R A S S E G N A S T A M P A
NOVEMBRE 2022
Fondazione Dolomiti Dolomites Dolomiten Dolomitis
PRINCIPALI ARGOMENTI DALLA RASSEGNA STAMPA DI NOVEMBRE:
STEFANO ZANNIER NUOVO PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE DOLOMITI UNESCO ....................................... 3
INCONTRO ANNUALE GESTORI DI RIFUGIO 8
CRISI CLIMATICA E CRISI IDRICA 11
TRE CIME DI LAVAREDO: PROPOSTE DI ACCESSO......................................................................................... 13
COMPRENSIORI SCIISTICI: NUOVI INVESTIMENTI IN PROGRAMMA ................................................................ 14
OLIMPIADI MILANO-CORTINA 2026: GLI AGGIORNAMENTI.............................................................................. 15
MARMOLADA: GLI AGGIORNAMENTI............................................................................................................... 17
FONDO COMUNE CONFINANTI: LA NUOVA PROGRAMMAZIONE 27
MOBILITA’ INTERVALLIVA 21
FUNIVIA TIRES – MALGA FROMMER ................................................................................................................ 24
RIGENERAZIONE ALPINA................................................................................................................................. 26
LE REGOLE DI CORTINA RESTITUISCONO AL DEMANIO LA GESTIONE DELLE CIME ..................................... 26
NOTIZIE DAI RIFUGI 36
NOTIZIE DAI CLUB ALPINI DELLA REGIONE DOLOMITICA 38
NOTIZIE DAI COLLEGI DELLE GUIDE ALPINE E AMM 39
NOTIZIE DAL SOCCORSO ALPINO ................................................................................................................... 41
DOLOMITI IN TV................................................................................................................................................ 43
STEFANO ZANNIER NUOVO PRESIDENTE DELLA FONDAZIONE DOLOMITI UNESCO
Alto Adige | 22 novembre 2022
p. 17
Zannier a capo della fondazione Dolomiti Unesco
A Cortina d'Ampezzo è avvenuto il passaggio di consegne per la presidenza della fondazione "Dolomiti Unesco". Il numero uno uscente Mario Tonina lascia il posto a Stefano Zannier, assessore alle Risorse agroalimentari, forestali, ittiche e montagna del Friuli Venezia Giulia. «È per me un onore ricevere il testimone di presidente della fondazione» ha spiegato Zannier, «conscio dell'importanza del ruolo e del lavoro necessario per proseguire quanto già avviato dal presidente Tonina, mantenendo centrali i temi della sostenibilità». Tra i temi più rilevanti con i quali la fondazione dovrà confrontarsi spiccano le Olimpiadi invernali: «Un evento di portata e valenza enorme. Le differenze tra i territori aderenti alla fondazione sono talmente rilevanti che è fondamentale definire qual è il livello dell'offerta da proporre al pubblico, di modo da garantire sia la sostenibilità ambientale dell'area dolomitica sia quella economica delle azioni promozionali intraprese», conclude Zannier.
Corriere delle Alpi | 22 novembre 2022 p. 19
Dolomiti, Zannier nuova guida «Sostenibilità, avanti tutta»
Francesco Dal Mas CORTINA
Saranno le Olimpiadi di Cortina d'Ampezzo a ritmare il percorso della Fondazione Dolomiti Unesco, che da ieri hanno un nuovo vertice: presidente il pordenonese Stefano Zannier, assessore alla montagna del Friuli Venezia Giulia, vicepresidente il bellunese Roberto Padrin. Appena eletto, Zannier ha dichiarato che «tra i temi più rilevanti con i quali la Fondazione dovrà confrontarsi spiccano le Olimpiadi invernali, un evento di portata e valenza enorme, e il turismo. In merito a quest'ultimo aspetto le differenze tra i territori aderenti alla Fondazione sono talmente rilevanti che è fondamentale definire qual è il livello dell'offerta da proporre al pubblico, in modo da garantire sia la sostenibilità ambientale dell'area dolomitica sia quella economica delle azioni promozionali intraprese».La montagna di Zannier è soprattutto la Valcellina e, allargando lo sguardo, le Piccole Dolomiti della Carnia. Terre alte che rischiano di rimanere ai margini del cono ottico delle Olimpiadi. Ma, attenzione, i Giochi non sono solo business, ha sottolineato il trentino Mario Tonina, lasciando la presidenza della Fondazione. «La pandemia ha accentuato, nei momenti di tregua, una frequentazione massiva del territorio, davanti alla quale abbiamo intrapreso azioni volte a promuovere la sostenibilità, la responsabilità e la consapevolezza dei valori geologici e paesaggistici delle Dolomiti, che non sono un bene da consumare, ma da vivere con rispetto e senso della misura», ha sottolineato con forza Tonina. «Una sfida tanto più importante e delicata se pensiamo al percorso che ci porterà nel 2026 al grande evento olimpico. Una sfida corale che può e deve diventare l'occasione per realizzare le azioni necessarie, tutelando al contempo un Patrimonio che abbiamo la responsabilità di preservare per le future generazioni».Una posizione subito condivisa da Roberto Padrin, anche lui preoccupato dall'invasione delle Dolomiti in determinati periodi dell'anno. L'elezione del nuovo vertice si è tenuta a Cortina d'Ampezzo dove si è riunito il consiglio d'amministrazione della Fondazione, durante il quale è avvenuto il passaggio di consegne. Lo Statuto della Fondazione prevede che la presidenza venga assunta in base a una rotazione triennale in ordine alfabetico tra i soci dell'ente: dal 2010 è toccata prima alla Provincia di Belluno, quindi alla Provincia Autonoma di Bolzano, alla Regione autonoma Friuli Venezia Giulia e alla Provincia autonoma di Trento. Al Friuli Venezia Giulia spetta tuttavia anche il turno di presidenza delle due ex province di Udine e Pordenone: di qui l'indicazione dell'assessore Zannier.«Lascio una Fondazione matura, che si è affermata nel tempo ed ha visto consolidarsi sempre più la sua riconoscibilità», ha detto fra l'altro Tonina. «Le attività istituzionali della Fondazione sono aumentate di anno in anno e ciò ha reso necessario disporre di nuovi spazi operativi e locali di rappresentanza più ampi e facilmente raggiungibili».«In questi anni», afferma ancora Tonina, «molti processi di cambiamento sono giunti a maturazione, sia dal punto di vista ambientale che dal punto di vista della frequentazione della montagna: ho assunto la presidenza della Fondazione un anno dopo la tempesta Vaia e la lascio portando negli occhi e nel cuore le drammatiche immagini del ghiacciaio ferito della Marmolada. Sono entrambi segni di una crisi climatica davanti alla quale siamo chiamati a scelte importanti, sulle quali disegnare il presente e il futuro del nostro vivere tra le Dolomiti. © RIPRODUZIONE RISERVATA
delle Alpi | 22 novembre 2022 p. 19
«Collaboreremo al meglio in vista del 2026»
«Mi congratulo con Zannier ed esprimo le mie felicitazioni per la nomina a presidente della Fondazione Dolomiti Unesco». Parole del presidente veneto Luca Zaia, che prosegue: «Gli incarichi istituzionali che Zannier ha rivestito fino ad oggi ne fanno un esperto e una persona competente, che sa di cosa è chiamato ad occuparsi. Le nostre Dolomiti sono una risorsa che vive della sua bellezza e del richiamo che esercitano su tutto il mondo. Ma attraversano anche tre regioni con un territorio di alto valore naturalistico ma anche antropizzato, abitato da persone che in esso hanno la stessa ragione di vita. In vista dell'appuntamento olimpico invernale del 2026 sono certo che sapremo collaborare».
Corriere
p. 11, edizione Belluno
Dolomiti Unesco, nuovo presidente e trasloco ad Acquabona
La Fondazione Dolomiti Unesco cambia presidente, in attesa di mutare anche la sede. Nel consiglio di amministrazione di ieri c'è stato il passaggio delle consegne da Mario Tonina a Stefano Zannier, nel previsto avvicendamento triennale, fra le cinque province del territorio, in ordine alfabetico. Si iniziò con Belluno, poi Bolzano, Pordenone, quindi Trento e ora Udine, per cui si passa da Tonina, vicepresidente della Provincia autonoma di Trento, a Zannier, assessore alle risorse agroalimentari, forestali, ittiche e montagna della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia. Il vice presidente sarà Roberto Padrin, che presiede la Provincia di Belluno.
IL PASSAGGIO
«È un onore ricevere il testimone, conscio dell'importanza del ruolo e del lavoro necessario per proseguire quanto avviato da Tonina, mantenendo centrali i temi della sostenibilità, della valorizzazione di tutte le peculiarità di un unicum straordinario come quello delle Dolomiti Unesco commenta Zannier sempre nuove sfide caratterizzeranno il futuro della Fondazione e verranno affrontate con spirito di condivisione e pragmatismo, indispensabile per ottenere lusinghieri risultati». Il presidente uscente Tonina augura buon lavoro a Zannier e traccia un bilancio dei tre anni trascorsi alla guida dell'ente: «È stato per me un onore guidare il consiglio di Fondazione in questi tre anni, durante i quali ho avvertito costantemente la responsabilità dell'incarico». Ha quindi ringraziato tutti i collaboratori e gli interlocutori: «Lascio una Fondazione matura, che si è affermata nel tempo e ha visto consolidarsi sempre più la sua riconoscibilità. Le attività istituzionali sono aumentate di anno in anno e ciò ha reso necessario disporre di nuovi spazi operativi e locali di rappresentanza più ampi e facilmente raggiungibili. Per questo abbiamo lavorato in stretta sinergia con il Comune di Cortina d'Ampezzo e con Anas, per attivare il trasferimento e rendere maggiormente visibile il prestigioso riconoscimento Unesco sul territorio ampezzano».
LA NUOVA SEDE
È infatti atteso in breve tempo il trasferimento dal palazzo del Comun Vecio, nel centro di Cortina, alla casa cantoniera di Acquabona, affittata da Anas al comune, che vi accoglierà gratuitamente la Fondazione Dolomiti Unesco. «In questi anni ricorda Tonina molti processi di cambiamento sono giunti a maturazione, sia dal punto di vista ambientale che della frequentazione della montagna: ho assunto la presidenza della Fondazione un anno dopo la tempesta Vaia e la lascio portando negli occhi e nel cuore le drammatiche immagini del ghiacciaio ferito della Marmolada. Sono entrambi segni di una crisi climatica davanti alla quale siamo chiamati a scelte importanti, sulle quali disegnare il presente e il futuro del nostro vivere tra le Dolomiti. La pandemia ha poi accentuato, nei momenti di tregua, una frequentazione massiva del territorio, davanti alla quale abbiamo intrapreso azioni volte a promuovere la sostenibilità, la responsabilità e la consapevolezza dei valori geologici e paesaggistici delle Dolomiti, che non sono un bene da consumare, ma da vivere con rispetto e senso della misura. Una sfida tanto più importante e delicata se pensiamo al percorso che ci porterà nel 2026 al grande evento olimpico. Una sfida corale che può e deve diventare l'occasione per realizzare le azioni necessarie, tutelando un patrimonio che abbiamo la responsabilità di preservare per le future generazioni».
Marco Dibona
Gazzettino |
22 novembre 2022
Messaggero Veneto | 23 novembre 2022
p. 13, edizione Udine
Zannier nuovo presidente della Fondazione Dolomiti
Udine
L'assessore Stefano Zannier è il nuovo presidente della Fondazione Dolomiti Unesco. Durante la riunione del consiglio di amministrazione dell'organismo, svoltosi a Cortina d'Ampezzo, è avvenuto il passaggio delle consegne con il presidente uscente Mario Tonina, vicepresidente della Provincia di Trento.«È per me un onore ricevere il testimone di presidente della Fondazione, conscio dell'importanza del ruolo e del lavoro necessario per proseguire quanto già avviato da Tonina, mantenendo centrali i temi della sostenibilità ma anche della valorizzazione di tutte le peculiarità rappresentate in un unicum straordinario come quello delle Dolomiti Unesco», ha spiegato Zannier.
Messaggero Veneto | 23 novembre 2022 p. 13, edizione Udine
Zannier nuovo presidente della Fondazione Dolomiti
Udine
L'assessore Stefano Zannier è il nuovo presidente della Fondazione Dolomiti Unesco. Durante la riunione del consiglio di amministrazione dell'organismo, svoltosi a Cortina d'Ampezzo, è avvenuto il passaggio delle consegne con il presidente uscente Mario Tonina, vicepresidente della Provincia di Trento.«È per me un onore ricevere il testimone di presidente della Fondazione, conscio dell'importanza del ruolo e del lavoro necessario per proseguire quanto già avviato da Tonina, mantenendo centrali i temi della sostenibilità ma anche della valorizzazione di tutte le peculiarità rappresentate in un unicum straordinario come quello delle Dolomiti Unesco», ha spiegato Zannier.
La Usc di Ladins | 25 novembre 2022 p. 16
INCONTRO ANNUALE GESTORI DI RIFUGIO
Corriere delle Alpi | 20 novembre 2022 p. 21
Rifugi testimoni
Il focus
della
sostenibilità «Non ci trasformeremo in hotel»
I gestori dei rifugi alpini dell'area Unesco sempre più ambasciatori dei valori delle Dolomiti Patrimonio dell'Umanità. Quindi testimonial della sostenibilità, della sobrietà e in particolare della rinuncia a determinati comfort, come parte integrante di un'esperienza autentica di montagna. In altre parole, il rifugio alpino resterà rifugio, non si trasformerà in albergo, tanto meno in Spa.È quanto hanno convenuto gli oltre trenta gestori di rifugio, più della metà di quelli che operano nell'area core del Sito Unesco, che hanno partecipato al sesto incontro annuale della Rete dei gestori di rifugio delle Dolomiti Patrimonio Mondiale, organizzato dalla Fondazione Dolomiti Unesco e ospitato quest'anno dal Centro viste del Parco Naturale Fanes-Senes-Braies a San Vigilio di Marebbe. Tra loro anche Giuseppe Monti, del Rifugio Carducci, sopra Auronzo, che si è dichiarato pienamente soddisfatto delle conclusioni del confronto. Anche perché - ha precisato - i gestori dei rifugi alpini si confermano come una grande famiglia. Fra i tanti temi all'ordine anche il progetto della Rete dei produttori e prodotti di alta qualità del patrimonio mondiale a cura della Rete del patrimonio paesaggistico e delle aree protette della Fondazione, con l'intervento della consulente bellunese, Irma Visalli. «Per i gestori è stata una stagione estiva impegnativa, soprattutto per la scarsità d'acqua e, in alcune aree, per l'alta frequentazione», ha riconosciuto la direttrice della Fondazione Dolomiti Unesco Mara Nemela. «L'incontro annuale è un'occasione importante per fare il punto della situazione, consolidare il rapporto tra gestori e Fondazione Dolomiti Unesco e dei gestori tra di loro. Come sempre è stata forte la volontà di spendersi per progetti concreti che confermano la volontà dei gestori di essere ambasciatori del Patrimonio Mondiale».La direttrice Nemela, fra l'altro, da qualche settimana sta portando avanti nei suoi interventi un tema che fa discutere. « I sentieri non devono tramutarsi in strade», è la raccomandazione che ha ripetuto nel corso della rassegna Dolomiti Mountain School. «Sono felice che si possa instaurare un momento di confronto intorno ad un tema così delicato», sta insistendo la direttrice, «che riguarda l'intero patrimonio Unesco e non solo. Da un lato, la montagna è per tutti ma non può essere di troppi, quindi i sentieri non devono tramutarsi in strade. Dall'altro, però, non si può lasciare la rete sentieristica alla mercé della natura: vanno individuati i modi migliori per gestirla, perché farlo attentamente significa avere una ricaduta positiva sulla qualità turistica delle località».Per la prima volta nella storia dell'umanità, infatti, invece di continuare a crescere i sentieri si stanno estinguendo. I motivi? Lo spopolamento della montagna, l'uso delle automobili, la mancanza di manutenzione e il cambiamento climatico». fdm© RIPRODUZIONE
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TGR Veneto | 21 novembre 2022
https://www.rainews.it/tgr/veneto/video/2022/11/dolomiti-e-turismo-sostenibile-i-gestori-dei-rifugi-si-confrontano-eea777a3-9feb4ca0-b078-7550cd4b2906.html
Dolomiti e turismo sostenibile: i gestori dei rifugi si confrontano Obiettivo rendere i visitatori più consapevoli del delicato equilibrio naturale che contraddistingue il Patrimonio Unesco
Dolomiten | 22 novembre 2022 p. 24
Hüttenwirte tauschen sich aus
Al Plan de Mareo/St. Vigil in Enneberg (LPA)
Über 30 Hüttenwirte aus dem Kernbereich des Dolomiten-Unesco-Welterbegebiets trafen sich im Naturparkhaus Fanes-Sennes-Prags in Al Plan/St. Vigil.
Seit die Dolomiten zum Unesco-Weltnaturerbe erklärt wurden, seither steigt die Anzahl der Besucher aus der ganzen Welt; gleichzeitig möchten alle vor Ort eine ruhige Naturlandschaft erleben. „Wir müssen neue Wege gehen, wie wir dieses Welterbe schützen und für die Zukunft erhalten können“, unterstreicht Landesrätin Maria Hochgruber Kuenzer in einer Presseaussendung. „Ziel dieses Jahrestreffens ist es, den Hüttenbetreibern die Möglichkeit zu bieten, sich auszutauschen und zu netzwerken“, erklärte die Direktorin der Stiftung Dolomiten Unesco, Mara Nemela. „Zudem geht es darum, die Besonderheiten des Welterbes – wie die Geologie und touristische Aspekte – zu erläutern, die wir alle zwar immer vor uns haben, aber deren wir uns nicht immer bewusst sind.“
Bei dem Treffen berichteten CAI-Präsident Carlo Alberto Zanella und Martin Knapp, Schutzhüttenreferent im Alpenverein Südtirol (AVS), von den Veränderungen bei der Begehung der Berge in den letzten Jahren und den Besucheransturm, den sie erfahren.
Leo Hilpold, Direktor des Landesamtes für Natur, erläuterte die Organisation und die Arbeitsweise der Südtiroler Naturparks und ihren Beitrag zum aktiven Schutz des Welterbes.
Elisabeth Berger (Koordinierungsstelle Dolomiten Unesco Welterbe bei der Landesabteilung Natur, Landschaft und Raumentwicklung) stellte das Projekt „Achtsam am Berg“ vor.
Carlo Runggaldier, Direktor des Tourismusvereins San Vigilio/San Martin – Dolomites, sprach über die Herausforderungen und Chancen, als erste Tourismusregion Südtirols nach den Nachhaltigkeitsstandards des Globalen Rats für nachhaltigen Tourismus („Global Sustainable Tourism Council“; GSTC) zertifiziert zu sein.
Auch eine geologische Exkursion am Börz/Würzjoch unter der Leitung des Geologen Corrado Morelli und des Naturparkhausverantwortlichen Matteo Rubatscher sowie ein Aperitiv mit den Produzenten hochwertiger lokaler Qualitätsprodukte standen am Programm.
66 Schutzhütten gibt es in den 9 Teilgebieten des Dolomiten-Unesco-Welterbes. Sie haben nicht nur eine wichtige alpinistische, sondern auch eine kulturelle Funktion als Begegnungs- und Informationspunkt innerhalb des Welterbegebiets. Aus diesem Grund haben die Stiftung Dolomiten Unesco und die dazu gehörigen Provinzen gemeinsam mit den Alpin-Vereinen und den Schutzhüttenbesitzern und -betreibern im Jahr 2016 das Projekt „Schutzhütte im Dolomiten Unesco Welterbe“ ins Leben gerufen. Ziel ist es, Gäste und Einheimische – von den Brenta-Dolomiten bis zu den Friulanischen Dolomiten – für das Welterbe zu sensibilisieren. Eine Plakette ziert die Hauswand der teilnehmenden Schutzhütten, zudem gibt es eine Info-Tafel und mehrsprachiges Informationsmaterial.
p. 34
Oltre 30 rifugisti a S.Vigilio: «Patto per la montagna» san vigilio di marebbe Oltre 30 rifugisti dell'area dolomitica hanno partecipato nei giorni scorsi all'incontro annuale, quest'anno organizzato al Centro visite del Parco naturale Fanes-Senes-Braies a San Vigilio di Marebbe.L'incontro è iniziato il 17 novembre con l'intervento del sindaco di San Vigilio di Marebbe Felix Ploner. Il presidente del Cai Alto Adige Carlo Alberto Zanella e Martin Knapp, responsabile dei rifugi per l'Alpenverein Südtirol (Avs), hanno illustrato i cambiamenti registrati negli ultimi anni per quanto riguarda la frequentazione della montagna e il notevole aumento dei flussi di visitatori. I parchi naturali, uno dei prerequisiti che hanno permesso l'iscrizione delle Dolomiti nella Lista del Patrimonio Mondiale, e i progetti sostenibili che potrebbero essere attuati anche in altre aree sono stati i temi successivi: Leo Hilpold, direttore dell'Ufficio Natura, ha illustrato l'organizzazione e i metodi di lavoro dei Parchi naturali dell'Alto Adige e il loro contributo alla conservazione attiva del Patrimonio mondiale. Elisabeth Berger, del Coordinamento Dolomiti Patrimonio Mondiale Unesco-Alto Adige presso la Ripartizione Natura, il paesaggio e sviluppo del territorio, ha presentato il progetto "Rispetta la montagna", Carlo Runggaldier, direttore della Cooperativa Turistica San Vigilio/San Martin - Dolomiti ha parlato delle sfide e delle opportunità di essere la prima destinazione turistica dell'Alto Adige ad essere certificata secondo gli standard di sostenibilità del Global Sustainable Tourism Council.Il programma ha previsto anche un'escursione geologica sul Passo delle Erbe guidata dal geologo Corrado Morelli e dal responsabile del Centro visite del Parco naturale Matteo Rubatscher.Un'altra giornata, il 18 novembre, è stata poi dedicata allo scambio tra i rifugisti presenti: "L'obiettivo di questo incontro annuale è quello di dare ai gestori dei rifugi l'opportunità di scambiare idee e fare rete dopo una stagione estiva impegnativa", ha spiegato Mara Nemela, direttrice della Fondazione Dolomiti Unesco.Il sesto incontro annuale dei gestori di rifugi è stato organizzato dalla Fondazione Dolomiti Unesco, in collaborazione con il Parco Naturale Fanes-Senes-Braies, la Ripartizione Natura, il paesaggio e sviluppo del territorio e la Cooperativa Turistica San Vigilio/San Martin - Dolomiti. I precedenti incontri annuali si sono tenuti a Predazzo nel 2017, a Bressanone nel 2018, in Val di Zoldo nel 2019, online nel 2020 e in Primiero nel 2021. E.D.
