che non vorrebbero lasciarci il posto ma qualcuno, bloccato dietro alla grigiona, già suona il clacson.

Questo convince il nostro rivale ad arrendersi. Retromarcia, prima marcia un po’ ruvida… e il macchinone si rimette nel giro. Il buco ora è tutto nostro. Papà ci fa scivolare l’auto perfettamente centrata e spegne il motore con un sospiro soddisfatto. Uno a zero per noi.

Ma ecco che succede una cosa incredibile. La station wagon alla nostra sinistra e l’auto alla sinistra della station wagon se ne vanno praticamente in contemporanea. Ora ci sono ben due posti liberi di fianco a noi. Un colpo di clacson alle nostre spalle, potente e trionfante, ci fa sobbalzare. La grigiona, dopo aver completato il giro è di nuovo qui. Ora non ha più problemi a manovrare e infatti il parcheggio le riesce benissimo. Un’altra auto subito si precipita nello spazio restato (per un minuto circa) libero.

«Voglio vedere come faranno a uscire, quei quattro» borbotta papà.

Lo vede subito: le portiere della macchinona scorrono silenziose lungo il fianco e gli occupanti escono senza difficoltà. Prima un ragazzino circa della mia età, poi una bambina con i capelli rossi, che penso sia sua sorella perché anche lei ha i capelli rossicci, poi la loro mamma, rossiccia pure lei, infine il papà, che come ha i capelli non si capisce perché è tutto pelato. Si scambiano sorrisi soddisfatti.

Ora siamo uno pari.

Oggi l’addetto al carrello sono io. Prendo la moneta che tenevo già pronta in tasca e mi dirigo verso la pensilina dove sono depositati. Cammino normale… Ma mi accorgo che il ragazzino sceso dalla

grigiona, anche lui con una moneta in mano, mi segue quasi correndo. Allora accelero il passo.

Accelera anche lui.

Scattiamo insieme e insieme arriviamo al carrello. Io mi impossesso del primo della fila di destra e lui del primo della fila di sinistra. Ci aggrappiamo al maniglione di plastica rossa come due naufraghi a un salvagente. Per fortuna ci sono due file, altrimenti magari c’era da discutere. Ma forse no. Io, anche se ogni tanto sogno di eliminare mio fratello, in fondo sono un tipo tranquillo.

Due a due.

Anche le corsie del supermercato sono piuttosto trafficate, in alcuni punti addirittura intasate. Davanti al banco dei formaggi, per esempio, restiamo bloccati nell’ingorgo e mamma quasi litiga con una tipa che tiene il carrello mezzo storto.

«C’è gente che degli altri se ne infischia proprio!» esclama, tutta rossa per la stizza.

Nel reparto biscotti chi troviamo? Loro: i rossicci più pelato. Hanno il carrello quasi pieno, come noi. Quando ci vedono, la mamma rossa si affretta ad accaparrarsi l’ultima scatola di frollini in offerta speciale.

La nostra mamma allora prende tre confezioni di crostatine all’albicocca, lasciando un buco vuoto

nello scaffale perché non ce ne sono più.

«A me piacciono di più alla ciliegia» le dico, ma non mi dà retta.

Anche ai due papà è venuta una gran voglia di arraffare. Prendono biscotti di tutti i tipi e, siccome il carrello è stracolmo, alcuni pacchi se li tengono in mano o sotto le braccia.

Finita la corsia, ci separiamo.

Quelli spariscono nel reparto frutta, noi raggiungiamo la pescheria.

Aldo come sempre strappa il bigliettino con il numero dal distributore. Glielo concedo, per poter avere un argomento a mio favore quando lo accuso di essere un moccioso (non dimentichiamo che lui mi chiama mollusco e limaccio). Settantotto! Abbiamo davanti a noi diciannove clienti!

Per ottimizzare il tempo infinito dell’attesa, mamma spedisce me, mio fratello e il papà da una parte all’altra del super con l’incarico di tornare con un pacco di spaghetti numero 5 o una bottiglia di olio per friggere o il dentifricio o qualcos’altro che ha segnato sulla lista. Sono così fortunata che mi imbatto in un carrello abbandonato e depositiamo tutto lì dentro, visto che quell’altro, quello conquistato all’ingresso, è stracarico. Arriva finalmente il nostro turno.

Dopo il pesce, mancano solo le bevande.

Io e Aldo siamo costretti a caricarci ciascuno di una confezione di sei bottiglie da un litro e mezzo di un’acqua minerale in promozione. Papà non può aiutarci perché ha mal di schiena. Anche spingere un carrello gli fa vedere le stelle.

Per fortuna siamo alle casse. Ci affrettiamo a prendere posto dove c’è la fila più corta. Come al solito, qualcuno davanti a noi ha problemi con il bancomat o la carta di credito e non si va avanti. Invece, quelli delle due file di fianco a noi procedono alla velocità della luce. Una cassiera in particolare è velocissima: prende e lancia i prodotti come un giocoliere del circo.

