Theriaké Gennaio/Febbraio 2021

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Ars veterinaria

PARVOVIRUS NEL CANE Carmen Carbone*

I

l più importante virus enterico che infetta i canidi è il parvovirus canino di tipo 2 (CPV-2). Il CPV-2 è un virus estremamente contagioso che causa un’elevata morbilità con maggiore incidenza nei rifugi, nei negozi di animali e negli allevamenti. La malattia è caratterizzata da un rapido decorso clinico che spesso esita nella morte entro 2-3 giorni dopo la comparsa dei segni clinici in ospiti non protetti. Può colpire cani di qualsiasi età, ma l’infezione grave è comune nei cuccioli di età compresa tra 6 settimane e 6 mesi. Tutte le razze sono sensibili alla malattia, sebbene le razze pure risultino maggiormente suscettibili [1]. Il CPV (parvovirus canino) appartiene alla famiglia Parvoviridae e al genere Parvovirus; è un virus a DNA monocatenario, a simmetria icosaedrica e nudo (sprovvisto di envelope di rivestimento), composto da circa 5000 nucleotidi [2]. L’assenza di envelope rappresenta la principale arma di difesa del virus in quanto gli consente di resistere nell’ambiente esterno (Sino a 6 mesi), e lo rende insensibile alle variazioni di pH ed ai comuni solventi lipidici: questo aspetto spiega perché un cucciolo può morire pur non essendo stato a contatto con un soggetto malato, ma semplicemente tramite la contaminazione ambientale. Come gli altri virus a DNA a singolo Silamento, mostra un elevato tasso evolutivo che ha causato una notevole variabilità a livello nucleotidico e amminoacidico. FPV e CPV-2 Tutte le ricerche effettuate hanno chiaramente evidenziato che CPV-2 costituisce una deriva antigenica del virus della panleucopenia felina (FPV) formatasi intorno al 1970. CPV-2 si diffuse inizialmente in diverse specie di carnivori selvatici (visone, orsetto lavatore, volpe, ecc…) e intorno al 1977-1978 fece la prima comparsa nel cane. Dopo un’iniziale pandemia alla quale conseguirono numerosi decessi, il virus originario scomparve per poi riemergere intorno agli anni ’80 sotto forma di varianti antigeniche denominate CPV-2a e CPV-2b. Più recentemente è emersa la variante CPV-2c, oggi ampiamente distribuita [3], isolata nel 2001 da un gruppo di ricercatori dell’Università di Bari. Questi, tramite osservazioni di campo, hanno confermato la sua ampia diffusione in diverse zone di Italia e in

E u r o p a e i l s u o maggiore potenziale patogeno per cani di età superiore ai 6 mesi [4]. Tuttavia, uno studio recente [5] ha mostrato che il ceppo più vecchio di CPV-2c è stato isolato nel 1996, fo r n e n d o c o s ì l a prova che questa variante circolava in Germania 4 anni prima della sua comparsa in Italia. Le differenze antigeniche che si osservano tra le diverse varianti sono associate a cambiamenti del residuo 426 (Asn in CPV-2, Asp in CPV-2b e Glu in CPV-2c). Questa mutazione colpisce la principale regione antigenica (epitopo A), che si trova nella parte superiore della proteina capsidica maggiore (VP2), che a sua volta rappresenta circa il 90% dell’intero capside virale. In conclusione, sebbene i virus a DNA abbiano un tasso di mutazione inferiore rispetto ai virus a RNA, il tasso di sostituzione genomica sia per CPV che per FPV è paragonabile a quello comunemente osservato nei virus a RNA, e questo è ampiamente dimostrabile grazie all’evoluzione genetica consecutiva che il virus ha subito [6]. Sono osservabili almeno sei-sette mutazioni amminoacidiche tra FPV e CPV-2, e almeno cinque-sei mutazioni tra l’originario CPV-2 e le sue varianti CPV-2a e CPV-2b. Queste piccole differenze rendono il CPV un importante modello per lo studio dell’evoluzione virale. In vitro, mentre l’FPV replica efSicacemente solo nelle linee cellulari feline, il CPV può infettare con la stessa efSicacia sia cellule di origine felina che canina. In vivo invece, l’originario CPV non replica nelle cellule feline, mentre le varianti CPV-2a/b hanno riacquisito la capacità di replicare negli ospiti felini. In diverse parti del mondo sono stati infatti riportati tra i felini selvatici e domestici casi di panleucopenia felina causati dalle varianti 2a e 2b; così come per la nuova variante CPV-2c il primo caso nel gatto è stato segnalato in Italia, sebbene non siano state descritte le condizioni cliniche del paziente, i parametri ematologici e l’outcome dell’infezione. Più

*Medico veterinario

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Anno IV n. 31 – Gennaio – Febbraio 2021


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