Alto Adige | 26 novembre 2022
CRISI CLIMATICA E CRISI IDRICA
p. 15
Finalmente piogge e neve in alta quota Ma il bilancio idrico è ben sotto la media
Francesco Dal Mas BELLUNO
La neve è in arrivo. La pioggia pure. Fioccherà alle quote più alte, dai 1500 metri in su, soprattutto oltre i 2000. Almeno per mezzo metro, secondo le previsioni che si stanno perfezionando in casa Arpav ad Arabba. Pioverà, invece, alle quote più basse, ma non nella misura che sarebbe sufficiente per riportare in equilibrio il bilancio idrologico. Poca pioggia«In tutto il mese di ottobre», fa sapere Bruno Renon dell'Arpav di Belluno, «sono caduti da 35 a 70 millimetri di pioggia, a fronte dei 120-220 di media, con località dove è piovuto solo per un quinto del totale medio pluriennale (ad esempio a Sant'Antonio Tortal, sopra Trichiana). E, si badi, gran parte della pioggia è caduta solo in due mezze giornate, nella mattinata del 22 ottobre e nel pomeriggio del 24». Da inizio anno il deficit nel bilancio pluviometrico si è rafforzato, con scarti negativi ovunque compresi fra il 20 e il 45%, ad eccezione di alcune località dell'estremo nord della provincia, come a Santo Stefano di Cadore, dove le precipitazioni sono state addirittura "normali". «Negli ultimi 36 anni, il 2022 si sta confermando uno dei quattro più secchi, assieme al 1990, 1997 e 2003», fa sapere Renon. Arriva la neveDi neve ne arriverà abbastanza, ma, attenzione, non è detto che resista. I terreni su cui cade sono molto caldi, il mese di ottobre ha registrato temperature sostenute, e, in ogni caso, la prossima settimana potrebbe arrivare l'estate di San Martino. Sarà anche una neve pericolosa, sostengono gli esperti, nel senso che, precipitando su versanti tutt'altro che freddi, potrebbe scivolare a valle. Quindi bisogna prestare la massima attenzione al pericolo di valanghe attraversando le strade sottostanti. E a nessuno venga in mente - si afferma dal Soccorso alpino - di iniziare anzitempo qualche attività di scialpinismo. In altri tempi, la fuga verso la Marmolada sarebbe cosa scontata, ma dal giorno della tragedia di 4 mesi fa è presente una ordinanza del Comune di Canazei che vieta l'accesso al ghiacciaio. Ieri pomeriggio, il bollettino dell'Arpav di Arabba si limitava a segnalare, in rosso, che «dalla tarda serata di giovedì 3 e nel corso di venerdì 4 fase di tempo perturbato, a tratti instabile. Sono previste precipitazioni diffuse con quantitativi consistenti, localmente abbondanti su zone montane e pedemontane. Fino alla prima parte di venerdì rinforzi di scirocco sulla costa e dai quadranti meridionali in quota". Non precisava, dunque, la metratura della neve. Ma il mezzo metro sarà confermato oggi. Anzi, con qualche centimetro in più: 55 cm. Più precisamente, nella giornata di venerdì, dai 35 ai 55 mm sopra i 2 mila metri, e fino ai 75 oltre i 2200. Impiantisti in attesaSarà una neve sufficiente per preparare le piste da sci? «Piano con l'entusiasmo», suggerisce Sonia Menardi della società Ista, che gestisce fra l'altro le piste del Col Gallina, le prime di solito ad aprire la stagione. «Cinquanta centimetri, in queste condizioni, sono un po'pochi, perché dopo il passaggio del gatto delle nevi di fondo ne resterebbe poco. Avremmo bisogno di terreni men caldi e di temperature più rigide. E non si dimentichi che a giorni arriverà l'estate di san Martino». Il Col Gallina, fra l'altro, è il paradiso degli allenamenti. Attendono di prenotarsi sci club di mezza Italia. «Per gli allenamenti le piste devono essere perfette, anche dal punto di vista delle attrezzature. Quindi di neve ce ne vuole». Insomma, conclude Menardi, «apriremo non appena saremo in grado di offrire il meglio». E per quanto riguarda la neve programmata, l'Ista come le altre società scenderanno in campo solo se si presenteranno le condizioni ottimali. Comunque tranquilli, gli impiantisti. A parte la parentesi di temperature al ribasso dei prossimi giorni, il caldo "estivo", con otto-dieci gradi in più, non dovrebbe proseguire oltre la metà novembre e non dovrebbe essere così sviluppato durante l'inverno, soprattutto dicembre e gennaio saranno un po' più piovosi, il che significa potenzialmente che la neve in montagna ci dovrebbe essere. Lo asseriscono gli studiosi di mereologia a livello nazionale. Staremo a vedere, incrociando le dita, conclude Sonia Menardi. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere del Trentino | 4 novembre 2022
p. 9
La voce dei ghiacciai
Cambiamenti climatici, lo studio su «Nature» di due ricercatori trentini
La nostra è l’ultima generazione che può ascoltare la voce dei ghiacciai. I ghiacci secolari possono ancora raccontare com’era l’ambiente nei millenni passati, prima che arrivi il loro definitivo scioglimento. Il ritiro dei ghiacciai alpini poi, oltre ad essere una delle manifestazioni più evidenti degli effetti dei cambiamenti climatici, a livello globale sta diventando il simbolo della dimensione filosofica ed etica dei mutamenti in atto.
Corriere delle Alpi | 3 novembre 2022
Lo sostengono due ricercatori trentini, Mauro Gobbi e Daniel Gaudio, amici fin dai tempi della scuola, compagni di banco al liceo e con il sogno comune di diventare scienziati. Un loro articolo pubblicato sulla rivista scientifica internazionale Nature and Culture che si occupa di ambiente, sociologia, antropologia e archeologia spiega proprio questo: il ritiro dei ghiacciai può dare la possibilità di svolgere ricerche inedite ricostruendo storie che sono uniche.
Mauro Gobbi e Daniel Gaudio sono laureati in Scienze Naturalistiche e Ambientali all’Università di Milano, Gobbi ha la specializzazione in Biodiversità degli ambienti alpini, ed è stata proprio la specifica preparazione in ghiacciai a portarlo a lavorare come ricercatore al Muse di Trento, ampliando la sua esperienza sui ghiacciai di Alpi, Ande, Pirenei e Scandinavia.
Gaudio è invece specializzato in Antropologia forense e Bioarcheologia umana, con esperienza in vari paesi tra cui il Regno Unito, proprio a Durham nel Regno Unito ora dirige il Master di Archeologia e Antropologia Forense, mentre a Trento è collaboratore dell’Ufficio Beni Archeologici della Provincia. Nel loro articolo, i due studiosi spiegano come i ghiacci non più perenni restituiscono nuove storie e nuovi ambiti di ricerca. Lo scioglimento dei ghiacci porta a scoprire corpi in cerca di identità, antichi reperti che riaffiorano da aree subito colonizzate da nuovi organismi.
Grazie a una prospettiva originale, nell’articolo Glaciers in the Anthropocene. A Biocultural View i due ricercatori trentini esplorano criticità e potenzialità offerte dal ritiro dei ghiacciai alpini sotto il profilo bio e culturale, giocando sul dualismo «guadagno contro perdita» di conoscenza culturale e biologica. Le ricerche sono state condotte da Gaudio e Gobbi sui ghiacciai andini, scandinavi e alpini, tra cui quelli trentini del gruppo Adamello Presanella e delle Dolomiti.
Come ricorda Daniel Gaudio, tra i ritrovamenti di reperti bioantropologici e archeologici che, sempre più spesso vengono rilasciati dai ghiacci in fusione, ci sono resti umani di diverse epoche: resti e reperti archeologici che necessitano un attento recupero per poter ricostruire i singoli destini e le storie di chi è scomparso inghiottito dai ghiacci e per salvaguardare quel patrimonio storico e archeologico. Gaudio inoltre esplora aspetti altrettanto importanti quali la funzione memoriale e spirituale dei ghiacci.
Mauro Gobbi, ricercatore dell’Ambito Clima ed Ecologia del Muse, affronta gli aspetti più strettamente biologici ed ecologici relativi ai ghiacciai, habitat in cui è presente una biodiversità esclusiva, con organismi perfettamente adattati alle condizioni estreme e per questo a rischio estinzione. Allo stesso tempo il ritiro dei ghiacciai sta liberando nuovi terreni permettendo di comprendere modalità e tempi di colonizzazione di queste nuove aree da parte della natura; ma anche libera gli inquinanti accumulati dai ghiacciai nei secoli e che ora vengono rilasciati nell’ambiente.
Alla fine i ghiacciai sono i più attendibili libri di storia che esistono: raccontano di esplorazioni, sport alpini, guerre, passaggio di uomini da una nazione all’altra, sfruttamento industriale, idroelettrico, fragili ecosistemi con biodiversità esclusiva.
Narrazioni uniche e interdisciplinari che rappresentano un’opportunità di conoscenza offerta dai cambiamenti climatici.
Corriere delle Alpi | 19 novembre 2022
p. 22
Allarme dell'Arpav
In provincia resta ancora grave la carenza idrica
l'analisi
Ma quale pioggia? Ma quale neve? Il meteo non sta dando ancora risposte risolutive alle conseguenze della siccità estiva. Lo rileva il monitoraggio di metà mese da parte dell'Arpav delle risorse idriche in provincia di Belluno e in regione. I primi 15 giorni di novembre hanno infatti registrato nel Bellunese precipitazioni tra i 20 ed i 75 mm, contro una media del mese di 136 millimetri (statistica degli ultimi 30 anni). Quindi si è rimasti ancora lontani dal 50% atteso (e auspicabile).E sapete quanta neve è caduta sulle Dolomiti nello stesso periodo? Meno del 50% di quella attesa. Ecco perché i laghi restano ancora bassi. E perché il deflusso dei fiumi e torrenti è di gran lunga inferiore alle medie auspicate. Non ci sono quindi le premesse per recuperare il deficit idrologico, neppure se dovesse piovere e nevicare per tutta la seconda parte di novembre.In Veneto sono caduti 43 mm di pioggia, pari al 32% degli apporti attesi a fine mese (136 mm la media degli ultimi 30 anni). Qualcosa di più in provincia di Belluno, ma assolutamente mal distribuito sul territorio. La massima precipitazione del periodo è stata registrate dalla stazione di Valpore di Seren del Grappa con 130 mm, ma altrove solo poche decine di millimetri. I bacini sui quali le piogge sono state più lontane dal valore medio sono quelli del Piave e della pianura tra Livenza e Piave dove sono caduti meno del 30% del quantitativo medio mensile. D'altra parte, la prima metà di novembre è stata mite (+2,1 °C) oltre la norma, quinto valore dal 1990. E la neve? È arrivata in diverse giornate sulle cime delle Dolomiti: il 4, 5, 10, 14 e 15 novembre, con apporti complessivi di 15-20 cm a 2200 m di quota e di 30-45 cm a 2600 m nelle Dolomiti e solo il 14 nelle Prealpi con 11 cm. Ma - attenzione - la quantità di neve fresca caduta è inferiore di oltre il 50% rispetto alla media 2009-2022. Arpav calcola, dunque, che la risorsa idrica nivale del PiaveCordevole-Brenta è inferiore ai 30 milioni di metri cubi. Le conseguenze per i laghi? Davvero magre. Fino al 30 novembre il Piano di Gestione del Rischio Alluvioni indica la necessità di mantenere prefissati livelli di salvaguardia nei principali invasi (Pieve di Cadore, Santa Croce, Corlo) per una opportuna laminazione delle piene. Ebbene, il volume totale al 15 novembre è di 71.7 milioni di metri cubi (-0.5 Mm3 dalla fine di ottobre), pari al 43% di riempimento, valore sotto la media del periodo (-30%, in termini assoluti meno 30 milioni di metri cubi) e quarto più basso dal 1994. In particolare il volume invasato a Pieve di Cadore è il secondo più basso dal 1994, mentre sul Mis, non soggetto al piano di laminazione, è il terzo (attualmente al 35%
di riempimento, quasi la metà della media storica del periodo). Anche sul serbatoio del Corlo (Brenta) il volume è rimasto stazionario nella prima metà di novembre (-55% rispetto alla media del periodo). fdm© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 22 novembre 2022
p. 11
Veneto sempre più a secco, allarme di Anbi «Le acque di risorgiva sono quasi sparite»
lo studio
Riccardo Sandre
L'acqua in Veneto inizia a diventare un bene sempre più scarso. Il solo apporto delle acque di risorgiva che filtrano nel terreno poroso ai piedi delle montagne per risalire in veri e propri corsi d'acqua in pianura si è praticamente azzerato negli ultimi 60 anni. Quello che nel 1960 era un apporto di acque dolci di 15 metri cubi al secondo si è trasformato nel giugno 2022 in 0,6 metri cubi al secondo. Un progressivo impoverimento che si conferma anche guardando al 2000, quando la portata delle risorgive dell'intera regione si era ridotta a 3 metri cubi al secondo, un quinto di quanto non fosse nel 1960.A fare una ricognizione dello stato di salute di una delle fonti strategiche di approvvigionamento di acqua per l'agricoltura e per l'uso potabile è il rapporto "Le Risorgive in Veneto. Strategie per la tutela e la valorizzazione di un patrimonio storico, culturale e ambientale unico al mondo" realizzato da Anbi (l'associazione che riunisce i consorzi di bonifica regionali) con Etifor, società spin-off dell'Università di Padova, e sostenuto da Credit Agricole FriulAdria. Studio resentato ieri a Padova negli spazi di Le Village by CA Triveneto. «Il 2022 è stato un anno davvero particolare - ha esordito Filippo Moretto, responsabile del centro studi di Anbi - perché ha visto il connubio devastante di precipitazioni estremamente scarse e temperature molto più elevate della media precedente. E tuttavia vale la pena domandarsi se il 2022 sia stato l'anno più caldo degli ultimi trent'anni o il più fresco dei prossimi trenta».A spingere al pessimismo sono anche i dati di Arpav relativi allo scorso ottobre 2022, uno dei più caldi della storia recente dell'area. Nel mese scorso sono caduti mediamente in Veneto 19 millimetri di precipitazioni rispetto a una media del periodo 1994-2021 di 111 millimetri, mentre gli apporti meteorici mensili sul territorio regionale sono molto inferiori alla media (-83%) e stimabili in circa 348 milioni di metri cubi di acqua.In questo contesto, l'analisi e il monitoraggio della risorsa idrica locale, unito a un piano di interventi di tutela, diventa sempre più strategico. «Non più tardi di circa cinque anni fa ho avuto l'onore di confrontarmi in Israele con uno dei massimi esperti mondiali di clima e di agricoltura di precisione» spiega il presidente di Anbi, Francesco Cazzaro. «Ebbene, guardando le loro colture, campi sterminati nel pieno del deserto dove la pianta cresce mentre intorno c'è solo terra brulla, lui mi ha detto: "Non è impossibile che tra una decina d'anni la vostra agricoltura assomiglierà molto a questa". Io non gli avevo creduto. Il Veneto, dicevo, è terra d'acque. Anche troppo umida. Difficilmente potrà assomigliare a un deserto mediorientale. Poi ho visto le foto satellitari dell'Alta pianura del Veneto centrale nel 2019 e nell'estate del 2022: una terra verde e rigogliosa si era trasformata in una distesa gialla e grigia di urbanizzazione. In questo senso, il tema del monitoraggio e della tutela della risorsa idrica e, nello specifico, della risorgiva si pone come particolarmente attuale».Delle 869 risorgive censite in Regione, circa un quarto, 215, sono ad oggi estinte. Corsi d'acqua importantissimi perché alla base dello sviluppo di intere città venete, come a Padova il Bacchiglione e a Treviso il Sile, sono fiumi di risorgiva, e proprio quest'estate le fonti che alimentano il Bacchiglione sono andate così tanto in sofferenza da imporre ai consorzi di bonifica un trasferimento di acqua dall'Adige. In un contesto così delicato, il lavoro iniziato da Anbi Veneto con Etifor e con il supporto di Credit Agricole FriulAdria diventa strategico per una programmazione condivisa delle iniziative di tutela. Una programmazione che deve vedere la collaborazione di stakeholder come le associazioni di categoria degli agricoltori, dei Comuni e della Regione. © RIPRODUZIONE RISERVATA
TRE CIME DI LAVAREDO: PROPOSTE DI ACCESSO
AURONZO
Il Comune di Auronzo strizza l'occhio alla rinnovata mobilità del lago di Braies per risolvere in via definitiva le annose problematiche relative alla fruibilità delle Tre Cime di Lavaredo. Problematiche di natura logistica molto simili, che a Braies sono state risolte istituendo la prenotazione on line per l'accesso delle automobili. I dati resi noti nelle scorse ore hanno premiato le scelte: la media giornaliera di veicoli che durante l'estate, tra luglio e settembre, si sono messe in coda per raggiungere Braies parla di -896 rispetto al 2021, pari ad
Corriere delle Alpi | 1 novembre 2022 p. 28 Sulle Tre Cime come a Braies: ticket on line per l'accesso auto
una riduzione del traffico individuale motorizzato del 24, 6%.C'è di più, perché proprio le limitazioni al transito e la prenotazione on line hanno prodotto un allungamento della stagione turistica. In tanti, infatti, per evitare le limitazioni di luglio ed agosto, hanno scelto Braies per una gita nei mesi di maggio e giugno che, rispetto al passato, hanno fatto registrare numeri in crescita così come settembre ed ottobre. Il servizio di ticketing on line introdotto da Braies è lo stesso che interesserà i passi dolomitici dal 2024. Al vaglio delle istituzioni altoatesine figurano ulteriori novità al sistema di ticketing che dall'estate del 2023 velocizzeranno ulteriormente gli accessi. «La prenotazione on line è stata individuata anche da noi come la soluzione al problema delle code sulla strada delle Tre Cime», hanno confermato il consigliere comunale di Auronzo delegato alle vicende di Tre Cime e Misurina Nicola Bombassei e l'assessore al turismo Roberto Pais Bianco, «il primo passo da compiere sarà ora la posa della fibra, elemento fondamentale per permettere la gestione on line. Nel frattempo procederemo con la riorganizzazione degli stalli riservati alle vetture nelle adiacenze del rifugio Auronzo».Tornando a Braies, altri sono gli spunti da cogliere relativamente ai dati emersi dall'estate 2021. Nei mesi di luglio ed agosto il transito alla valle è stato disposto su tre corsie. Una di queste è stata riservata ai soli possessori del ticket già acquistato on line. Le telecamere "leggono" il numero di targa del veicolo accreditato, consentendo l'immediato passaggio. Per tutti gli altri invece è stata messa a disposizione una corsia alternativa caratterizzata dalla presenza di una rotatoria d'uscita oppure dell'accesso all'area parcheggio da dove poi utilizzare mezzi alternativi di mobilità sostenibile come navette oppure bici elettriche a noleggio. A Braies dall'estate 2021 è possibile prenotare on line anche ristoranti, navette, noleggio bike e parcheggi. Il tutto con un occhio di riguardo all'ambiente. La riduzione di veicoli in coda verso Braies è stata salutata con soddisfazione dal sindaco Friedrich Mittermair. «Servirà una presa di coscienza da parte di tutti, non solo dei turisti ma anche degli operatori locali» hanno concluso gli amministratori auronzani. Gianluca De Rosa© RIPRODUZIONE RISERVATA
COMPRENSIORI SCIISTICI: NUOVI INVESTIMENTI IN PROGRAMMA
Gazzettino | 1 novembre 2022 p. 8, edizione Belluno
Bacino idrico a Col dei Baldi stanziati 3,2 milioni di euro
La seconda tranche dei Fondi di Confine Area Vasta 20192024 hanno finanziato il progetto per la realizzazione di un bacino idrico artificiale in località Col di Baldi che servirà per il potenziamento del sistema di alimentazione degli impianti di innevamento artificiale del comprensorio sciistico di Alleghe con gestione dell'intero sistema integrato. Un importante risultato portato a casa dalla compagine del sindaco Danilo De Toni.
L'INVESTIMENTO
L'opera, fondamentale per l'offerta turistica invernale, costerà circa 6,5 milioni di euro, di cui un milione 700mila ottenuti sui Fondi di Confine, un altro milione 500mila arriva da economie e programmazione reperite sulle annualità 2013-2018 dei Fondi di Confine, mentre la parte restante sarà messa dal settore privato. Il Comune di Alleghe, insomma, non avrà nessun aggravio per la realizzazione dell'opera.
I DATI TECNICI
Il grande bacino conterrà circa settanta mila metri cubi di acqua che d'inverno serviranno per alimentare l'impianto di innevamento programmato delle piste da sci del comprensorio di Alleghe. Nel grande vascone saranno dirottate varie sorgenti che l'alimenteranno e d'estate sarà un piccolo lago, artificiale, che diventerà una bella attrattiva turistica nell'oasi verde di Col di Baldi. Impressionante l'abbattimento dei tempi garantito dal nuovo bacino: l'impianto attuale richiede circa due settimane per completare l'innevamento delle piste, con tutte le incognite legate al variare delle temperature che questa dilazione cronologica comporta; con la nuova vasca in funzione si scenderà a una settantina di ore, esattamente 72, per imbiancare tutto.
POTENZIARE LA SKIAREA
Un intervento atto a potenziare maggiormente il comprensorio sciistico di Alleghe andando a garantire una quantità molto maggiore di acqua all'impianto di innevamento che come sappiamo spesso, a inizio stagione, fa la differenza per segnare la data di inizio dello sci, oltre che, nei mesi a seguire, garantire il livello di innevamento ottimale per tutta la stagione. Un investimento importante questo che Alleghe ha fatto nel settore turistico che per questo paese rappresenta la principale economia.
IL COMPRENSORIO
Il comprensorio sciistico di Alleghe fa parte dell'area Ski Civetta. Si tratta di due cabinovie Alleghe-Pian di Pezzè e Pian di Pezzè-Col dei Baldi che portano in quota, nel cuore dell'area, verso il demanio di Selva di Cadore e Zoldo. Ha ben diciassette piste di varia difficoltà, per lo sci alpino, che si snodano nella zona, diventano 43 piste in tutto il comprensorio, per un totale di 80 chilometri, in gran parte coperte dall'innevamento artificiale. In tutto sono 23 gli impianti e 4 skibus di collegamento che servono le piste di differente livello di difficoltà in tutto il demanio sciabile.
