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LE RICERCHE DI LUIGI F IORANI NELL’ A RCHIVIO SEGRETO VATICANO

Malgrado le tante e tante ricerche condotte da Luigi Fiorani in svariatissimi fondi dell’Archivio Segreto Vaticano per lo spazio di trentanove anni, inutilmente si cercherebbe il suo nome nei registri degli studiosi del medesimo Archivio: egli non vi compare mai.

Il fatto si spiega naturalmente con la figura di Luigi Fiorani, nominato archivista della Biblioteca Apostolica Vaticana il 17 giugno 1969; in tale veste egli godeva di una assai comoda convenzione che esisteva – e ancora esiste – fra l’Archivio Vaticano e la confinante Biblioteca Apostolica: quella di passare direttamente, senza alcuna formalità, dalle sale della Biblioteca a quelle dell’Archivio, e qui compiere con libertà le indagini che avesse voluto, chiedendo anche in prestito le buste, i fascicoli o i volumi di suo interesse, con la semplice compilazione di uno speciale bollettario. Il che Luigi Fiorani ha fatto fino al 30 settembre 2003, quando raggiunse la pensione.

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Se non vado errato le prime ricerche che Fiorani compì nei numerosi inventari dei fondi dell’Archivio Pontificio rimontano al 1976, in vista della sua prima monografia, Il Concilio Romano del 1725, pubblicata nel 19771. Con questo studio si può dire che Fiorani istituisse uno stile di ricerca, scegliesse ormai una tematica che lo distinguerà a lungo e cercasse alcuni legami culturali ed editoriali ai quali rimarrà fedele nel prosieguo degli anni.

Lo stile di ricerca è quello che ben conosce chi ha letto i saggi di Fiorani: vaglio della più ampia bibliografia possibile sul tema che intendeva trattare, quindi scandaglio in diverse direzioni anzitutto nei fondi manoscritti dell’Archivio Vaticano e della Biblioteca Vaticana, quindi negli altri archivi e biblioteche di Roma, specie in quelle religiose. Tant’è vero che sul Concilio Romano di Benedetto XIII egli incrocia diversi fondi dell’Archivio Vaticano e della Biblioteca Apostolica, parte dei quali (e di sicura rilevanza) fu egli

1 l. fiorani, Il Concilio Romano del 1725, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1978; l’opera fu edita nel 1977, anche se in copertina è indicato per errore il 1978.

(stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it stesso a porre in risalto per primo, ivi compresi i «14 codici da tempo messi insieme in una raccolta unitaria (…) totalmente sconosciuti finora», ovvero proprio i 14 manoscritti che oggi formano il fondo denominato «Concilio Romano» dell’Archivio Segreto Vaticano. A dire il vero questo fondo «totalmente sconosciuto» non era, perché ne aveva dato notizia Angelo Mercati, allora prefetto dell’Archivio, in un suo saggio del 1942, ma fu Fiorani che li descrisse e li utilizzò per primo2. Accanto a questo fondo Fiorani ricorse (limitandoci a citare i documenti dell’Archivio Vaticano) al Fondo Albani, al Fondo Bolognetti, al Fondo Fini, alla Segreteria di Stato, Francia, all’Archivio della Nunziatura di Napoli, alle Lettere di cardinali della Segreteria di Stato, alla Secretaria Brevium.

La tematica che Fiorani affrontò in questo suo vasto saggio è quella a cui dedicherà poi l’intera sua vita di studioso: la storia religiosa di Roma, del suo popolo, del suo clero, dei monasteri e conventi, delle case religiose, delle associazioni di pietà (per dirla con il sempre ricordato don Giuseppe De Luca), della carità, dell’erudizione ecclesiastica di grandi figure. Insomma –come scriveva lo stesso Fiorani nella Premessa al primo numero della rivista «Ricerche per la storia religiosa di Roma» – quella «storia religiosa» altra da quella del grande organismo ecclesiale o delle istituzioni curiali romane o della corte; la storia religiosa «vissuta dalla società romana al di fuori delle corti laiche o ecclesiastiche e delle loro politiche, con un ritmo esistenziale che prendeva forma e sostanza dal proprio territorio, dalla propria cultura, dal proprio sistema socio-economico»3.

I legami culturali ed editoriali erano già evidenti in questo lavoro: vicinanza alle Edizioni di Storia e Letteratura di don De Luca (sacerdote e studioso che costituì per Luigi Fiorani un modello e una scuola) e le collane di storia religiosa e sociale dirette allora da Gabriele De Rosa. In seno alle Edizioni di Storia e Letteratura Fiorani volle che nascesse la sua creatura, da lui tanto amata e curata fino alla fine dei suoi giorni, la rivista «Ricerche per la storia religiosa di Roma», progettata nel 1976, il cui primo numero usciva nel luglio dell’anno dopo.

Fu nell’ampio articolo sulle monache e sui monasteri di Roma nell’età del Quietismo, pubblicato nel primo numero delle «Ricerche per la storia religiosa di Roma» 4, che Fiorani individuò un filone di indagine nelle fonti dell’Archivio Pontificio suscettibile, oltre il suo medesimo saggio, di futuri sviluppi per la storia religiosa di Roma, ovvero i preziosi verbali delle visite apostoliche compiute nell’Urbe periodicamente da vari pontefici fra il XVI e il XIX secolo. Egli faceva ricorso nel suo lavoro ai volumi delle visite conservati nell’Armadio VII della Miscellanea (già Misc. Arm. I-x V ), affiancati da documentazione consimile, un tempo nel medesimo Armadio VII, poi passata, a seguito di una maldestra e persino ingiustificabile operazione archivistica, fra i Vaticani latini della Biblioteca Vaticana 5 .

2 La descrizione dei 14 manoscritti in fiorani, Il Concilio, pp. 11-14.

3 «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 1 (1977), p. 5.

4 l. fiorani, Monache e monasteri romani nell’età del Quietismo, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 1 (1977), pp. 63-111.

Le visite apostoliche a Roma furono perciò indicate da Fiorani al sottoscritto nel 1978 (appena assunto come Scriptor in Archivio Vaticano) perché ne curassi il censimento e la descrizione per un repertorio di cui egli avvertiva la necessità, pronto a pubblicarlo, come poi fece, nelle medesime «Ricerche»; il che avvenne nel 1980, in parallelo, diremmo, ad un corposo saggio dello stesso Fiorani6. Io stesso, dopo averne riferito a Fiorani, tornai sui documenti delle visite apostoliche con un saggio sugli esposti di Santo Spirito nel primo Ottocento, attingendo in pratica alla visita agli ospedali di Roma condotta da Leone XII dal 1824 al 18287.

Si schiudeva così ai ricercatori, per la buona intuizione di Fiorani, una fonte poco nota dell’Archivio Vaticano, alla quale ricorsero e ricorrono molti fino ad oggi (e non solo per la storia religiosa di Roma), tanto che anche di recente è stata nuovamente rilevata l’importanza della documentazione sulle visite apostoliche8.

Seguendo (io credo) un programma di studi settoriali sempre più specifici in ambito della pietà cristiana vissuta a Roma, Fiorani volle dedicare nel

5 Si veda in argomento s pagano, L’ Archivio Segreto Vaticano e la prefettura di Angelo Mercati (1925-1955). Con notizie d’ufficio dai suoi «Diari», in Dall’Archivio Segreto Vaticano. Miscellanea di testi, saggi e inventari, V, Città del Vaticano, Archivio Segreto Vaticano, 2011, pp. 73-113.

6 id., Le visite apostoliche a Roma nei secoli x VI-x Ix. Repertorio delle fonti, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 4 (1980), pp. 317-464; l fiorani, Le visite apostoliche del Cinque-Seicento e la società religiosa romana, ibidem, pp. 53-148.

7 s pagano, Gli esposti dell’ospedale di S. Spirito in Sassia nel primo Ottocento, ibidem, 3 (1979), pp. 353-392.

