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Testa e capo
Et L. Domitius in consilio dixit placere sibi bello confecto ternas3 tabellas dari ad iudicandum eis, qui ordinis essent senatorii belloque una cum ipsis interfuissent, sententiasque de singulis ferrent4, qui Romae remansissent quique intra praesidia Pompei fuissent neque operam in re militari praestitissent: unam fore tabellam5, qui liberandos omni periculo censerent; alteram, qui capitis damnarent; tertiam, qui pecunia multarent. Postremo omnes aut de honoribus suis aut de praemiis pecuniae aut de persequendis inimicitiis agebant nec, quibus rationibus superare possent, sed, quemadmodum uti victoria deberent, cogitabant.
3. ternas: è un distributivo, “tre tavolette per ciascuno”. La proposta di Domizio è pensata in analogia con la prassi giudiziaria: a ogni giudice erano assegnate tre tavolette con tre sigle (A per absolvo, C per condemno, NL per non liquet, non è chiaro, cioè non esistono prove sufficienti). 4. essent… interfuissent… ferrent: sono congiuntivi delle relative introdotte da qui che hanno come antecedente iis; singulis è l’antecedente delle relative con i congiuntivi remansissent, fuissent, praestitissent: “uno per uno coloro che...” 5. unam fore tabellam: “la prima tavoletta sarebbe stata per coloro… ”
PAROLE di IERI, PAROLE di OGGI
Testa e capo
Damnare capitis (capite) si traduce con “condannare a morte” non solo perché la decapitazione era un metodo utilizzato per l’esecuzione delle condanne “capitali”: caput, capitis, n., in senso traslato, è, infatti, anche la “persona” e la “vita”, addirittura la “vita associata da libero cittadino”. Tagliare la testa è, anche simbolicamente, l’affronto più grande che si possa mettere in atto contro gli esseri umani. “Testa” è la parola di uso comune che traduce caput in italiano: la parola “capo” appartiene a un registro più elevato ed è utilizzata in senso metaforico come nell’espressione “capo di una banda” o comunque di un gruppo umano organizzato. Anche la parola “testa” deriva dal latino e senza alcuna trasformazione: testa in latino è il “coccio” o il “vaso di terracotta” che, per un processo metaforico, almeno dal IV secolo d.C., venne a indicare l’organo del corpo umano che aveva una forma curiosamente simile a quella di un vaso panciuto. La sua perfetta aderenza al latino lascerebbe pensare a una tradizione colta: le parole più simili al latino sono quelle che hanno subito meno trasformazioni a opera dei parlanti perché usate principlamente nello scritto. In questo caso non è così: la parola apparteneva al sermo cotidianus e in questo ambito è rimasta nella nostra lingua. Traccia del vecchio significato rimane nel toponimo del quartiere romano “Testaccio” che deriva dal mons Testaceus costituito dai detriti di terracotta accumulati nei secoli come residuo dei trasporti, principalmente di anfore, che facevano capo al porto sul Tevere di Ripa Grande dove arrivavano le merci da Ostia. Caput mundi è l’Urbs per antonomasia: Roma. In questa espressione comune si verifica l’uso metaforico della parola con il significato di “capitale” in senso geografico. Ma l’uso forse più immaginifico della parola è nel significato di capitellum che indica la “testa” di una colonna. Un esito divertente è nella parola capito, -onis, una specie di anguilla dalla testa grossa che è anche un cognomen romano, elaborato, come tanti altri, sulla base di una caratteristica fisica di uno dei fondatori della familia. Tot capita tot sententiae, “tanti uomini tanti modi di pensare” è un’espressione tuttora molto usata che esprime la relatività delle opinioni umane e, ad essa connessa, la necessità della tolleranza. In questo senso è, infatti, stata formulata da Terenzio, commediografo del II sec. a.C., nella sua opera il Phormio: quot homines tot sententiae. Questa massima è ora utilizzata senza dare ad essa spessore di riflessione morale, anzi spesso con un’intonazione umoristica. In inglese, il corrispettivo è As many men, so many minds, so many dogs, so many kids, in francese Autant de têtes, autant d’avis. Sentenze analoghe sono presenti anche in spagnolo, russo, tedesco.