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LA DEPOSIZIONE DI CRISTO NEL SEPOLCRO DI CARAVAGGIO

Rodolfo Papa

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Circa sette anni dopo il Riposo durante la fuga in Egitto, nei primi anni del 1600, Caravaggio dipinge la Deposizione di Cristo nel Sepolcro, tela in cui la 7igura di Maria viene tratteggiata nel suo legame con Gesù Cristo, nella vita, nella morte, nella Resurrezione [1]. Ella è la donna del dolore, ma è sempre innanzitutto la donna della fede e della speranza. La tela della Deposizione viene originariamente dipinta per la Chiesa di Santa Maria della Vallicella a Roma; durante il periodo napoleonico fa parte delle opere italiane trafugate e trasferite a Parigi 7ino a quando, nel 1816, viene riportata a Roma da Canova, e da allora viene conservata in Vaticano, dove tuttora possiamo ammirarla tra i capolavori della Pinacoteca Vaticana, mentre nella sede originaria è stata collocata una copia ottocentesca. Questa tela di Caravaggio, 7in dal Seicento, viene ricordata come una delle sue migliori opere; tra gli altri, Baglione scrisse nel suo Le vite de’ pittori, scultori et architetti…, pubblicato nel 1642: «E questa dicono, che sia la miglior opera di lui» e anche Bellori nel Le vite de’ Pittori, Scultori et Architetti moderni pubblicato nel 1672 afferma: «Ben tra le migliori opere che uscissero dal pennello di Michele si tiene meritatamente in istima la Deposizione di Christo nella Chiesa Nuova de’ Padri dell’Oratorio». È molto forte il legame tra l’opera di Caravaggio e la Chiesa degli Oratoriani, inaugurata nel 1577 per

Figura 1. Michelangelo Merisi da Caravaggio, Deposizione di Cristo nel Sepolcro. 1602- 1604, olio su tela. Pinacoteca Vaticana, Città del Vaticano. volontà di San Filippo Neri, accanto alla sede dell’Oratorio, vero punto di riferimento per i romani,

Rodolfo Papa, pittore, scultore, teorico, storico e 7ilosofo dell’arte. Esperto della XIII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Docente di Storia delle teorie estetiche presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose Sant’Apollinare, Roma; il Master di II Livello di Arte e Architettura Sacra dell’Università Europea, Roma; l’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Santa Maria di Monte Berico, Vicenza; la Ponti7icia Università Urbaniana, Roma. È Accademico Ordinario della Ponti7icia Insigne Accademia di Belle Arti e Lettere dei Virtuosi al Pantheon. Presidente della Accademia Urbana delle Arti. Tra i suoi scritti si contano circa venti monogra7ie e alcune centinaia di articoli (“Arte Cristiana”; “Euntes Docete”; “ArteDossier”; “La vita in Cristo e nella Chiesa”; “Via, Verità e Vita”, “Frontiere”, “Studi cattolici”; “Zenit.org”, “Aleteia.org”; …). Come pittore ha realizzato interi cicli pittorici per Basiliche, Cattedrali, Chiese e conventi (Basilica di San Crisogono, Roma; Basilica dei SS. Fabiano e Venanzio, Roma; Antica Cattedrale di Bojano, Campobasso; Cattedrale Nostra Signora di Fatima a Karaganda, Kazakistan; Eremo di Santa Maria, Campobasso; Cattedrale di San Pan7ilo, Sulmona; chiesa di san Giulio I papa, Roma; San Giuseppe ai Quattro Canti, Palermo; Sant'Andrea della Valle, Roma …).