Ora non resta che sperare che l'energia abbassa i prezzi, perché con quelli attuali innevare artificialmente potrebbe diventare proibitivo. Dario Fontanive
OLIMPIADI MILANO-CORTINA 2026: GLI AGGIORNAMENTI
Alto Adige | 3 novembre 2022
p. 34
«No a sprechi e nuovi impianti per le Olimpiadi del 2026»
Dolomiti
"Limitare gli impatti ed evitare gli sprechi con la nuova pista bob a Cortina". È l'appello che 14 associazioni ambientaliste dell'area dolomitica lanciano chiedendo "un confronto e un aggiornamento sulle opere in programma e sui costi delle infrastrutture sportive previste per le Olimpiadi del 2026", costi, scrivono gli ambientalisti, "in lievitazione esponenziale".Alla base del recente incontro, le associazioni hanno messo "la constatazione che tanto le nuove infrastrutture sportive quanto una parte dei nuovi progetti di viabilità/mobilità inseriti nei finanziamenti per le Olimpiadi non si attengono ai principi enunciati nel Dossier di candidatura, secondo il quale i Giochi del 2026 devono costituire un evento a impatto zero. Non solo assistiamo al fallimento dell'obiettivo costo zeroaffermano gli ambientalisti - ma anche al mancato rispetto del principio di sostenibilità, non essendo stata fatta la Valutazione Ambientale Strategica (Vas) prevista per legge, e del principio di partecipazione e condivisione delle scelte.Infatti tutte le opere in programma sono state commissariate, impedendo di fatto a soggetti portatori di interessi, come associazioni e cittadini, di venire a conoscenza dei progetti per poter intervenire con le proprie osservazioni in tempi utili".Ed eccoci alla nuova pista da bob di Cortina, "opera - scrivono ancora gli ambientalisti - costosissima e difficilmente giustificabile, vista anche la scarsa popolarità delle discipline sportive ad essa legate. La petizione online sulla piattaforma Change contro questo progetto conta già 4.586 firme mentre sono 1.185 le firme raccolte fisicamente a Cortina durante l'estate e già inviate al Presidente del Cio Su questo tema le Associazioni che si sono incontrate a Cortina si impegnano, ognuna nel proprio ambito, a sensibilizzare la cittadinanza, a indirizzare le amministrazioni e a fare pressione sui decisori perché vengano adottate soluzioni più sostenibili per il territorio, per la tutela del clima e per le tasche dei contribuenti. In questa ottica rivolgono un appello alle autorità politiche che da decenni celebrano la cooperazione transfrontaliera in questa area alpina, affinché prendano posizione a favore dell'utilizzo della pista di bob di Innsbruck-Igls per le gare olimpiche, prendendo le distanze dall'attuale progetto di Cortina, che prevede lo smantellamento della storica pista Monti e la costruzione di una nuova impattante struttura in area urbana, e affinché si oppongano a un utilizzo inappropriato del fondo Brancher (che assegna 80 milioni di euro all'anno per stemperare l'impatto dello Statuto Speciale sui Comuni confinanti), nello spirito di una reale collaborazione transfrontaliera".
Gazzettino | 11 novembre 2022
p. 3, edizione Belluno
Ritardi e vincoli rallentano i lavori per le Olimpiadi
I pesanti e diffusi ritardi delle opere sportive, da realizzare per poter organizzare i Giochi olimpici e paralimpici invernali Milano Cortina 2026, stanno suscitando crescente disagio nell'amministrazione comunale ampezzana. Il sindaco Gianluca Lorenzi ha espresso più volte la sua apprensione, perché di questi tempi si dovrebbero vedere già i cantieri al lavoro, mentre non è ancora nemmeno concluso l'iter delle autorizzazioni. In primo piano c'è la pista di Ronco, a sostituire lo storico tracciato Eugenio Monti, per le gare di bob, skeleton e slittino. Il 25 agosto, in un incontro ufficiale nell'aula consiliare del municipio, era intervenuto Luigivalerio Sant'Andrea, commissario di governo e amministratore delegato della società Infrastrutture Milano Cortina 2026: «Il tempo è il nostro nemico più grande. Già nel mese di settembre il governo emetterà un decreto che sancisce l'avvio di tutti i provvedimenti. La pista di bob è un'opera essenziale e indifferibile, perché altrimenti non si fanno le gare. Con il commissario è stato accelerato tutto. Senza l'attività istruttoria della Regione Veneto, nel progetto di fattibilità tecnica ed economica, oggi non ci sarebbero i tempi, per assicurare il completamento dell'opera entro le date richieste dal Comitato olimpico. La conferenza di servizi preliminare, a luglio, ha individuato l'andamento della pista e la localizzazione. Si è deciso di intervenire per stralci funzionali. Entro la fine dell'anno si procederà con la pulizia di una parte di pista, per poi perfezionare il progetto definitivo, andare all'appalto e iniziare il cantiere nel giugno 2023».
GLI OSTACOLI
In realtà l'unica novità intervenuta è il vincolo della Soprintendenza di Venezia, sullo storico manufatto. Di cantieri non se ne sono visti, nemmeno per demolire l'esistente. Crescono invece le opposizioni alla nuova pista, con voci sempre più alte, che chiedono di disputare le gare a cinque cerchi in un impianto già esistente, a Igls, presso Innsbruck, in Austria. Ora si prospettano difficoltà anche per il villaggio olimpico, per accogliere gli atleti: nel dossier della candidatura era previsto a Fiames, ma sta emergendo un problema del rischio idrogeologico su quell'area. Potrebbe quindi rendersi necessario individuare un altro posto, dove collocare le strutture provvisorie: il progetto prevede infatti una struttura per il solo periodo dei Giochi. A meno che non passi la richiesta delle associazioni
di categoria, in particolare degli albergatori, di creare invece alloggi permanenti, che possano diventare foresteria per i lavoratori del turismo, dopo il febbraio 2026.
LE PISTE
Per lo sci alpino le piste ci sono: il comprensorio della Tofana è stato ammodernato, con impianti e tracciati, con zone d'arrivo, per i Campionati del mondo Cortina 2021. Nel dossier è indicata l'assegnazione a Cortina di tutte le gare del calendario femminile; resta l'incognita del parere della Federazione internazionale sci, che non vedrebbe di buon occhio la divisione delle squadre nazionali, con le gare maschili a Bormio, in Valtellina, e quelle femminili a Cortina. L'altra specialità è il curling, che si dovrebbe giocare sul ghiaccio dello storico stadio Olimpico, monumento ai Giochi 1956, sia del torneo olimpico, sia di quello paralimpico. Anche questo impianto ha però bisogno di interventi strutturali, con la creazione di spazi e servizi, in particolare spogliatoi, oltre ad altre aree funzionali. Anche per questi lavori non ci sono ancora neppure i progetti, mentre altre località italiane fanno sapere, con insistenza che accoglierebbero volentieri le partite di curling. Intanto da Venezia arriva un altro vincolo della Soprintendenza: non si può intervenire sul vecchio trampolino olimpico Italia per il salto con gli sci, dove si voleva creare la piazza per la consegna delle medaglie. M. Dib.
Corriere delle Alpi | 16 novembre 2022 p. 21
Pista da bob, Zaia forza la mano col Coni: «Il governo scelga Cortina o Innsbruck»
CORTINA
Ma la pista di bob la volete o no? È significativo che, nel giorno in cui il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, inaugura il nuovo palaghiaccio di Varese, inneggiando alle Olimpiadi, il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, chieda invece conto a Giovanni Malagò, presidente della Fondazione Milano Cortina, e al ministro dello sport, Andrea Abodi, di chiarire le rispettive, reali volontà sul discusso impianto per il bob, lo slittino e lo skeleton.80 MILIONILa lettera, per la verità, è ancora del 26 ottobre ma se ne è venuti a conoscenza solo ieri. «Per senso di responsabilità», palesa Zaia, «ho il dovere di rappresentare come la situazione geopolitica attuale e la crisi in corso abbiano comportato l'aumento in alcuni casi esponenziale delle materie prime; ciò sta significando un cospicuo aumento dei costi anche per la realizzazione della pista da bob (indicativamente da 55 a 80 milioni di euro, ndr)». Zaia ammette di rendersi ben conto che si tratta di elementi di novità che necessitano di essere valutati qualora inducano «a conclusioni diverse in coerenza della già citata Agenda Olimpica 2020». Agenda che, come ormai ben si sa, contempla «la sostenibilità» in tutti gli aspetti dei Giochi e, in particolare, la riduzione dei costi.CONFERMARE O MENOZaia, dunque, dice di ritenere che «sussistano ancora, seppur per poco» i tempi per rappresentare alla nuova compagine di governo tutti gli elementi necessari (attenzione al seguito...) «per poter confermare o modificare la scelta dell'intervento di riqualificazione della pista da bob, oppure per valutare altre possibili soluzioni, tra cui la più volte paventata pista di Innsbruck».APERTURA O NO?È una clamorosa, peraltro imprevista, apertura verso l'alternativa più volte sollecitata da Comitati ed ambientalisti? Questo Zaia non lo fa intendere esplicitamente nella lettera, ma invita la Fondazione da una parte e il Governo dall'altra a decidere. E decidere significa aggiungere la quota di soldi che oggi manca. Ma bisogna farlo subito, perché lo studio progettuale è in corso in questi giorni e potrebbe essere concluso tra la fine del mese e l'inizio del prossimo.CHIARISCA IL CIO«Rilevo la necessità», scrive Zaia, «di avere formali e puntuali indicazioni in ordine alle decisioni che saranno assunte, considerando altresì il ruolo di competente interlocutore della Fondazione Mico 2026, nei confronti del Cio, in ragione delle scelte e delle valutazioni che saranno fatte nel rispetto dei richiamati obiettivi della succitata Agenda Olimpica». Questo passaggio della lettera è fondamentale. Zaia chiede a Malagò di pronunciarsi per dire una volta per tutte la sua anche nei confronti di Thomas Bach che, a suo tempo, aveva lasciato aperta la breccia di Innsbruck, lasciando quanto meno perplessi sia il Veneto e sia Cortina.BACH LA VUOLE O NO?In altre parole, Bach vuole o no la pista? Nella missiva Zaia ricorda infatti che il Cio, «pur nella leale collaborazione mai venuta meno, fin dal 2020, ha esternato una serie di dichiarazioni in ordine alla realizzazione della pista, rappresentandone, in una pluralità di occasioni, presunte criticità sotto vari profili, precipuamente connessi alla sostenibilità finanziaria e ambientale». Conclude significativamente Zaia: «Richiamata, dunque, la necessità e l'urgenza che non rimanga alcuna ombra sulla linea da adottare, nel rispetto dei summenzionati principi di sostenibilità, la Regione del Veneto, per quanto di competenza, si adeguerà alla scelta definitiva e conseguente».MALAGO' E VARNIERAdesso, al vertice della Fondazione c'è, oltre a Malagò, l'ad Andrea Varnier, veneto di Verona, scelto dal ministro Abodi, d'accordo col presidente Zaia, in prima istanza; non si sa quanto la scelta sia stata condivisa da Malagò, che ieri infatti si è limitato ad un freddo saluto: "Sono onorato di dare il benvenuto - a nome di tutta la squadra di Milano Cortina 2026 - ad Andrea Varnier, nominato nuovo amministratore delegato della Fondazione. Il suo ingresso, condiviso con i soci fondatori attraverso l'opportuna metodologia utilizzata dal governo e nello specifico dal ministro Andrea Abodi, è un passaggio fondamentale per dare forma e contenuto alle linee programmatiche del progetto. Le esperienze maturate da Varnier, unite alle riconosciute capacità - e alla vocazione a cinque cerchi che connota da sempre il suo percorso professionale - sono premesse importanti e ci permettono di rinnovare l'impegno per realizzare un sogno che dovrà rendere orgoglioso l'intero Paese". Tutto ok? Sì, ma senza entusiasmo, rilevano a Cortina. Francesco Dal Mas© RIPRODUZIONE
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Il Coni conferma: pista di Bob a Cortina «Le Olimpiadi non usciranno dall'Italia»
Francesco Dal Mas CORTINA
La pista di bob si farà. Il presidente del Veneto, Luca Zaia, ha ricevuto le assicurazioni del caso dal Coni. Nei giorni scorsi aveva scritto al numero uno Giovanni Malagò e al ministro Andrea Abodi, per ottenerle, adombrando, come alternativa, la "fuga" a Innsbruck.«Preso atto che c'è un dossier con la candidatura delle Olimpiadi di Cortina che prevede la realizzazione della pista da bob a Cortina, ho chiesto al Coni se ci sono soluzioni alternative di cui non sono a conoscenza. Mi è stato risposto di no, ma soprattutto è stato sottolineato che non è contemplato dall'Italia uscire dai confini nazionali per l'edizione del 2026. Fatta quindi chiarezza, il disegno per la pista da bob va avanti con il commissario straordinario Luigi Sant'Andrea. C'è il progetto di demolizione della vecchia pista e la realizzazione della nuova struttura. Quanto alle risorse, ricordo che questo cantiere non è finanziato dalla Regione: aveva una previsione di 55 milioni di euro che sono lievitati a oltre 80-85 milioni, dovuto all'aumento nei costi delle materie prime che del resto vale per tutti i cantieri».Sospiro di sollievo anzitutto a Cortina. L'assessore Stefano Ghezze, che si sta occupando delle opere olimpiche, afferma che «Zaia aveva tutte le ragioni per mettersi al riparo da eventuali contestazioni. Non credo che volesse rinunciare alla pista di bob. Noi del Comune no di certo, altrimenti potremmo rinunciare alle stesse Olimpiadi».Ghezze assicura che i progetti sono già avanti e che la Soprintendenza ha dato il benestare. Rispetto ai primi studi, ci sono state radicali modifiche, specie alle curve, per cui verrà contenuto l'impatto ambientale, tant'è che, appunto, la Soprintendenza, dopo i primi ricorsi, ha concesso il benestare. La revisione progettuale comporterà, fra l'altro, un risparmio negli investimenti e nei tempi di realizzo. «E chi sostiene che sono saltati tutti i tempi del cantiere, sa di dire una fesseria» insiste Ghezze. Sulla stessa lunghezza d'onda si sintonizza il presidente della Provincia, Roberto Padrin, contrario alla fuga oltre confine e soddisfatto delle rassicurazioni del Coni.«La Provincia ha sempre sostenuto le Olimpiadi e le Paralimpiadi del 2026, in quanto sono un volano di sviluppo dell'intero territorio. All'interno del progetto olimpico, la riqualificazione della pista da bob "Eugenio Monti", secondo criteri di sostenibilità ambientale, assumeva e assolve tuttora il compito non solo di portare a Cortina una fetta importante di gare olimpiche, ma anche quello di riqualificare la struttura», afferma Padrin, in merito alla lettera di Zaia a Malagò. Per Padrin si tratta anche «di recuperare la tradizione di uno sport nato proprio in questo territorio».«L'aumento dei costi, inevitabile in questo periodo economico di grande incertezza, rende necessari alcuni ragionamenti, che giustamente il governatore Zaia sottopone all'attenzione di Coni e Governo», prosegue, «Da parte nostra rimane la convinzione che l'appuntamento olimpico e paralimpico rappresenti un grande momento per il territorio, non tanto e non solo per l'evento sportivo, quanto per la Legacy che potrà creare, garantendo quelle infrastrutture di cui il Bellunese ha bisogno e quella scintilla di sviluppo economico indispensabile per attivare strategie a favore della montagna. Restiamo dunque in attesa di capire quali considerazioni verranno portate avanti sulla questione». © RIPRODUZIONE RISERVATA
MARMOLADA: GLI AGGIORNAMENTI
Marmolada chiusa, i veneti protestano
L'ordinanza di fine luglio di chiusura della Marmolada, emessa dal sindaco del Comune di Canazei Giovanni Bernard, è ancora in vigore ma nell'Alto Agordino gli operatori della montagna non ci stanno e lanciano un allarme. Temono che se non verrà ritirata «la stagione invernale sia a rischio e con essa la permanenza sul territorio di tante imprese e famiglie». La società Marmolada srl, che gestisce le funivie sulla Regina delle Dolomiti, chiede un immediato intervento e si profila uno scontro con Canazei e la Provincia di Trento. Secondo gli impiantisti il divieto di accesso è senza senso, essendo trascorsi ormai quattro mesi dalla tragedia. Il sindaco di Rocca Pietore, Andrea De Bernardin, è più cauto: «È preoccupante ma credo che, in questo caso, sia fuori dal controllo politico. Esagerata, comunque, la chiusura totale dell'area. Allora facciamo anche con le altre montagne».Dal Veneto gli sciatori solitamente accedono al ghiacciaio con la funivia suddivisa in tre tronconi: si parte da Malga Ciapela e si raggiungono le stazioni intermedie di Coston d'Antemoja (2.350 metri) di Serauta (2.950 metri) e infine la stazione d'arrivo di Punta Rocca (3.265 metri). Una funivia tutta veneta che però si trova in gran parte su territorio trentino. «La stagione invernale è alle porte, manca meno di un mese. Da sempre novembre è fondamentale per la preparazione delle piste e degli impianti per l'avvio regolare dell'attività 2022/2023. Ogni giorno è prezioso», si legge nella nota. E ad essere pronta a predisporre l'area sciabile è la stessa società, nata nel 1965: «La funivia della
Corriere
delle Alpi | 19 novembre 2022 p. 24
L’Adige | 7 novembre 2022 p. 13
Marmolada, che parte ed arriva in provincia di Belluno - quindi in Veneto - vede la propria pista svilupparsi in gran parte in provincia di Trento, perché attraversa il ghiacciaio. Come gestori dell'impianto siamo pronti ad avviare i lavori di preparazione della pista ma il Comune di Canazei continua a vietare l'accesso al ghiacciaio».«Alle nostre richieste di chiarimenti, ci viene opposta una fantomatica perizia, avviata mesi fa quando le eccezionali temperature estive potevano generare preoccupazioni, ma mai redatta ed inattuale ora quando finalmente il termometro è sceso sotto lo zero», sottolinea la società. Nessuno vuole dimenticare la tragedia accaduta a luglio, ma in questo momento le questioni economiche sono altrettanto importanti per questa comunità. «La disgrazia accaduta a luglio, come abbiamo sempre ribadito, merita il nostro pieno rispetto e la massima attenzione nell'adozione di provvedimenti efficaci, ma è da prendere atto che il distacco della porzione di ghiaccio è avvenuta in una zona totalmente estranea a quella in cui si sviluppa la pista, che è soggetta a continui monitoraggi, controlli e manutenzioni nel pieno rispetto di tutte le leggi e normative», prosegue la società. «Se il permesso di preparare la pista e poi di aprirla agli sciatori non dovesse arrivare tempestivamente, i danni economici sarebbero incommensurabili per tutta la vallata, che vive dell'attività turistica invernale, dall'impianto di Malga Ciapèl a quelli che lo connettono con Arabba. Questi ritardi, questi burocratismi, questa mancanza di chiarimenti diventano l'ennesimo attentato alla pur indefessa resilienza della gente di montagna per continuare a risiedere in questi territori e vivere di quello che hanno da offrire. E questo in un momento storico già difficilissimo, contrassegnato da rincari energetici che rendono ancora più difficile ed eroico abitare e lavorare nelle terre alte», la conclusione di Marmolada srl. Impiantisti e operatori economici contestano soprattutto il fatto che l'ordinanza era stata emessa per motivi di sicurezza all'indomani della tragedia che si è verificata a inizio luglio sulla Marmolada. «Tragico evento - si legge nell'ordinanza del sindaco datata 28 luglio - legato alle alte temperature anomale per il periodo e la stagione». Ora, con l'inverno alle porte, secondo i veneti queste motivazioni sarebbero venute meno.
Corriere delle Alpi | 12 novembre 2022
p. 27
Bernard gela lo sci «La Marmolada? Resta ancora chiusa due o tre settimane»
ROCCA PIETORE
«Penso che tra due o tre settimane potremo riaprire»: parola di sindaco, di Giovanni Bernard di Canazei. Si riferisce al grande ghiacciaio della Marmolada. Ieri, ha precisato ancora una volta che sarà in grado di sospendere l'ordinanza comunale di chiusura, emanata dopo il disastro del 3 luglio, solo in presenza del piano di sicurezza della provincia di Trento, di imminente pubblicazione.«Mi auguro, per la verità, di poter rendere accessibile almeno parte del ghiacciaio prima della fine del mese. Bisognerà tener conto, in ogni caso, delle prescrizioni che verranno date. Non ci dovrebbero essere, in ogni modo, problemi per la preparazione delle piste», assicura Bernard. Il sindaco di Canazei ammette però di essere anche lui preoccupato per l'avvio della stagione invernale, «ma», dice, «non ci sono comunque, ad oggi, le condizioni, almeno alle quote più basse, per la neve programmata; le temperature sono ancora troppo alte».Il sindaco si dice «sostanzialmente certo» che per il ponte di Sant'Ambrogio e dell'Immacolata le piste potranno essere pronte, sempre che nevichi o le temperature permettano l'innevamento artificiale.Patrick Pomare, direttore di Funivie Marmolada, continua però a manifestare preoccupazione, perché i chilometri di pista da preparare sono ben 12, ci vogliono settimane di tempo ed è necessario contrattualizzare il personale. In quota la colonnina del mercurio è scesa anche a 17 gradi sotto lo zero, quindi le condizioni ci sarebbero già adesso per poter preparare la discesa.«Ci siamo chiesti come mai, nel settembre scorso, siamo stati autorizzati a prelevare i teli che coprivano le piste, mentre in condizioni di sicurezza maggiori non ci viene data l'autorizzazione ad installare i cannoni per sparare».La pista ritenuta la più lunga d'Europa scende da Punta Rocca fino a Malga Ciapela; fino a ieri almeno, la parte inferiore, quella più esposta al sole, era però tutta terra e ghiaia con qualche isola di verde secco. La speranza della società Funivie Marmolada è di aprire la stagione per Sant'Ambrogio.«L'augurio di tutta la valle è lo stesso», sottolinea Lucia Farenzena, presidente del Consorzio turistico, «abbiamo già molte prenotazioni, ma subordinate alla possibilità di poter sciare sulla Marmolada. Non si dimentichi che questa non è una pista locale, di valle, ma è "la" meta di tutto il sistema Superski».Una meta, la Marmolada, per la stessa Val di Fassa, quindi - sostiene ancora Farenzena - è nello stesso interesse dei trentini accelerare sui tempi di autorizzazione. La società funiviaria, tra l'altro, non è in grado oggi di dare una tempistica certa di assunzione ai propri collaboratori, specie quelli stagionali, per cui c'è il rischio di perderne alcuni per strada.«Mi rendo conto di tutte le ragioni degli impiantisti», conclude il sindaco di Canazei, «stiamo davvero cercando di fare in fretta, arriveremo in tempo per la neve, speriamo naturale, e senz'altro per quella eventualmente artificiale, programmata, perché le temperature andranno finalmente a calare. È nel nostro interesse, sia chiaro, continuare a collaborare con la Val Pettorina». Francesco Dal Mas© RIPRODUZIONE RISERVATA
L’Adige | 13 novembre 2022 p. 37
Ordinanza sulla Marmolada in arrivo
Probabilmente già nel corso della settimana entrante, il divieto di accesso alla Marmolada sarà revocato. L'ordinanza che farà venir meno le rigide restrizioni per ragioni di sicurezza disposte dopo il disastroso crollo di parte del ghiacciaio il 3 luglio scorso e costato la vita a 11 persone, verrà firmata dal sindaco di Canazei Giovanni Bernard. Una decisione pesante. Di quelle che trasformano la penna fra le dita di chi deve apporre la firma, in qualcosa di assimilabile, per peso, ad una colonna del Partenone. Il primo cittadino non sarà però l'unico responsabile di un provvedimento fortemente caldeggiato - con toni anche un poco sopra le righe - dagli impiantisti della Marmolada in vista dell'avvio della stagione invernale. A puntellare l'ordinanza che emetterà il sindaco sarà infatti una relazione tecnica elaborata dalla Protezione civile trentina. «Il documento in questione è pronto - rivela il dirigente del Dipartimento Protezione civile Raffaele De Col -. Attendiamo solo il via libera del presidente Fugatti a cui spetta l'ultima revisione, e poi il sindaco potrà emettere l'ordinanza». Che non sarà comunque un provvedimento che ripristinerà, lo status quo ante come se nulla fosse successo. «Parlerei di un'ordinanza di riapertura secondo nuove modalità di gestione di un territorio che ha manifestato in modo purtroppo improvviso ed estremamente drammatico, la propria vulnerabilità» sottolinea De Col. Sui contenuti di dettaglio, che potrebbero consistere in prescrizioni da rispettare da parte dei soggetti che in quei territori operano o hanno interessi, l'ingegnere non intende dare indicazioni «Un poco di pazienza. È davvero questione di pochi giorni, poi tutto sarà reso pubblico - spiega -. Posso dire che l'ordinanza attesa, consentirà la ripresa dell'attività sciistica in Marmolada, anche se saranno introdotte delle novità rispetto ai modi di gestione del territorio».La tanto attesa firma di sblocco, detto in altri termini, non terrà conto solo del presente, con la situazione del ghiacciaio andata ovviamente migliorando dal punto di vista della stabilità con l'avvento delle basse temperature. «C'è un passato, un presente e un futuro rispetto alla Marmolada - aggiunge a riguardo De Col -. Posso capire che chi sulla Marmolada lavora in questo momento si focalizzi sul presente e fatichi a comprendere perché ancora non sia stato tolto il divieto di accesso. Amministratori e tecnici pubblici, tuttavia, non possono permettersi di farsi influenzare nelle decisioni solo dalla situazione dell'oggi. Quel che è successo, purtroppo non si può cancellare e quel che ancora potrebbe accadere non possiamo prevederlo». La soluzione approntata dalla Provincia, potrebbe andare nel verso di un frazionamento delle responsabilità fra l'ente pubblico e chi trae profitto dallo sfruttamento (anche turistico) del territorio. È già accaduto con gli impiantisti di Folgarida Marilleva. Quasi certamente - e a maggior ragione - potrebbe accadere per quelli della Marmolada.