8 «Dopo l’intensificarsi e l’approfondirsi degli studi sulle chiese di Roma (…), si rende sempre più necessario attingere in modo più specifico e capillare alle fonti descrittive manoscritte e specialmente a quelle finora meno sfruttate, tra cui si debbono ricordare, tra l’altro, le Sacre Visite Apostoliche dell’Archivio Segreto Vaticano, ormai di facile consultazione dopo la accuratissima catalogazione proposta a suo tempo da S. E. mons. Sergio Pagano, Prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano, e comparsa nel vol. IV del periodico Ricerche per la storia religiosa di Roma, del 1980» (f. guidobaldi – c. angelelli, La «Descrittione di Roma» di Benedetto Mellini nel codice Vat. Lat. 11905, con la collaborazione di l. spadaro e g. tozzi, Città del Vaticano, Pontificio Istituto di Archeologia Cristiana, 2010, pp. 5-6).

1984 un intero numero delle «Ricerche» ad una vasta disamina delle confraternite romane con un ampio spazio cronologico, dal movimento francescano del Duecento fino alla Roma di fine Ottocento9. Suo il compito, che si assumeva ad ogni numero della rivista, di inquadrare il fenomeno specifico nel più ampio panorama della vita religiosa romana10. Per la prima volta in questo volume venivano censiti e variamente descritti dagli autori gli archivi delle confraternite presenti in Archivio Vaticano ed anche Fiorani su questi si soffermava nel citato suo saggio: Gonfalone, SS. Crocifisso in S. Marcello, Beata Vergine della Cintura ai SS. Trifone e Camillo de Lellis, S. Maria della Pietà dei Carcerati (studiata da Vincenzo Paglia fin dal 1980).

Il «tema inesauribile e largamente inesplorato delle confraternite romane» (sono parole di Fiorani) venne ripreso nel 1985 con il numero 6 delle «Ricerche», interamente dedicato ad un vastissimo e ragionato repertorio degli archivi delle confraternite romane, bilancio e premessa insieme di nuove fasi di ricerca. Ancora una volta Fiorani tracciava una panoramica degli studi sulle confraternite romane degli ultimi cento anni11. Erano censiti e descritti, ovviamente, gli anzidetti archivi delle confraternite romane posseduti dall’Archivio Segreto Vaticano (schede di Giulia Barone, Sergio Pagano, Vincenzo Paglia).

Ad una bolla di Alessandro VI del 20 dicembre 1499 al penitenziere maggiore ricorreva Fiorani per il suo saggio sugli anni santi del XVI e XVII secolo12.

Al fondo Albani, alla Miscellanea, al fondo Gesuiti, alla Congregazione della Visita Apostolica nell’Archivio Vaticano ricorse Fiorani (fra altre fonti) per il suo saggio sull’identità del prete romano del 198813.

In vista di un numero monografico delle «Ricerche» che Fiorani volle dedicare al Modernismo romano nel 1990 parlammo a lungo del «disperso» archivio di mons. Umberto Benigni, figura primaria dell’intransigentismo modernista alla curia di Pio X e di Benedetto XV. Tanto il sottoscritto che Fiorani eravamo a conoscenza di una «voce» che voleva quelle carte essere custodite nell’Archivio Vaticano, nei cui fondi però non erano mai apparse. Toccò a me il fortunato ritrovamento del cosiddetto Fondo Benigni, «oscurato» alla ricerca storica perché conservato entro anonimi contenitori «Buffetti», privi di titoli esterni; ne diedi subito comunicazione a Fiorani, che volle la primizia per la sua rivista14 e ne anticipò i frutti nel suo saggio nelle «Ricerche» del medesimo 199015. In questo medesimo articolo Fiorani ricorreva per la prima volta in maniera più estesa che in precedenza all’archivio della Segreteria di Stato per gli anni 1900-1922.

9 La storiografia confraternale e le confraternite romane, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 5 (1984); saggi di g barone, p pavan, a esposito, s di mattia spirito, l fiorani, v paglia, g mira, m borzacchini, a serra, m piccialuti caprioli, a cavallaro, s rossi, c strinati e a. vannugli.

10 l. fiorani, L’ esperienza religiosa nelle confraternite romane tra Cinque e Seicento, ibidem, pp. 155-196.

11 id , Discussioni e ricerche sulle confraternite romane negli ultimi cento anni, ibidem, pp. 11-105.

12 id , Gli anni santi del Cinque-Seicento e la confraternita della SS. Trinità del Pellegrini, in Roma sancta. La città delle basiliche, a cura di m. fagiolo – m. l. madonna, Roma, Gangemi, 1985, pp. 85-90 (ASV, A.A., Arm. I-x VIII 1499).

13 l. fiorani, Identità e crisi del prete romano tra Sei e Settecento, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 7 (1988), pp. 135-212.

Sempre nel 1990 abbiamo un breve lavoro di Fiorani sulle edicole sacre nella vita religiosa di Roma fra XVI e XVIII secolo, pubblicato nel Catalogo dell’omonima mostra a Palazzo Braschi16; in esso Fiorani fa ricorso ancora alla Miscellanea dell’Archivio Vaticano (Armadio VII) per cavarne notizie dai verbali delle visite apostoliche.

In altri due saggi del 1990 e del 1999 Fiorani fece un ragionato uso delle Relationes dioecesium della Congregazione del Concilio per ciò che riguardava Velletri e Terracina17

Con il saggio Città religiosa e città rivoluzionaria (1789-1799), pubblicato nel 199218, Luigi Fiorani spostava la sua attenzione di storico sulla Roma dei papi durante la bufera giacobina e poi napoleonica; campo di indagine che amplierà in altri saggi successivi, anche con la collaborazione di Domenico Rocciolo. Qui Fiorani affronta alcuni fondi dell’Archivio Vaticano legati allo specifico soggetto, quali la Segreteria di Stato di fine Settecento (nelle sue serie Spagna, Venezia, Francia, Germania), l’archivio della Nunziatura a Venezia, quello della Congregazione dei Riti, della Delegazione in Paraguay e Uruguay (detta impropriamente Delegazione Di Pietro), il fondo Epoca Napoleonica (Italia). Si trattava però di una investigazione in certo modo preliminare, che nei lavori successivi che Fiorani riserverà ancora alla rivoluzione francese sarà di molto ampliata e meglio strutturata.

14 s pagano, Documenti sul modernismo romano dal Fondo Benigni, ibidem, 8 (1990), pp. 223-300; id., Il Fondo di mons. Umberto Benigni dell’Archivio Segreto Vaticano. Inventario e indici, ibidem, pp. 347-402.

15 l. fiorani, Modernismo romano, 1900-1922, ibidem, pp. 75-170, specialmente pp. 159-168.

16 id , Le edicole nella vita religiosa di Roma tra Cinque e Settecento, in Edicole sacre romane. Un segno urbano da recuperare, a cura di l cardilli, Roma, Fratelli Palombi Editori, 1990, pp. 96-106.

17 id. La vita religiosa a Ninfa nelle visite pastorali post tridentine, in Ninfa una città, un giardino. Atti del Colloquio della Fondazione Camillo Caetani, Roma-Sermoneta-Ninfa, 7-9 ottobre 1988, Roma, «L’ Erma» di Bretschneider, 1990, pp. 178-179 (Velletri); Aspetti della vita religiosa a Sermoneta nell’età moderna, in Sermoneta e i Caetani. Dinamiche politiche, sociali e culturali di un territorio tra Medioevo ed Età moderna. Atti del Convegno, RomaSermoneta, 16-19 giugno 1993, a cura di l. fiorani, Roma, «L’ Erma» di Bretschneider, 1999, pp. 292, 294-298 (Terracina).

18 id., Città religiosa e città rivoluzionaria (1789-1799), «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 9 (1992), pp. 65-154.

Nel 1995 Fiorani contribuiva alla rilettura critica della figura del barnabita Giovanni Semeria con un importante saggio dal titolo Semeria «romano»; qui usava ancora alcune fonti dell’archivio della Segreteria di Stato19

Per loro conto le «Ricerche», sempre nel 1998, volgevano altra volta pagina e si occupavano con un numero monografico delle «conversioni e strategie della conversione a Roma nell’età moderna». Fiorani illustrava il fenomeno per il XVI e XVII secolo con un saggio di ben 96 pagine 20, nelle quali, quanto all’Archivio Pontificio, muovendosi con agilità fra i fondi dell’Età moderna e barocca anche nel particolare tema delle conversioni al cattolicesimo, sapeva trovare nuovi apporti documentari, come l’archivio dell’Ospizio dei Convertendi, di cui io stesso allora stavo curando l’inventario e un saggio annesso, che pubblicai nello stesso numero delle «Ricerche»21, un prezioso volume della Miscellanea, Armadio II e ancora alcuni volumi di Decreta delle visite apostoliche a Roma.

