Dante Alighieri. Il racconto di una vita

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I - Sul principio della mia vita

di aver donato a piene mani. Del resto, il piacere del dono, dell’offrire - magari con una certa superbia, ma senza alcun interesse se non quello per la gioia ritratta negli occhi di chi riceve - è una caratteristica dei Gemelli, costellazione che mi ha visto nascere nel 1265. Tuttavia, pur se il nome dice della mia sorte e lo zodiaco del mio carattere, è alla mia città che devo ciò che sono. Firenze, come vedrà chi avrà la bontà e la pazienza di leggere questi appunti, non mi ha solo visto nascere, ma ha dato senso e sostanza alla mia esistenza, nel bene e nel tanto male che mi ha recato. E ancora oggi, scorgendo all’orizzonte la mia fine sempre più vicina e sempre più irrimediabilmente lontana dalle rive dell’Arno, è a lei che sento d’essere legato, più che a una madre, più che a qualsiasi altra creatura che pur ho amato riamato. Sono nato in una casa assai decorosa, di buona fattura, anche se non da gran signore, e che non ha mancato di offrirmi angoli silenziosi dove rifugiarmi indisturbato con i miei pensieri, a scrivere e studiare. Si trovava nella parrocchia di San Martino al Vescovo, nel sesto di San Piero Maggiore, di fronte alla Torre della Castagna. Una zona centrale, quindi, dove abitavano alcune delle famiglie più in vista della città, come i Cerchi, i Donati e i Portinari le quali, pur vivendo nello stesso quartiere, non erano mai in pace tra loro, sempre pronte a far scorrere il sangue pur di primeggiare l’una sull’altra, nella politica come negli affari. Per questo approfittavano di ogni buona occasione per allargare i confini delle proprie residenze, aggiungendo oggi un fondaco, domani un palazzotto oppure innalzando una nuova torre, possibilmente più alta di quelle delle famiglie rivali, da dove sorvegliare i propri interessi o rintuzzare eventuali attacchi. Era una Firenze molto diversa da quella che, almeno così mi è stato riferito, si presenta oggi agli occhi di un viaggiatore che abbia la fortuna di giungervi. 13


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