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Ars veterinaria

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Patologia

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PARVOVIRUS NEL CANE

Carmen Carbone*

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Il più importante virus enterico che infetta i canidi è il parvovirus canino di tipo 2 (CPV-2). Il CPV-2 è un virus estremamente contagioso che causa un’elevata morbilità con maggiore incidenza nei rifugi, nei negozi di animali e negli allevamenti. La malattia è caratterizzata da un rapido decorso clinico che spesso esita nella morte entro 2-3 giorni dopo la comparsa dei segni clinici in ospiti non protetti. Può colpire cani di qualsiasi età, ma l’infezione grave è comune nei cuccioli di età compresa tra 6 settimane e 6 mesi. Tutte le razze sono sensibili alla malattia, sebbene le razze pure risultino maggiormente suscettibili [1]. Il CPV (parvovirus canino) appartiene alla famiglia Parvoviridae e al genere Parvovirus; è un virus a DNA monocatenario, a simmetria icosaedrica e nudo (sprovvisto di envelope di rivestimento), composto da circa 5000 nucleotidi [2]. L’assenza di envelope rappresenta la principale arma di difesa del virus in quanto gli consente di resistere nell’ambiente esterno (Sino a 6 mesi), e lo rende insensibile alle variazioni di pH ed ai comuni solventi lipidici: questo aspetto spiega perché un cucciolo può morire pur non essendo stato a contatto con un soggetto malato, ma semplicemente tramite la contaminazione ambientale. Come gli altri virus a DNA a singolo Silamento, mostra un elevato tasso evolutivo che ha causato una notevole variabilità a livello nucleotidico e amminoacidico.

FPV e CPV-2

Tutte le ricerche effettuate hanno chiaramente evidenziato che CPV-2 costituisce una deriva antigenica del virus della panleucopenia felina (FPV) formatasi intorno al 1970. CPV-2 si diffuse inizialmente in diverse specie di carnivori selvatici (visone, orsetto lavatore, volpe, ecc…) e intorno al 1977-1978 fece la prima comparsa nel cane. Dopo un’iniziale pandemia alla quale conseguirono numerosi decessi, il virus originario scomparve per poi riemergere intorno agli anni ’80 sotto forma di varianti antigeniche denominate CPV-2a e CPV-2b. Più recentemente è emersa la variante CPV-2c, oggi ampiamente distribuita [3], isolata nel 2001 da un gruppo di ricercatori dell’Università di Bari. Questi, tramite osservazioni di campo, hanno confermato la sua ampia diffusione in diverse zone di Italia e in Europa e il suo maggiore potenziale patogeno per cani di età superiore ai 6 mesi [4]. Tuttavia, uno studio recente [5] ha mostrato che il ceppo più vecchio di CPV-2c è stato isolato nel 1996, fornendo così la prova che questa variante circolava in Germania 4 anni prima della sua comparsa in Italia. Le differenze antigeniche che si osservano tra le diverse varianti sono associate a cambiamenti del residuo 426 (Asn in CPV-2, Asp in CPV-2b e Glu in CPV-2c). Questa mutazione colpisce la principale regione antigenica (epitopo A), che si trova nella parte superiore della proteina capsidica maggiore (VP2), che a sua volta rappresenta circa il 90% dell’intero capside virale. In conclusione, sebbene i virus a DNA abbiano un tasso di mutazione inferiore rispetto ai virus a RNA, il tasso di sostituzione genomica sia per CPV che per FPV è paragonabile a quello comunemente osservato nei virus a RNA, e questo è ampiamente dimostrabile grazie all’evoluzione genetica consecutiva che il virus ha subito [6]. Sono osservabili almeno sei-sette mutazioni amminoacidiche tra FPV e CPV-2, e almeno cinque-sei mutazioni tra l’originario CPV-2 e le sue varianti CPV-2a e CPV-2b. Queste piccole differenze rendono il CPV un importante modello per lo studio dell’evoluzione virale. In vitro, mentre l’FPV replica efSicacemente solo nelle linee cellulari feline, il CPV può infettare con la stessa efSicacia sia cellule di origine felina che canina. In vivo invece, l’originario CPV non replica nelle cellule feline, mentre le varianti CPV-2a/b hanno riacquisito la capacità di replicare negli ospiti felini. In diverse parti del mondo sono stati infatti riportati tra i felini selvatici e domestici casi di panleucopenia felina causati dalle varianti 2a e 2b; così come per la nuova variante CPV-2c il primo caso nel gatto è stato segnalato in Italia, sebbene non siano state descritte le condizioni cliniche del paziente, i parametri ematologici e l’outcome dell’infezione. Più