Nel 2000 si pubblicava il volume XVI degli Annali della Storia d’Italia Einaudi, curato da Luigi Fiorani e Adriano Prosperi: Roma, la città del papa22; il volume accoglieva contributi diversi sulle sfaccettature della vita religiosa e civile di Roma dal 1300 al 2000 e Fiorani ritagliò per sé ancora l’argomento a lui caro della pietà del popolo: «Charità et pietate», ovvero l’azione delle confraternite e dei gruppi di devoti nell’Urbe rinascimentale e barocca 23. Facendo qui profitto dei suoi precedenti studi sull’argomento, il Nostro ripercorreva le fonti confraternali dell’Archivio Vaticano, l’archivio della Congregazione della Visita Apostolica e la grande Miscellanea.

19 id , Semeria «romano» (1880-1895), «Barnabiti studi», XII (1995), pp. 7-86 (specialmente p. 65).

20 id., Verso la nuova città. Conversione e conversionismo a Roma nel Cinque-Seicento, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 10 (1998), pp. 90-186.

21 s pagano, L’ Ospizio dei Convertendi di Roma fra carisma missionario e regolamentazione ecclesiastica (1671-1700), ibidem, pp. 313-390; id , L’ archivio dell’Ospizio Apostolico dei Convertendi all’Archivio Segreto Vaticano. Inventario, ibidem, pp. 455-544.

22 Roma, la città del papa. Vita civile e religiosa dal giubileo di Bonifacio VIII al giubileo di papa Wojtyła, a cura di l. fiorani e a. prosperi, Torino, Einaudi, 2000.

23 l. fiorani, «Charità et pietate». Confraternite e gruppi devoti nella città rinascimentale e barocca, ibidem, pp. 431-476.

Alle fonti della Rivoluzione francese tornava Fiorani, con Domenico Rocciolo, nel corposo e denso volume dell’École Française di Roma, pubblicato nel 2004, dal titolo Chiesa Romana e Rivoluzione francese, 1789179924. L’ elenco delle sigle degli archivi e delle biblioteche compulsate dagli autori, che troviamo alle pp. 7-8 del volume, dice la serietà e la vastità di una indagine delle fonti, compiuta in tutte le direzioni praticabili. Quanto all’Archivio Segreto Vaticano si può ben dire che non sia sfuggito a Fiorani e Rocciolo nessun fondo documentario utile: essi ricorrono al vasto archivio della Segreteria di Stato (vari anni dell’Epoca moderna, Francia, Spagna, Germania, Baviera, Fiandra, Firenze, Venezia, Savoia, Cardinali, Vescovi e Prelati, Particolari, Spogli di Cardinali e Officiali di Curia, Legazione di Avignone, Legazione di Bologna, Legazione di Ferrara, Legazione di Romagna, Epoca Napoleonica Italia, Epoca Napoleonica Francia, Epoca Napoleonica Cardinali e Governo, Epoca Napoleonica Biglietti, Emigrati), quindi ad alcuni archivi delle nunziature apostoliche (Vienna, Colonia, Germania, Polonia, Lucerna), all’archivio della Congregazione degli Affari Ecclesiastici Straordinari (soprattutto nella serie Francia), ancora alla Miscellanea (vari Armaria), alle Epistolae ad Principes, al Fondo Garampi, al fondo Repubblica Romana I, alla Segreteria dei Brevi, all’archivio della Congregazione del Concilio e a quello dei Vescovi e Regolari.

In chiusura del volume Domenico Rocciolo ha pubblicato un utilissimo Repertorio delle fonti vaticane «per la storia dei rapporti tra Roma, le corti europee e la Francia rivoluzionaria» relativamente agli anni 1789-179925.

In tale repertorio le fonti dell’Archivio Vaticano già citate nel corso della trattazione sono puntualmente riprese e illustrate, direi anzi censite con precisione, foglio a foglio.

Due anni appresso, nel 2006, dopo un’attesa di otto anni, dovuta a questioni editoriali e amministrative, usciva il numero 11 delle «Ricerche», ancora incentrato sulla Roma religiosa nell’età della Rivoluzione francese. Luigi Fiorani si ritagliava questa volta uno spazio assai più modesto che in precedenza, soltanto 18 pagine, che impegnava per illustrare la Roma «democratizzata»26. È questo uno dei pochissimi lavori di Fiorani dove, presumo per ragioni di tempo, non vengono impiegate fonti dell’Archivio Vaticano.

24 l fiorani – d rocciolo, Chiesa Romana e Rivoluzione francese, 1789-1799, Rome, École française, 2004.

25 Ibidem, pp. 525-854.

26 l. fiorani, Roma democratizzata. La basilica di S. Pietro, il Vaticano e la Rivoluzione, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 11 (2006), pp. 85-103.

Un balzo cronologico di più d’un secolo viene impresso alle «Ricerche» nell’ultimo numero apparso, quello del 2009, dedicato alla «Chiesa, mondo cattolico e società civile durante la Resistenza». Fiorani si riserva di trattare un tema a lui molto caro: Roma città aperta (la città nel 1943-1944)27. Evidentemente egli non cita qui alcuna fonte dell’Archivio Vaticano perché queste sono consultabili a tutt’oggi fino al febbraio 1939 e non oltre. Fiorani, come altri storici, benché assetati di conoscere le fonti del pontificato di Pio XII quando saranno aperte alla consultazione, deve accontentarsi, come fa, di quel poco (che poi forse poco non è) già edito per gli anni dell’ultima guerra in Actes et documents, undici volumi a tutti noti 28 .

Quando la morte prematuramente e improvvisamente colse Luigi Fiorani (3 dicembre 2009), troncando altri progetti di studio che egli aveva in mente, mi risulta stesse lavorando su materiale dell’archivio del nunzio in Italia

Francesco Borgongini Duca all’Archivio Segreto Vaticano e forse aveva in mente di preparare per le «Ricerche» un numero monografico sulla Roma dominata dal fascismo, almeno fino al 1939, anno oltre il quale non è per ora possibile accedere alle fonti vaticane. Suppongo che quel materiale egli abbia consegnato a qualche suo collaboratore, e forse potremo vederlo edito ormai, purtroppo, in memoriam. Pochi saggi di Fiorani non menzionano fonti dell’Archivio Vaticano e noi ovviamente non ne abbiamo qui fatto parola. Questo il quadro che mi è riuscito di tratteggiare sulle molte ricerche di Luigi Fiorani nei fondi dell’Archivio Vaticano, alcuni dei quali – come ho detto – egli contribuì in certa misura a «scoprire», mentre di altri fu fecondo «dispensatore», guidando verso quelle strade nuove e promettenti della ricerca storica giovani e meno giovani suoi collaboratori che a lui devono riconoscenza.

27 id., Roma città aperta, 1943-1944, ibidem, 12 (2009), pp. 23-104.

28 Actes et documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, 11 voll. (in 12 tomi), Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1965-1981.

LE FONTI NELL’ A RCHIVIO DI STATO DI ROMA

Nel ricordare la figura ancora vivida in noi di Luigi Fiorani vorrei porre l’accento, per quanto riguarda il mio ambito di competenze, soprattutto su quegli aspetti del suo operato che hanno in qualche modo precorso quelle che sarebbero divenute di lì a poco tendenze condivise negli ambienti della ricerca sulle fonti o preposti alla loro conservazione. In primo luogo, la consapevolezza in lui molto avvertita che la peculiarità del territorio romano, contrassegnato dall’esistenza di un policentrismo conservativo recante i segni della storia passata e presente, territoriale e nazionale, dovesse necessariamente indurre organi statali, centri di ricerca, enti pubblici e privati, a mettere in campo una concertazione di risorse materiali e culturali. Difatti, ripercorrendo oggi la sua opera, ci si rende conto di come costantemente fosse ad essa sotteso un disegno di intercomunicabilità fra i vari centri di conservazione e di ricerca presenti in Roma, chiamati per sua iniziativa di volta in volta intorno a un tavolo per quelli che venivano definiti ‘colloqui’, ma che grazie al suo impulso mettevano radici profonde nell’humus intellettuale della città1.

