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La città che sale di Umberto Boccioni

DI GIUSEPPE FRASCAROLI

“La città che sale” è un dipinto a olio su tela di cm 199,3 × 301 realizzato dal pittore italiano futurista Umberto Boccioni (Reggio Calabria, 1882 – Verona, 1916) tra il 1910 ed il 1911 durante la contemplazione dei lavori in un cantiere di Milano, e oggi conservato al Museum of Modern Art di New York.

Il bozzetto preparatorio è esposto nella Pinacoteca di Brera a Milano. Questo dipinto è il primo e grandioso capolavoro con cui “l’anima avventurosa e inquieta” di Umberto Boccioni, come lo definiva Marinetti, presentò al mondo la pittura futurista. In quest’opera viene in parte trascurata la visione naturalistica dei pregressi dipinti, per lasciare spazio ad una visione più movimentata e dinamica. Per l’artista “la città che sale” doveva essere un simbolo “un nuovo altare vibrante di dinamica” innalzato alla vita moderna, di cui la città con il brulicare di persone, carrozze con cavalli, macchine industriali, edifici, era uno dei maggiori emblemi. Nell’opera si vedono palazzi che stanno per essere edificati in una periferia di città, mentre spuntano ciminiere e impalcature solo nella parte superiore destra. La maggior parte della tela è invece occupata da uomini e cavalli, insieme amalgamati in uno sforzo dinamico. In questa maniera Boccioni enfatizza alcuni tra gli principi più caratteristici del futurismo, come ad esempio la celebrazione del lavoro dell’essere umano e la rilevanza della città moderna conformata sui bisogni dell’innovativa idea di uomo del futuro. Quello che allinea e adegua perfettamente il dipinto con il pensiero futurista è proprio la celebrazione visiva dell’energia, della velocità e del movimento, di cui sono figure di spicco uomini e cavalli. Questo è considerato un concetto peculiare che testimonia come Boccioni si muova ancora nel simbolismo, inteso come elemento misterioso e profondo che è sotto la realtà apparente, quella percepibile con i sensi, a cui si può giungere solo per mezzo dell’intuizione poetica e rendendo riconoscibile il mito attraverso l’immagine. Ed è proprio il “mito” ciò che l’artista modifica, dunque non più arcaico collegato all’esplorazione del mondo psicologico dell’uomo, ma mito dell’uomo moderno, creatore di un nuovo mondo. In pratica il proponimento dell’artista è quello di raffigurare il risultato del nostro tempo industriale.

L’individuo, pertanto, da rappresentazione di un ordinario momento di lavoro in una qualsivoglia fabbrica o cantiere in genere, si modifica nella glorificazione dell’idea del progresso industriale con la sua continua e travolgente avanzata. Sintesi di ciò ne è il cavallo trattenuto invano dagli uomini attaccati alle sue briglie: qui, il cavallo che domina nella parte centrale del dipinto è un preciso riferimento allegorico all’evoluzione accelerata, al dinamismo, alla produttività e all’esaltazione del progresso di cui si faceva portavoce il Manifesto del Futurismo di Filippo Tommaso Marinetti: nel suo furore ribelle, indomito e ormai a briglie sciolte, il cavallo si scuote e si dimena furente e nulla possono gli uomini nel tenerlo a bada; ormai il tessuto sociale si sta evolvendo, sta progredendo inesorabile e implacabile verso il futuro ed è l’uomo che deve adattarsi a quanto gli accade sotto agli occhi e non il contrario.

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