La osservo piuttosto incantata. A un certo punto mi accorgo che anche la bambina rossiccia, quella

della macchinona, la sta guardando.

I rossicci ci stanno a fianco. Un po’ avanziamo noi, un po’ avanzano loro. Li sorpassiamo. Ci sorpassano.

Gli adulti fingono di non vedersi, ma io noto che ogni tanto lanciano sguardi furtivi ai reciproci carrelli. Anche loro ne hanno due!

«Ci copiano» sussurra la mamma.

Alla cassa arriviamo prima noi! Però la loro cassiera recupera. Sfido io: alcuni prodotti nemmeno li conta. Si limita a passarne uno sopra il lettore del codice a barre e a chiedere: quanti? Non so se fa bene a fidarsi di quelli lì…

«Duecentosette euro» dice la nostra cassiera.

«Duecentosette» spara la loro. È veloce anche a parlare!

Ancora una volta finiamo in parità.

Mamma deve pagare con il bancomat, perché non ha abbastanza contanti con sé. Credo che per via della gara con i rossicci abbia comprato più di quanto era sulla lista.

Questa gara incomincia a stancarmi. Non mi sembra una cosa saggia. Avrebbe potuto almeno chiudersi alle casse. E invece continua nel parcheggio. Eccoci qui davanti, cioè dietro, alle rispettive auto, con due carrelli per famiglia.

«Dove la mettiamo tutta questa roba?» si chiede papà grattandosi la testa. Lo fa ogni volta che è preoccupato.

Ovviamente i rivali sentono e il padre dice, come riflettendo tra sé e sé ma a voce piuttosto alta: «Com’è capiente questo bagagliaio!»

Capiente vuol dire che ci sta tanta roba. Però tutta la roba che hanno acquistato non ci sta nemmeno in quel capiente bagagliaio. Sono nei guai, proprio come noi.

Mamma cerca di infilare una confezione di merendine in uno spazio vuoto tra due borse, ma lo spazio è troppo piccolo. Allora sbuffando apre la confezione e ci dice: «Mangiatele!»

Io però non ho fame. E poi preferisco le crostatine alla ciliegia, mentre quelle sono crostatine all’albicocca.

«Preferisco quelle alla ciliegia» dico.

«Martina, mangia!» ripete la mamma. Capisco che è un ordine, mi conviene ubbidire.

I rossicci stanno facendo le prove degli incastri. Prima una borsa, poi la scatola di cartone… No, sotto ci va il fustino e sopra il pacco della carta igienica. Attenzione ai pomodori, non schiacciarli!

Sembra che stiano partendo per un mese di campeggio. Intanto anche loro si stanno abbuffando,

come se non mangiassero da giorni. Però il loro papà ripete, a bocca piena da maleducato, che è assolutamente importante avere un bagagliaio capiente e che lui non saprebbe come fare se non avesse un bagagliaio così capiente.

«Così capiente che non ci sta niente» ironizza la mamma a voce alta.

E papà esclama, sempre a voce molto alta affinché quegli altri sentano: «Certa gente la spesa la lascia nel bagagliaio! Strano. Si vede che a casa il frigorifero non ce l’ha!»

Noi il frigorifero ce l’abbiamo. Normale. Anche l’armadio che serve da dispensa è normale: due ante, quattro ripiani in alto, due in basso. È chiaro che non potrà accogliere tutte le provviste che abbiamo acquistato. Però a casa abbiamo la dispensa di riserva, che in realtà è semplicemente lo spazio libero tra lo schienale del divano e la parete, dove a volte infiliamo bibite, pacchi di biscotti, rotoli di carta da cucina… cose che si possono conservare a temperatura ambiente.

Dopo le merendine, mamma ci ordina di mangiare i gelati alla vaniglia, cacao, nocciola.

«Tre a testa» ordina. «Sono piccoli. Anzi, quattro. Io sono a dieta».

Siccome lei è a dieta, e i minigelati sono dodici, a

noi tre ne toccano esattamente quattro.

«Però la frutta la puoi mangiare» dice il papà e allunga alla mamma un sacchetto di mele gialle.

Io cerco di convincere Aldo a passarmi i suoi minigelati alla vaniglia in cambio dei miei alla nocciola, ma lui non accetta uno scambio alla pari e mi vuole dare due minigelati alla vaniglia in cambio di un solo gelatino alla nocciola.

«Non è giusto: così io ne mangio cinque e tu solo tre!»

Mio fratello se ne infischia della giustizia.

«Prendere o lasciare» dice.

Lascio. Ho già un leggero senso di nausea e la mamma mi sta allungando due banane!

Anche i rossicci sono alla frutta.