in quanto a iniziative di preghiera, assistenza e formazione. Proprio un 7iglio spirituale di San Filippo Neri, Pietro Vittrici, Guardaroba di Papa Gregorio XIII Boncompagni, è all’origine della tela dipinta da Caravaggio. Pietro Vittrici, infatti, come raccontano le fonti, era stato miracolosamente guarito da san Filippo Neri nel 1566 ed era già suo penitente dal 1560; volendo edi7icare nella Chiesa Nuova una cappella a proprie spese, aveva ottenuto il 13 giugno 1577 il privilegio per una cappella dedicata alla “Pietà”; per vari motivi, Pietro dovrà lasciare in eredità al nipote Gerolamo il compito di completare il proprio voto, e proprio Gerolamo Vittrici è infatti il committente di Caravaggio. Visto il tema della Cappella, Caravaggio è chiamato a lavorare sul tema della Pietà, che risolverà con la magni7ica composizione della Deposizione. Ma per meglio comprendere la soluzione di Caravaggio dobbiamo inserirla entro l’intero progetto iconogra7ico e liturgico della Chiesa Nuova. In questo modo, è possibile rendersi conto che la tela di Caravaggio è soprattutto il risultato di un’intensa meditazione sul tema del dolore e della gloria, entro la preghiera del Rosario. Infatti, nelle tele che si succedono nelle cappelle e nel transetto della Chiesa Nuova, sono riconoscibili i quindici misteri contemplati dal Rosario che, proprio nel XVI secolo, aveva trovato una forma simile a quella attuale, grazie al domenicano Alberto da Castello. Il Rosario è una preghiera profondamente mariana, sia per la successione delle Ave Maria, sia per gli eventi meditati, che si aprono con l’Annunciazione dell’Angelo e si chiudono con l’Incoronazione della Regina degli Angeli e dei Santi. In ogni cappella, gli

stucchi sul catino e nell’arcone rappresentano il tema centrale. Caravaggio, che più tardi «La tela di Caravaggio viene impostata sarà chiamato proprio a come una grande scena teatrale, secondo una personale interpretazione delle sacre rappresentazioni medioevali, […]» rappresentare la Madonna del Rosario, in questa occasione deve inserirsi con la propria opera dentro lo svolgersi narrativo e meditativo del Rosario, e precisamente al culmine dei misteri dolorosi. Infatti la seconda Figura 2. Roma, Chiesa di Santa Maria in Vallicella (Chiesa Nuova).

cappella a destra, in cui la sua tela doveva essere collocata, prevedeva appunto la meditazione sulla pietà, ovvero sulla morte del Signore. Nell’arcone è infatti posta una rappresentazione in stucco della Sindone [2]. Posto davanti a questo tema, Caravaggio riesce a rappresentarlo in modo da far presagire già la Resurrezione, rappresentando così anche la gloria. Certo non a caso nel catino absidale della cappella sono rappresentati Isaia e David, scelti quasi sicuramente dal preposito Pietro Consolini, che in un documento da poco ritrovato indica David, Isaia e Abacuc [3], proprio con l’intento di sottolineare la profezia della liberazione dalla morte e della sofferenza gloriosa. La tela di Caravaggio viene impostata come una grande scena teatrale, secondo una personale interpretazione delle sacre rappresentazioni medioevali, rispondente al gusto artisticoarcheologico e alla cultura teologica post-tridentina. La scena, dal fondo scuro, è occupata da una massa scultorea, compatta e dinamica nello stesso tempo, composta dai protagonisti. Le posizioni delle 7igure occupano lo spazio tracciando tra l’angolo inferiore sinistro e l’angolo superiore destro una linea curva diagonale, percorsa da un duplice movimento, discensionale e ascensionale. Nella statica della composizione, nella 7issità del dramma viene raccontata l’intera narrazione della passione e della morte di Gesù e contemporaneamente l’imminente disvelamento della gloria. La scena è occupata principalmente dal corpo morto di Gesù che, sorretto da due 7igure maschili, pesa verso il basso, verso il sepolcro scuro nel quale viene

deposto. Dietro di loro, tre 7igure femminili compiangono il corpo morto e guardano verso il cielo. Guidati dal Vangelo di Giovanni, proviamo ad ascoltare le voci di questa sacra rappresentazione. Innanzitutto, l’uomo più giovane, che ha l’onore di sorreggere la testa e il torace di Cristo, è identi7icabile con Giovanni, il “discepolo che egli amava” (Gv 13, 23); infatti è vestito con una tunica verde e un mantello rosso, indossa cioè i colori tradizionalmente attribuiti a questo evangelista. L’uomo più anziano, che sorregge le gambe con presa forte, ha un volto barbuto rivolto verso l’osservatore, con la bocca socchiusa. Egli è scalzo, ed ha un abito color mattone. La sua identità è meno immediata, e Figura 3. Roma, interno della Chiesa di Santa Maria in Vallicella (Chiesa Nuova). tuttavia ricostruibile con sicurezza. Proprio il vangelo di Giovanni ci aiuta nell’identi7icazione: egli è Nicodemo [4]; peraltro solo la narrazione di Giovanni evidenzia Nicodemo come presente alla deposizione: «Vi andò Figura 4. Daniele da Volterra, Busto di Michelangelo Buonarroti, 1564-1566, bronzo. Galleria dell’Accademia, Firenze.