L’Adige | 15 novembre 2022
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Marmolada, braccio di ferro coi veneti
Sembra ogni giorno di più un braccio di ferro, quello sul futuro prossimo della Marmolada. Perché la Provincia di Trento, per bocca di un suo dirigente generale, Raffaele De Col, aveva solo qualche giorno fa detto parole chiare: per l'apertura della Marmolada si tratta di aspettare solo qualche giorno. Al fronte veneto evidentemente la rassicurazione non è bastata. E ieri è arrivata una nota da parte di Confindustria di Belluno, che dà conto degli ultimi passi di Marmolada Srl, società che gestisce gli impianti sul massiccio. Una lettera al consorzio Dolomiti Superski, in cui si chiede «di assumere ogni azione utile a consentire l'avvio della stagione sciistica». Insomma, sulla linea di confine regionale inizia ad alzarsi il livello dello scontro.Per capire serve fare qualche passo indietro. E il primo è quello di ricordare la tragedia del 3 luglio scorso, quando un distacco del ghiacciaio costò la vita a 11 persone. Immediata, all'epoca, arrivò l'ordinanza del sindaco di Canazei, di interdizione del ghiacciaio, evidentemente non più stabile. Da allora nessuno si è avventurato sul fronte trentino. E da allora il fronte veneto è rimasto invece aperto, perché non ha problemi di sicurezza. E, ancora, da allora, le attività economiche oltre la linea di confine spingono per superare il dramma e i divieti.Oggi la situazione non è cambiata: l'ordinanza di chiusura del ghiacciaio c'è ancora e da almeno due settimane dal Veneto si agitano, chiedendo di revocarla. I pericoli che c'erano nel luglio più caldo della storia - questo il senso degli interventi - non ci sono più ora che sta per nevicare. Da qui la richiesta di riaprire per preparare la stagione invernale.Da piazza Dante la risposta è sempre stata negativa, mentre tre giorni fa l'apertura è arrivata, e con quella un orizzonte temporale ravvicinato: entro questa settimana. Ma - ha anche preannunciato De Col a l'Adige - la riapertura potrebbe essere con prescrizioni, anche sul fronte della responsabilità.È di ieri la reazione. Piuttosto dura. Intanto a replicare è Confindustria Belluno, e questo già dice che la società Marmolada Srl ha chiesto all'associazione di categoria tutela, perché evidentemente pensa di averne bisogno. Nella nota Confindustria ricorda che «i danni rischiano di essere irreparabili e non riguardano solo il territorio comunale di Rocca Pietore - dove sono in pericolo tante attività economiche e decine di posti di lavoro diretti - ma l'intera area del Dolomiti Superski, di cui la Marmolada è parte fondamentale e integrante». Due le lettere inviate nelle scorse ore a Dolomiti Superski: una del sindaco di Pietore e l'altra da Marmolada Srl. Si chiede «di assumere ogni azione utile a consentire l'avvio della stagione sciistica e dei lavori preparatori sulle piste» L'ordinanza, si spiega, impedisce «alla società le ordinarie attività di manutenzione e preparazione necessarie all'apertura delle piste alla pratica dello sci, prevista per sabato 3 dicembre». Il sindaco Andrea De Bernardin osserva che «il mancato avvio avrebbe effetti gravissimi sul piano economico e sociale per il nostro territorio», mentre Marmolada srl parla di danni irreparabili anche sul piano dell'immagine, per l'intera area del Dolomiti Superski.
La Marmolada riapre venerdì
Bolzano
A più di quattro mesi dal crollo di un pezzo di seracco sulla Marmolada l'ordinanza di interdizione all'accesso al versante trentino del massiccio al confine tra Trentino e Veneto sta per essere revocata. Il provvedimento, che verrà adottato in tempo per consentire la preparazione delle piste da sci in vista dell'avvio della stagione invernale, è stato annunciato dal dirigente generale del Dipartimento di Protezione civile della Provincia autonoma di Trento, Raffaele De Col. Ancora in fase di elaborazione da parte degli uffici tecnici, l'ordinanza verrà emanata entro venerdì prossimo e conterrà una serie di prescrizioni riguardanti la sicurezza, in modo da ridurre al minimo i pericoli per gli sciatori. Il ghiacciaio, assieme ad una parte del versante del massiccio, fino al bacino di passo Fedaia, è stato inserito nella zona rossa dopo il crollo improvviso, lo scorso 3 luglio, di un seracco sotto Punta Rocca. Il disastro costò la vita a undici alpinisti. Considerato il forte rischio di nuovi crolli, a causa della presenza di fessurazioni nelle calotte di ghiaccio e delle alte temperature registrate in quota nei mesi estivi, il sindaco di Canazei, Giovanni Bernard, firmò un'ordinanza di divieto di accesso al massiccio dal versante trentino, tuttora in vigore. Il versante veneto, invece, rimase aperto, in quanto considerato a minor rischio. La conferma della riapertura è arrivata all'indomani della lettera inviata al Dolomiti Superski da Marmolada Srl, che gestisce gli impianti sul massiccio, e dal sindaco di Rocca Pietore (in provincia di Belluno), Andrea De Bernardin, in cui si chiedeva al consorzio di "assumere ogni azione utile a consentire l'avvio della stagione sciistica"
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Marmolada, via la "zona rossa"
Via la "zona rossa". E per la Marmolada si apre una nuova fase, venti settimane dopo il tragico 3 luglio con il crollo del seracco nei pressi di Punta Rocca, che aveva strappato la vita ad 11 escursionisti. Ieri sera il sindaco di Canazei Giovanni Bernard ha firmato il documento che consente nuovamente l'accesso alla Regina delle Dolomiti. Una decisione assunta sulla base della relazione tecnica di aggiornamento a cura del Servizio prevenzione rischi e Cue del Dipartimento protezione civile, foreste e fauna della Provincia, contenente analisi e indicazioni operative finalizzate proprio alla riapertura. Il documento definisce una nuova "area di attenzione" sul versante nord della Marmolada, su cui potranno essere attivate eventuali limitazioni in caso di necessità, sulla base dei dati di monitoraggio. Continueranno dunque ad essere registrati e analizzati con specifiche apparecchiature i parametri nivometeorologici; in caso di segnalazione di criticità saranno inoltre effettuati sopralluoghi sul campo.L'area di attenzione è ora costituita dalla calotta e dalle due principali lingue che la circondano e scende fino al lago di Fedaia. In quella specifica area, si prevede che con la stagione estiva 2023 sia attivabile nuovamente un divieto di accesso, qualora si dovessero ripetere periodi prolungati di forte innalzamento delle temperature.I rifugi posizionati sul versante nord della Marmolada (Capanna ghiacciaio Marmolada e Pian dei Fiacconi, posti l'uno vicino all'altro a circa 2.700 metri di quota) non possono ancora essere utilizzati. Le due strutture (una delle quali distrutta da una valanga nel dicembre 2020) si trovano infatti nell'area più critica, vicino alle potenziali aree di crollo e di scorrimento delle valanghe che frequentemente si distaccano dai versanti della Marmolada. Può riaprire invece il rifugio Cima Undici, situato in prossimità del lago di Fedaia. «Non avendo ancora concluso le indagini scientifiche sulle cause del crollo e non potendo escludere crolli futuri che coinvolgano aree ben più estese di quella che ha causato la tragedia del luglio 2022, dovrà essere attentamente valutata la loro permanenza sul sedime attuale attuando un piano di delocalizzazione specifico» ha detto in una nota della Provincia il numero uno della Protezione civile Raffaele De Col.Le piste da sci che si trovano nella sola area nord-orientale del versante, ricadono all'esterno dell'area più critica. Per il loro utilizzo, la Provincia ritiene indispensabile che la società concessionaria collabori e contribuisca alla sicurezza sia per quanto già previsto dalle leggi di settore, sia in termini di monitoraggio e opere dirette di protezione.
Corriere del Trentino | 29 novembre 2022 p. 6
Marmolada, le funivie: «Concessione più lunga»
La Provincia non ci sta
Alto Adige | 16 novembre 2022 p. 16
L’Adige | 17 novembre 2022
TRENTO
Marmolada Srl, la società che gestisce gli impianti che portano sulla Regina delle Dolomiti, vuole allungare il periodo di concessione del ghiacciaio (portandolo da dieci a venti anni). Per questo ha presentato ricorso al Tar contro la Provincia, che però come deciso nell’ultima seduta di giunta resiste affidandosi per la difesa all’Avvocatura generale dello Stato di Roma, «considerata la delicatezza, importanza e specificità del contenzioso» e considerata «la necessità di disporre di un referente su Roma, visto che questo processo è ancora oggi solo cartolare». La stessa giunta, nell’ultima riunione, ha analizzato l’istanza di annullamento della delibera del Comune di Tesero sulla realizzazione della pista di skiroll presentata da una cittadina. Dopo aver esaminato tutta la documentazione a disposizione, l’esecutivo ha però respinto l’istanza di annullamento.
MOBILITA’ INTERVALLIVA
L’Adige | 12 novembre 2022 p. 17
Prospettive di mobilità sostenibile sulle Dolomiti
Turisti in visita alle Dolomiti saltano dal treno del fondovalle alla funivia che li porta in quota, senza mettersi in coda e inquinare. Più che un progetto è un sogno, come lo hanno definito gli stessi ispiratori, le tre organizzazioni imprenditoriali delle province interessate: Confindustria Trento, Confindustria Belluno Dolomiti e Assoimprenditori Alto Adige. I risultati della ricerca sulla "Mobilità sostenibile sulle Dolomiti", commissionata all'Università di Padova, sono stati illustrati ieri mattina a palazzo Stella. Lo spunto lo aveva offerto l'assegnazione delle Olimpiadi invernali del 2026 ai tre territori dolomitici. Tra i miglioramenti infrastrutturali legati all'evento sportivo ci sono interventi come l'elettrificazione della ferrovia della Valsugana e il sistema Brt di autobus ecologici nelle valli di Fiemme e Fassa, ma le associazioni degli imprenditori hanno pensato bene di non limitarsi a quel poco che si può fare nei prossimi quattro anni ma di lanciare uno sguardo nel futuro per immaginare gli scenari che possano assicurare ancora lunga vita alla principale industria dolomitica, il turismo, evitando però che l'assalto delle masse finisca per danneggiare la risorsa ambiente e lo stesso business turistico. È evidente - fa notare Fausto Manzana, presidente degli industriali trentini - che se una famiglia dopo aver passato una settimana in Val di Fassa si deve fare mezza giornata in coda per scendere in macchina da Canazei fino all'autostrada avrà questo come ultimo brutto ricordo della sua vacanza. Ma il problema non è solo il turismo di massa. La presidente di Confindustria Belluno Maria Lorraine Berton, collegata ieri in video, considera intollerabile doverci mettere ore per muoversi nei territori alpini. E non a caso nei sogni degli industriali, illustrati dal punto di vista tecnico da Paolo Mazzalai, ex presidente trentino e titolare della Sws Engineering, c'è anche un reticolo di strade che anziché inerpicarsi sui monti con spreco di tempo e diffusione di inquinamento, passano dirette alla base dei monti. «Il modello da copiare - sostiene - è la galleria del Totoga che dalla Valsugana porta in Primiero».Quanto al treno, è certamente il mezzo ecologico su cui investire, anche se la rigidità costringe a ipotizzare tempi lunghi. Mazzalai indica un orizzonte tra il 2040 e il 2050. Il primo step sarà la chiusura del ring dolomitico. Per realizzare in toto il percorso ad anello fra le tre province bisognerà aggiungere un tratto di collegamento tra Dobbiaco e Calalzo passando per Cortina d'Ampezzo e collegare la ferrovia della Valsugana con Feltre. Su quest'ultimo progetto Rfi sta peraltro già lavorando e al vaglio ci sono tre diverse ipotesi - fa sapere il dirigente del dipartimento mobilità della Provincia Roberto Andreatta - con partenza da Borgo, Primolano o Strigno. Lo stesso Andreatta invita peraltro al pragmatismo sottolineando come ad oggi la ferrovia fatica a intercettare merci e persone togliendole dalla strada: in Valsugana gli spostamenti in treno sono oggi appena il 7% del totale.All'interno del ring ferroviario il disegno immaginato vede il completamento della rete con strade, dove possibile dritte e in galleria, e nuovi sistemi di mobilità leggera: impianti a fune per raggiungere le località in quota, sistemi di trasporto ad alta frequenza tipo cabinovie fune-carrello, infrastrutture per la mobilità elettrica, trasporto pubblico a idrogeno, gestione intelligente degli spostamenti.Dal sogno alla realtà di oggi la constatazione è che l'unica arma per frenare l'assalto motorizzato sono le ztl di montagna. È stata ricordata l'esperienza del numero chiuso al lago di Baies e la regolamentazione del traffico sui passi dolomitici, dove però - ha ricordato Andreatta - non sono previsti divieti ma tuttalpiù sistemi di orientamento e informazione ai turisti, sfruttando rete telefonica e tecnologia.F.G.
Alto Adige | 12 novembre 2022
p. 23
Traffico sulle Dolomiti asse tra gli imprenditori
BOLZANO
Turisti in visita alle Dolomiti saltano dal treno del fondovalle alla funivia che li porta in quota, senza mettersi in coda e inquinare. Più che un progetto è un sogno, come lo hanno definito gli stessi ispiratori, le tre organizzazioni imprenditoriali delle province interessate:
Confindustria Trento, Confindustria Belluno Dolomiti e Assoimprenditori Alto Adige. I risultati della ricerca «Mobilità sostenibile sulle Dolomiti», commissionata all'Università di Padova, sono stati illustrati ieri mattina a Trento. Lo spunto lo aveva offerto l'assegnazione delle Olimpiadi invernali del 2026 ai tre territori dolomitici. Tra i miglioramenti infrastrutturali legati all'evento sportivo ci sono interventi come l'elettrificazione della ferrovia della Valsugana e il sistema Brt di autobus ecologici nelle valli di Fiemme e Fassa, ma le associazioni degli imprenditori hanno pensato di non limitarsi al poco che si può fare nei prossimi quattro anni, ma di lanciare uno sguardo nel futuro per immaginare gli scenari che possano assicurare ancora lunga vita alla principale industria dolomitica, il turismo, evitando però che l'assalto delle masse finisca per danneggiare la risorsa ambiente e lo stesso business turistico. Heiner Oberrauch, presidente di Assoimprenditori, sottolinea: «Abbiamo la fortuna di vivere e lavorare in un territorio in cui il resto del mondo sogna di fare le vacanze. Questa bellezza va preservata, ma allo stesso tempo abbiamo bisogno di collegamenti moderni ed efficienti e di un sistema di mobilità sostenibile che garantisca competitività al nostro territorio. Da questo punto di vista le nostre imprese con le loro soluzioni innovative possono dare un contributo decisivo. Decisiva è anche la collaborazione con gli amici di Belluno e di Trento: le grandi sfide verso il futuro, la mobilità sostenibile è una di queste, possiamo vincerle solo insieme e fare squadra è il modo migliore per affrontarle». È evidente, fa notare Fausto Manzana, presidente degli industriali trentini, che se una famiglia dopo avere passato una settimana in Val di Fassa si deve fare mezza giornata in coda per scendere in macchina da Canazei fino all'autostrada avrà questo come ultimo brutto ricordo della sua vacanza. Ma il problema non è solo il turismo di massa. Nei sogni degli industriali, illustrati dal punto di vista tecnico da Paolo Mazzalai, ex presidente trentino e titolare della Sws Engineering, c'è anche un reticolo di strade che anziché inerpicarsi sui monti con spreco di tempo e diffusione di inquinamento, passano dirette alla base dei monti. «Il modello da copiare - sostiene - è la galleria del Totoga che dalla Valsugana porta in Primiero». Quanto al treno, è certamente il mezzo ecologico su cui investire, anche se la rigidità costringe a ipotizzare tempi lunghi. Mazzalai indica un orizzonte tra il 2040 e il 2050. Il primo step sarà la chiusura dell'anello dolomitico. Per realizzare il percorso tra le tre province bisognerà aggiungere un tratto tra Dobbiaco e Calalzo passando per Cortina d'Ampezzo e collegare la ferrovia della Valsugana con Feltre. Su quest'ultimo progetto Rfi sta peraltro già lavorando. Dal sogno alla realtà di oggi, la constatazione è che l'unica arma per frenare l'assalto motorizzato sono le ztl di montagna. È stata ricordata l'esperienza del numero chiuso al lago di Baies e la regolamentazione del traffico sui passi dolomitici, dove però non sono previsti divieti, ma tuttalpiù sistemi di orientamento e informazione ai turisti, sfruttando rete telefonica e tecnologia.