*Medico veterinario

Figura 1. Parvovirus canino. Fonte: http:// www.virology.wisc.edu/virusworld/ps10/ cpv_canine_parvovirus.jpg

recentemente [7] [8] sono stati osservati due casi di infezione nel gatto da CPV-2c: in entrambi è stata riscontrata una forma lieve di malattia non accompagnata da alterazioni ematologiche rilevanti. In uno dei due gatti invece si è sviluppata una sintomatologia neurologica (sebbene in concomitanza ad un ascesso intracranico). Inoltre, rispetto all’originario tipo 2, le varianti 2a e 2b sono capaci di essere rilasciate in ambiente dal soggetto colpito a titoli virali molto più alti e conseguentemente sono in grado di causare un quadro clinico più grave nel paziente. Per quanto riguarda invece la variante 2c è stata descritta per la prima volta in due cani di razza Pastore Tedesco [9]; in entrambi i cuccioli è stata segnalata una diarrea mucosa/acquosa e una transitoria leucopenia ma, nonostante la successiva diarrea emorragica e il vomito incoercibile, il recupero è avvenuto in pochi giorni [10].

Disinfezione ambientale

La circolazione attiva del virus e le iniziali vaccinazioni programmate hanno condotto all’insorgenza di immunità di gregge nella popolazione canina, e questo ha ampiamente ridotto sia la mortalità che l’ulteriore diffusione del virus. Comunemente, il CPV-2 infetta cuccioli di 4-12 settimane, specialmente durante il declino degli anticorpi di derivazione materna. Generalmente, gli adulti sono resistenti all'infezione da CPV-2 a causa della ridotta suscettibilità o presenza di un'immunità speciSica indotta dalla vaccinazione o da infezioni precedenti. Il CPV-2 è resistente alla maggior parte dei disinfettanti, mentre è sensibile alla formalina, al β-propiolattone, idrossilammina, agenti ossidanti, alogeni, aldeidi e idrossido di sodio. Tra gli alogeni, l'ipoclorito di sodio è quello maggiormente impiegato per via del suo ampio spettro di attività: è inoltre di facile impiego e non costoso, anche se diversi fattori inSluenzano la sua efSicacia. Nei canili e nelle cliniche veterinarie, al Sine di mantenere il controllo delle infezioni da CPV-2, sono necessari sia la disinfezione ambientale che rigorosi programmi di vaccinazione. La maggiore persistenza del virus è responsabile di nuovi focolai nei neonati, per cui si dovrebbe prestare particolare attenzione alla reale efSicacia dei protocolli di disinfezione; l'uso di concentrazioni efSicaci di ipoclorito di sodio per un breve periodo di tempo può contribuire a controllare la contaminazione (e quindi la frequenza dei focolai di CPV-2) riducendo al minimo l'impatto ambientale [11].

Replicazione virale

Dopo la sua origine il CPV si è rapidamente diffuso in tutto il mondo, causando tra la popolazione canina gravi epidemie di malattia e alta mortalità. Poiché la sua replicazione dipende dalla cellula ospite infettata, predilige cellule ad alta proliferazione: riconosce infatti come principali bersagli tissutali le cripte intestinali e gli organi linfoidi, pertanto il quadro clinico più comune è caratterizzato da vomito e diarrea in associazione ad anoressia, depressione e febbre. Si diffonde rapidamente mediante trasmissione diretta (via oro-fecale) o trasmissione indiretta (esposizione oro-nasale o fomiti contaminati dalle feci). L’escrezione fecale del virus è precoce (3 giorni dopo inoculazione sperimentale) e lo spargimento ambientale del virus mediante le deiezioni può continuare per un periodo che varia tra le 3 e le 4 settimane dopo l’infezione clinica o subclinica. Come detto, una volta raggiunto l’ospite, il