Si apriva, proprio a cavallo degli anni ’80 del secolo scorso, una stagione in cui gli istituti di conservazione e di cultura, sia laici che religiosi, accantonando le reciproche diffidenze, iniziavano a rimuovere i recinti che dal 1870 in poi erano stati eretti a difesa ognuno del proprio ambito di competenze e di influenza. Dietro la spinta di rinnovate tendenze storiografiche si avvertiva, non solo dai ricercatori ma anche dagli stessi soggetti conservatori, l’esigenza di una circolarità del sapere e di una condivisione di risorse che rendesse possibile l’approccio ai nuovi percorsi di una storia non solo politica e quindi basata sui documenti ufficiali, ma anche sociale, delle mentalità, delle religioni, dei sentimenti.

ISBN (stampa) 978-88-6372-436-3 – www.storiaeletteratura.it

Gli archivi statali, proprio in quegli anni, rimettevano in discussione quel progetto conservativo centrato sulla salvaguardia della documentazione di provenienza statale che, delineatosi dopo la formazione dello Stato unitario, era stato fino agli anni ’60 del Novecento più volte ribadito dalla legislazione archivistica. E veniva emergendo, anche per effetto di più articolate esigenze storiografiche, l’attenzione verso le fonti non statali: archivi di parrocchie, di opere pie, di istituzioni assistenziali, culturali, economiche e così via. Entrato in crisi il modello di Stato accentrato e burocratico tardo ottocentesco, da parte dell’amministrazione archivistica cominciavano a rivedersi le strategie conservative fino ad allora messe in atto e sancite da una legislazione anch’essa affetta da vizi centralisti e burocratici 2. Se proprio a partire dal 1981 vedeva la luce quel grande monumento alla storia istituzionale e politica che era appunto la Guida generale degli Archivi di Stato italiani3, la quale necessariamente privilegiava le fonti statali conservate negli Archivi di Stato, contemporaneamente però si rivolgeva l’attenzione alla documentazione di carattere privato e si metteva in essere la Guida degli archivi di famiglie e persone4, che mirava a individuare su tutto il territorio nazionale la presenza di carte prodotte da soggetti privati. E, sempre per iniziativa della stessa Amministrazione archivistica in collaborazione con enti e istituti di ricerca, si dava corpo a operazioni di censimento e valorizzazione di singole tipologie di documentazione non statale, quali ad esempio la Guida agli Archivi della Resistenza (1983), la Guida degli Archivi lauretani (1985-1986), la Guida degli archivi economici a Roma e nel Lazio (1987).

Per quanto riguarda gli archivi religiosi, dalle accese fasi di contrapposizione del passato si andava sviluppando nel tempo un progressivo processo di convergenza fra Stato e Chiesa teso a stabilire una disciplina comune5. Le modifiche al Concordato lateranense del 1929, sottoscritte il 18 febbraio 1984 e ratificate con legge 25 marzo 1985 n. 121, introducevano il principio di un’intesa tra i competenti organi delle due parti per favorire e agevolare la conservazione e la consultazione degli archivi di interesse storico e delle biblioteche di enti e istituzioni ecclesiastiche. Lo Stato italiano, bloccato per lungo tempo da un’interpretazione estensiva dell’art. 30 del Concordato del 1929, aveva fino ad allora rinunciato alla tutela degli archivi ecclesiastici, e le stesse leggi archivistiche del 1939 e del 1963 non contemplavano tali archivi tra quelli sottoposti a vigilanza6. La revisione dei Patti lateranensi costituiva la premessa per successivi accordi tra le due parti: pertanto nel 1996 veniva sottoscritta un’intesa di carattere generale tra il Ministero per i beni culturali e la Conferenza episcopale italiana, (denominata ‘intesa VeltroniRuini’, d.p.r. 26 settembre 1996) e più tardi, nel 2000, veniva siglata un’intesa relativa ad archivi e biblioteche di enti e istituzioni ecclesiastiche (‘intesa Melandri-Ruini’, d.p.r. 16 maggio 2000). Quest’ultima, in 10 articoli, definiva distintamente per gli archivi e per le biblioteche sia gli interventi della Chiesa, sia gli interventi dello Stato, sia quelli da svolgersi in collaborazione tra le due parti7. Tali accordi costituiscono a tutt’oggi il quadro normativo di riferimento per i rapporti tra Stato e Chiesa per quanto attiene alla consultazione e alla conservazione del patrimonio documentario e librario di enti e istituzioni ecclesiastiche. Essi consentono di disciplinare in modo organico tutte le attività implicite al progetto di conservazione, comunicazione e trasmissione della memoria: dalla inventariazione al restauro, all’accesso al pubblico, al recupero dei materiali illecitamente sottratti, alla cooperazione per interventi di emergenza in caso di calamità.

2 Il d.p.r. 30 settembre 1963 n. 1409 nell’art. 1 precisava «È compito dell’Amministrazione degli archivi di Stato: a) conservare: 1) gli archivi degli Stati italiani pre-unitari; 2) i documenti degli organi legislativi, giudiziari ed amministrativi dello Stato non più occorrenti alle necessità ordinarie del servizio; 3) tutti gli altri archivi e singoli documenti che lo Stato abbia in proprietà o in deposito per disposizione di legge o per altro titolo; b) esercitare la vigilanza: 1) sugli archivi degli enti pubblici; 2) sugli archivi di notevole interesse storico di cui siano proprietari, possessori o detentori, a qualsiasi titolo, i privati». Non venivano menzionati nella legge gli archivi ecclesiastici e per lungo tempo fu dibattuta la questione se dovessero considerarsi archivi di enti pubblici o di privati.

3 Ministero per i beni culturali e ambientali-Ufficio centrale per i beni archivistici, Guida generale degli Archivi di Stato italiani, voll. 1-4, 1981-1986.

4 Ministero per i beni culturali e ambientali-Ufficio centrale per i beni archivistici, Archivi di famiglie e di persone. Materiali per una guida, voll- I-III. Il primo volume fu edito nel 1991, mentre il secondo e il terzo furono pubblicati rispettivamente nel 1998 e nel 2009.

5 Per un quadro dell’evoluzione dei rapporti fra Stato e Chiesa per quanto riguarda gli archivi ecclesiastici si vedano: o bucci, Gli archivi ecclesiastici di fronte alla legislazione statale, Dalle leggi eversive alle modificazioni del concordato, «Archiva Ecclesiae», XXVIIIXXXIX (1985-1986), pp. 73-100; m grossi, Gli archivi della Chiesa cattolica, in Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia, Storia d’Italia nel secolo ventesimo. Strumenti e fonti, a cura di c. pavone , vol. III, 2006, pp. 323-353.

6 La legge 22 dicembre 1939 n. 2006 Nuovo ordinamento degli archivi del Regno istituiva le Soprintendenze archivistiche, cui era attribuita la funzione di vigilanza sugli archivi non statali di rilevante interesse storico; successivamente il d. p. r. 30 settembre 1963 n. 1409 Legge archivistica, ridefiniva il numero e l’area di competenza di tali organismi.

7 Intesa tra il ministro per i Beni e le Attività Culturali e il presidente della Conferenza Episcopale Italiana relativa alla conservazione e consultazione degli archivi di interesse storico e delle biblioteche degli enti e delle istituzioni ecclesiastiche, Roma, 18 aprile 2000.

Il vigente Codice dei beni culturali del 2004 recepisce tali orientamenti, dedicando alla materia l’art. 9. Beni culturali di interesse religioso, in cui si ribadisce la validità dell’accordo di modifica del Concordato lateranense e delle successive leggi emanate sulla base delle intese sopra citate. Pertanto agli archivi appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche in cui siano conservati documenti di data anteriore agli ultimi settanta anni, nonché a quelli dichiarati di notevole interesse storico ai sensi della normativa vigente, il Ministero fornisce, tramite le proprie Soprintendenze archivistiche, collaborazione tecnica e contributi finanziari per la dotazione di attrezzature, la redazione di inventari, il restauro di documenti, ecc8.

