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Cielo sulla palude
Guido Gerosa
tutta nel movimento spaziale, continuo, bello, compientesi nei quadri fissi cari a Ford; e l’avanzare ritmato delle persone da destra verso il centro del quadro, lo spostarsi dell’attenzione verso la grande motosilurante che ondeggia nel mezzo, danno il senso del movimento dell’esercito, del concretarsi di quella nuova epopea dello spirito americano, che fu la lotta di Bataan, di Luzon, di Corregidor. (Dicembre 1949)
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Cielo sulla palude
regia: Augusto Genina
Cielo sulla palude è una delle opere più interessanti ed impegnative viste ultimamente, ricca com’è di pregi ed anche di difetti; e rivolta verso problemi sociali, psicologici e stilistici. Veramente, l’angoscioso “grido sociale” pianto sulla miseria umana ed insieme atto di accusa, è escluso dal film di Genina che risolve il problema sociale posto - la condizione umana dei lavoratori del malaricoAgro Pontino, con una quieta concezione che potremmo chiamare “della Provvidenza” . Genina non intende loro lotta sociale come una ribellione dell’ uomo spinto da passioni interessi di classe. Per lui, i casi umani sono regolati dalla Provvidenza che, anche quando ci manda delle disgrazie, prepara gioie più certe e trasmuta in bene quello che, dal nostro limitato il relativo punto di vista, ritenevamo male. A Dio si crede o non si crede. Non fare cose cattive, arresto ci penserà la Provvidenza - questa è l’etica dei Goretti, rassegnati e speranzosi fronte agli schiaffi della vita.
Il centro dell’opera non è però la Provvidenza o l’ansia sociale, quanto la tragedia di un animo, quello della candida Maria Goretti, la quale fu realmente uccisa da un giovane che invano aveva tentato di farla sua, agli inizi di questo secolo. È inteso che in queste note mi riferirò ai caratteri psicologici della Maria Goretti di Genina, e non di quella vera. Fanciulla prevalentemente inclinata al senso nell’accezione vichiana, cioè a divinizzare e teologizzare tutto ciò che la circonda, ella avverte dappertutto, nella realtà, simboli visioni e fantasie: si spiega
Rincorsa alle ombre. Scritti di cinema
così la poetica adorazione per il mare “quasi grande come il cielo” nelle cui onde azzurro chiare costellate di spume intuisce forse l’eterna armonia della creazione, così l’estasi di fronte alla chiaroscurale campagna del tramonto, che parla di musica, di chiesa, di paradiso, di Dio. Ed allorché il vecchio contadino le dice, in tono oscuramente profetico, della serpe che “si vendica ed uccide chi l’ha colpita” , se non la si previene, Maria ci pensa su, e ricerca quasi una spiegazione simbolica di quelle parole così dure. Il contrasto che la spezza è quello delle anime mistiche, tra l’amore e la fede, tra la vita che è amore, che è esistenza febbrile, e la morte che è la non-vita, il riposo, un gaudio trascendente (e Maria pensa che deve dare le stesse emozioni del vedere il mare turchino o dell’ udire la musica in chiesa). La creatura fantasiosa, portata ad ingrandire e divinizzare ciò che non conosce, ripudiate confusamente le cose cattive, si sente attrarre irresistibilmente dalla morte, da questa non-vita strana e bella appunto per il suo mistero. E qui si rivela una debolezza di analisi psicologica. Maria decide per la morte dopo che conosce la vita, l’amore trionfa su questi sentimenti, affermando la sua santità: tra Dio e il mondo sceglie Dio. Le sue reazioni prima della scelta e del conseguente martirio, la conoscenza del male, la tragedia del suo animo, non sono sufficientemente spiegate. Perché Maria, essere mitico e quindi passionale e facilmente mutevole non cede adAlessandro? Quali sono i “moti” che la inducono alla morte? Manca, in parte, quella poesia dell’adolescenza che si tramuta in maturità, della vita che si manifesta, quella poesia di Ditte Menneskebarn. E forse ciò è da imputarsi alla vena di Genina, che, salvo in alcuni momenti (sequenza della “preghiera serale” e del “mare”) non è un regista-poeta. D’altronde gioca in queste insufficienze drammatiche uno dei principali pregi (o difetti?) Del film: il pittoricismo. Si avvertono assai l’influenza pittoriche che vanno da Segantini a Patini: certi cieli densi di “colore” , la stessa composizione del quadro con la dosatura di effetti chiaroscurali che che valgono a mostrare le grandi possibilità di Ines Orsini, affatto conscia della sua posizione nel quadro ed a volte esempio di pudovkiniano attore illuminato. Se talora questa pittura crea la voluta atmosfera di “suspense “lirica quasi in isolamento dal tempo e dallo spazio, astrazione dalla realtà che, proprio in quanto astrazione, può essere espressa in toni non ci-