Figura 2. Bersaglio tissutale del parvovirus canino. Fonte: https://www.pdsa.org.uk/media/5855/pdsa-art-12-virusattacking-dog-guts.png

virus inizia la sua replicazione nei tessuti linfoidi dell’orofaringe, linfonodi mesenterici e timo, e tramite diffusione ematogena (dopo 3-4 giorni) viene disseminato nelle cellule delle cripte intestinali del piccolo intestino; in seguito alla prima fase viremica si localizza in maniera predominante nell’epitelio di rivestimento della lingua, cavità orale ed esofago. Inoltre il virus è stato isolato anche da polmoni, milza, fegato, reni e miocardio dimostrando così il suo potere patogeno sistemico. Il tasso di replicazione e il rapido turnover cellulare delle cellule linfoidi ed intestinali è il principale fattore determinante la gravità della malattia, e la replicazione virale è direttamente correlata alla distruzione cellulare. Fattori predisponenti (ad es. concomitanti infestazioni parassitarie, svezzamento precoce, ecc…) inducono nei cani l’instaurarsi delle manifestazioni cliniche per via dell’aumentata attività cellulare della mucosa. Durante lo svezzamento, ad esempio, gli enterociti delle cripte intestinali hanno un più alto indice mitotico per via del cambio della Slora batterica e della dieta: questo predispone ad una maggiore suscettibilità al tropismo virale per via della rapida divisione cellulare. Il parvovirus infetta l’epitelio germinale delle cripte intestinali causando la totale distruzione dei villi: durante questa fase l’intestino perde quasi completamente la sua capacità assorbente, innescando diarrea, che il più delle volte è emorragica, e cachessia nel paziente colpito [12]. Il decorso clinico è generalmente rapido (4-5 giorni), ed è caratterizzato da necrosi dei tessuti linfoidi cui consegue leucopenia/linfopenia. Gli animali possono guarire o morire molto lentamente. È possibile anche l’instaurarsi di un’infezione sub-clinica caratterizzata da una lieve leucopenia e da una condizione clinicamente asintomatica del cane; in questo caso è comunque presente una certa escrezione virale con le deiezioni. Per quanto riguarda i soggetti clinicamente sintomatici, il virus può essere eliminato con le feci anche a basso titolo Sino a 40 giorni dopo l’infezione [13].

Miocardite nei cuccioli

Nei cuccioli il CPV può anche inSluenzare le cellule miocardiche durante il periodo di turnover cellulare che si veriSica dal momento dello sviluppo intrauterino Sino all’età di circa a due settimane. Ciò conduce a insufSicienza cardiaca acuta che esita spesso in morte improvvisa entro la prima settimana di vita. In questo caso il decesso avviene prima della comparsa dei sintomi gastroenterici. Tuttavia la miocardite acuta non è un reperto frequente; cambiamenti strutturali del tessuto miocardico sono invece stati osservati in cuccioli sopravvissuti all’infezione, ma la loro conseguenza clinica non è ancora chiara.

Sintomi clinici

Nell’intestino invece i segni caratteristici dell’enterite da parvovirus comprendono come detto la necrosi dell’epitelio delle cripte intestinali: ne consegue accorciamento o obliterazione dei villi e la dilatazione delle cripte con detriti cellulari necrotici. Tutti questi cambiamenti conducono alla distruzione della barriera intestinale che non consente più lo sviluppo e la stimolazione del sistema immunitario e l’instaurazione della tolleranza orale. A lungo termine si può pertanto osservare una maggiore incidenza di malattie immunologiche nei soggetti guariti. L’enterite che si manifesta nel cucciolo in combinazione con la neutropenia può predisporre a setticemia nel cucciolo: è infatti fondamentale un trattamento antibiotico aggressivo per via endovenosa in associazione alla terapia di supporto [14]. Infatti, il progressivo danneggiamento del tratto intestinale, secondario all’infezione virale, aumenta il rischio di traslocazione batterica cui consegue una setticemia da batteri coliformi e possibilità di shock settico. Escherichia coli è stato isolato anche dai polmoni e dal fegato dei cuccioli colpiti; sono frequenti infatti anche le lesioni polmonari che conducono a sindrome da stress respiratorio. Le manifestazioni cliniche più frequentemente osservate rimangono tutt’oggi quelle meno speciSiche riferibili ad enterite, comunemente accompagnata da anoressia o letargia, rapido calo ponderale, depressione, diarrea profusa e vomito incoercibile, disidratazione e febbre. A causa dell’atonia intestinale che esita in mancata peristalsi,

Figura 3. Diarrea emorragica tipica del cucciolo affetto da parvovirus in fase acuta.

