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Dio ha bisogno degli uomini
Rincorsa alle ombre. Scritti di cinema
ad evocare con analoga intensità l’ambiente marinaresco di Port-enBessin. La figura di Maria appare dettata anche da ragioni extra-artistiche: desiderio di venire incontro ai gusti di certo pubblico, all’appagamento di esigenze calligrafiche, per cui si può dire che Maria per Carné non è esistita come personaggio ma come interessante volto da fotografare. In rari momenti ella raggiunge una certa comunicativa poetica: sul molo, ad esempio, o nel colloquio finale con Chatelard, in cui certi contro campi valgono a chiarire la situazione umana dei personaggi, per il resto anonimi e fuori della realtà. (Marzo 1951)
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Dio ha bisogno degli uomini
regia: Jean Delannoy
Jean Delannoy non ama i preti: sia il pastore de La symphonie pastorale che il curato di Dieu a besoin des hommes son visti sotto una luce non benevola, ironizzati, scoperti nella loro riposta povertà morale. Il primo cerca di sedurre una cieca che aveva raccolto da piccola allevata; l’altro pone una cortina di incomprensione fra gli abitanti dell’isola di Sein, con una serie di atti scarsamente poetici; il presentarsi all’isola accompagnato dai gendarmi, il rifiuto alla richiesta di dar cristiana sepoltura ad un suicida benvoluto da tutti, la mancanza di tatto nei rapporti col sagrestano, unico possibile intermediario fra lui e la gente, le stesse dure parole che hai nei confronti dell’adultera che, inginocchiatasi davanti a lui, non osa poi, intimidita dal silenzio della folla, condurlo alla canonica: “Allora potevate far a meno di inginocchiarvi!” . Quasi che l’inginocchiarsi fosse un male se seguito da una incertezza nell’ ubbidienza, ragionamento del tutto gretto e meschino che da solo basta a mettere in cattiva luce la figura del curato. Ma laddove la cieca aveva reagito alla violenza fisica che dall’ uomo di chiesa stava per esserle fatta, gli isolani non reagiscono alla violenza morale portata dal curato, dal “continentale” , alla loro inciviltà, al loro vivere primitivo. Diversità apparente, in quanto in entrambi i casi trionfa l’identico pessimismo di Delannoy: la fanciulla del racconto gidiano muore tra le nevi, Thomas
Guido Gerosa
il sagrestano si arrende e decide di farsi perdonare. In entrambi casi, il pessimismo conduce da una concezione ad un’altra: soffocato il germe protestante che allignava, si fanno strada le posizioni cattoliche. Non mi pare che si possa parlare qui di compromesso o di “happy end-teologico” , com’è stato fatto: allo stesso modo che non si può parlare di happy end politico, mettiamo, ne La terra trema.Al contrario trattasi di un triste finale teologico. Questo almeno appare dal confronto con La symphonie pastorale: se l’evidenza dei fatti non lo impedisse, anche lì si potrebbe avanzare l’interpretazione che a molti è piaciuta nel caso di Dieu a besoin des hommes, di una concezione protestante, anti-religiosa, con soluzione conformistico-cattolica. Il pastore ama la bella cieca di un amore sensuale, diabolico, simile a quello del vittorughiano padre Claude per la bruna Esmeralda: dove mai si potrebbe trovare un tema più anti-religioso, più anticlericale, di un anticlericalismo che sfiora persino il feuilleton? Ma - prosegue la storia - il pastore non può possedere la giovine perché ella sì uccide ed allora egli rinunzia (per forza) alle sue brame: finale che se la tragedia e loro ore non lo impedissero, se il pessimismo non fosse così trasparente da escludere ogni altra possibile interpretazione, potrebbe dar luogo all’equivoco in cui si è caduti a proposito di Dieu a besoin des hommes: il prete non ha peccato, si è salvato dalle tentazioni, quindi si tratta di un “happy and teologico” . Un morto è ciò che manca al finale di Dieu a besoin des hommes (veramente un morto c’è: Giuseppe, ma ha il torto di non essere il protagonista) perché lo si interpreti rettamente: è un finale pessimista, in cui il protestante Delannoy vede i suoi uomini di Sein umiliati, abbassati, costretti a cedere al continente. E l’inquadratura finale diThomas che grida “È ora di farci perdonare: andiamo a messa” , dopo aver baciato il povero volto di Giuseppe suicida, ha l’identico valore che assume, ne La symphonie pastorale, il primo piano di Gértrude morta con gli occhi aperti. Ribellione infranta. Se al posto di Thomas si fosse messo un pappagallo, in chiesa, sarebbe stato lo stesso: Thomas è stato uno sciocco. Si tratta di un amaro pessimismo, cieco in fondo, perché non saprebbe trovare vie d’ uscita diverse da quelle adottate da Thomas e Gértrude; a chi chiedesse “Che potrebbero fare gli isolani di Sein senza il prete?” oppure “È necessario uccidersi per sfuggire alle impure profferte di un
Rincorsa alle ombre. Scritti di cinema
indegno pastore?” , Delannoy, chinando il capo, risponderebbe, come Thomas al curato “Non so” . Si può anche vivere senza messa, coerentemente all’antireligiosità di Delannoy, gli isolani potrebbero anche continuare così, senza prete; e non è necessario uccidersi per sfuggire il peccato, si deve trovare in sé la forza morale per vincerlo. Ma un artista non è un filosofo od un teologo, e spesso lascia non risolti i problemi che suscita nel suo mondo: e Delannoy sospinge i sui problemi nel vicolo cieco di un pessimismo amaro ed inconcludente. Questo significato, almeno per me, il finale di Dieu a besoin des hommes.
Delannoy si chiude nella torre da Borio del suo pessimismo: ma in questo lume di sfiducia egli crea un mondo, dei personaggi indimenticabili. E bisogna elogiare la sua abilità inconsueta di psicologo, la sua finezza nel leggere addentro nel cuore umano, la delicatezza del vigore nello scolpire caratteri delle sue “personae poeticae” . Se Gértrude può essere considerato un personaggio manchevole per lo scarso equilibrio dimostrato dal Nostro sul filo teso tra la descrittiva psicologica ed il romanzo d’appendice (pericolo che Gide poteva evitare ma un Delannoy non in perfetta forma no), gli isolani di Sein, il sagrestano, Giovanna, Scolastica, Giuseppe, la pazza sono figure esemplari costruite con una misura ed una abilità psicologica singolari. Ed in funzione psicologica e vissuto tutto il film, dall’ambiente ai particolari, dalla ricostruzione storica alla magnifica recitazione: il tutto concorrente a creare un quadro superbo di vita primitiva, di passioni elementari, di moralità complessa appunto per l’elementarità e quindi la fondamentalità dei problemi su cui sorge.
Regge questa descrizione uno stile ricco e sicuro, che ridonderebbe nella calligrafia se il contenuto così concettoso non lo giustificasse (vedi La terra trema); ogni situazione è risolta nel modo migliore, con inquadrature e montaggio rispondenti pienamente al valore umano, emotivo, psicologico di essa. E la maggior ricchezza formale si ha nelle sequenze più dense di contenuto umano: quella, a torto spregiata per il suo preteso eccessivo naturalismo (ma anche Baudelaire e Verga furono spregiati per questo), della donna in doglie nella barca, in cui il dolore della donna, ben diversamente che nell’epilettico e melodrammatico finale di Stromboli è messo in risalto dalla stessa “musica visiva” dei qua-