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V0 La malattia è un allenamento alla morte (Seneca

5. Lysandrum non puduit superbiae.

6. Athenienses Cimonem exilio multaverunt: cuius facti celerius eos quam ipsum paenituit.

7. Te non pudet, Catilina, in hunc senatum venire, inter bonos cives qui necaturus es deambulare?

8. Athenienses Aristidem exilio afficerunt quod eos taedebat eum Iustum appellari.

9. Cum magnopere pauperum Cimonem misereret, eos ad epulas vocabat saepissime.

10. Pudeat fugae milites strenuos.

11. Puto fore ut te paeniteat hoc.

12. Senibus pudendum non est segnitiae.

TESTO ESEMPLARE TRADOTTO

Seneca Epistulae morales ad Lucilium, LIV, 1-3 e 7

V 0 La malattia è un allenamento alla morte

Seneca scrive a Lucilio di avere sperimentato un pesante affanno respiratorio che i medici latini chiamano suspirium. La paura della morte non può impaurire il saggio.

Seneca Lucilio suo salutem. Longum mihi commeatum dederat mala valetudo; repente me invasit. ‘Quo genere?’ inquis. Brevis autem valde et procellae similis est impetus; intra horam fere desinit. Omnia corporis aut incommoda aut pericula per me transierunt: nullum mihi videtur molestius. Quidni? Itaque medici hanc ‘meditationem mortis’ vocant; facit enim aliquando spiritus ille quod saepe conatus est. Hilarem me putas haec tibi scribere quia effugi? Tam ridicule facio, si hoc fine quasi bona valetudine delector, quam ille, quisquis vicisse se putat cum vadimonium distulit. Ego vero et in ipsa suffocatione non desii cogitationibus laetis ac fortibus acquiescere. Hoc tibi de me recipe: non trepidabo ad extrema, iam praeparatus sum, nihil cogito de die toto. Illum tu lauda et imitare quem non piget mori, cum iuvet vivere: quae est enim virtus, cum eiciaris, exire? Tamen est et hic virtus: eicior quidem, sed tamquam exeam. Et ideo numquam eicitur sapiens quia eici est inde expelli unde invitus recedas: nihil invitus facit sapiens; necessitatem effugit, quia vult quod coactura est. Vale.

Caro Lucilio, la malattia mi aveva concesso un lungo congedo, poi improvvisamente mi ha aggredito. “Che tipo di malattia?” mi chiedi. Ti rispondo: un assalto breve e simile a una burrasca; cessa quasi del tutto entro un’ora. Mi ha attraversato ogni sorta di malessere e di pericolo per la salute: nessuno mi è sembrato più dannoso di questo. E perché no? Perché i medici chiamano questa malattia “allenamento alla morte”: talvolta quel respiro affannato otterrà quanto spesso ha tentato. Ritieni che io ti scriva allegro perché l’ho scampata? Farei ridere se fossi contento di questo risultato come della buona salute così come farebbe ridere quell’avvocatucolo che

TRADUZIONE Laura Forcella

ritiene di aver vinto una causa quando ha ottenuto un rinvio. In realtà io, pur nel pieno del soffocamento, non ho smesso di trovare pace in pensieri sereni e coraggiosi. Dalla mia esperienza accogli questo per la tua vita: non tremerò nel momento supremo, sono già preparato, non progetto nulla che coinvolga un giorno intero. Tu loda e imita l’uomo a cui non spiace morire pur amando vivere: quale coraggio andarsene se sei cacciato? Invece anche questo è coraggio: certo sono scacciato, ma è come se me ne andassi volontariamente. E perciò un sapiente non è mai scacciato perché essere scacciato è essere espulso da dove te ne vai malvolentieri; il saggio non fa nulla malvolentieri: sfugge alla necessità perché vuole ciò a cui la necessità sta per costringerlo. Stammi bene.

Rifletti sul testo Il contesto

1. Il filosofo Seneca racconta al suo discepolo Lucilio di essere sfuggito alla fase acuta di una malattia respiratoria e l’elemento di cronaca diventa occasione per una riflessione filosofica. Cagionevole di salute fin da piccolo, Seneca ha imparato a fare della malattia un’esperienza di preparazione alla morte. La salute è solo momentanea e la morte è una necessità a cui il saggio non si sottrae, ma che accoglie serenamente. Quomodo volet, dummodo non ex animo suspirem, “Sia come sia, purché l’affanno non provenga dall’anima” scrive in un altro passaggio, dimostrando tutto il suo nobile distacco dalla sofferenza del corpo.

La morfo-sintassi

2. Focalizziamo l’attenzione sull’uso dell’accusativo: a) nel primo periodo compare un complemento oggetto con attributo, longum commeatum. Registra tutti i complementi oggetti del brano. b) intra horam: la preposizione intra regge l’accusativo. Ci sono nel brano altre preposizioni che reggono l’accusativo? Quali? Ne conosci altre costruite con l’ablativo? c) hanc “meditationem mortis” vocant e hilarem me putas sono espressioni con doppio accusativo, complemento oggetto e complemento predicativo. d) effugi nella quinta riga è usato in modo assoluto, mentre nell’ultimo periodo, nell’espressione necessitatem effugit, è usato come verbo transitivo che regge l’accusativo. Nella trattazione teorica è registrato insieme a quali altri verbi? e) putat se vicisse: la proposizione dimostra che anche il soggetto può essere espresso in accusativo. Perché? f) quem non piget: spiega il costrutto. Come si costruisce il verbo successivo iuvo?

Lo stile

3. Nell’intento di fare della sua esperienza motivo di insegnamento per il discepolo, Seneca procede raccontando di sé con il tono intimo che la lettera richiede, ma con la distanza che ci si aspetta da un filosofo. La sua malattia, che ha una diagnosi infausta, è mala valetudo ed è posta, per farne oggetto di riflessione, a paragone con una questione giuridica. Nell’ultima parte della lettera, l’impegno è per il futuro: Seneca è perentorio nell’affermare non trepidabo ad extrema così da trasmetterci un’idea agonistica dell’esistenza.

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