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Un grande anello stradale dolomitico Ecco il libro dei sogni degli industriali
BELLUNO
"Il grande sogno" lo chiama Fausto Manzana presidente di Confindustria Trento. Il sogno di una viabilità alternativa per vivere sulle Dolomiti e per frequentarle da turisti. Un ring ferroviario da 370 chilometri, di cui ne mancano 80 da completare tra il 2040 ed il 2050. Costo? Due miliardi, due miliardi e mezzo. Si tratta del giro delle Dolomiti da Belluno a Calalzo, da qui a Cortina, quindi in Val Pusteria, poi giù a Bressanone, in picchiata verso Bolzano e Trento, si svolta a sinistra e via per la Valsugana, per poi salire leggermente verso Feltre. E, fine, ritorno a Belluno. Il progetto è stato anticipato ieri da Assoimprenditori Alto Adige, Confindustria Belluno Dolomiti e Confindustria Trento. Con Lorraine Berton, presidente di Belluno Dolomiti, che per conto di tutte le categorie economiche della provincia, nonché dei sindacati, ha rilanciato per il Bellunese una deroga come priorità assoluta: il proseguimento dell'autostrada, perché il treno non può bastare per uscire dall'isolamento. Un'autostrada, però, "sostenibile", in galleria, almeno fino a Caralte, e poi, auspicabilmente, con sfondamento a Nord. Ma se sotto il Cavallino sarà impossibile uscire, il nastro d'asfalto potrebbe attraversare in tunnel il passo della Mauria e scendere giù per la Val Tagliamento fino all'aggancio con l'A23 ad Amaro, in Carnia. Nulla di stravagante, dal punto di vista ambientale, assicurano in Confindustria, perché - ha chiarito la presidente Berton - è nel nostro interesse garantire manifattura e turismo. Quindi avanti con le istanze dell'ambientalismo, quello sostenibile anche socialmente.Ebbene, ricordate la Ztl dei passi Dolomitici, introdotta per il SellaRonda? Sull'onda di un'accessibilità sostenibile alle terre alte, il ring ferroviario di cui si diceva, dovrebbe essere dotato di una rete di penetrabilità nelle valli garantita, guarda caso, dagli impianti a fune, ritenuti i meno impattanti. Il collegamento Calalzo Cortina è allo studio di Rfi, quello tra Cortina e Dobbiaco è stato riposto nel cassetto dalla Provincia di Bolzano. Per quanto riguarda l'anello basso, all'incontro confindustriale di ieri si è saputo che fino ad oggi l'elettrificazione della linea ferroviaria della Valsugana arriva come progettazione fino a Borgo, dove verrebbe realizzata entro il 2025, mentre più avanti, sino a Primolano, quindi a Bassano, bisognerà aspettare tempi migliori. Quanto al collegamento col Feltrino, allo studio, da parte della Provincia di Trento e di Rfi ci sono tre ipotesi progettuali. La più corta da Primolano a Feltre, in galleria. La più lunga partirebbe dalla centralissima Borgo Valsugana, lambirebbe il Primiero e scenderebbe fino a Feltre. La terza, intermedia, salirebbe da Grigno. Il tracciato lungo sarebbe anche quello con un'utenza maggiore e, tra l'altro, metterebbe in comunicazione diretta il Primiero con alcuni servizi essenziali, quali l'ospedale di Borgo Valsugana, quindi sottraendo utenza a Feltre. È stato l'ingegner Vittorio Zollet a presentare al tavolo le istanze di Confindustria Belluno e delle altre organizzazioni economiche. Al primo posto, dunque, l'allungamento dell'A27. Al secondo, la realizzazione delle tre varianti di Tai di Cadore, Valle e San Vito. Zollet ha riferito delle recenti assicurazioni del Commissario
Corriere delle Alpi | 12 novembre 2022
Sant'Andrea per cui "dovrebbero essere tutte pronte per il Giochi del 2026". A seguire la varianti di Cortina e Longarone, con probabile realizzazione, per quest'ultima, del tratto Pian di Vedoia-zona industriale di Longarone, entro tre anni. Nella scaletta delle priorità si pongono poi la Cadola Mas, i ponti sul Piave in località San Martino a Belluno e tra Santa Giustina e Mel, alcuni aggiustamenti lungo la Feltrina e, infine, la direttissima tra Lentiai ed Anzu per fiondarsi sulla Valsugana. È da anni che le tre Confindustrie delle Dolomiti stanno lavorando insieme su come infrastrutturare le terre più alte salvaguardandone il valore. Il progetto è stato definito appunto un "sogno": perché connetterebbe i territori e le popolazioni che vivono attorno alle Dolomiti all'insegna della sostenibilità. Lo studio è stato hanno commissionato all'Università di Padova. I dettagli dello studio sono stati illustrati ieri dal prof. Riccardo Rossi dell'ateneo patavino che vi ha lavorato con il suo team. Sono quindi intervenuti i responsabili del progetto per le tre associazioni: Hansjörg Jocher per Assoimprenditori Alto Adige, Paolo Mazzalai per Confindustria Trento e Vittorio Zollet per Confindustria Belluno Dolomiti Francesco Dal Mas© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere del Trentino | 12 novembre 2022
p. 7
Trento, Bolzano e Belluno, alleanza green per i trasporti «Obiettivo, il ring dolomitico» Strade, ferrovie, funivie: la rotta degli Industriali: «Limitazioni in quota»
Paolo Piffer
TRENTO
Gli Industriali di Trento, Bolzano e Belluno sognano. «Certo, perché senza sogni afferma Fausto Manzana , presidente di Confindustria Trento non si realizzano i progetti pensati». Di cosa si tratti è presto detto. Ieri, nella sede confindustriale di Palazzo Stella, è stato presentato un progetto green, di mobilità sostenibile delle Dolomiti. «Con l’occasione delle Olimpiadi invernali del 2026 che interesserà anche le province di Trento, Bolzano e Belluno ha affermato Paolo Mazzalai della Confindustria trentina abbiamo ragionato su un progetto che guarda a lungo termine, al 2040-2050». In collegamento zoom, per Assoimprenditori Alto Adige il direttore generale Josef Negri e Hansjorg Jocher, per Confindustria Belluno Dolomiti la presidente Maria Lorraine Berton e Vittorio Zollet. Gli imprenditori delle Dolomiti hanno commissionato uno studio all’università di Padova sulla mobilità sostenibile nei territori delle province di Trento, Bolzano e Belluno i cui risultati sono stati illustrati da Riccardo Rossi dell’ateneo patavino. Seguendo un principio che è anche metodo: «Minimizzare i costi di realizzazione ed esercizio e minimizzare gli impatti». Evidentemente di carattere ambientale visto che le Dolomiti sono patrimonio mondiale Unesco. Concretamente, il progetto interviene sulla rete ferroviaria, anche se non solo. E’ infatti previsto il completamento del cosiddetto Ring delle Dolomiti aggiungendo 90 chilometri di binari ai 280 esistenti. Due i collegamenti messi nero su bianco: da Dobbiaco a Calalzo passando per Cortina e tra Strigno, in Valsugana e Feltre. Ma non è tutto. Tra le proposte anche il Treno delle Dolomiti, 83 chilometri di cui 20 in galleria, da Bolzano a Cortina passando per Ortisei e la Ferrovia delle valli dell’Avisio, di cui si discute da decenni, che da Trento porti a Canazei attraversando Cavalese, in tutto 87 chilometri di cui 37 in galleria. Sul fronte stradale, gli Industriali propongono «limitazioni al traffico in quota, ad esempio sui passi dolomitici da chiudere al traffico privato (anche questa una questione annosa, ndr) », una sorta di «Ztl in quota e tunnel di base per il collegamento tra i fondovalle». E, ancora, «valorizzazione e integrazione degli impianti a fune per l’accesso alle località in quota, infrastrutture per la mobilità elettrica», cioè le colonnine di ricarica, «gestione intelligente della rete stradale attraverso smart road (ovvero un sistema informatizzato capace di interagire con i veicoli per garantire sicurezza, comfort del viaggio e gestione dei flussi di traffico, ndr) e smart mobility (che, specialmente in città anche se non solo, integri trasporto pubblico, car sharing, auto elettriche e piste ciclabili, ndr), nuovi sistemi di trasporto a bassa capacità ed alta frequenza, come le cabinovie fune-carrello, un trasporto pubblico di autobus extraurbani e navette elettrici o ad idrogeno con la prospettiva di introdurre la guida autonoma, multimodalità con la bicicletta”.Nel corso della presentazione, Jocher ha affermato che “è un progetto che, con il Ring ferroviario, ha una visione globale del territorio rappresentandone una chance». Il collega Negri ha aggiunto che «è una visione per una sostenibilità della mobilità ma anche ambientale, sociale ed economica».
Per Berton e Zollet «il nostro è un approccio necessario, uno sguardo comune a salvaguardia del territorio dolomitico che prevede la realizzazione di infrastrutture fondamentali per la nostra vocazione manifatturiera e turistica»
Roberto Andreatta, dirigente generale del dipartimento territorio, trasporti e ambiente della Provincia, ha ricordato che «piazza Dante sta facendo da regista per la realizzazione dell’anello basso ferroviario delle Dolomiti che colleghi la Valsugana e Feltre mentre l’elettrificazione della tratta Trento-Borgo rappresenta un tassello della rete regionale».
«Il nostro è un messaggio lanciato alla politica ha concluso Manzana Con questo progetto proponiamo, anche cambiando le regole se necessario, un sistema infrastrutturale che renda gestibile e sostenibile il patrimonio dolomitico in modo intelligente e rispettoso dell’ambiente».
FUNIVIA TIRES – MALGA FROMMER
Alto Adige | 24 novembre 2022
p. 22
Tires, non si deve demolire La funivia potrà ripartire
Bolzano
Chiusa dallo scorso mese di marzo, mai entrata in servizio nella stagione estiva 2022, ora la nuova funivia di Tires potrà riprendere la sua attività in occasione dell'avvio della stagione sciistica invernale. Sul sito del Dolomiti Superski l'apertura dell'impianto era già data per scontata, dal 17 dicembre 2022 al 26 marzo 2023. Ieri è arrivata la conferma da parte della Provincia: via libera all'impianto, nonostante le stazioni a monte e a valle siano state costruite di dimensioni maggiori rispetto al progetto. La funivia Tires-Malga Frommer potrà dunque essere risanata sigillando i vecchi volumi senza demolire l'eccedente. Lo conferma un parere della Conferenza dei servizi dell'Agenzia provinciale per l'Ambiente. Una decisione che con ogni probabilità non mancherà di far discutere e verrà accolta negativamente dalle associazioni ambientaliste e dai club alpinistici, da sempre contrari a un impianto ritenuto altamente impattante, poco utile e per di più in gran parte pagato con soldi pubblici.Come comunicato dalla Provincia, ieri, mercoledì 23 novembre, la Conferenza dei servizi dell'Agenzia provinciale per l'Ambiente si è occupata del progetto di variante in sanatoria della funivia TiresMalga Frommer.Secondo il parere degli esperti della Conferenza dei servizi, chiarisce la nota provinciale, la ristrutturazione della stazione a valle e della stazione a monte è possibile se i richiedenti riducono il volume di costruzione alla cubatura prevista nel progetto originariamente approvato.In particolare, sono necessarie le seguenti condizioni: dopo la riqualificazione, i diritti di costruzione non possono più essere superati. I volumi necessari devono essere sigillati in modo permanente e stabile. Non devono esserci danni al paesaggio. La chiusura permanente dei volumi deve essere dimostrata.Come è noto, ricorda la Provincia, i richiedenti avevano costruito un volume superiore a quello consentito dal progetto approvato.Successivamente è stato necessario chiarire se la bonifica fosse possibile solo con la demolizione del volume di nuova costruzione che si discostava dal progetto approvato, oppure se anche il volume costruito in conformità al progetto potesse essere utilizzato per la bonifica. Questo punto è stato chiarito di comune accordo tra la Ripartizione provinciale Natura, paesaggio e sviluppo territoriale e la Procura della Repubblica.Di conseguenza, anche il vecchio volume dell'edificio può essere sigillato in modo permanente per la bonifica. Nel frattempo, i richiedenti hanno murato il volume del vecchio edificio corrispondente.Di conseguenza, la Conferenza dei servizi dell'Agenzia provinciale per l'Ambiente ha potuto rilasciare un parere positivo.Il rapporto sarà ora inviato ai Comuni di Tires e Nova Levante, responsabili rispettivamente della stazione a monte e a valle, che potranno quindi rilasciare la licenza edilizia e successivamente la licenza d'uso. DA.PA
Dolomiten | 24 novembre 2022
p. 23
landschaftlicher
Bozen/Tiers
Aufatmen bei der Tierser Seilbahn AG: Im Rahmen ihrer gestrigen Sitzung gab die Dienststellenkonferenz des Landes grünes Licht für das Varianteprojekt der Tierser Seilbahn von St. Zyprian auf die Frommer Alm. Damit könnte die seit März stillstehende Bahn bald wieder ihren Betrieb aufnehmen.
Mit der Variante sei kein landschaftlicher Schaden entstanden, und Größe von Flächen und Volumina stimmten jetzt mit dem ursprünglichen Projekt überein: So wird die Entscheidung der Dienststellenkonferenz begründet. Nun kann die Gemeinde die Benützungsgenehmigung ausstellen und damit die Voraussetzung für eine Wiederinbetriebnahme der Bahn schaffen.
„Allerdings muss die Gesellschaft Sanktionen zahlen, gegen die sie aber auch Einspruch erheben kann“, so berichtet Peter Kasal, der Direktor im Amt für Landschaftsplanung.
Die 15,8 Millionen Euro teure Tierser Seilbahn wurde zu 75 Prozent vom Land finanziert. Sie wurde im vergangenen Februar fertiggestellt, ging in Betrieb, stand aber bald danach schon still. Grund dafür waren die baulichen Abweichungen vom ursprünglichen Projekt an der Talstation wie auch an der Bergstation. Es wurde größer gebaut, woraufhin die Gemeinde die Einstellung des Betriebs verfügte. Auch die Staatsanwaltschaft ermittelte.
„Abweichungen kommen in der Bauphase immer wieder vor“, sagt Amtsdirektor Kasal. Einfach ein Varianteprojekt vorzulegen und so den Bau rechtlich sanieren, ist mit dem neuen Gesetz für Raum und Landschaft aber nicht mehr vorgesehen. So musste eine Lösung gesucht werden, um die Sache in Ordnung zu bringen.
„Kein
Schaden entstanden“
„Das Land Südtirol hat im Bereich der Raumordnung keine primäre Zuständigkeit. So greift das staatliche Baurecht, und das sieht die Möglichkeit von Varianten vor – wenn es sich um keine wesentlichen Änderungen handelt“, unterstreicht Maria Hochgruber Kuenzer, Landesrätin für Raumordnung und Landschaftsschutz. Als wesentlich würden Änderungen bezeichnet, die mehr als 20 Prozent des Baus betreffen. So sei die Interpretation. Wenn durch die jetzt sanierten Abweichungen kein landschaftlicher Schaden entstanden ist und die Kubatur richtiggestellt wird, kann der Bau saniert werden: Zu diesem Schluss sind Staatsanwaltschaft und Amt für Landschaftsplanung gekommen, und diese Voraussetzungen sind gegeben: Die Betreibergesellschaft hat unterirdische Räume zugeschüttet und zugemauert, so dass die im ursprünglichen Projekt zugelassene Kubatur nicht überschritten wird.
L’Adige | 26 novembre 2022 p. 12
Malga Frommer, chiesti gli atti
Le associazioni ambientaliste e alpinistiche dell'Alto Adige vogliono trasparenza sull'accordo tra Provincia e Procura che consentirà la riapertura della funivia Tires-Malga Frommer, bloccata da marzo. «Il primo passo sarà la richiesta di accesso agli atti per prendere visione del protocollo sottoscritto tra Provincia e Procura della Repubblica», annunciano Avs, Cai, Federazione ambientalisti Alto Adige, Heimatpflegeverband e Mountain Wilderness.Le associazioni si dichiarano «profondamente deluse dell'intervento della giunta provinciale sulla sanatoria dell'abuso edilizio, relativo alla costruzione della funivia Tires-Malga Frommer». Mercoledì è stato annunciato l'accordo tra la ripartizione provinciale Natura, paesaggio e sviluppo territoriale e la Procura della Repubblica. Via libera all'impianto, nonostante le stazioni a monte e a valle siano state costruite di dimensioni maggiori rispetto al progetto. La ristrutturazione della stazione a valle e della stazione a monte è possibile, questo l'accordo, se i richiedenti riducono il volume di costruzione alla cubatura prevista nel progetto originariamente approvato. In particolare, dopo la riqualificazione i diritti di costruzione non possono più essere superati. I volumi necessari devono essere sigillati in modo permanente e stabile. Non devono esserci danni al paesaggio. La chiusura permanente dei volumi dovrà essere dimostrata, ha riferito l'amministrazione provinciale nell'annunciare l'accordo.Le associazioni chiedono trasparenza e chiarezza sulla vicenda e valutano ulteriori azioni legali, «una volta acquisite le informazioni».
Alto Adige | 26 novembre 2022 p. 20
Malga Frommer, chiesti gli atti
BOLZANO
Le associazioni ambientaliste e alpinistiche dell'Alto Adige vogliono trasparenza sull'accordo tra Provincia e Procura che consentirà la riapertura della funivia Tires-Malga Frommer, bloccata da marzo. «Il primo passo sarà la richiesta di accesso agli atti per prendere visione del protocollo sottoscritto tra Provincia e Procura della Repubblica», annunciano Avs, Cai, Federazione ambientalisti Alto Adige, Heimatpflegeverband e Mountain Wilderness.Le associazioni si dichiarano «profondamente deluse dell'intervento della giunta provinciale sulla sanatoria dell'abuso edilizio, relativo alla costruzione della funivia Tires-Malga Frommer». Mercoledì è stato annunciato l'accordo tra la ripartizione provinciale Natura, paesaggio e sviluppo territoriale e la Procura della Repubblica. Via libera all'impianto, nonostante le stazioni a monte e a valle siano state costruite di dimensioni maggiori rispetto al progetto. La ristrutturazione della stazione a valle e della stazione a monte è possibile, questo l'accordo, se i richiedenti riducono il volume di costruzione alla cubatura prevista nel progetto originariamente approvato. In particolare, dopo la riqualificazione i diritti di costruzione non possono più essere superati. I volumi necessari devono essere sigillati in modo permanente e stabile. Non devono esserci danni al paesaggio. La chiusura permanente dei volumi dovrà essere dimostrata, ha riferito l'amministrazione provinciale nell'annunciare l'accordo. La protestaLe associazioni chiedono trasparenza e chiarezza sulla vicenda e valutano ulteriori azioni legali, «una volta acquisite le informazioni». La costruzione della funivia che collega Tires a Malga Frommer, accusano, «passerà probabilmente alla storia dell'Alto Adige come un esempio di spreco di denaro pubblico e di distruzione del paesaggio. I tralicci metallici, alti diverse decine di metri, si stagliano sulle Dolomiti come gli scheletri di un monumento al turismo di massa. Con il pretesto della sostenibilità e dell'innovazione, la Provincia ha concesso un contributo pari al 75% dei 15,8 milioni relativi ai costi di costruzione». Prosegue la presa di posizione: «Purtroppo la funivia di Tires è diventata anche un esempio di come l'amministrazione provinciale abbia ancora una volta modificato le regole generali della pianificazione del territorio in funzione di un progetto specifico». Avs, Cai, Federazione ambientalisti Alto Adige, Heimatpflegeverband e Mountain Wilderness temono inoltre «che la funivia di Tires crei un precedente, ovvero che altri abusi edilizi possano essere sanati in futuro, sostenendo che non arrecano danni al paesaggio. È sufficiente uno sguardo alla funivia Panorama
Tires-Malga Frommer per comprendere quanto il concetto di danno al paesaggio sia interpretato in maniera elastica dalla nostra Provincia».
RIGENERAZIONE ALPINA
Messaggero Veneto | 24 novembre 2022
p. 43, edizione Pordenone
La rigenerazione alpina al centro di un workshop
erto e casso
Domani il Nuovo spazio di Casso al Vajont ospiterà dalle 9.30 alle 13 un workshop sulla rigenerazione alpina intitolato "Montagna, patrimonio, riuso", a cura di Dolomiti contemporanee e in collaborazione con Fondazione Dolomiti Unesco, Magnifica Comunità di montagna e Comune di Erto e Casso. L'evento andrà in scena nelle ex scuole di Casso, divenute uno spazio espositivo dov'è allestita la mostra "Who killed Bamby?" sulle criticità della montagna: alcune delle opere realizzate dagli artisti invitati saranno utilizzate come spunto di partenza per la trattazione di temi specifici.Gianluca D'Incà Levis, curatore di Dolomiti contemporanee e direttore dello Spazio di Casso, racconterà "La rigenerazione alpina: 10 anni con Dc nelle Dolomiti e nel Vajont". Mara Nemela, direttrice della Fondazione Dolomiti, parlerà di "Strutture obsolete: valori e disvalori nella gestione del sito Unesco delle Dolomiti". L'architetto Valentino Stella affronterà il tema del restauro delle ex scuole e la riapertura del Nuovo spazio di Casso. Marcello Mazzucco, abitante di Casso e storico locale, farà una riflessione dal titolo "Tradizione e relazione: il Paese e il Centro culturale". Elena D'Arsiè, laureanda dell'univeristà di Bolzano, racconterà i frutti di una ricerca sul campo: "Il paesaggio culturale: ri-esistenza e rigenerazione delle Dolomiti contemporanee". Infine, l'architetto Mattia Menardi Menego racconterà la storia de "Il trampolino Italia di Zuel, restauro e riuso". g.s.© RIPRODUZIONE
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LE REGOLE DI CORTINA RESTITUISCONO AL DEMANIO LA GESTIONE DELLE CIME
Corriere del Veneto | 26 novembre 2022 p. 29
«Troppe responsabilità con il clima che cambia» Le Regole lasciano le vette Cortina, le cime tornano al Demanio. Il sindaco: «Preoccupati»
CORTINA D’AMPEZZO (Belluno)
La decisione è stata presa dopo aver vagliato accuratamente la situazione. E ad influire sulla scelta di chiamarsi fuori è stata anche la tragedia della Marmolada, con quegli undici scialpinisti travolti e uccisi dal distacco di parte del ghiacciaio. In sostanza, dal 30 ottobre scorso le Regole di Cortina hanno preferito restituire al Demanio la gestione di cime, crode, sentieri e torrenti, ossia quelle migliaia di ettari «improduttivi» situati ad alta quota ed affittati oltre 30 anni fa, con la nascita del Parco delle Dolomiti Bellunesi, per garantire sicurezza, accessibilità e - soprattutto - impedire eventuali speculazioni. Il problema non è tanto il canone da versare allo Stato - «di fatto una cifra simbolica» puntualizza il presidente delle Regole, Flavio Lancedelli – quanto piuttosto la «responsabilità» che pesa sulle spalle della storica organizzazione, in caso di incidenti che coinvolgano persone o causino danni.
«Può essere un nubifragio, come pure una valanga o una frana: abbiamo sempre fatto il massimo per gestire quei territori impervi, ma il cambiamento climatico e le sue conseguenze ci costringono a rinunciare» ammette un amareggiato Lancedelli. Certo, la questione è anche economica: per tutelarsi da eventuali problemi le Regole hanno sempre sottoscritto una polizza assicurativa, sborsando fra i 14 e i 15 mila euro all’anno. «Una spesa a carico nostro» tiene a puntualizzare il presidente. E il combinato fra costi e mutamenti ambientali ha determinato il dietrofront: d’ora in poi le Regole continueranno a gestire la parte «produttiva» dei terreni di cui è proprietaria, dai pascoli ai boschi più a valle dai quali ricavare legname. Tutto il resto tornerà nelle mani del Demanio. Il punto è: lo Stato sarà in grado di garantire la manutenzione della rete sentieristica e delle strade forestali, di controllare e ripulire i torrenti d’alta quota, di gestire - insomma - aree impervie che solo un’esperienza plurisecolare come quella delle Regole cortinesi ha potuto assicurare con uomini e donne preparati? Aree, oltretutto, tuttora classificate come «bottino di guerra» del primo conflitto mondiale e proprio per questo ancora di proprietà dell’Agenzia statale? Se lo chiede anche il sindaco di Cortina d’Ampezzo, Gianluca
Lorenzi, che in settimana contatterà il Demanio per sapere cosa farà. «L’ambiente va manutenuto, e non so se il Demanio sia in grado di assumersi un compito così gravoso» esclama Lorenzi. Il punto è che le Regole, come ricorda il primo cittadino, sono «molto strutturate» e conoscono bene il territorio. «Andare a controllare frane e torrenti richiede preparazione: non è facile gestire la montagna, per questo mi spiace della scelta delle Regole». Non c’è polemica nelle parole del sindaco, semmai una punta di amarezza. «Adesso dovremo capire quale sarà l’iter, cosa farà il Demanio, come vorrà gestire i territori con responsabilità». «Sentirò gli uffici tecnicisottolinea Lorenzi -, non esistono zone non a rischio: il territorio va presidiato e controllato con attenzione». E pensare che le Regole avrebbero pure - forse - continuato il loro lavoro se solo lo Stato non si fosse «allargato» un po’ troppo. «L’Agenzia del Demanio ha proceduto con dei subaffitti senza informarci, un po’ come trovarsi degli estranei in casa nostra. Non va bene», dice Lancedelli. Ad ogni modo è un po’ tutto il sistema montagna (l’alta e impervia montagna) ad essere divenuto ingestibile data la situazione climatica. In passato si erano già verificati franamenti importanti, il ghiaccio, spesso, non è più stabile. E la catastrofe della Marmolada, il 3 luglio, ne è stata la testimonianza più evidente e tragica. Troppo per le storiche Regole. Ora la palla passa allo Stato, che dovrà decidere come comportarsi in un complesso dedalo di competenze che comprendono anche la Regione.