Si è aperta dunque una stagione di intensa collaborazione tra il Ministero per i beni e le attività culturali e la Conferenza episcopale italiana, che ha dato l’avvio a una notevole quantità di interventi tesi a salvaguardare, valorizzare e permettere il godimento dei beni culturali di proprietà ecclesiastica. Il percorso così intrapreso ha dato luogo a iniziative di rilievo, sia a livello locale che nazionale, e notevoli progetti sono stati realizzati in questi ultimi anni dalle istituzioni ecclesiastiche di concerto con l’Amministrazione archivistica. Ricordiamo la Guida degli Archivi diocesani d’Italia (1990-1998), la Guida degli Archivi capitolari d’Italia (2000-2006) e inoltre numerose iniziative in ambiti territoriali specifici9.

Il dialogo tra l’Amministrazione archivistica e le autorità religiose ha visto il suo punto più alto nella recente iniziativa della x VIII Giornata nazionale dei beni culturali ecclesiastici: archivi e biblioteche a 10 anni dall’Intesa, tenutasi a Roma il 18 maggio 2011, in cui sono state presentate le imprese realiz- zate o in corso frutto di questa percorso comune. In particolar modo, per quel che riguarda i grandi progetti nazionali, si segnalano la convergenza di interessi finalizzata a far dialogare tra loro il Sistema Archivistico Nazionale (SAN) e il Portale dell’Ufficio Nazionale per i beni culturali ecclesiastici della CEI, nonché la collaborazione messa in campo per la redazione di un codice normativo (Norme italiane per l’elaborazione dei record di autorità archivistici di enti, persone, famiglie), che ha potuto contare sull’apporto dell’Ufficio Nazionale per i Beni Culturali Ecclesiastici.

8 Il Codice, riprendendo la definizione di «beni culturali di interesse religioso appartenenti ad enti ed istituzioni della Chiesa cattolica» non scioglie la vexata quaestio della natura degli archivi ecclesiastici all’interno dell’ordinamento giuridico italiano, oscillante tra l’assimilazione a enti pubblici o a soggetti privati, che ha dato luogo a una fiorente letteratura in proposito, cfr. g feliciani, Il regime giuridico dei beni archivistici ecclesiastici, «Archiva Ecclesiae», XXX-XXXI (1987-1988), pp. 115-130; g dammacco, La natura giuridica degli archivi ecclesiastici, «Archivi per la storia», I (1989), pp. 41-60.

9 Per le numerose iniziative in ambito locale rinviamo al sito web della Direzione Generale per gli Archivi alla voce Pubblicazioni. Tra i vari progetti tuttora in corso si segnala Ecclesiae Venetae, finalizzato alla ricognizione e all’inventariazione informatizzata degli archivi ecclesiastici del Veneto, i cui dati sono progressivamente riversati nel Sistema informativo unificato delle soprintendenze archivistiche (SIUSA), che costituisce punto di accesso primario per la ricerca sul patrimonio archivistico non statale pubblico e privato conservato al di fuori degli Archivi di Stato. Un altro importante progetto presente nel sistema è quello relativo al Censimento degli archivi inquisitoriali in Italia, realizzato in seguito all’accordo stipulato con la Congregazione vaticana per la Dottrina della Fede e con il Centro per lo studio dell’Inquisizione dell’Università di Trieste.

Da questi pur inesaustivi accenni, ben si comprende quanta strada sia stata compiuta finora nel dialogo e nella cooperazione tra due ambiti che, fino a qualche decennio fa, apparivano arroccati ognuno nel proprio riserbo.

Ebbene, Luigi Fiorani fu un precursore e uno dei protagonisti di questa fase di ‘disgelo’ e il suo modus operandi fece scuola. La modernità della sua visione sta nell’aver saputo interpretare quell’esigenza di valorizzazione degli archivi non statali che appunto a partire dagli anni ’80 del secolo scorso proruppe con consapevolezza e diede luogo a guide, repertori, censimenti, che avevano lo scopo di rendere visibile e fruibile una documentazione fino ad allora relegata in un cono d’ombra.

Il banco di prova della lungimiranza ma anche della fattibilità di questa sua visione ritengo sia stato il poderoso lavoro compiuto sul patrimonio documentario delle confraternite romane, sfociato nei numeri 5 e 6 della rivista «Ricerche per la storia religiosa di Roma»10. Fu un progetto ambizioso, intorno al quale Fiorani aveva riunito studiosi, ricercatori e archivisti allo scopo di rivitalizzare gli studi su tali associazioni, sia per quanto riguardava gli aspetti sociologici, economici e assistenziali, sia per quanto afferiva a quegli elementi spirituali e devozionali spesso trascurati dalla ricerca.

Il risultato fu notevole – dimostrando quanto fosse produttiva la sua intuizione di una rete di competenze –, sia per gli studi compiuti e di cui altri parleranno in questo volume, sia per il repertorio delle fonti confraternali che in quell’occasione fu realizzato. Sul piano storiografico, gli studi effettuati ebbero il pregio di mettere a fuoco le origini delle confraternite romane, la loro evoluzione e incardinamento nel tessuto cittadino, il loro ruolo nei vari ambiti dell’assistenza e delle strategie dotali; fecero luce sugli aspetti economici e patrimoniali, ma anche, e proprio da parte di Luigi Fiorani, andarono a indagare i nodi più profondi, le corde più intime di tali sodalizi, le modalità in cui l’aspirazione religiosa e le pratiche devozionali si

10 Al tema delle confraternite furono dedicati il vol. 5 Le confraternite romane. Esperienza religiosa, società, committenza artistica, 1984, e il vol. 6 Storiografia e archivi delle confraternite romane, 1985, ambedue a cura di l fiorani intrecciavano e si combinavano con il tessuto sociale e la storia della città. Sul piano più strettamente documentario, il Repertorio delle fonti confraternali costituisce a tutt’oggi un risultato sorprendente, data la dispersione che tale documentazione aveva subito nel corso del tempo. Nell’introduzione al Repertorio, Fiorani commentava con sconforto: «La nostra città, come l’abbiamo ereditata dopo tante violenze e manomissioni e dopo tanti sconvolgimenti urbanistici e demografici, è davvero un’altra città (…) le sue memorie storiche, il suo passato hanno subito colpi assai rudi. Molte chiese appartenute alle comunità confraternali non esistono più, e presso quelle esistenti si trova raramente un archivio, o perchè trasferito in altri istituti della città, o perchè malauguratamente disperso. Quando c’è, è assai spesso collocato in locali di fortuna, malandati ed esposti all’aggressione delle intemperie».

Il censimento, condotto sul territorio romano, doveva dar conto di quanti fossero gli archivi confraternali e dove fossero allocati, quantificandone la consistenza e disegnando la fisionomia dell’archivio attraverso una griglia predefinita di serie documentarie. Il rigore ma anche la flessibilità nell’utilizzo di tali criteri fece sì che in tempi brevi, per la complessità dell’operazione, il repertorio fosse completato e stampato, permettendo di riunire le sparse membra di queste comunità in un’unità virtuale, e dotandoci così di uno strumento di lavoro indispensabile11.

La descrizione delle tipologie documentarie presenti in ognuno di questi archivi o nuclei, pur con le ben note difficoltà di separare la documentazione dei sodalizi confraternali da quella delle istituzioni caritatevoli e assistenziali da essi gestite o delle corporazioni di arti e mestieri di cui facevano parte, ci restituisce un affresco vivido di tali organismi, delle regole che governavano la loro vita associativa, del ruolo da essi svolto nelle varie pieghe del sociale, ci fornisce insomma molteplici spunti per approfondire gli aspetti ancora inesplorati di una realtà così ricca e complessa.