anche Nicodemo, quello che in precedenza era andato da lui di notte, e portò una mistura di mirra e aloe di circa cento libbre» (Gv 19, 39). Nicodemo è un ebreo colto e in7luente che, di nascosto, di notte, segue Gesù e solo alla sua morte ha il coraggio di uscire allo scoperto. Ma qui Caravaggio non lo rappresenta negli abiti propri del suo rango, in quanto egli è fariseo e capo dei Giudei (Gv 3, 1), “un maestro in Israele” (Gv 3,10), ma quasi in abiti da lavoro. Il suo volto, mentre ci aiuta a identi7icare con sicurezza l’identità di Nicodemo, ce ne spiega anche gli abiti e la funzione. Infatti, quel volto è assimilabile a quello di Michelangelo Buonarroti, così come viene ritratto dallo scultore Daniele da Volterra. Frequentemente Caravaggio utilizza il linguaggio del Buonarroti per esprimere delicati passaggi di signi7icato [5], in questo caso palesa il proprio debito rappresentandone il volto. Il poeta Marzio Milesi scrive molte composizioni celebrative in versi dedicate alle opere dell’amico Caravaggio, e tra queste ve ne sono alcune che mettono direttamente in luce proprio il sottile rapporto che intercorre tra l’opera di Michelangelo Buonarroti e quella del Merisi. In una in particolare, l’identi7icazione di Caravaggio con una sorta di Michelangelo redivivo è talmente palese ed esplicita, che lascia quasi pensare che questo fosse il sentimento dello stesso Caravaggio, che si confrontava da pari a pari con il grande toscano: «Michel Angiolo da Caravaggio anchor giovane./Michel, Angel voi siete, e siete uguale/di chi fu al mondo tale,/ch’a ciascun fu magiore,/e co’l nome, e con l’opre lui sembrate./Se tal in sì verdi anni vi mostrate/che Hie in età matura?/Da voi le gran maestre Arte, e Natura,/vinte si resteranno,/con vostro eterno honor, lor grave danno». Nella Deposizione, Caravaggio rappresenta Michelangelo come Nicodemo, e del resto, nella Pietà Bandini (Museo dell’Opera del Duomo di Firenze, 1550-55) Michelangelo stesso si era autoritratto proprio negli stessi panni. Michelangelo è scultore e Nicodemo stesso, secondo un’antichissima tradizione, è il primo scultore di un Croci7isso, il cosiddetto croci7isso miracoloso beirutense [6]. Dunque, questa 7igura maschile rappresenta nello stesso tempo Nicodemo, Michelangelo e l’artista in

Figura 5. Michelangelo Buonarroti, Pietà Bandini. 1547-1555. Museo dell’Opera del Duomo, Firenze. quanto testimone e narratore dei fatti testimoniati. Così, dunque, le due 7igure maschili poste da Caravaggio attorno al corpo di Cristo sono due protagonisti e nello stesso tempo due narratori delle vicende vissute, con le parole del Vangelo e con l’immagine della scultura. Il porre lo scultore a 7ianco dell’evangelista ha un particolare valore da parte di Caravaggio. Egli è un artista ed è come se ci volesse indicare che l’arte sacra signi7ica testimoniare la verità, e che l’opera d’arte rende presente la verità narrata. La sua è una importantissima funzione di servizio, per questo è rappresentato umilmente nei panni del lavoro e con i piedi nudi. In questo modo, Caravaggio fa proprio il sentire diffuso dal Concilio di Trento: «attraverso le immagini che noi baciamo e dinanzi alle quali ci scopriamo e ci prostriamo, noi

Figura 6. Michelangelo Buonarroti. Pietà. 1497-1499. Basilica di San Pietro, Città del Vaticano.

adoriamo Cristo e veneriamo i santi, di cui esse mostrano l’immagine» [7]. La presenza di Nicodemo ha anche un particolare valore per la considerazione della 7igura di Maria: il dialogo notturno avuto con Gesù e narrato da Giovanni (Gv 3, 1-21) fornisce infatti delle preziose considerazioni sul ruolo di Maria come madre, come vedremo poi. Maria è posta nel gruppo delle tre donne, che “stavano presso la croce di Gesù”: sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala (Gv 19, 25). Caravaggio, secondo le direttive di veridicità consigliate dal cardinal Paleotti nel Discorso per i dipinti di soggetto sacro, dipinge Maria come una donna ormai anziana, inoltre la abbiglia come la tradizione l’ha tramandata: con