Corriere delle Alpi | 29 novembre 2022 p. 27
"Starlight room", le Regole valuteranno nuove concessioni
CORTINA
Stanze panoramiche in vetro in quota per dormire sotto le stelle: le Regole, proprietarie della stragrande maggioranza dei terreni sui quali andrebbero ad insistere, valuteranno in base alla nuova legge regionale e con criteri di equità nella gestione dei beni regolieri se e quando concedere eventuali nuove autorizzazioni.Intanto l'articolata vicenda tra le Regole stesse e Raniero Campigotto, gestore del rifugio Col Gallina (di proprietà delle Regole) sulla camera mobile panoramica situata a monte del rifugio è giunta ad una conclusione a metà settembre con lo scadere di una autorizzazione provvisoria concessa dal Comune che aveva risolto provvisoriamente l'impasse creatasi appunto tra Campigotto e le Regole. Il tutto in attesa dell'approvazione della legge regionale in materia, la cui proposta è stata presentata dalla giunta al consiglio regionale a fine ottobre. Lo scrive Stefano Lorenzi, sull'ultimo numero del Notiziario delle Regole d'Ampezzo appena distribuito.Campigotto, in buona sintesi, non avrà più quella sorta di esclusiva di cui finora aveva goduto da quando, nel 2016, aveva avuto l'idea di posare una camera mobile in legno e vetro sui pascoli del Col Gallina (terreno regoliero) per offrire quello che oggi viene chiamato "turismo emozionale": nella "starlight room" si dorme immersi sotto il cielo stellato, da soli, in mezzo alla natura, ad un prezzo di 700 euro a notte (colazione compresa) che però non ha mai scoraggiato.Una situazione che, tuttavia, già da allora si sapeva provvisoria, in attesa di una normativa. La "starlight room",sebbene autorizzata quell'anno dalle Regole, doveva essere infatti smantellata a fine stagione, in quanto struttura evidentemente temporanea. Nel tempo, invece, la camera panoramica è stata spostata e in seguito sostituita da due strutture simili e più sofisticate, senza tuttavia l'autorizzazione dell'ente regoliero. Tanto da indurre il presidente delle Regole, Flavio Lancedelli, a richiedere, lo scorso agosto, «l'immediata rimozione, in quanto non vi è alcuna nostra autorizzazione».Da qui l'autorizzazione provvisoria del Comune scaduta il 15 settembre. Campigotto, nel frattempo, era rimasto in attesa di una legge regionale che disciplinasse le "starlight room", che dovrebbe arrivare nei prossimi mesi; legge che ne autorizzerebbe l'esistenza di massimo due per ogni territorio comunale. Questo significa che tutti potranno richiedere la posa di strutture del genere. «Una volta riconosciute dalla legge, non sarà solo il rifugio Col Gallina a poter richiedere la posa di una "starlight room", ma qualunque operatore ne abbia interesse», spiega Lorenzi, anticipando di avere già ricevuto richiesta analoga da un altro soggetto, «e le concessioni saranno rilasciate con i criteri di equità tipici della gestione dei beni regolieri». Marina Menardi© RIPRODUZIONE RISERVATA
FONDO COMUNE CONFINANTI: LA NUOVA PROGRAMMAZIONE
L’Adige | 9 novembre 2022 p. 10
Fondi di confine, un tesoretto
chiara zomer
La strada dei Larici, nel comune di Asiago, una volta era una lingua di cemento e anche malmesso. Adesso è una striscia d'asfalto tirato fino e liscio, realizzato grazie ai soldi trentini: 795 mila euro, con i lavori finiti 5 anni fa. Peccato che all'imbocco della via, che
collega Lavarone ad Asiago, c'è un cartello: «Strada priva di manutenzione». Che viene da chiedersi perché, dopo che è stata fatta tutta nuova, non viene tenuta bene. Tant'è. Una storia piccola, fatta di luci e ombre. Le stesse che colpiscono il Fondo Comuni Confinanti, di cui la strada dei Larici è uno dei primi frutti. Sono i fondi ex Odi, per capirsi. Un mare di denaro. Quaranta milioni di euro l'anno versati da ciascuna delle Province di Trento e Bolzano, da usare per lo sviluppo di 48 comuni che si affacciano ai confini dell'Autonomia come un bambino senza mezzi si affaccia alle vetrine di un opulento negozio di caramelle. In questo 2022 il Comitato paritetico del Fondo sta dando il via libera all'uso delle risorse. Tante. Il Fondo. Si ricorderà quando è nato: era l'epoca in cui attorno alle autonomie - e alle loro risorse - le regioni confinanti avevano acceso più di una polemica. Era la fase in cui alcuni comuni confinanti avevano iniziato a chiedere - il precursore fu Lamon - di migrare armi e bagagli in Trentino o in Alto Adige. Il fondo è stato definito nella finanziaria 2010 e chiarito nella sua entità nella finanziaria 2014, che indica come «ciascuna delle due Province autonome assicura annualmente un intervento finanziario pari a 40 milioni di euro istituendo apposite postazioni nel bilancio pluriennale». A beneficiarne, 48 comuni confinanti in provincia di Belluno, Brescia, Vicenza, Sondrio e Verona. Ma da gestire come? 500 mila euro (quindi, sulla carta, 24 milioni) vanno ad ogni Comune, ogni anno. Il resto dev'essere a sostegno di progetti di area vasta - infracomunali - che le singole Province presentano al comitato paritetico del Fondo. È questa la partita grossa (55 milioni l'anno), anche se la ripartizione tra le province non è identica: Belluno è la più ricca, con il 48,60%, a seguire c'è Brescia (14,81%), Vicenza (14,60%), Sondrio (12,79%), e Verona (9,20%). Quel che non viene speso in un anno, resta come tesoretto. Quindi dal 2010 ad oggi, iniziano a girare somme importanti. Questa programmazione è pluriennale. Ora si ragiona del periodo 2019 - 2024: sulla carta, la bellezza di 331.200.000 euro. Che ovviamente non vengono versati così: serve siano presentati i progetti, le risorse sono garantite mano a mano che servono. Questa fetta del fondo dimostra soprattutto una cosa: non è la disponibilità di risorse a fare la differenza. È la capacità di unirsi per trovare un compromesso. Infatti il comitato paritetico ha approvato finora solo i progetti di Belluno e Vicenza.I fondi per il solo 2022. Sono i famosi 500 mila euro a Comune. I fondi sono dovuti, ma serve fare domanda. E qui c'è una sorpresa: nel 2022 3 dei 48 comuni confinanti (Ferrara di Monte Baldo, Bagolino e Recoaro Terme) non hanno fatto domanda in tempo. Altri hanno preferito rinunciare per andare ad arricchire il tesoretto dei progetti pluriennali. La maggior parte usa questi fondi per arredo urbano e riqualificazione strade o parchi.Progetti pluriennali a Belluno. Sarà perché è la provincia che ha diritto a più contributi (26.827.200 euro l'anno, 134.066 euro in tutto, tolti i fondi già usati per l'emergenza Covid), sarà perché da quelle parti i soldi servono davvero, fatto sta che a Belluno i compiti li hanno fatti. Nel 2022 sono già stati presentati - e l'ottobre scorso approvati - i progetti d'area vasta da finanziare. E si tratta di un tesoretto di 88,1 milioni di euro del Fondo, che finanzia opere il cui ammontare totale sarà di 197,1 milioni. Impossibile citarle tutte. Di sicuro si può dire che le risorse in arrivo da Trento e Bolzano aiutano il sistema turistico dell'Agordino a crescere per farci concorrenza: 1,7 milioni vanno al potenziamento del sistema degli impianti di innevamento artificiale del comprensorio di Alleghe, 610 mila euro nel bacino di accumulo per l'impianto di innevamento dell'Unione montana agordina, 3,5 milioni vanno nell'enorme calderone (86 milioni in tutto), per un sistema di mobilità sostenibile a Cortina d'Ampezzo, previsto per le Olimpiadi, 2,5 milioni per il centro di sci nordico a Canale di Agordo, 2,8 milioni per la riqualificazione della piscina e del campo da tennis di Rivamonte agordino. E poi giù e giù, impossibile citare tutti i progetti. Progetti pluriennali a Vicenza. Anche la provincia di Vicenza ha presentato il primo stralcio di progetti d'area vasta. In tutto sono 47,5 milioni di euro. E su questo un progetto su tutti drenerà risorse e viene guardato da lontano con una certa preoccupazione in terra trentina: il progetto di sviluppo turistico Fiorentini, con impianti di risalita e nuove piste. Un'idea non nuova, sulla quale ora sono stanziati 16 milioni del Fondo. La gran parte dei fondi, nel Vicentino, viene però usato per quelle manutenzioni che sarebbero impossibili in attesa del sostegno economico dello Stato - il recupero della centrale idroelettrica di Carpané (4 milioni), la riqualificazione di aree sportive ad Asiago (5 milioni), la manutenzione delle malghe sull'altopiano dei 7 Comuni (2,4 milioni) - e gli investimenti in viabilità: tra gli altri 1,9 milioni per il percorso ciclopedonale tra Pove del Grappa, Solagna e Bassano, il ponte di Cismon (3,5 milioni), la riattivazione della Cabinovia di Recoaro (1,5 milioni), potenziamento della rete di mobilità dolce tra Recoaro, Valli del Pasubio e Posina (5,2 milioni). Visti i tempi, infine, parte del gruzzolo va in investimenti energetici, soprattutto per impianti di biomassa (due quelli che si ha in animo di progettare).
L’Adige | 9 novembre 2022 p. 11
Corriere delle Alpi | 10 novembre 2022
p. 15
Uscita shock della giunta del Trentino «Basta soldi ai Comuni di confine»
Belluno
Suscitano forte preoccupazione le parole di Mattia Gottardi, assessore agli enti locali della Provincia Autonoma di Trento, che annuncia di voler rivedere i termini del Fondo dei Comuni di confine, che ogni anno distribuisce 80 milioni di euro ai 48 Comuni veneti e lombardi che confinano con Trento e Bolzano, per progetti mirati a colmare il gap tra territori a statuto ordinario e le due Province a statuto speciale. Dal 2009 ad oggi entrambe hanno stanziato 40 milioni ciascuna, ma ora Trento sembra avere l'intenzione di tirarsi indietro o, quanto meno, di far sì che quei soldi portino un vantaggio anche in casa propria.«Cercheremo di ricontrattare con il Governo la questione del Fondo per i Comuni di confine, perché rispetto al 2009 sono cambiate molte cose e per noi non è più sostenibile», afferma Gottardi in un'intervista all'Adige anticipando la volontà della Provincia di arrivare a una revisione degli accordi finanziari. Secondo Gottardi il quadro economico della Provincia di Trento «è molto cambiato» da quel 2009, quando i presidenti delle Province di Trento e Bolzano, Lorenzo Dellai e Luis Durnwalder, firmarono con gli allora ministri Roberto Calderoli - tornato ora agli Affari regionali nel governo Meloni - e Giulio Tremonti, il "patto di Milano" ideato dal sottosegretario Aldo Brancher, patto con cui si stabilì un nuovo modello di autonomia finanziaria basato sulla compartecipazione in quota fissa delle Province di Trento e Bolzano al gettito di tutti i tributi erariali sul proprio territorio. «Ora che si apre la partita dell'autonomia differenziata», aggiunge l'assessore Gottardi nell'intervista, «per cui sia Veneto che Lombardia rivendicano più competenze e dunque avranno maggiori risorse, penso che sia giunto il momento di ridiscutere questo impegno per i Comuni di confine e lo faremo all'interno del confronto complessivo che verrà aperto con il nuovo Governo sui rapporti finanziari fra la Provincia e lo Stato».L'assessore agli enti locali fa presente che dal 2023 verranno meno 100 milioni di gettiti arretrati versati dallo Stato in virtù dei precedenti accordi e negli anni successivi gli arretrati si azzereranno. «È chiaro che una Provincia che dovrà contare sempre più solo sulle sue forze, quindi sulle imposte pagate sul suo territorio i 9/10 di tutti i tributi erariali prodotti sul territorio (le percentuali sono diverse sull'Iva), non può più permettersi di "regalare" 40 milioni allo Stato per mantenere i rapporti di buon vicinato con le Regioni limitrofe, invidiose della nostra autonomia, come si accettò di fare più di dieci anni fa. O quanto meno, ora questo impegno viene sentito come troppo gravoso, visto che la Provincia, proprio in questi giorni in cui si sta definendo il bilancio 2023, è costretta a dire ai Comuni trentini che fa fatica a trovare i soldi richiesti dai sindaci - guarda caso proprio 40 milioni per il primo semestre - per fare fronte al rincaro delle bollette». Il malcontento trentino dunque cresce e Gottardi osserva: «Almeno sarebbe importante poter condizionare l'uso delle risorse del Fondo per i Comuni confinanti a progetti
che sono utili anche al Trentino, per un interesse reciproco. Invece in questi anni sono serviti a tutt'altro».Ora si tratta di capire se l'uscita di Gottardi è stata condivisa con la sua giunta e se davvero Trento aprirà una trattativa con il governo. © RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 10 novembre 2022 p. 15
Bond: «Io ne chiederei di più»
Padrin: «Autonomia anche a noi»
Le reazioni
«In realtà stavo pensando di proporre al governo di aumentare lo stanziamento, almeno fino al 2030, per far fronte alle esigenze impellenti delle Olimpiadi». Dario Bond, presidente del Fondo dei Comuni di confine, replica alla provocazione di Gottardi e rilancia puntando ancora più in alto: «Rispetto le figure istituzionali, quindi anche l'assessore trentino», dice Bond, «ma mi piacerebbe capire se parla a titolo personale o se quello che dice è la posizione della giunta trentina. Se è personale prendo atto e sono disposto a incontrarlo per spiegargli come funziona il Fondo, altrimenti si apre una questione più grande di me e sarà il governo a occuparsene». Bond rammenta che il Fondo nasce da una norma di rango costituzionale che fa parte dello Statuto Trentino. «Questi sono soldi dello Stato che Trento deve versare in ogni caso e che, per la capacità politica dei ministri di allora (Calderoli, Tremonti e il sottosegretario Brancher nel 2009) si decise di finalizzare al riequilibrio socio economico dei territori a statuto ordinario confinanti». In sostanza, i soldi versati da Trento e Bolzano rappresentano quanto dovuto da quelle province allo Stato, cioè un decimo dei loro tributi che per i restanti nove decimi rimangono sul territorio, un rapporto unico nel panorama nazionale.Lo sottolinea anche il presidente della Provincia di Belluno: «Questi sono gli effetti della differenza tra chi l'autonomia ce l'ha e chi invece la reclama». È il commento di Roberto Padrin alla notizia dell'ipotesi della Provincia autonoma di Trento di ridiscutere il cosiddetto "Patto di Milano" del 2009, da cui è nato il Fondo Comuni confinanti. «Capisco perfettamente la posizione di Trento. Ma capisco altrettanto perfettamente la situazione del Bellunese, provincia incuneata tra territori a statuto speciale, con uno spopolamento galoppante e problemi che i miei colleghi sindaci toccano con mano quotidianamente. Se il nostro territorio avesse la stessa autonomia di Trento e Bolzano (che hanno dato demografici ed economico completamente diversi dai nostri e in crescita), potremmo ragionare in maniera diversa non solo di gestione del territorio ma anche di risorse. Nel frattempo», osserva ancora Padrin, «siamo consapevoli dell'importanza del Fondo, che ci ha permesso non solo di ridurre il gap con i nostri vicini, ma anche di realizzare o progettare opere in grado di dare risposte e servizi alle comunità locali che vivono sui confini, garantendo benefici anche alle vallate trentine e altoatesine, penso agli impianti sciistici, o alla grande opera della galleria di Pala Rossa, a Lamon, risposta alle problematiche di viabilità di una parte del Primiero. Credo quindi», conclude il presidente della Provincia di Belluno, «che più che ridiscutere la natura del Fondo sia giusto ragionare sulla qualità dei progetti che si possono programmare con quelle risorse. Con un punto fermo però: che se la montagna è tutta uguale, gli strumenti per gestirla devono essere gli stessi». i.a.© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 11 novembre 2022
p. 16
Fondi di confine, il timore dei sindaci «Non possiamo sopravvivere senza»
Irene Aliprandi
Belluno
Soldi vitali per la sopravvivenza del territorio bellunese. È una definizione unanime quella che sindaci danno al Fondo Comuni Confinanti, perché nonostante le difficoltà dei piccoli municipi a corto di personale, in questi anni il Fondo ha cambiato le sorti di più di un comune, oltre a rappresentare un contributo decisivo anche a livello provinciale. La polemica aperta nelle ultime ore dall'assessore della Provincia Autonoma di Trento, Gottardi, che vuole trattare con il governo per rivedere l'accordo azzerando o riducendo i 40 milioni da trasferire al fondo, dunque, preoccupa moltissimo i bellunesi.Tra i paesi coinvolti c'è anche Calalzo, comune di seconda fascia che ha realizzato opere importanti con i fondi di confine e il suo sindaco, Luca De Carlo, oggi ha un ruolo che gli permette di monitorare da vicino l'evoluzione della disputa aperta da Trento: «Mi auguro che questa sia una boutade dell'assessore Gottardi, estemporanea e personale, ma nelle prossime settimane mi confronterò con il ministro Calderoli per capire quale sia il suo intendimento in merito a questa vicenda», assicura il senatore. «Posso capire che Trento tenti di fare un passo indietro, ma sono sicuro che Calderoli sia consapevole dell'importanza del Fondo. Si tratta di capire se le parole dell'assessore sono frutto di un ragionamento personale o se c'è dell'altro». Tra quanto realizzato in questi anni a Calalzo con il Fondo, De Carlo cita i lavori più importanti: «La riqualificazione della
stazione ferroviaria, la cittadella dello sport, il giro del lago e la prima tranche non ancora partita della ciclabile tra Calalzo e Auronzo. Per queste opere importantissime abbiamo ricevuto dal Fondo circa 4,5 milioni».Stefano Da Zanche, sindaco di Gosaldo, parla addirittura di «sopravvivenza a rischio». «Se il fondo dovesse essere azzerato, o ampiamente ridimensionato, metterebbe senza dubbio in grave difficoltà i Comuni piccoli come il nostro. Basti pensare alle strade e ai tanti progetti che abbiamo realizzato o vogliamo fare con le prossime annualità. La calamità del 2020», ricorda Da Zanche, «ha ridotto in gravi condizioni cinque strade e per sistemarle tutte serviranno almeno tre annualità; con quella del 2022 riusciremo a rifare 3,5 chilometri di una di queste». Il sindaco di Gosaldo, dunque, auspica che non vi siano rivoluzioni: «Bisogna trovare il modo per andare avanti, uniamoci e cerchiamo di capire cosa fare perché quei soldi sono fondamentali per noi per sopravvivere. Altrimenti significa che moriremo. Alcuni comuni hanno una montagna in mezzo e non vedono ogni giorno la disparità con Trento o Bolzano, ma noi che siamo proprio sul confine la percepiamo benissimo per tutto l'arco dell'anno».Secondo il sindaco di Livinallongo, Leandro Grones, quella di Gottardi: «È una boutade fuori luogo. Il fondo ha radici solide e non sottrae soldi a Trento e Bolzano. Si tratta di tasse dovute allo Stato, non di privazioni alle quali sono costretti per accontentare noi. Inoltre da 2014 il fondo si è rafforzato dal punto di vista normativo e si è sviluppato con programmazioni pluriennali e di area vasta». Grones cita alcuni interventi: «Per Livinallongo rappresentano un volano enorme: abbiamo costruito una scuola elementare che funziona da anni e che il ministero ha usato come esempio di edilizia scolastica di montagna; abbiamo realizzato percorsi, malga Castello, la casa di riposo con 2,5 milioni e in futuro il centro wellness. Ma penso anche a interventi vitali per l'intera vallata, come la ristrutturazione del pronto soccorso di Agordo che oggi è un gioiello. Abbiamo investito in tutti i settori. Sono fondi vitali che costituiscono una boccata d'ossigeno per quei servizi che contribuiscono a mantenere le famiglie a vivere in montagna. Magari non bastano, magari servirebbe ben altro, però per noi sono un'opportunità importantissima».Grones non nasconde i problemi: «È nostro dovere gestirli in maniera molto oculata e in questi anni le discussioni e le critiche non sono mancate. La verità è che i nostri uffici tecnici sono sotto pressione, non possiamo assumere e anche se potessimo forse non troveremmo nessuno e la gestione dei fondi richiede personale qualificato. Per fortuna c'è un filtro importantissimo in Provincia. Non sono preoccupato per le parole di Gottardi che dovrebbe leggersi la norma e capirla, ma noi dobbiamo fare la nostra parte affinché non si dica che sprechiamo i soldi». © RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere delle Alpi | 11 novembre 2022 p. 16
Bottacin: «Il destinatario dei soldi doveva essere l'ente Provincia»
L'INTERVENTO
Sono due le considerazioni dell'assessore regionale Gianpaolo Bottacin, presidente della Provincia di Belluno ai tempi della nascita del Fondo. «L'accordo nacque dopo i vari referendum per una palese e storica disparità di trattamento tra i cittadini che nascono da noi a Belluno e quelli che nascono nelle Province Autonome. Per la Costituzione, all'articolo 3, siamo tutti uguali, ma la differenza c'è e si vede. Oggi», sottolinea Bottacin, «questa distanza è confermata dai referendum di Veneto e Lombardia che chiedono di avere quell'autonomia che riporterebbe un maggior equilibrio tra i territori. La questione, quindi, è sempre più di attualità rispetto a dieci anni fa, quand'era localizzata nei comuni di confine».C'è però, secondo Bottacin, un difetto di nascita nel fondo: «Quand'ero presidente dissi a Calderoli che sarebbe stato meglio destinare i fondi alla Provincia per evitare guerre tra poveri e perché, come ente di area vasta, l'ente avrebbe potuto realizzare progetti di più ampio respiro e dialogare con tutti i comuni. Non mi ascoltarono e le mie preoccupazioni si sono puntualmente rivelate esatte».Da qui la seconda considerazione: «La Provincia come destinataria di area vasta forse avrebbe fatto percepire il Fondo a Trento e Bolzano come strumento più ampio e con un'interlocuzione più semplice e diretta. Inoltre avrebbe disinnescato le polemiche tra comuni di prima, seconda o nessuna fascia. La disputa di questi giorni dimostra che quella proposta non era sbagliata».L'assessore regionale va oltre: «Quando daranno l'autonomia anche al Veneto e se sarà la stessa che hanno Trento e Bolzano verranno meno anche le disparità tra territori, quindi mi auguro che loro siano nostri alleati in questo percorso. Se invece non verrà raggiunto il livello sperato di omogeneità di trattamento, è evidente che si tornerà al livello di partenza. Fintanto che non ci verrà concessa l'autonomia in condizioni di parità con le Province Autonome, il Fondo Comuni Confinanti continuerà ad avere un senso e ad essere fondamentale per il territorio bellunese». ©
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Corriere delle Alpi | 12 novembre 2022
p. 16
Fondi di confine De Menech rivendica «Tanti i progetti utili anche a Trento» il caso
Irene Aliprandi
«Abbiamo realizzato tanti progetti utili anche al territorio trentino. Mentalità aperta e modalità costruttiva hanno sempre ispirato l'attività del Fondo Comuni Confinanti». Roger De Menech, già deputato del Partito Democratico, è stato il presidente del Fondo più longevo, con sei anni di impegno nell'arco di due mandati. Secondo De Menech l'attacco da parte trentina, ma anche talune reazioni bellunesi, si collocano a grande distanza dallo spirito dell'accordo che generò il Fondo stesso: «Credo che sia stato fatto un discorso abbastanza miope. Se vogliamo uno sviluppo armonico della montagna italiana, delle Alpi e delle Dolomiti, è impensabile che continuino ad esistere disparità tra territori.A prevalere dovrebbe essere il concetto di uniformità perché se tutti i territori dolomitici crescono, il vantaggio diventa evidente per tutti. Per un turista che viene da fuori non ci sono confini tra Trentino e Bellunese. Se vogliamo far crescere il turismo, la sostenibilità e la competitività del territorio sulla base delle sue specificità dobbiamo fare un ragionamento più alto», esorta De Menech. «Dovremmo puntare a una grande regione dolomitica omogenea. È a quello che serve il Fondo, è per tutti questi motivi che è nato. Polemiche e battaglie di qua e di là del confine e dentro ai territori stessi sono inutili. Abbiamo tutti delle difficoltà e riusciremo a superarle solo se le affrontiamo insieme».De Menech torna poi alle rivendicazioni dei trentini: «Insieme abbiamo fatto tanti progetti. Cito solo i più importanti: gli interventi agli ospedali di Feltre e Lamon (oltre 10 milioni di euro) e la galleria della Pala Rossa (circa 25 milioni). Gli abitanti del Primiero, per una questione di vicinanza, vengono a curarsi nei nostri ospedali, averli potenziati avvantaggia anche loro; così come la Pala Rossa agevola gli spostamenti degli studenti del primiero che vengono a fare le superiori a Feltre. A quei ragazzi e a quelle persone ammalate non interessa se c'è un confine, vogliono servizi migliori più vicini possibili».De Menech ricorda anche il progetto, ancora non realizzato del collegamento sciistico tra il Comelico e Sesto in Pusteria: «Se il comprensorio sciistico della zona si amplia fa piacere e porta vantaggio anche a Sesto. Insomma, secondo me ci sono tutti i margini per continuare il percorso del Fondo, ragionando di area vasta».Nel frattempo l'attuale presidente del Fondo, Dario Bond, si prepara al passaggio di consegne: «Andrò a Roma con il resoconto finale dell'attività svolta appena il ministro Calderoli sarà pronto a ricevermi e non mancherò di spiegargli l'importanza che ha il fondo per i nostri territori. Ma secondo me non ce n'è bisogno, lui è il padre di quell'accordo, sa bene come stanno le cose. Gli parlerò anche della questione Olimpiadi e della necessità di incrementare le risorse. Il fermento in Trentino c'è, ma vanno modificate una norma di rango costituzionale e lo Statuto provinciale, non sono passaggi che si fanno in due giorni». Sullo sfondo, tuttavia, ci sono le elezioni trentine ormai prossime e questo rimane sicuramente un argomento da campagna elettorale.