Figura 4. Ambulatorio veterinario Carbone: cuccioli sottoposti a fluido-terapia endovenosa.

talvolta può manifestarsi intussuscezione intestinale, con prognosi negativa il più delle volte.

Alterazioni ematologiche e importanza di una Jluido-terapia di supporto

Per quanto riguarda invece le alterazioni ematologiche, quelle più frequentemente osservate sono riconducibili come detto a neutropenia e/o linfopenia a causa della distruzione dei precursori del midollo osseo, della deplezione dei tessuti linfoidi e dell’aumentata domanda di cellule anti inSiammatorie nel tratto intestinale. Si possono talvolta riscontrare anemia, trombocitopenia o trombocitosi, pancitopenia, leucocitosi neutroSilica e monocitosi. La precoce conta dei leucociti in circolo può fornire ulteriori informazioni: un signiSicativo calo dei leucociti o dei linfociti (<2000 WBC/mm3) depone per una prognosi negativa. La Sluido-terapia è il trattamento di elezione nei soggetti colpiti dal parvovirus. Si predilige l’impiego di un catetere venoso periferico o centrale (qualora necessario) per consentire una terapia endovenosa di supporto. In caso di cateterizzazione periferica, sarebbe opportuno sostituire il catetere ogni 72 ore al Sine di prevenire le colonizzazioni batteriche e le conseguenti Slebiti. Il catetere centrale (posto sulla vena giugulare) si presta sicuramente meglio per l’ottimizzazione della terapia stessa, riduce il rischio di trombosi venosa causata dal frequente stato di iper-coagulazione del sangue del soggetto colpito e può inoltre rimanere in sede per tutta la durata dell’ospedalizzazione. Tuttavia è poco tollerato per cui rende più complicata la gestione del paziente. Nei cuccioli è quindi di fondamentale importanza ristabilizzare la normale volemia del sangue entro 1-2 ore. I Sluidi preferibilmente utilizzati sono i cristalloidi isotonici, in particolare il Ringer lattato, impiegato per reidratare il paziente e migliorare i parametri di perfusione come il tempo di riempimento capillare, il polso femorale, la pressione arteriosa media e la concentrazione di lattati nel sangue. Inoltre l’ipoglicemia, riscontrabile mediante esame biochimico del sangue, è una conseguenza molto frequente in corso di gastroenterite emorragica, specialmente nelle razze toy; in questi casi è possibile implementare la Sluido-terapia con soluzione glucosata al 5 %. Di fondamentale importanza rimane, come detto, la somministrazione di un antibiotico ad ampio spettro (es. enroSloxacina), che possa garantire una protezione efSicace nei confronti dei batteri Gram+, Gram- e anaerobi. Anche la terapia antiemetica parenterale assume un ruolo essenziale nel trattamento così da consentire, se possibile, un minimo supporto nutrizionale al paziente, associato a un miglioramento precoce della mucosa intestinale, una riparazione più rapida e di conseguenza una ridotta possibilità di traslocazione batterica [15]. Inoltre, l’alterazione del microbiota intestinale (insieme di microorganismi che costituiscono la Slora batterica intestinale) che si veriSica in corso di gastroenterite acuta è una delle principali conseguenze della malattia. È fondamentale ristabilire il normale microbiota del paziente, per ottenere una più precoce risoluzione della diarrea, che è spesso perpetuata dalla disbiosi batterica intestinale [16]. È quindi molto utile contrastare la proliferazione di batteri patogeni mediante un valido supporto nutraceutico, al Sine di migliorare ulteriormente l’effetto barriera della mucosa intestinale.

Diagnosi e proJilassi

La diagnosi basata unicamente sul rilevamento dei segni clinici non è tuttavia sufSiciente, considerando l’ampia gamma di diagnosi differenziali possibili (es. infestazione da coccidi, ingestione di corpi estranei, infezione da coronavirus, ecc…). Per questo motivo un sospetto clinico deve sempre essere confermato mediante un test di laboratorio. A livello ambulatoriale sono attualmente disponibili dei test immuno-cromatograSici che consentono di formulare una diagnosi rapida. Sebbene meno sensibili e speciSici rispetto ad altre tecniche, quali la PCR, la real-time PCR e i test basati sulla tecnologia MGB (Minor goove binder probe), utili nei casi in cui la malattia insorga dopo la vaccinazione, rappresentano una buona alternativa per una diagnosi di certezza, grazie al loro facile impiego e ai costi limitati anche per il proprietario. Per l’utilizzo