Banane anche per loro, pere dalla buccia chiarissima, due cestini di fragole (che chissà quanto le hanno pagate, perché non è stagione).

«Troppo mature» si lamenta il padre dopo avere addentato una pera. Prende il sacchetto e va a portarlo nel cestino dei rifiuti poco lontano.

Poco dopo nel cestino finiscono un paio di cartoni di latte e qualcos’altro che non si capisce.

«Che spreconi!» sibila la mamma.

Anche noi siamo spreconi. Abbiamo raccolto in un grande sacchetto i cibi che scadono oggi o domani

e indovina un po’ dove finisce il sacchetto? No, non dentro il cestino, che è stracolmo, ma lì sotto.

Non so chi ha lasciato di più, perciò questa partita non vale per la gara.

Finalmente risaliamo in auto. Non vedo l’ora di lasciare il parcheggio, con la sua confusione e la puzza di gas di scarico.

Siamo tutti pallidi e un po’ nauseati. Ora la gara potrebbe essere tra chi ha la faccia più verde tra i due autisti. Io penso che vincerebbe papà, ma non oso dirlo. Anni di esperienza mi hanno insegnato che è il momento di tacere.

All’uscita, la nostra utilitaria e la grigiona si ritrovano affiancate.

«Ma quando riusciremo a scollarceli di dosso, quelli?» sbuffa la mamma.

Probabilmente è quello che sta dicendo, dentro l’altro abitacolo, la signora rossiccia.

I due papà vanno giù pesante con il piede sull’acceleratore e le due auto, docili, rispondono con un balzo.

La grigiona è più potente e il suo motore manda un rombo che è un ruggito, ma la piccoletta, che sarebbe la nostra, è più scattante. I due musi rimangono perfettamente allineati per qualche secondo. E insieme, esattamente nello stesso momento, si

bloccano davanti alla mano alzata di un vigile urbano. Un secondo vigile si stacca dall’auto con sirena a cui stava appoggiato e raggiunge il collega. Poi uno viene da noi e uno si accosta alla grigiona.

«Il nostro è più grosso!» esclama Aldo tutto contento. Ma io credo che la corporatura del vigile non sia un elemento da considerare per la gara con i rossicci.

«Non si è accorto che sta imboccando il senso sbagliato, in uscita?» chiede il vigile, gentile ma un po’ minaccioso.

«Ah… davvero?» balbetta papà. «La segnaletica non è molto chiara…»

«La segnaletica è chiarissima».

«Volevamo evitare un lungo giro dentro il parcheggio» si difende il papà, «che è già tanto affollato. Per non creare ingorghi, capisce?»

No, il vigile non capisce. Ha già preso penna e blocchetto.

«La multa?» si scandalizza papà. «Per una sciocchezza del genere…»

Ahi, ahi! Questo non doveva dirlo. La faccia del vigile, da seria che era, diventa severa.

La mamma, forse nel tentativo di addolcirlo o forse solo per farsi aiutare a smaltire la quantità di provviste, gli allunga una scatola di cioccolatini.

«Vuole favorire?» chiede. «Anzi, gliela regalo».

La faccia del vigile a questo punto diventa furiosa. Gli occhi sporgono che quasi cascano, la bocca è piegata in una smorfia di disgusto. Mi aspetto di vedere un filo di fumo uscire dalla narici, come succede ai tori infuriati nei cartoni animati.

«Forse è allergico» mi sussurra Aldo in un orecchio. E a mamma suggerisce: «Prova con i biscotti di farina di riso».

«Questa è tentata corruzione. Sissignori! Ma con me non funziona!»

Stringe la penna con furia e incomincia a compilare il verbale come se stesse incidendo una tavoletta dei Sumeri.

«Ma… ma… No, aspetti, ha capito male!» balbetta la mamma.

«Già. Sono io quello che non capisce! Incredibile!» Schiaffa il foglietto sotto il tergicristallo, che lascia ricadere con stizza.

«Potete andare. Da quella parte!»

Non ci resta che eseguire, è chiaro. La grigiona ci precede di pochi metri.

«La multa l’hanno presa anche loro» dice papà, e non si capisce se sia contento della cosa oppure no, dal momento che questo significa che siamo ancora una volta pari.

Vale la seconda, perché subito aggiunge: «Copioni!»

Allora, per consolarlo, gli faccio notare che però la nostra multa è più salata.

«L’hai assaggiata?» chiede Aldo, credendo di essere spiritoso, ma io non raccolgo la provocazione. Sto al gioco e gli spiego: «Vuol dire che noi dobbiamo pagare di più».

Mamma e papà non apprezzano e continuano a fissare davanti a sé, muti. Però dopo un po’ papà, che evidentemente ci ha pensato su, mi dà ragione.

«È vero!» esclama. «Alla fine, la gara l’abbiamo vinta noi!»

E mostra a tutti la sua soddisfazione con tre allegri colpetti di clacson.

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