l’“omophorion” blu e il “chiton” chiaro [8], quasi rosa nell’ombra. Ella è posta in atteggiamento tipicamente materno, le sue braccia sembrano voler comprendere tutto il corpo del 7iglio, come quando era bambino e «Tutto il muto dolore dei protagonisti poteva stringerlo tutto tra sembra sfociare nel canale aperto verso la le braccia e proteggerlo speranza della resurrezione. La vicinanza del dal freddo, ma è china con fico, pianta simbolo di salvezza e redenzione, il corpo e con il capo, rende più forte la presenza della speranza» come se assecondasse la discesa di Gesù verso il sepolcro, consapevole di non poter rimediare al freddo che rende ceree le membra di suo 7iglio. Sembra accompagnarlo con un’ultima carezza. In lei Caravaggio riesce a rappresentare un dolore vero, realisticamente contenuto in un cuore abituato a serbare in sé molte cose, un dolore devastante che sembra spegnere la madre insieme al 7iglio, e tuttavia ci sembra di scorgere nel suo capo chino l’immagine

Figura 7. Giovanni Gerolamo Savoldo. Compianto sul Cristo morto. 1529. University Art Museum, Berkeley, California, Stati Uniti d’America.

della fede, che sa rendere ragione alla speranza. La mano di Maria sembra accompagnare Cristo nella tomba: il suo gesto è un Hiat muto, di fronte alla “chenosis”, all’abbassamento della morte, così come, con voce di giovinetta disse Hiat di fronte alla chenosis dell’Incarnazione nel suo grembo. Nelle sue mani, che toccano e non toccano il Figlio, vediamo un particolare effetto psicologico di teatro, una dinamica del toccare-non toccare presente anche in una tragedia di Gregorio di Nazianzo, composta secondo lo schema del centone, dal titolo Christus patiens: «No, non accostare le mani, non toccare il cadavere, te ne prego» e più oltre «stendi le mani insieme alle altre ragazze». La posizione delle braccia di Maria ricorda molti altri episodi della storia dell’arte, sapientemente rielaborati. Nella Pietà Vaticana di Michelangelo Maria guarda Cristo allargando il braccio sinistro verso l’esterno e nel Compianto su Cristo morto del

Savoldo (University Art Museum, Berkeley) Maria guarda il 7iglio piegandosi pietosamente verso di lui e stendendo il braccio destro verso l’esterno. C’è una grammatica del dolore materno di Maria che Caravaggio sa raccogliere ed usare. Il quadro trascrive quell’atmosfera di poesia, dramma e teatralità che «Maria ha accolto Gesù nel suo grembo materno, ha saputo dire “sì” ed avere fede, proviene dalla spiritualità medievale e che possiamo ancora cogliere in taluni mentre in lei cresceva la vita del figlio divino, compomenti letterari, biologicamente madre come tutte, con gli quali per esempio la stessi disturbi e gli stessi sogni, e nello stesso trecentesca lauda “Donna tempo fedele ancella e custode di un de Paradiso” di Jacopone mistero» da Todi, in cui il dramma del dolore di Maria è rappresentato con accenti simili a quelli caravaggeschi: «O Higlio, Higlio, Higlio,/Higlio, amoroso giglio!/Figlio, chi dà consiglio/Al cor me’ angustiato?/ […]/Et eo comenzo el corrotto;/Higlio, lo meo deporto,/ Higlio, chi me ‘ttà morto,/Higlio meo dilicato?/Meglio aviriano fatto/Ch’el cor m’avesser tratto/Ch’ennella croce è tratto,/stace descilïato!»