E ancora, vorrei ricordare un’altra iniziativa di Luigi Fiorani, alla quale l’Archivio di Stato di Roma fu chiamato a collaborare: gli studi sulla Roma

11 Presso l’Archivio di Stato di Roma è conservato un nucleo consistente di documentazione relativa ad alcune confraternite, spesso lacunosa e frammista alla documentazione prodotta dagli ospedali che esse gestivano. Tali archivi sono conservati a titolo di deposito in quanto la legislazione postunitaria, pur disponendo l’incameramento dei beni delle confraternite romane, riconobbe però loro la personalità giuridica e la facoltà di conservare le loro chiese con l’obbligo di mantenervi il culto (l. 30 luglio 1896 n. 943). Questa situazione permise alle confraternite di mantenere i loro archivi. Documenti sciolti si trovano anche nel fondo Camerale III, nella serie Roma: confraternite e altre pie istituzioni religiosa travolta dal ciclone della rivoluzione giacobina12. Anche in questo caso, a fronte di una letteratura vasta sull’argomento, il suo intento fu quello di sollecitare lo scandaglio di nuove fonti per andare a verificare sul campo quale fosse stato l’impatto reale della rivoluzione sulle strutture religiose, sia per quanto riguardava i risvolti materiali (i patrimoni immobiliari, artistici, librari) sia per quelli più strettamente religiosi e pastorali. In quell’occasione, conquistata dall’ampio respiro del progetto e dall’attenzione riservata alle fonti documentarie, mi sobbarcai un’impresa alquanto impegnativa, data la mole di lavoro che comportava: quella di censire i monasteri femminili conservati presso il nostro Archivio per un lasso di tempo che comprendesse gli anni immediatamente precedenti e quelli immediatamente successivi alla Repubblica romana13. E come spesso avviene, le operazioni di scandaglio condotte sistematicamente su tipologie documentarie omogenee aprono scenari di grande suggestione e forniscono inediti spunti di ricerca. Lo spoglio capillare della documentazione ci permise, seppur parzialmente14, di verificare quale fosse stato l’impatto reale della legislazione religiosa sui monasteri femminili, quanti fossero i monasteri effettivamente soppressi, quali gli effetti postumi sulla loro sopravvivenza. Dall’esame di leggi ed editti sembrava che, almeno a Roma, la soppressione dei monasteri femminili fosse stata un fenomeno ridotto. Le leggi di soppressione, emanate in

12 Il seminario di studio Roma religiosa nell’età rivoluzionaria 1798-1799 ebbe luogo a Roma nei giorni 21-23 ottobre 1999 e gli atti furono pubblicati in «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 11 (2006). Già il vol. 9 della rivista, pubblicato nel 1992, era stato dedicato alle problematiche religiose nel periodo giacobino Deboli progressi della filosofia. Rivoluzione e religione a Roma, 1780-1799 rapida successione, riguardavano soprattutto i conventi maschili, ma già nel decreto del 21 fiorile anno VI (10 maggio 1798) erano compresi i monasteri femminili e, per Roma, diventarono sicuramente esecutivi per S. Anna alle Quattro Fontane e per S. Silvestro in Capite. Seguirono le notificazioni del 14 e 15 maggio 1798 che invitavano i religiosi, sia uomini che donne, a fare l’inventario dei loro beni prima di abbandonare la vita monastica, mentre con la legge del 15 giugno 1798 (27 pratile anno VI) furono stabiliti alcuni vantaggi per i religiosi di ambedue i sessi che avessero abbandonato la vita monastica. Con la legge del 14 luglio 1798 (26 messifero anno VI) vennero soppressi ben 187 conventi e successivamente con la legge dell’11 settembre 1798 ( 25 fruttifero anno VI) furono soppressi 4 conventi romani, due dei quali femminili. La successiva legge del 21 aprile 1799 riguardava 32 conventi sparsi sul territorio della Repubblica, alcuni dei quali erano collocati a Roma. Nella stessa data con la legge n. 176 furono soppressi altri 84 conventi, mentre con la legge del 18 maggio 1799 si dettarono norme ulteriori sulle monache che avessero lasciato i monasteri15. Dalla disamina effettuata delle leggi sembrava che, almeno a Roma, la soppressione dei monasteri femminili fosse stata un fenomeno ridotto. Ma potevano considerarsi attendibili le stime ricavate dalla legislazione? Alcuni commentatori dell’epoca riferivano di soppressioni attuate in sordina, senza pubblicazione di leggi o editti, e d’altra parte alcune di quelle soppressioni erano state poi revocate. Lo spoglio sistematico della documentazione dei singoli monasteri ci mise in grado di ricostruire gli avvenimenti con maggiore precisione. Si prenda il caso delle monache di S. Anna alle Quattro Fontane, monastero compreso nell’editto del 21 fiorile anno VI, sopra menzionato. Sappiamo sicuramente che esse dovettero lasciare il loro edificio alla cavalleria francese e che perciò furono ospitate presso le clarisse di S. Silvestro in Capite. Lo stesso monastero di S. Silvestro venne soppresso di lì a poco e le monache furono destinate a quattro conventi dello stesso ordine. Con una supplica all’ambasciatore francese Bertolio esse riuscirono però a far revocare il decreto e a tornare in possesso dei loro beni16.

13 I risultati dello spoglio effettuato sugli archivi dei monasteri femminili conservati nell’Archivio di Stato di Roma furono pubblicati nel saggio g. antonetti – m. i. venzo, I monasteri femminili al tempo della Repubblica. Indagine nella documentazione conservata presso l’Archivio di Stato di Roma, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 11 (2006), pp. 259-301. Va menzionata inoltre l’indagine effettuata dalla collega Maria Grattagliano sulle fonti di ospedali e confraternite, che permise di portare alla luce cronache e resoconti inediti, documenti di straordinario interesse per la drammaticità e la vivacità del linguaggio con cui furono scritti dai protagonisti di quegli eventi, cfr. m. grattagliano, Archivi di ospedali e confraternite, ibidem, pp. 237-258.

14 Va tenuto presente che gli archivi dei monasteri romani conservati nell’Archivio di Stato di Roma sono incompleti e lacunosi a causa degli smembramenti e dispersioni che subirono in alcuni momenti cruciali: nel periodo napoleonico, quando molti monasteri vennero soppressi o accorpati ad altri, e più tardi, all’indomani della legge del 19 giugno 1873 n. 1402 che estendeva alla provincia di Roma la legge del 7 luglio 1866 n. 3036 sulla soppressione delle corporazioni religiose e sulla conversione dei loro beni immobili, quando con una serie di leggi eversive furono confiscati dallo Stato unitario.

15 Per la legislazione si veda Collezione di carte pubbliche, proclami, editti, ragionamenti ed altre produzioni tendenti a consolidare la rigenerata Repubblica romana, Roma 1798-1799, per il Cittadino Luigi Perego Salvioni, vol. I-IV. Per ulteriori approfondimenti della normativa in materia religiosa rinviamo a: m battaglini, La soppressione dei conventi nella Repubblica romana giacobina, «Palatino», IX (1965), 1-3; v. de marco, Aspetti della legislazione giacobina in materia ecclesiastica durante la Repubblica romana, «Ricerche per la storia religiosa di Roma», 9 (1992).

16 ASR, Clarisse in S. Silvestro in Capite, b. 5034, fasc. 3

L’ esame della documentazione originale, incrociata con le le fonti legislative e con le cronache coeve17, ci permise così di disegnare un quadro più preciso degli avvenimenti dal quale si arguiva che, a differenza di quanto sarebbe avvenuto negli anni successivi (1810-1814), l’impatto delle leggi soppressive sui monasteri era stato alquanto limitato. Le leggi di soppressione non sempre erano state attuate, molti conventi avevano ottenuto una revoca, pochi altri, pur non menzionati nei decreti soppressivi, erano stati sgombrati e accorpati. Dalle testimonianze documentarie emergeva però l’affresco dolente delle comunità religiose risospinte in un’esistenza grama, minacciate dall’incertezza del futuro e soprattutto logorate dalle ristrettezze economiche. Non solo infatti negli anni precedenti alla Repubblica, nel tentativo di scongiurare l’arrivo dei francesi, avevano dovuto privarsi di molta parte dei loro argenti e oggetti preziosi, ma tanto più nel presente erano gravate dalle pesanti contribuzioni che il nuovo Stato imponeva di volta in volta e dalle continue richieste di forniture (camicie per i soldati, calzature, bende per i feriti), a cui si aggiungevano spesso le sottrazioni arbitrarie di oggetti preziosi. Per di più, le rendite provenienti dai luoghi di monte si erano drasticamente abbattute e così pure le entrate consuete derivanti ai monasteri dal ruolo tradizionalmente svolto di educandati per le fanciulle abbienti. Scorrendo le note degli approvvigionamenti e i resoconti contabili ci si rendeva conto di come le suore, oltre che a ridurre radicalmente il proprio tenore di vita, fossero state costrette a chiedere prestiti, spesso a vendere fondi e immobili e qualche volta a utilizzare le doti delle religiose (che non sempre sarebbero state in grado di reintegrare). I documenti censiti ci rimandavano un quadro universale di desolazione, ma anche testimoniavano la volontà di resistenza di queste comunità. Note di approvvigionamenti, suppliche, resoconti … quelle scritture, ognuna nel proprio microcosmo, erano le voci di una storia corale che ci permettevano, con la loro autenticità, di calarci nella vita quotidiana delle singole comunità religiose e qualche volta nell’esistenza singoli individui. Era questo uno degli intenti che maggiormente stavano a cuore di Luigi Fiorani, ben esplicitato nella Presentazione del primo numero di «Ricerche per la storia religiosa di Roma»: scrivere la storia della società religiosa romana letta dal basso e saldata al suo contesto umano, al di fuori delle corti ecclesiastiche e laiche e delle loro politiche.