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«Soldi nostri: né sprechi, né concorrenza»
Il monito del Trentino sui Fondi di Confine
Francesco Dal Mas BELLUNO
«Cari amici veneti, d'accordo i fondi di confine, purché siano investiti saggiamente. I soldi sono nostri e non vorremmo venissero sprecati». Maurizio Fugatti è il presidente della Provincia di Trento e per la prima volta interviene sui Fondi di Confine. Rassicura che né Trento né Bolzano intendono togliere questa disponibilità. «Ma - racconta - i nostri sindaci di confine, pur propensi a collaborare, rimarcano a volte che nelle vicine province si costruiscono opere in netta concorrenza con le loro comunità. In altri casi, si fanno progetti e cantieri inconcludenti. E poi, lasciatemelo dire: perché i nostri fondi per sviluppare gli impianti de LeMelette sull'altopiano di Asiago? Quale relazione c'è col Trentino?». Ma Fugatti riconosce anche che ci sono delle opere senz'altro virtuose, come la galleria Pala Rossa di Lamon, per la quale, anzi la Provincia di Trento ha aggiunto del proprio ai Fondi di confine. Più opere di confine, direttamente collegate col retroterra trentino o sudtirolese, dunque, piuttosto che progetti di area vasta? «Ben vengano anche i progetti di più ampio respiro se, però, danno la garanzia di essere strategici. Le grandi infrastrutture, ad esempio». Il presidente, richiamando le sue origini da un comune confinario, dice di conoscere puntualmente le difficoltà di chi sta dall'altra parte. Ma sottolinea anche, che rispetto all'Accordo di Milano del 2009, quando si formalizzò il Fondo, «la situazione oggi è radicalmente cambiata». Anche rispetto al successivo Patto di garanzia del 2014. «Il Trentino oggi si paga tutto con i suoi soldi. Così pure l'Alto Adige. Non ha più trasferimenti dallo Stato. Anzi, le due Province insieme gli garantiscono un gettito di 800 milioni di euro. Bene, se in una situazione come questa, riscontriamo che al di là del confine con il Veneto o con quello della Lombardia qualche nostra risorsa non viene utilizzata al meglio, è evidente che possiamo porci degli interrogativi. In particolare se riscontriamo che ci si fa della concorrenza con i nostri stessi soldi». Fugatti assicura che non è in atto un conflitto col Bellunese, garantisce che Trento non vuol mettere in discussione quest'esperienza, evidenzia però la necessità che si mettano a registro talune scelte che negli ultimi tempi si sono evidenziate. Magari, come fa capire, con una interpretazione troppo estensiva della cosiddetta regia ad area vasta. Il che non significa, per contro, concentrare forme di "assistenzialismo" sul confine, solo perché siamo in zona di frontiera. Quanto alla governance, Fugatti taglia corto: «Non è affare nostro dire a chi spetta la presidenza Fcc». La sede del Coordinamento, si sa, è comunque la Provincia di Trento che continuerà a mettere a disposizione i suoi servizi. © RIPRODUZIONE
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Corriere delle Alpi | 13 novembre 2022
Bond indicato per un bis alla guida Ma spunta il nome della Colmellere
scenari
Sarà ancora Dario Bond il presidente del Comitato del Fondo dei Comuni di Confine, oppure l'incarico passerà ad un lombardo, per esempio lo stesso assessore alla Montagna Massimo Sartori? Se Fratelli d'Italia ha suggerito al ministro degli Affari Regionali e delle Autonomie, Roberto Calderoli, il nome di Bond, si sa che Forza Italia storcerebbe il naso per il giro di spalle del Feltrino. Ed ecco che la Lega potrebbe prendere l'occasione per reclamare un incarico che non distribuisce prebende, a chi lo gestisce, ma milioni ai territori sicuramente tanti. Sartori è un dirigente lombardo apprezzato perfino negli ambienti dell'opposizione, anche in provincia di Belluno. Ma si sa che la primavera prossima ci sono le elezioni in Lombardia, e quindi Sartori potrebbe restare sui suoi passi, magari indicando un altro nome. Addirittura un leghista veneto, magari trevisano, di quelli, però, che conoscono le terre alte. Ed ecco che da qualche ora si rincorre anche il nome di Angela Colmellere, di Miane. Al momento l'unico candidato in campo alla successione di Bond è Bond stesso. Nel senso che Fratelli d'Italia ha avanzato a Calderoli la proposta di mantenerlo al suo posto e lui, Bond, ha accettato, anche senza pigliare un euro. Una corsia quasi rossa, comunque, per rientrare in Regione alle elezioni del 2025. Colmellere? E' stata presa di sorpresa dalla proposta, ed ha qualche preoccupazione, considerati anche gli ultimi sviluppi. La conferma di Bond e, tanto più, la nomina dell'eventuale sostituto s'intrecciano con quella che potrà essere una rivisitazione dei criteri di gestione del Fondo. In Lombardia si procede già da tempo con i progetti cosiddetti di area vasta, ancorché non distanziandosi molto dai confini. Si punta, insomma, alle grandi opere infrastrutturali. In provincia di Belluno questo orientamento ha cominciato a palesarsi con la regia De Menech, poi Saviane, poi ancora Bond. Ma spesso con qualche criticità da parte degli amministratori confinari. Criticità alle quali si contrapponeva il disagio crescente di quei loro colleghi - i più lontani dal confine - che si sentivano immeritatamente fuori da ogni gioco. Il nuovo presidente dovrà partire da questa chiarificazione da farsi anzitutto all'interno dell'area Bellunese e poi con Trento e Bolzano. E se fosse con un lombardo alla guida? Per la verità, questa è la grande paura che si coglie da qualche giorno soprattutto lungo l'area del confine, dove si sono molto apprezzate le gestioni bellunesi e il coordinamento con la Provincia per la capacità di giostrare tra opzioni locali e opportunità di più vasto respiro. In questi anni, però, Trento e Bolzano tutto sommato hanno lasciato fare. Adesso non più, a quanto pare. Anche perché l'intervista che pubblichiamo col sindaco di Fiera di Primiero, in questa pagina, certifica proprio quel disagio che il presidente Fugatti ha evocato da parte dei suoi sindaci. FDM© RIPRODUZIONE RISERVATA
Corriere
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delle Alpi
novembre
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Le ragioni dei fondi ai Comuni di confine lorenzo dellai (segue dalla prima pagina) Capisco le legittime preoccupazioni di alcuni Sindaci Trentini, ad iniziare, ho letto, da quello di Lavarone, che si vedono praticamente azzerati i fondi provinciali di investimento a loro libera disposizione , mentre i Comuni oltre confine beneficiano di risorse aggiuntive rilevanti e talvolta - non sempre - per interventi considerati "concorrenziali".Non capisco invece la posizione di chi dovrebbe istituzionalmente conoscere l'origine, la motivazione e la natura del Fondo e l'evoluzione (non sempre positiva: ma non lo si può scoprire solo oggi) che la sua regolamentazione ha avuto nel corso degli anni.L'origine della faccenda sta nell'Accordo Istituzionale tra Provincia Autonoma di Trento e Regione Veneto del 2007, ratificato con Legge dai due Enti.Nel periodo di maggiore scontro tra il Trentino Autonomo e il Veneto (con il moltiplicarsi delle polemiche anche di eco nazionale e dei Referendum di tantissimi comuni per il passaggio al Trentino: anche di comuni che non potevano esibire ragioni storiche, ma che così manifestavano la loro situazione di disagio e talvolta di ostilità nei nostri confronti), abbiamo pensato di proporre all'allora collega Galan un patto operativo e concreto. Trentino e Veneto si sono così accordati per un programma di investimenti pubblici (10 milioni di Trento e 4 del Veneto), finalizzati a trasformare la linea di confine da occasione di scontro e di inimicizia in occasione di sviluppo comune. Le opere considerate dovevano essere di "interesse comune" per i comuni al di qua e al di là del confine.Questo principio (chiamiamolo di "cooperazione, buon vicinato e positiva politica estera") è stato poi recepito e inserito (anche coinvolgendo la Provincia Autonoma di Bolzano ed i comuni posti sul confine lombardo) nell'Accordo di Milano tra le Province Autonome di Trento e Bolzano e lo Stato, su iniziativa in particolare dell'allora sottosegretario Aldo Brancher.Nell'ambito di quell'Accordo (tradottosi in una Legge Statale che ha modificato il Titolo VI del nostro Statuto, previa formale intesa, come previsto dallo stesso Statuto) le due Province Autonome si sono impegnate a versare ogni anno 40 milioni di euro ciascuna al citato Fondo per i comuni di confine.La gestione di questi fondi sarebbe stata affidata ad un organismo statale, con la partecipazione politica e tecnica delle due Province Autonome e delle Regioni Veneto e Lombardia.Occorre precisare che questi 80 milioni annui di Trento e Bolzano erano parte integrante del conto "dare-avere" sottoscritto con lo Stato.In altre parole, se non fosse stata recepita nell'Accordo di Milano l'idea del Fondo per i comuni di confine, queste risorse non sarebbero rimaste alle due Province, ma sarebbero comunque confluite alla finanza statale a disposizione di Roma, nel calderone del Bilancio Statale.Per questo, credo che le due Province Autonome dovrebbero rivendicare e non disconoscere questa iniziativa, proprio per rimarcare che il loro ruolo è stato di alleati e non di avversari nei confronti dei territori della montagna veneta e lombarda collocati ai propri confini.L'Autonomia Speciale ha bisogno di avere amici ed alleati, non nemici ostili alle proprie porte.Altro discorso è come si è trasformata in seguito la normativa di gestione del Fondo.Questione che ovviamente non ho seguito direttamente e sulla quale non intendo dare giudizi, perché avvenuta dopo la mia uscita dal ruolo di Presidente.Ciò che posso dire è che, forse, si è un po' smarrita la finalità e si è attenuato il senso del Fondo.All'inizio non si prevedevano, per esempio, "trasferimenti" ai comuni di confine.In altre
L’Adige | 14 novembre 2022
parole, non si immaginava che il Fondo dovesse essere un canale parallelo di finanza locale ordinaria.Si immaginava che il Fondo dovesse sostenere investimenti pubblici orientati al miglioramento dei servizi, dei collegamenti e dello sviluppo locale, nel comune interesse dei territori transfrontalieri.Invece, si è poi prevista una quota di 500.000 euro annui a disposizione libera di ciascuno dei 48 comuni veneti e lombardi di confine, mentre la parte rimanente del Fondo (circa 50 milioni di euro annui) avrebbe dovuto essere utilizzata per progetti di "interesse sovraregionale". Ma la regolamentazione adottata non ha purtroppo garantito e non garantisce questa finalità. Questo è il vero problema e la misura di una occasione persa.Forse allora, mi permetto dire, andrebbe ripristinata l'antica impostazione (ricordata qualche giorno fa sull'Adige da Brancher), più che rivendicata l'abolizione del Fondo.Oltretutto, come detto, questi soldi non sono "nostri". Sono formalmente dello Stato. Solo che, in base all'Accordo di Milano, lo Stato li deve usare per investimenti a favore delle aree di montagna lungo la nostra linea di confine.Toccava e tocca a noi e a Bolzano una costante iniziativa politica, di relazione e di progettualità per garantire che essi non si traducano in opere pubbliche o in supporto ad iniziative economiche prive di una logica di sistema sovra regionale.Ci sono buoni esempi a questo riguardo: cito per tutti la Galleria tra Magasa/Valvestino e le Giudicarie; la pista ciclabile attorno al Lago di Garda; la sistemazione della viabilità tra Primolano ed il Primiero, ricordata giustamente su questo giornale dal Sindaco di Sovramonte.Ma ci potrebbero essere altre partite importanti, in questo senso. Per esempio, progetti comuni per la gestione innovativa dei Passi Dolomitici, della Marmolada, del Parco dello Stelvio, riconfigurato oggi con una maggiore responsabilità regionale.Prevedere una quota di investimenti del Fondo per i Comuni di confine su partite strategiche di questo tipo accrescerebbe il ruolo dei territori e delle loro Istituzioni e attiverebbe investimenti pubblici di sistema, nell'interesse comune delle nostre "Terre Alte".Ma serve una iniziativa politica, non una improbabile lamentazione di bottega.Mi permetto di chiosare infine una espressione usata dal Direttore. L'Accordo di Milano (Fondo Odi compreso) non è stato sottoscritto in un'epoca di vacche grasse per il Bilancio della Provincia. Eravamo, al contrario, nel pieno della crisi fiscale dello Stato e, dunque, alle prese con i primi pesanti effetti delle politiche rigorose di finanza pubblica.Ci potevamo solo sognare la gigantesca quantità di risorse per investimenti che il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e gli altri strumenti europei e nazionali messi in campo dopo la pandemia hanno attivato negli ultimissimi anni. Lo ricordo solo per doverosa memoria.Lorenzo DellaiGià presidente della Provincia e deputato
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Fassino: “Il Fondo non può essere liquidato. È tempo che la Regione dia autonomia a Belluno”
l'intervento
Il Fondo Comuni di confine non si discute. «L'annuncio dell'assessore trentino Gottardi di voler mettere in discussione il Fondo Fcc non ha fondamento nè sul piano giuridico nè sul piano sostanziale», afferma il deputato del Pd Piero Fassino, eletto nella circoscrizione che rappresenta anche la provincia di Belluno.«Sul piano giuridico va ricordato che le risorse conferite al Fondo - 80 milioni all'annosono attinte dalla quota di prelievo fiscale che le Province di Trento e Bolzano devono devolvere allo Stato. In altri termini non sono risorse regionali, ma statali. Sul piano sostanziale il Fondo si è dimostrato uno strumento utile ed efficace realizzando - come ha ricordato Roger De Menech che ha guidato il Fondo per 6 anni - progetti di particolare importanza, come gli interventi sugli ospedali di Feltre e Lamon e la galleria di Pala rossa, nonché interventi per servizi e infrastrutture di molti piccoli Comuni. E dunque non solo sarebbe sbagliato liquidare il Fondo, ma al contrario serve potenziarlo con una dotazione finanziaria più adeguata».Ma il vero nodo che non può più essere eluso, continua Fassino, «è l'effettiva applicazione del regime speciale e "potenziato" previsto dalla legge Delrio per le province montane e di confine di Belluno, Sondrio e Verbano-Cusio-Ossola. Peraltro l'autonomia amministrativa, regolamentare e finanziaria della Provincia di Belluno è prevista dallo Statuto regionale veneto - artefice il compianto Sergio Reolone dalla legge regionale 25/2014. Mentre la specialità delle province di Sondrio e del Verbano ha trovato concreta attuazione in norme adottate dalle Regioni Piemonte e Lombardia, in Veneto tutto è bloccato dalla gestione centralistica della giunta Zaia, che rivendica la più larga autonomia per il Veneto ma non riconosce alcuna autonomia ai territori della regione. Serve dunque un radicale cambio di passo, dando finalmente corso effettivo al regime speciale per la provincia di Belluno».Un cambio di passo, conclude Fassino, «che richiama anche responsabilità di governo nazionale e Parlamento, correggendo le inadeguatezze della Legge Delrio. Con troppa facilità si sono drasticamente ridotte le funzioni delle Province, che invece assolvono a un ruolo centrale nei territori non metropolitani. È indispensabile che il Parlamento riprenda al più presto la riforma del Testo unico Enti locali, ripristinando anche la elezione diretta degli organi di governo delle province». © RIPRODUZIONE
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Corriere delle Alpi | 27 novembre 2022
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Fondi Comuni di confine: «Il ministro intervenga»
Corriere delle Alpi | 16 novembre 2022
l'interrogazione
Salvaguardare i Fondi per i comuni di confine. È l'intento delle interrogazioni al ministro per gli Affari Regionali depositate alla Camera e al Senato dai parlamentari del Partito Democratico.L'assessore della provincia autonoma di Trento, Mattia Gottardi, ha espresso pubblicamente l'intenzione di intervenire come provincia autonoma per superare, interrompere, ridurre e in ogni caso contestare l'intesa e, conseguentemente, i finanziamenti erogati dal Fondo comuni confinanti. «A preoccupare è soprattutto il silenzio seguito alle dichiarazioni dell'assessore, da parte del presidente trentino Fugatti e da parte della maggioranza di governo, il che fa temere che quella di Gottardi sia in realtà la posizione ufficiale della Provincia di Trento e della Lega, partito di cui fa parte», spiega Diego Zardini, già deputato veronese del Pd.«Rileviamo reazioni estremamente tiepide anche al di fuori del Trentino», prosegue Zardini. «Sembra quasi non si comprenda che il rischio non è tanto la consistenza dei finanziamenti, quanto la coesione sociale della montagna veneta, lombarda e certo anche i rapporti con le Province di Trento e Bolzano, quindi la loro stessa autonomia».«Il prezioso lavoro fatto dal presidente del Comitato paritetico tra il 2014 e il 2021, Roger De Menech, ha consentito di avviare progetti in vari settori - formazione, turismo, agricoltura, sociale - con benefici non solo sui territori destinatari dei finanziamenti, ma anche per Trento e Bolzano. Perché è indubbio che le aree di confine oltre ad avere una storia comune, sono legate da relazioni, scambi e interessi che influenzano reciprocamente i territori coinvolti. Quindi il benessere, o il malessere, di un'area si riverbera inevitabilmente sulle altre», afferma Zardini. Le interrogazioni, sono state presentate in Senato dal segretario regionale del PD Veneto, Andrea Martella e alla Camera dal deputato Matteo Mauri. Chiedono al ministro se sia a conoscenza dei fatti e quali iniziative intenda adottare per salvaguardare il fondo e i finanziamenti a favore dei comuni confinanti e contigui alle province autonome di Trento e Bolzano. ©
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NOTIZIE DAI RIFUGI
Corriere delle Alpi | 16 novembre 2022 p. 20
Più sicura la strada per il rifugio Bianchet A breve altri lavori
SEDICO
Quasi finito il primo grosso intervento di messa in sicurezza della strada silvo-pastorale che conduce al rifugio Bianchet. L'opera di sistemazione del versante rappresenta il primo passo verso la realizzazione di un cantiere molto più importante che si occuperà del rifacimento dell'intera via utilizzata ogni anno da escursionisti e cicloturisti per raggiungere il rifugio ai piedi della Schiara. Per il momento, dal fondo Comuni confinanti sono arrivati 28 mila euro per il progetto di ammodernamento e manutenzione straordinaria della strada silvo-pastorale di accesso al rifugio, che hanno permesso di intervenire su un punto che anche non molto tempo fa aveva dato alcuni problemi: «I lavori, deliberati a metà ottobre dell'Unione montana Valbelluna sono quasi terminati», spiega il sindaco di Sedico, Stefano Deon. «Il tratto preso in esame è soggetto a colate di materiale in caso di forti perturbazioni e con l'arginatura che è stata realizzata non dovrebbe più presentare problemi».Il progetto, che ha la Regione Veneto come soggetto attuatore, prevede anche alcuni lavori di manutenzione sulle ferrate della Schiara, ma non è tutto: «Con la nuova programmazione del fondo Comuni confinanti è prevista una seconda tranche di lavori molto più corposa, del valore di 250 mila euro, con Veneto Strade come soggetto attuatore», continua Deon. «Non abbiamo ancora un progetto vero e proprio, ma la nostra speranza è di poter mettere in sicurezza tutta la strada che porta al Bianchet perché ne ha bisogno. Oltre che dagli escursionisti, quel tracciato è utilizzato spesso anche dai cicloturisti, visto che si tratta di uno dei pochi rifugi in zona raggiungibile in bicicletta».Le tempistiche precise per veder realizzata anche questa seconda fase dell'intervento non sono state ancora fissate, «ma», conclude il sindaco, «sarebbe opportuno che venisse realizzata entro il 2023». F.R.© RIPRODUZIONE
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Alto Adige | 16 novembre 2022 p. 21
Nuovi criteri per il sostegno ai rifugi
La giunta provinciale ha modificato i criteri per la concessione di finanziamenti ai rifugi privati alpini. Il sostegno viene concesso per l'ampliamento, la manutenzione e l'arredamento dei rifugi alpini, e per la costruzione e la manutenzione di teleferiche per materiali, con un contributo che va dal 40 al 60% della spesa ammessa, per un massimo di 600.000 euro, spiega l'assessore Arnold Schuler
Le domande di finanziamento devono essere presentate entro il 30 settembre. In Alto Adige ci sono in totale 96 rifugi alpini, di cui 46 sono privati, 24 sono di proprietà della Provincia e i restanti appartengono all'Avs (10) e al Cai (16).