Le altre due donne sembrano essere complementari all’atteggiamento di Maria. La giovane immersa nel pianto è Maddalena, infatti le lacrime sono un suo attributo teologico e iconologico, che sottolinea come Maddalena sia insieme testimone della morte e della resurrezione, come nota Jacopo da Varazze nella Legenda Aurea al capitolo XCVI: «Fu lei, certo, che lavò con le sue lacrime i piedi del Signore, li terse con i suoi capelli e li unse con l’unguento ... fu lei che si fermò presso la croce del Signore durante la passione; fu lei che, procurando gli unguenti, volle ungere il suo corpo; fu lei a non lasciare il sepolcro di Gesù quando ormai tutti i discepoli si erano allontanati; fu a lei per prima che Cristo apparve dopo la resurrezione, rendendola apostola fra gli apostoli». La terza donna è identi7icabile con Maria di Cleofa, il suo atteggiamento chiude la composizione e insieme la apre verso l’alto. Lo sguardo dello spettatore, infatti, comunque percorra la scena della composizione, si trova trascinato verso l’alto, verso il suo gesto di dolore e insieme di preghiera; ella ha le mani e lo sguardo protèsi. Tutto il muto dolore dei protagonisti sembra sfociare nel canale aperto verso la speranza della resurrezione. La vicinanza del 7ico, pianta simbolo di salvezza e redenzione, rende più forte la presenza della speranza. La speranza è incarnata nel corpo di Cristo, che è realisticamente rappresentato come un cadavere. La sua mano destra segna però con le dita il numero tre, il terzo giorno della Resurrezione, e accanto a lui c’è una pianta simbolo di resurrezione, il tasso barbasso, che abbiamo già incontrato nel Riposo durante la fuga in Egitto. Tutta la tela è, dunque, percorsa dalla narrazione del fatto della morte e dalla speranza della Resurrezione. La 7igura di Maria vive questo duplice momento, che la conferma donna di fede e di speranza. Maria viene rappresentata come madre che realisticamente soffre l’indicibile dolore della perdita del 7iglio, ma è anche poeticamente tratteggiata come l’ancella fedele del Signore. Proprio il dialogo tra Gesù e Nicodemo affronta la questione della nascita dal ventre materno e della rinascita dall’alto. Nicodemo domanda: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?»; e Gesù risponde: «Se uno non nasce da acqua e spirito, non può entrare nel regno di Dio» (Gv 3, 5). Maria ha accolto Gesù nel suo grembo materno, ha saputo dire “sì” ed avere fede, mentre in lei cresceva la vita del 7iglio divino, biologicamente madre come tutte, con gli stessi disturbi e gli stessi sogni, e nello stesso tempo fedele ancella e custode di un mistero. Ma la sua fede sembra essere ancora più grande di fronte alla morte del 7iglio: tutto sembra 7inire, il corpo esangue cala verso il buio del sepolcro, la pietra sta per chiuderlo in modo ineluttabile, ma la fede, mentre fa accettare questa discesa, apre anche l’aspettativa della speranza. Così Maria china il capo, sa che il 7iglio non può rinascerle nel grembo, ma sa anche con la sapienza della fede che il Figlio rinascerà dall’alto. Donna del dolore è donna della fede e, dunque, della speranza; come ha detto papa Francesco è «donna orante… con il cuore aperto a Dio» (Udienza generale, 18 novembre 2020).

Bibliografia e note

1. Cfr. Papa R., Caravaggio pittore di Maria, Ancora, Milano 2005; Papa R., Caravaggio. L’arte e la natura, Giunti,

Firenze 2008; Papa R., Caravaggio. Lo stupore dell’arte,

Arsenale, Verona 2009. 2. Il culto della Sindone è rilanciato proprio in quegli anni da Papa Gregorio XIII Boncompagni, benefattore della

Chiesa Nuova e in particolare della cappella della Pietà:

Savio P., Ricerche sulla Santa Sindone, Torino 1957, p. 303. 3. Barbieri C., Barchiesi S., Ferrara D., Santa Maria in

Vallicella, Roma 1995, p. 183. 4. Papa R., Nicodemo: l’artista come testimone. La

Deposizione di Caravaggio, in “ArteDossier”, n. 164, febbraio 2001, pp. 18-24. 5. Papa R., Da Michelangelo a Michelangelo, “Art e Dossier”, n. 127, ottobre 1997. 6. Jacopo da Varazze nella Legenda aurea raccoglie e diffonde una tradizione che lo precede e che è riportata anche nella traduzione latina degli atti del II Concilio di

Nicea (787), proprio quello che condanna l’iconoclastia: infatti, Atanasio bibliotecario (872) vi aveva aggiunto anche il racconto del Croci7isso miracoloso di Beirut attribuito a Nicodemo. Cfr. Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, a cura di Mansi J.D., Firenze 1759-1827, Parigi- Lipsia 1901-1927, XIII, 580c-585d. 7. Decreto sull’immagine, la venerazione e le reliquie dei santi e le sacre immagini, in Conciliorum oecumenicorum decreta, a cura di Alberigo G. e altri, Bologna 1991, p. 775. 8. Si tratta del mantello blu e della tunica chiara degli

Ebrei, il “cioluk”.

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