17 Tra le fonti narrative, sono particolarmente rilevanti il già citato Diario romano di g a. sala nonché le memorie richiamate da v. e. giuntella nel suo La giacobina Repubblica romana (1798-1799). Aspetti e momenti, «Archivio della Società romana di storia patria», LXXIII (1950), in cui vengono citate le seguenti fonti narrative: Memorie dell’Avvocato Antonio Galimberti dell’occupazione francese in Roma dal 1798 alla fine del 1802 (manoscritto conservato nella Biblioteca Nazionale di Roma); Relazione del cardinale Antonelli su l’avvenuto in Roma dal 1798 al 1799 (conservato nel Fondo Falzacappa presso la Biblioteca Vallicelliana di Roma); Memorie da servire per il Diario di Roma in tempo di Rivoluzione e di Sede vacante (nel Codice Vaticano Latino 10629); Memorie storiche sulle principali cagioni e circostanze della rivoluzione di Roma e Napoli, s.e., 1800, attribuite generalmente a Francesco Valentinelli.

Quella della monaca Matilde Braccucci (anche Bracucci) è una delle tante piccole storie sullo sfondo di una Roma in fiamme: la suora aveva chiesto il permesso di uscire dal convento di S. Margherita nel febbraio del 1799, ma per farlo doveva vestire abiti secolari dato il divieto di circolare in abiti religiosi. Suo fratello era stato condannato a morte, non viene detto il perché. Apprendiamo che la suora «agendo atque operando» ottenne per suo fratello la revoca della pena di morte e avrebbe voluto a quel punto rientrare in convento, però le sorelle si rifiutavano di accoglierla adducendo a motivo il fatto che avesse vestito abiti secolari. La suora venne accolta allora nel monastero di S. Lucia in Selci, che intentò causa al monastero di provenienza per ottenere la dote spettante alla suora18.

Questa vicenda individuale, come le altre di cui si hanno fonti dirette, getta ulteriore luce su un altro fenomeno del biennio giacobino, quello delle secolarizzazioni, strettamente connesso agli episodi di soppressione dei conventi. Infatti, i dati delle secolarizzazioni incrociati con quelli delle soppressioni realmente avvenute ci rivelano come le fughe nel «mondo» delle religiose romane fossero spesso dovute alla chiusura del proprio convento, al disagio di essere separate dalle consorelle e inserite in un’altra comunità. A Roma, in base alle fonti finora disponibili, si può affermare che il fenomeno fosse stato di portata limitata, nonostante gli incentivi di carattere materiale promessi dalla legge19. I decreti di secolarizzazione o piuttosto i permessi di uscita dal convento, sono stati quantificati in circa 40, di cui 37 conservati nell’Archivio Storico del Vicariato, rispondenti ad altrettante richieste di ottenere una «licentia dimittendi habitum ecclesiasticum»20. Spesso sono legati alla chiusura del convento, qualche volta – quando è stato possibile seguire il percorso delle religiose – sono riconducibili ad alcuni motivi particolari come nel caso della Braccucci, eccezionalmente corrispondono a una adesione delle religiose alle idee giacobine 21. È quest’ultimo il caso delle tre sorelle Luzi che, abbandonato il monastero dei SS. Cosma e Damiano, svolsero un ruolo politicamente attivo creando un loro ‘salotto povero’ luogo di incontro di rivoluzionari e patrioti 22. Si può ritenere dunque che la tenuta della «città religiosa» di fronte alla «città rivoluzionaria», per dirla con Fiorani 23, fosse tenace e che al processo di scristianizzazione auspicato dai rivoluzionari si contrapponesse una reazione anti-rivoluzionaria che passava anche attraverso i conventi femminili. L’ immagine di una religione cattolica assediata, in cui si rinnovavano gli elementi del martirio cristiano, sarebbe stata tramandata negli anni della Restaurazione attraverso le memorie e le cronache delle religiose rimaste fedeli ai voti.

18 ASR, Agostiniane in S. Lucia in Selci, b. 3687, fasc. 7. La vicenda è stata poi ulteriormente indagata da f. balboni in Roma riscopre un gioiello: Santa Margherita porta d’Oriente e d’Occidente, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2008, pp. 245-249.

19 Cfr. la legge relativa «alli Religiosi dell’uno, e l’altro Sesso, che valendosi delle facoltà loro accordate dalla Legge 21 fiorile abbandoneranno la vita monastica» del 15 giugno 1798 (27 pratile anno VI) e le notificazioni in merito (in particolar modo quella del 26 fiorile anno VI, ASR, Bandi, b. 506 bis).

20 i. ranzato, La secolarizzazione delle religiose nella Roma giacobina, «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 1994, 1, pp. 120-145.

Quel primo suggestivo approccio alle scritture religiose femminili trovò poi il suo proseguimento in un progetto di più ampio respiro messo in campo dall’Osservatorio su storia e scritture delle donne 24 , che rivolse le sue ricerche alla realtà dei monasteri romani per i quali, nonostante alcuni studi pioneristici, rimanevano in sospeso molti interrogativi: la loro composizione sociale, il rapporto tra spiritualità e retaggio culturale delle monache, le loro reti di relazioni, e, ancora, il nesso tra gli edifici a l’as- setto urbanistico, la riconfigurazione degli spazi interni all’indomani della Riforma, e così via 25. Tra le scritture religiose riportate alla luce e pubblicate nel corso del progetto messo in campo dall’Osservatorio, oltremodo significative appaiono le Memorie di suor Anna Vittoria Dolara, che scrisse la cronaca del monastero dei SS. Domenico e Sisto nel periodo giacobino e napoleonico26 . La lettura di questa fonte ci permette di acquisire ulteriori elementi e riscontri non solo per confermare o ampliare i dati relativi alle soppressioni e secolarizzazioni avvenute nel biennio giacobino27, ma anche e soprattutto per ricostruire, dal punto di vista dei soggetti coinvolti, il clima che si viveva all’interno delle comunità religiose. Naturalmente, nell’approccio a questa tipologia documentaria va tenuto presente che, per quanto si tratti di scritture personali, purtuttavia esse risentono di condizionamenti che ne inficiano la spontaneità. Come un’avvertita e consapevole messe di studi ha evidenziato in questi ultimi anni, le scritture nate in ambito conventuale pur essendo destinate a una fruizione interna tradiscono però l’intento agiografico e celebrativo e, finalizzate a trasmettere la memoria della comunità, esaltano i caratteri di autorappresentazione, collocandosi pertanto in una linea di confine tra interno ed esterno, tra privato e pubblico28 . Con i suoi ritratti delle priore, con le minuziose descrizioni della socialità monastica, la Cronaca di suor Dolara assolve

21 A riprova di questa tesi Ranzato, nel saggio sopra citato, riporta il caso delle tre suore bolognesi Emilia Fantaguzzi, Teresa Pignoni e Teresa Unelli che, cacciate dal monastero di S. Pietro Martire di Bologna il 30 giugno 1798, cercarono asilo nella stessa Bologna nel monastero di S. Giovanni Battista ma cacciate anche da lì nel febbraio 1799 furono costrette a secolarizzarsi e tornare alle proprie case ove stettero circa 4 anni prima di approdare al monastero dei SS. Domenico e Sisto (la loro vicenda è ricordata da suor Dolara nelle sue Memorie).

