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Bioetica
DISPENSAZIONE DELLA PILLOLA DEL GIORNO DOPO
Note di bioetica
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Elisabetta Bolzan*
A
ccadeva qualche giorno fa in provincia di Lucca ma sarebbe potuto accadere ovunque: uno sparuto nugolo di ragazze, sette, regge due grandi striscioni e altrettanti cartelloni di protesta davanti alla Farmacia in cui poco prima Maria Rosaria D’Atri, 76 anni, farmacista, ha negato la vendita di EllaOne a una giovane donna. Riporta la cronaca che la dottoressa D’Atri le avrebbe risposto: «Non sono un distributore automatico di medicinali. La “pillola del giorno dopo” è un abortivo, non si può dare con leggerezza. Se l’Agenzia del Farmaco la pensa diversamente, avvalora una menzogna». Chiare e concise parole che forse hanno avuto un impatto duro sulla giovane, unicamente timorosa — a seguito di un atto sessuale potenzialmente fecondo — di restare incinta e perciò intenzionata ad assumere un prodotto venduto come “contraccettivo”. Forse non per la prima volta, la donna si rivolgeva alla farmacista perché intendeva porre rimedio in fretta a un comportamento da cui può derivare una gravidanza non desiderata. Ma chiamare la “pillola dei cinque giorni dopo” semplicemente col nome di “contraccettivo” mette indiscutibilmente in ombra un fatto che invece le parole della dottoressa D’Atri hanno voluto riportare a galla: EllaOne non è solo un mezzo per impedire il concepimento; essa può avere un duplice effetto: anticoncezionale oppure antinidatorio, ossia abortivo. Nella Farmacista è emersa dunque una coscienza precisa del male intrinseco che si cela dietro un prodotto senza obbligo di prescrizione come la “pillola dei cinque giorni dopo”: “cinque giorni dopo” il rapporto sessuale non protetto da cui si ritiene possa sorgere o essere sorto un concepimento. La pillola viene assunta il prima possibile dalla donna, senza che nessuna gravidanza venga accertata in alcun modo, per impedire eventualmente che il concepimento segua il suo corso naturale con la nascita di un Qiglio. «La “pillola del giorno dopo” è un abortivo» ricorda Maria Rosaria D’Atri e così l’ha voluto ricordare anche alla giovane che gliela chiedeva. Tramite queste parole si fa spazio anche la coscienza di un valore etico del ruolo ricoperto dalla donna, di un compito sia informativo circa il reale funzionamento della pillola sia di consiglio sull’acquisto e sull’utilizzo, ma anche un compito morale: «Non si può dare con leggerezza». C’è una gravità nel ruolo del farmacista che va riconosciuta nel momento in cui egli si assume le proprie responsabilità davanti a chi non ha i medesimi criteri di giudizio per valutare cosa signiQichi e cosa comporti l’assunzione di un certo preparato, a maggior ragione se prima non è stato consultato un medico. C’è un ruolo che chiede di essere riconosciuto, ma anche una relazione tra farmacista e cliente che non può essere taciuta, in particolar modo nelle piccole realtà territoriali che la favoriscono. La vendita senza prescrizione medica anche alle minorenni può indurre il sospetto in chiunque che sia lecito un uso idealmente abitudinario di questi prodotti, dal momento che anche lo Stato — mediante l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) — ne permette la commercializzazione senza vincoli di ricetta. Ma se non si vuole ammettere che lo Stato rivesta un compito moralizzante in questo, risulta che le professioni medico-sanitarie abbiano una deontologia a cui i singoli operatori è bene non abdichino “con leggerezza”. Ciò evidentemente non signiQica imporre una scelta al cliente che si presenta al banco: infatti è sempre possibile che egli si rivolga ad altro esercizio. Si tratta però di offrire il dubbio che anche la sua assunzione richiede responsabilità; richiede cioè che si conosca la verità — non “una menzogna” — circa l’azione potenzialmente abortiva per la quale si sta optando.