del test, che ha lo scopo di rilevare l’antigene virale, vengono utilizzate le feci del paziente, e il risultato può essere interpretato in circa 10 minuti. L’eventuale positività del test, espressa mediante una banda colorimentrica a destra del test, accanto alla banda di controllo, ci permette, in associazione alla diagnosi di sospetto clinica, di effettuare una diagnosi di certezza. Questo test rappresenta quindi il metodo più rapido per la diagnosi di parvovirosi canina nella pratica quotidiana, sebbene i test rapidi non abbiano la capacità di distinguere lo speciSico sottotipo virale rilevato nel cane infetto [17]. Le vaccinazioni sono un’importante componente delle pratiche mediche preventive che, a loro volta, sono parte importante nella cura della salute animale. Il miglioramento degli attuali protocolli vaccinali è infatti fondamentale per ridurre l’alta incidenza di CPV; la vaccinazione in generale deve essere considerata come parte di un programma sanitario completo nella lotta contro le malattie infettive e nella prevenzione di future epidemie [18]. I programmi di immunizzazione dovrebbero essere ottimizzati in base al contesto speciSico di ciascun animale, tenendo in considerazione l’età, l’habitat, la prevalenza della malattia nella zona in cui vive, ecc… Particolare attenzione va poi posta alla persistenza di anticorpi materni, in relazione alla quantità di colostro ingerito e dal titolo anticorpale della madre stessa: durante la prima vaccinazione infatti la risposta è individuale, e dipende principalmente dal titolo iniziale di anticorpi materni acquisiti dal neonato [19]. L’immunità di derivazione materna inizia già attraverso la placenta (fase in cui il feto acquisisce circa il 5-10% degli anticorpi). L’immunità passiva del cucciolo è completata nelle prime 48 ore di vita allorché, con l’assunzione del colostro, può raggiungere un titolo anticorpale pari al 70-80% di quello materno. Gli anticorpi materni sono tuttavia una barriera importante in grado di bloccare eventuali vaccini somministrati, se la vaccinazione venisse effettuata precocemente l’antigene virale verrebbe fermato dagli anticorpi di origine materna e la stimolazione del sistema immunitario verrebbe così impedita. Per ottenere una buona risposta quindi il cucciolo deve essere privo di anticorpi materni, o il loro livello deve essere così basso da non essere in grado di interferire con l’eventuale vaccinazione. Esiste un particolare periodo della vita del cucciolo, denominato gap immunologico, in cui i titoli anticorpali sono inferiori alla soglia protettiva (<1:80) ma risultano ancora troppo elevati per consentire un’adeguata risposta alla vaccinazione: un cucciolo vaccinato durante questo periodo può infatti contrarre l’infezione nonostante l’avvenuta vaccinazione. È pertanto complesso stabilire l’esatto momento in cui dovrebbe essere vaccinato il paziente, sebbene con buona approssimazione si possa affermare che il momento ideale per la vaccinazione del cucciolo sia tra il 50° e il 60° giorno di età. Il parvovirus canino continua ad essere un importante patogeno del cane, responsabile di un alto tasso di mortalità tra i cuccioli, nonostante l’effettiva vaccinazione. Una delle principali cause è sicuramente l’alta contaminazione ambientale e gli inefSicaci protocolli di saniSicazione effettuati negli allevamenti e nelle cliniche veterinarie. Quando si veriSica un caso di gastroenterite emorragica, è buona norma isolare il soggetto colpito da quelli sani, evitare il contatto del cucciolo con l’esterno per ridurre lo spargimento virale nell’ambiente tramite le deiezioni, ricordando che il soggetto infetto continua ad eliminare virus con le feci anche dopo la guarigione clinica e che il virus è in grado di resistere nell’ambiente esterno per periodi di tempo estremamente prolungati (Sino a 6 mesi). Per impedire che un cucciolo possa infettarsi, è buona norma evitare passeggiate all’aperto prima della vaccinazione primaria, e porre particolare attenzione all’instaurarsi dei primi segni clinici (es. poco appetito, singoli episodi di vomito o diarrea) nel caso in cui lo stesso si fosse infettato, al Sine di consentire una diagnosi precoce e una maggiore possibilità di sopravvivenza del cane.

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