22 Una delle sorelle, Caterina, fu arrestata nel 1800 con l’accusa di «spargimento di voci sediziose contro il legittimo governo pontificio», cfr. gli atti del processo in ASR, Giunta di Stato, b. 5, fasc. 87.

23 l fiorani, Città religiosa e città rivoluzionaria (1789-1799), «Ricerche per la storia di Roma», 9 (1992), pp. 65-154.

24 L’ Osservatorio su storia e scritture di donne a Roma e nel Lazio fu costituito nel 2000, per iniziativa dell’Archivio di Stato di Roma, della Sapienza-Università di Roma e di altri istituti culturali romani, con la finalità di censire e studiare le testimonianze scrittorie delle donne a partire dal XV secolo. Il progetto di censimento, condotto sugli archivi e le biblioteche romane, diretto da Marina Caffiero e da chi scrive, ha prodotto finora oltre 4.500 schede, in parte consultabili sul Web collegandosi all’ homepage dell’Archivio di Stato di Roma oppure alla voce Osservatorio su storia e scritture delle donne a Roma e nel Lazio (indirizzo: http://193.205.249.68:8080/scritturedidonne/index.jsp.). Per dar conto delle scritture più interessanti, è stata creata una collana di monografie intitolata La memoria restituita. Fonti per la storia delle donne, Viella, Roma, nella quale sono stati al momento pubblicati 7 volumi e altri due sono in corso di stampa.

25 Su tali problematiche si vedano d. rocciolo, La costruzione della città religiosa: strutture ecclesiastiche a Roma tra la metà del Cinquecento e l’Ottocento, in Storia d’Italia, Annali, 16: Roma, la città del papa. Vita civile e religiosa dal giubileo di Bonifacio VIII al giubileo di papa Wojtił a, a cura di l fiorani – a prosperi, Torino, Einaudi, 2000, pp. 376-393; m caffiero, Il sistema dei monasteri nella Roma barocca. Insediamenti territoriali, distribuzione per ordini religiosi, vecchie e nuove fondazioni, «Dimensioni e problemi della ricerca storica» 2008, 2, pp. 69-102.

26 I primi risultati delle ricerche orientate sulla religiosità femminile furono pubblicati in Scritture di donne. La memoria restituita, a cura di m caffiero – m i venzo, 2007, primo numero della sopra citata collana. Successivamente, nella stessa collana, ben due volumi sono stati dedicati alle scritture religiose: Le cronache di Santa Cecilia. Un monastero femminile a Roma in età moderna, a cura di a. lirosi, edito nel 2009, e La rivoluzione in convento. Le Memorie di Anna Vittoria Dolara (secc. xVIII-xIx), a cura di s. ceglie, con un saggio di s. cabibbo, edito nel 2011.

27 Il manoscritto di suor Dolara fu già consultato da Ranzato nel citato La secolarizzazione delle religiose nella Roma giacobina perciò la duplice funzione di custode della memoria e di historia salutis che prosegue ininterrotta attraverso gli accidenti del secolo29. « Colombe allontanate dal nido, pellegrine raminghe da un luogo all’altro dolorosamente e pazientemente disposte ad assecondare i rivolgimenti del secolo e della storia, le monache di S. Domenico e quelle degli altri monasteri romani di cui ci danno notizie le Memorie, si configurano così come eroiche vestali di una romanità cristiana, che restano fedeli al loro statuto, che difendono il territorio, che sovvengono con i loro mezzi e le loro relazioni alle ferite inferte ai luoghi di cui sono custodi»30

28 Sulle insidie di una lettura acritica dei libri dei conventi, si vedano il saggio introduttivo di e. brambilla, Scrivere in monastero, in lirosi, Le cronache di Santa Cecilia, pp. 9-29, nonchè m. caffiero, Le scritture della memoria femminile a Roma in età moderna: la produzione monastica, in Memoria, famiglia, identità tra Italia e Europa nell’età moderna, a cura di g ciappelli, Bologna, Il Mulino, 2009, pp. 235-268.

E d’altra parte, pur dando voce ai sentimenti corali delle consorelle sparse nei tanti conventi, il punto di vista di suor Dolara, poetessa nei ranghi dell’Arcadia e valente miniaturista, si rivela più complesso e sofisticato. Se alla caduta della Repubblica giacobina una monaca di S. Maria della Purificazione poteva annotare con semplicità «Le suore si recarono al monastero di S. Lucia in Selci per andare a vedere le truppe che venivono a liberare Roma dalli Francesi»31, e poi continuare con la narrazione di una vita quotidiana che riprendeva i suoi ritmi, ben più avvertito e guardingo era l’atteggiamento di suor Dolara, che mostrava di non fare grande differenza fra le truppe repubblicane e quelle borboniche «… essendo la Truppa Napolitana subentrata alla Francese nel Monastero, servivasene ancor essa in qualità di Ospedale Militare. Molti perciò furono i danni riportati dal Monastero durante il soggiorno che vi fecero questi nuovi Abitatori, quali tolsero, e fracassarono nel poco tempo che vi fecero soggiorno tutto quel poco che era rimasto illeso nelle mani de’ Francesi»32.

Oggi dunque, disponiamo di una considerevole quantità di fonti dirette destinate a incrementarsi, sia perchè è vivo e fecondo l’interesse della storiografia per i monasteri femminili, sia anche per l’impulso dato dalla storia di genere a questo ambito di ricerca33. Inoltre, un apporto vitale perviene

29 Così cabibbo in La rivoluzione in convento. Le Memorie di Anna Vittoria Dolara, p. 36.

30 Ibidem, p. 36.

31 ASR, Clarisse di S. Maria della Purificazione, b. 4971, fasc. 1.

32 ceglie, La rivoluzione in convento, p. 145.

33 Ricordo alcuni fondamentali studi sulle scritture religiose femminili: e b weaver, Le muse in convento.La scrittura profana delle monache italiane (1450-1650) in Donne e fede. Santità e vita religiosa in Italia, a cura di l scaraffia – g zarri, Roma-Bari 1994; s cabibbo, Scrivere in monastero nel x VII secolo, in Esperienza religiosa e scritture femminili tra Medioevo ed età moderna, a cura di m. modica vasta, Catania 1992; a. prosperi, Diari femminili e discernimento degli spiriti: le mistiche della prima età moderna in Italia, «Dimensioni e problemi della ricerca storica», 1994, 2, pp. 77-103; g zarri, Le scritture religiose, in Carte oggi dalle stesse comunità monastiche femminili, che non solo aprono i loro archivi ai ricercatori ma si fanno promotrici di studi esse stesse. Così l’associazione ‘Lettere dal monastero’, alla quale aderiscono molti conventi, si è costituita proprio con lo scopo di svolgere, incentivare e divulgare studi sull’attività del monachesimo, in particolar modo femminile, dalle origini fino ai nostri giorni e promuovere la pubblicazione delle fonti 34 di donne. Per un censimento regionale delle scritture delle donne dal x VI al xx secolo, a cura di a. contini – a. scattigno, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2005, pp. 45-58; vanno menzionati inoltre gli studi condotti nell’area campana dalla Fondazione Valerio per la storia delle donne, mentre per quanto riguarda l’area specificamente romana rimandiamo al citato saggio di caffiero, Le scritture della memoria femminile a Roma in età moderna

Il dialogo che si è instaurato in questi ultimi decenni tra la comunità laica degli studiosi e quella ecclesiastica ha prodotto, come si vede, frutti considerevoli e, ritengo, lo dobbiamo in gran parte alle premesse poste da Luigi Fiorani.

34 L’ associazione ha sede in Roma presso il monastero delle benedettine di S. Cecilia in Trastevere. La recente pubblicazione curata da m. carpinello, Lettere dalla Trappa, in cui sono raccolte le lettere della Beata Gabriella monaca del Monastero delle trappiste di Vitorchiano, costituisce il primo volume di una nuova collana delle edizioni San Paolo Lettere dal monastero

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