INNOVAZIONE MADE IN ITALY LE CONCERIE ALLA RISCOSSA Sempre più attente alla sostenibilità Parlano i protagonisti
«A ecologisti e vegani diciamo: non demonizzate la pelle! E soprattutto informatevi» Incalzati da animalisti e ambientalisti, che chiedono una moda senza più l’impiego di pelli (e pellicce), gli industriali del settore conciario passano al contrattacco e spiegano le loro ragioni: «Diffidate dalle alternative cosiddette ecologiche. Il pellame è organico, di lunga durata, soprattutto frutto di un percorso circolare. E le aziende italiane sono le prime al mondo per qualità e tecniche di produzione sostenibile» DI CARLA MERCURIO
C’è un argomento che mai come in questo momento fa infuriare Fulvia Bacchi, direttrice generale di Unic-Unione Nazionale Industria Conciaria, e tutti gli imprenditori italiani del settore. È l’attacco di animalisti e ambientalisti, i quali chiedono di porre fine all’uso di pelli (e pellicce) nella moda perché, sostengono, l’industria conciaria è altamente inquinante per il pianeta e perché costringe ogni anno al sacrificio di centinaia di milioni di animali. A guidare l’esercito degli attivisti c’è, come si sa, una Stella McCartney sempre più agguerrita, tanto da dichiarare apertamente in occasione dell’ultimo Cop26 di Glasgow, che «pelli e pellicce andrebbero vietate per legge». Ma il settore non ci sta: ha le sue ragioni e vuole farle valere. Parliamo di un’industria che conta 1.200 aziende rappresentate da Unic, con 17.500 addetti, un fatturato di circa 5 miliardi di euro l’anno e l’export che copre il 75% della produzione, destinata per il 40% circa alla calzatura, il 30% alla pelletteria e a seguire all’arredo e all’automotive. Un comparto, spiega Fulvia Bacchi, articolato nei quattro distretti di Veneto (il più grande, focalizzato principalmente su arredo e auto motive), Lombardia, dove ci sono alcune aziende di eccellenza che lavorano pelli ovine e vitelline per la moda, Toscana, seconda area molto incentrata sul fashion con ogni tipologia di pelle e lavorazione e Campania, a Solofra, dove si lavorano pelli ovine per pelletteria e abbigliamento. Un settore che da anni, come ci raccontano i suoi protagonisti, investe sulla ricerca e lo sviluppo, per mettere a punto articoli sempre più performanti e, soprattutto, sostenibili, intervenendo a livello sia di processo che di prodotto, con un accento marcato sulla circolarità. Proprio quest’ulti52
Abito in camoscio laserato di Ferragamo della SpringSummer 2022 1
Il 77% degli scarti conciari è recuperato e riutilizzato come materia prima per altre industrie ma parola è il vessillo degli specialisti. «Noi non ammazziamo nessun animale, ma usiamo le pelli di scarto provenienti dall’industria alimentare, che altrimenti andrebbero smaltite, con grande dispendio a livello economico e notevole impatto sull’ambiente», risponde ai detrattori Fulvia Bacchi. «Il nostro prodotto esiste da sempre e sempre esisterà, fin quando la gente si alimenterà di carni. Non altrimenti dicasi per le alternative sponsorizzate dai vegani - chiarisce -. ll consumatore è bombardato di messaggi che propongono materiali a base di funghi, cactus o ananas, che sono ancora da testare. Ma molti di questi non sono altro che plastica». «Se la pelle è un materiale bio-based al 90%, le so-
luzioni cosiddette ecologiche lo sono solo al 40% - interviene Vito Marino, direttore di stabilimento di Bonaudo, conceria di Cuggiono in provincia di Milano -. Parliamo di prodotti che non hanno una struttura meccanica e che si sfaldano facilmente, a differenza della pelle, richiedendo per questo l’impiego di resine di origine sintetica derivate del petrolio. Allora io domando ai vegani: se gli oceani sono infestati da isole di plastica, che poi nel tempo diventa microplastica ed entra nella catena alimentare, qualcuno ha mai visto nel mare delle isole di pelle?». «Purtroppo c’è tanta disinformazione, perché molti dei proclami green hanno portato il consumatore a una percezione distorta della realtà. Per questo insieme a Unic, Lineapelle e Confindustria Moda, lavoriamo per promuovere la formazione a 360 gradi per sensibilizzare il settore. Mi spiace notare che nell’area fashion ci sia molta disinformazione apparente riguardo il settore conciario: forse si punta solo a cavalcare i trend del mo-