Corriere dell’Alto Adige | 16 novembre 2022
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Rifugi privati, graduatorie per i contributi Cambio di marcia in nome della trasparenza. Hgv, il Gruppo Rifugi alpini compie 30 anni
BOLZANO
I proprietari di Rifugi privati dell’Alto Adige (46, sui 96 complessivi) che vorranno chiedere contributi alla Provincia per lavori di ampliamento, manutenzione, arredamento o per la realizzazione di teleferiche per materiali, dovranno presentare domanda entro il 30 settembre di ogni anno, e poi attendere che venga stilata la relativa graduatoria. È questa la novità introdotta ieri dalla giunta, con l’obiettivo di garantire «criteri uniformi e trasparenti» nella concessione dei finanziamenti (che vanno dal 40 al 60% della spesa).
E sempre in tema di Rifugi privati, spegne 30 candeline il gruppo Rifugi alpini dell’Unione albergatori e pubblici esercenti (Hgv). L’incontro annuale, alla cantina Tramin, è stata l’occasione per un bilancio complessivo. Dall’anno della sua fondazione, il 1992, ad opera di Annelies Wolf Erlacher insieme ai gestori dei Rifugi alpini privati. «Negli ultimi trent’anni dice sono state sviluppate molte idee e proposte, soprattutto quelle volte a contribuire ad una gestione più confortevole dei Rifugi. Inoltre, con la costituzione del gruppo, i gestori hanno trovato nell’Hgv un valido sostegno e una visibilità in ambito pubblico». E poi c’è stato il bilancio della stagione appena conclusa. «Dopo due anni difficili afferma il presidente del gruppo, Stefan Perathoner, , è stato possibile gestire una stagione estiva senza restrizioni. Abbiamo condotto un sondaggio fra i 60 membri del nostro gruppo, che si sono detti soddisfatti della stagione: i pernottamenti sono aumentati, e anche il numero degli ospiti giornalieri è stato soddisfacente». I temi più caldi del momento riguardano l’approvvigionamento idrico, che a causa della siccità estiva è stato uno dei principali problemi della stagione calda, e il boom dei costi dell’energia. Anche in tema di raggiungibilità, il gruppo auspica un intervento, a partire dal fronte delle teleferiche. E sul fronte della sostenibilità, la ditta Irsara ha presentato un compattatore per il riciclaggio per i Rifugi.
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Corriere delle Alpi | 30 novembre 2022 p. 22
«In montagna più consapevoli»
giancarlo rudari
Una stagione che si chiude con dati estremamente positivi, ricca di soddisfazioni ma segnata anche da qualche difficoltà legate soprattutto alla carenza idrica e di personale. Con la prospettiva, soprattutto per chi tiene aperto d'inverno e per la prossima stagione, di dover fare i conti con i rincari energetici, oltre ai costi delle materie p rime. Era emozionata Roberta Silva, gestrice del rifugio Roda di Vael nelle Dolomiti fassane, alla sua prima assemblea da presidente dell'Associazione gestori rifugi del Trentino ospitata ieri alle distillerie Marzadro di Nogaredo. «Un compito sfidante e motivante» ha esordito ricordando però di avere al suo fianco «una buona squadra e con voglia di fare tanto che l'aver suddiviso i compiti da portare avanti ci ha dato modo di lavorare su più progettualità contemporaneamente». Li ha snocciolati uno ad uno mettendo in risalto in particolare un aspetto molto importante, quello legato alla sicurezza e alla prudenza per affrontare la montagna «in maniera più consapevole consci dei propri limiti e delle proprie capacità».«Una stagione sicuramente buona che ha segnato un incremento delle presenze nei rifugi del 10% rispetto al 2019 (ultima stagione ante Covid) con il ritorno di molti stranieri e una buona presenza di italiani. L'afflusso di turisti è iniziato presto considerate le alte temperature e la carenza di neve che ha reso tanti sentieri percorribili già a maggio/giugno» ha affermato la presidente. La tragedia della Marmolada «ha scosso tutta la nostra comunità segnando pesantemente la montagna ed i suoi abitanti sia fisicamente che moralmente». E grazie sempre alle buone condizioni meteo la stagione in alcuni casi è stata allungata anche in ottobre. Più turisti, più frequentatori della montagna che non sempre si approcciano con l'attenzione ed il rispetto che merita: «La frequentazione della montagna è cambiata e tante persone hanno ancora poca consapevolezza dei propri limiti, si approcciano impreparate e senza le necessarie preparazione e attrezzatura» ha sottolineato la presidente introducendo così un progetto ed un accordo importanti. Il progetto "Prudenza in montagna" in collaborazione con Soccorso Alpino, Guide Alpine, Sat, Trentino Marketing e Dolomiti Unesco ha l'obiettivo di comunicare «un approccio alla montagna consapevole in quanto sappiamo non esistere il rischio zero». L'accordo, invece, con il Soccorso alpino «prevede il riconoscimento all'interno dell'organico del Soccorso Alpino e Speleologico Trentino della figura del rifugista. Rifugi come campo base del Soccorso Alpino in una realtà dove rifugi e rifugisti incarnano da sempre questo ruolo di presidio della montagna, ruolo che a noi rifugisti sta molto a cuore e per il quale spesso le nostre strutture sono nate». Per quanto riguarda le
difficoltà la carenza d'acqua ha costretto molti rifugisti a rifornirsi con l'ausilio degli elicotteri, mentre altri hanno dovuto affrontare la carenza di personale: «Starà sempre di più a noi trovare le soluzioni più adatte per non "perdere" i nostri collaboratori rendendo "attrattivo" lavorare in rifugio e riconoscendo il giusto valore a chi vorrà seguirci» nelle parole di Roberta Silva. E se anche i gestori dei rifugi devono fare i conti con i costi energetici «la Provincia ha dimostrato una buona disponibilità ad ascoltare le nostro problematiche ed a cercare di risolverle». «Da parte nostra - ha ribadito l'assessore provinciale al turismo Roberto Failoni - abbiamo messo a disposizione risorse finanziarie per gli approvvigionamenti con l'elicottero così come sono state accolte al cento per cento tutte le domande di ristrutturazione dei rifugi. L'attenzione nei confronti di questi importanti operatori sul territorio c'è sempre stata da parte nostra, a differenza di chi ci ha preceduto, e sempre ci sarà». All'assemblea erano presenti anche Gianni Battaiola nella doppia veste di presidente Asat (che fornisce fondamentali strumenti e servizi ai rifugisti associati) e di Trentino Marketing con il ceo Maurizio Rossini ed il presidente Asat Vallagarina Mauro Nardelli.
NOTIZIE DAI CLUB ALPINI DELLA REGIONE DOLOMITICA
Alto Adige | 25 novembre 2022
p. 23
Cai e Avs: «Stop allo sviluppo le Alpi ormai sono al collasso»
Bolzano
Un manifesto per un maggiore rispetto dello spazio alpino. Lo ha redatto l'Alpenverein Südtirol con il sostegno di Cai, Heimatpflege e Dachverband, nonché dei club alpinistici di Austria (Öav) e Germania (Dav). Il documento è stato presentato ieri, a poche ore dal via libera definitivo alla sanatoria per la funivia di Tires. Da anni Cai e Avs collaborano con le altre associazioni locali per tutelare il patrimonio naturale e ridurre l'ulteriore sviluppo e la costruzione nelle ultime aree non edificate rimaste nella regione alpina. Nel Manifesto si afferma: «Lo sviluppo della regione alpina è completo. Il picco è stato raggiunto da tempo. Lo sviluppo sta diventando sovra-sviluppo».Niente Disneyland«Purtroppo questo concetto non è ancora stato introiettato dai decisori politici ed economici», osserva con disappunto il presidente dell'Avs Georg Simeoni. «L'obiettivo di ridurre a un livello minimo l'ulteriore sviluppo e l'edificazione di aree ancora incontaminate o già ottimamente sviluppate nella regione alpina non è ancora stato raggiunto». Lo spazio alpino è sotto pressione: si ampliano le aree sciistiche, si pianificano grandi eventi sportivi, si sviluppano gli alpeggi con nuove strade, ponti sospesi e vie ferrate per attirare ancora più persone in cerca di divertimento e avventura. «Il paesaggio alpino è percepito solo come uno sfondo. Una mancanza di rispetto per le nostre Alpi».Il rispetto richiestoNumerosi progetti e sviluppi dimostrano che c'è sempre meno apprezzamento per i paesaggi naturali e culturali alpini, che sono tra le maggiori ricchezze dei Paesi alpini. Questo fatto ha spinto i club alpinistici a redigere il manifesto. Le organizzazioni firmatarie chiedono un maggiore rispetto per lo spazio alpino e l'applicazione coerente di tutti gli strumenti legali per la tutela di paesaggio e ambiente. Per garantire il paesaggio come risorsa a lungo termine, è necessario un ripensamento radicale delle infrastrutture nella regione alpina. Per Manfred Sailer, vicepresidente del Dav, lo sviluppo delle Alpi è completo. «La spirale di sviluppo non deve continuare: le Alpi sono già le montagne alte più densamente popolate al mondo e con la più alta densità di infrastrutture».Petizioni e manifestiIl segretario generale dell'Öav, Clemens Matt, è convinto del potere delle petizioni e dei manifesti. Utilizzando l'esempio della fusione dei comprensori sciistici di Ötztal e Pitztal, ha mostrato come - sulla base di una petizione - siano state raccolte quasi 170.000 firme, esercitando così una pressione sui responsabili delle decisioni. In un sondaggio tra i cittadini di St. Leonhard in Pitztal, una località che vive di turismo, la maggioranza ha votato contro. «È importante informare bene la popolazione su ciò che sta accadendo nelle Alpi, che sono un bene prezioso da preservare».Grandi eventi sportivi Anche il Cai è cofirmatario del manifesto. Carlo Alberto Zanella, presidente del Cai Alto Adige, ha criticato la costruzione di nuovi impianti sportivi per le Olimpiadi di Cortina-Milano. «Si costruiscono infrastrutture per pochi atleti, che poi cadono in disuso e vengono lasciate al degrado. L'esempio di Torino lo ha dimostrato in modo lampante. Perché abbiamo bisogno di una nuova pista da bob da 100 milioni a Cortina quando ce n'è una disponibile in Austria a poca distanza?»Basta contributi pubbliciDurante la presentazione del manifesto, si è parlato anche della funivia di Tires. Florian Trojer dell'Heimatpflege, ha pesantemente criticato i contributi pubblici per sovvenzionare impianti all'interno delle stazioni sciistiche, che ben poco hanno a che fare col trasporto pubblico. «La funivia di Tires è stata sovvenzionata per il 75% dalla Provincia. In Baviera le associazioni alpinistiche sono molto attive, non tollerando più questo tipo di sovvenzioni, che lì assommano al 30%». L'accordo fra l'Agenzia per l'Ambiente e la Procura ha lasciato molto perplessi Cai e Avs e nel pomeriggio di ieri si è tenuto un vertice per studiare il da farsi. Così il presidente del Cai Alto Adige Carlo Alberto Zanella: «Non escludo verranno intraprese altre azioni, noi di sicuro non molliamo».Il manifesto, una sintesi«Lo spazio alpino ha un enorme valore», si legge nel manifesto. «Molte persone vivono e lavorano nelle regioni di montagna dei paesi alpini. Allo stesso tempo, milioni di persone in cerca di svago visitano ogni anno la regione alpina al fine di distendersi e rigenerarsi per la vita quotidiana. Assieme ad alcune delle ultime aree naturali non urbanizzate del continente, questo eccezionale paesaggio culturale, di piccola scala, modellato dal lavoro dell'uomo nel corso dei secoli, forma in Europa un patrimonio centrale dell'umanità ed è la base vitale per la popolazione che ci vive, che merita il rispetto di tutti noi». E ancora: «Le Alpi sono la catena
montuosa più densamente urbanizzata al mondo, con strade, impianti di risalita, sentieri escursionistici, rifugi, infrastrutture turistiche, agricole e altre. Certamente è stato questo sviluppo che in passato ha reso la regione alpina uno spazio vitale con un'alta qualità di vita. Da alcuni anni però è stato chiaramente raggiunto il limite: lo sviluppo sta diventando sovra-sviluppo. E la richiesta di grandi eventi (sportivi) sta contribuendo ad aumentare la pressione sulla regione alpina. Ogni nuovo intervento non solo diminuisce il valore dello spazio alpino come paesaggio culturale e naturale, ma anche come risorsa economica. Nuova urbanizzazione danneggia il paesaggio, mette in pericolo la biodiversità, rende lo spazio alpino meno attraente per i visitatori e soprattutto riduce la qualità di vita degli abitanti».L'obiettivo, si prosegue, «deve essere quello di ottimizzare le infrastrutture esistenti in tutti i settori. Questo include naturalmente il miglioramento della qualità economica ed estetica nonché l'ottimizzazione in termini di conservazione delle risorse, sostenibilità e protezione del clima». La prima domanda da porsi, si va oltre, «non deve essere come, ma se è da fare». Ne deriva la domanda fondamentale che deve essere sempre posta per prima in caso di progetti di rinnovo e risanamento di infrastrutture alpine: «Questa infrastruttura è ancora necessaria e sostenibile?» Se a questa domanda non si può rispondere con un inequivocabile sì, si conclude, «allora si deve smantellare. Soprattutto in vista del cambiamento climatico e del conseguente necessario adeguamento dei sistemi di mobilità, è ora indispensabile una massiccia riduzione del trasporto individuale motorizzato». DA.PA
NOTIZIE DAI COLLEGI DELLE GUIDE ALPINE E AMM
L’Adige | 19 novembre 2022
p. 23
«Montagna, ora basta Serve più rispetto»
Fabrizio Torchio
Nel ricordo delle vittime del crollo del ghiacciaio della Marmolada, a fine ottobre il Collegio delle guide alpine del Veneto ha presentato un Manifesto etico con cinque princìpi ai quali ispirare il lavoro e le attività dei professionisti della montagna. «Gli eventi del 3 luglio in Marmolada hanno scosso profondamente tutti noi, e la scomparsa di due colleghi in quelle circostanze è certamente un evento a cui nessuno di noi era preparato» ha spiegato il presidente delle guide venete Marco Spazzini, «nei giorni immediatamente successivi, quando il bilancio della tragedia stava diventando chiaro a tutti, è nato su iniziativa di Lucia Montefiori - il nostro segretario - un Manifesto etico delle guide, figlio dell'esigenza di dare una cornice di senso alla catastrofe appena successa e della voglia di onorare così la memoria dei colleghi scomparsi». Il documento contiene cinque princìpi ai quali ispirare il lavoro e le attività dei professionisti della montagna. I promotori ricordano tuttavia che «Pur rimanendo un Manifesto delle guide e per le guide, è stato aperto alle sottoscrizioni esterne da parte di ogni ente o singolo che ritenga di identificarsi nei valori che vi sono espressi». Dopo le adesioni del Cai Veneto e del Corpo nazionale di soccorso alpino e speleologico regionale, al manifesto hanno aderito anche le guide alpine e gli accompagnatori di media montagna del Trentino. In una stagione in cui, a causa delle elevate temperature, le guide hanno sospeso l'accompagnamento su alcune vie, perché troppo pericolose (Cervino e Monte Bianco), la tragedia della Marmolada ha riaperto il dibattito sulla frequentazione della montagna, fra proposte di limitazione e rivendicazioni di libertà della pratica alpinistica. Per questo, l'assunzione di responsabilità, la consapevolezza dell'impossibilità di annullare il rischio in montagna e la necessaria mitigazione dello stesso attraverso esperienza, conoscenza del territorio e competenza sono alcuni dei punti cardine del manifesto, in cui si ricorda che «è importante che si diffonda la consapevolezza del fatto che nessuno può avere il controllo di fattori stocastici: non i sindaci, non il soccorso alpino, non le guide. Gli ambienti naturali sono dinamici ed in costante evoluzione», viene sottolineato.Gianni Canale, originario di Ragoli, è il presidente del Collegio delle guide alpine del Trentino. Con lui, guida alpina e maestro di alpinismo, laurea specialistica in scienze forestali e ambientali all'Università di Padova, affrontiamo i punti principali del Manifesto etico.Anche il Collegio delle guide alpine del Trentino, accompagnatori di media montagne compresi, ha sottoscritto il manifesto etico del collegio del Veneto in ricordo delle vittime della tragedia della Marmolada. Al primo punto si rivendica il diritto alla libera frequentazione degli ambienti naturali, accettando i rischi di un ambiente incontrollabile. Perché è importante ribadire oggi un principio che da sempre accompagna l'alpinismo? «È un tema delicato, che si inserisce nel contesto sociale attuale, dove "la sicurezza" sembra spesso un qualche cosa di dovuto, e più che auspicata viene pretesa. La montagna ha però le sue regole, e siamo noi a doverci adattare. Questo include anche l'accettazione di un rischio residuo, non eliminabile. Maggiore conoscenza dell'ambiente e dei suoi processi riusciamo ad accumulare, più riusciamo a prevenire rischi e problemi, ma rimane il fatto che non tutto può essere previsto».Le guide rifiutano la visione di una montagna ridotta a parco giochi, a "infrastruttura di svago regolamentata": si sta andando verso questa visione? Se sì, perché?«Le guide si trovano un po' "tra due fuochi": sono dei professionisti dell'ambito turistico, quindi lavorano con persone in vacanza, che vogliono svagarsi e divertirsi. Ma sono anche dei guardiani e dei custodi del territorio, sensibili ai delicati equilibri ambientali e desiderosi di preservare la bellezza del contesto in cui vivono. Questo fa sì che quasi sempre le guide si trovino a fare fronte comune contro gli eccessi dell'industria turistica, che rischia di svilire e banalizzare la montagna. Le guide esistono e sopravvivono grazie al turismo, ma sono consapevoli che un contesto fragile come quello montano ha bisogno di forme e modi di frequentazione adeguati, lontane dalle logiche di massa. Direi che Equilibrio è la parola chiave».I cambiamenti climatici stanno trasformando rapidamente
soprattutto gli ambienti di alta montagna e le guide alpine si impegnano a fare opera di formazione, educazione e divulgazione. Anche l'esperienza è un fattore importante. Quali sono le priorità per i frequentatori? Cosa è importante considerare nel progettare un'ascensione o un'escursione su quei terreni?«L'alta montagna è per sua natura un contesto dinamico, in continuo mutamento, ma naturalmente il surriscaldamento globale ha accelerato questi processi di trasformazione, rendendoli certi eventi difficilmente prevedibili. Dobbiamo tutti, professionisti e non, valutare in maniera accurata le condizioni della montagna in quel momento, partendo dal presupposto che ascensioni un tempo frequentate e relativamente semplici, oggi sono percorribili solo per brevi finestre di tempo e con difficoltà tecniche maggiori. Bisogna rimanere flessibili: essere disposti a cambiare i propri piani e magari anche a rinunciare».Modalità di fruizione che non consumino il territorio e che siano rispettose dell'ambiente vanno incentivate, si legge ancora nel manifesto. Si possono fare degli esempi di buone pratiche da mettere in atto sulle nostre montagne?«Serve un approccio discreto e rispettoso, va tolto il superfluo. L'esperienza più bella che la montagna ci regala è il conoscerci meglio, spesso scopriamo che ci serve molto meno di quello che pensiamo per sopravvivere ed essere felici. Impegniamoci a ricercare la semplicità, e ci ritroveremo a godere di soddisfazioni più grandi, inquinando meno e minimizzando l'impatto ambientale».Nel 2021 il Corpo nazionale del soccorso alpino e speleologico è stato impegnato in 10.730 interventi, per prestare soccorso a 10.615 persone. Sono numeri in crescita, e non solo in Italia. Oltre all'aumento del numero dei frequentatori, tendenza evidente degli ultimi anni, vi sono cause specifiche? E cosa si può fare per invertire la tendenza?«Sicuramente l'incremento dei soccorsi è strettamente correlato all'aumento di persone che frequentano la montagna, oltre agli alpinisti ed escursionisti, sono aumentati i praticanti di tante altre nuove attività outdoor: basti pensare alla mountain bike, alla nascita di aree dedicate al downhill, al parapendio fino al base jumping. Purtroppo si sta perdendo la consapevolezza che in montagna dovremmo fare tutto il possibile per essere autosufficienti e badare a noi stessi, e moltissime persone danno per scontato, anzi quasi pretendono, di poter essere soccorse in caso di problemi. Abbiamo trasformato un intervento solidale per casi d'emergenza eccezionali, in un servizio aperto al pubblico. Invertire la tendenza non è per nulla facile, però si può cercare di ridurla attraverso una scrupolosa informazione e formazione. Ritengo che le Guide alpine e gli Accompagnatori di media montagna siano le figure più competenti in grado di trasferire consapevolezza, conoscenza e rispetto del territorio».Sta per aprirsi, neve permettendo, la stagione dello sci, anche fuori pista: quali consigli si possono dare agli scialpinisti e ai ciaspolatori?«Posso dire che la neve, nonostante il grande fascino che esercita su tutti noi, è un elemento davvero difficile da interpretare, che richiede prudenza e preparazione. Il mio consiglio è di sfruttare l'inizio di stagione per frequentare qualche lezione di Nivologia, per comprendere meglio le dinamiche di trasformazione del manto nevoso ed imparare a riconoscere le situazione problematiche o potenzialmente pericolose. Ai principianti consiglio di rivolgersi alla Guida alpina, non solo per imparare ad individuare i pericoli della montagna per evitarli, ma anche per imparare le corrette tecniche escursionistiche e sci alpinistiche oltre che le misure di autosoccorso».Anche nel Trentino-Alto Adige ci sono esempi di rifugi e bivacchi hi-tech: che cosa ne pensa?«Il gusto estetico è soggettivo, così come la sensibilità personale, ma devo dire che ho visto strutture moderne ben riuscite e ben integrate nel contesto, ed altre decisamente fuori luogo. Se per hi-tech si intende confort tecnologici credo che questi tolgano il vero valore della montagna, invece reputo opportuno progettare con materiali ecosostenibili e concentrarsi su un sistema di recupero delle acque piovane: l'acqua è sempre più difficile da reperire soprattutto in dolomiti. La funzione essenziale dei rifugi in montagna è fungere da presidio del territorio: questo permette loro di conoscere in tempo reale i cambiamenti del territorio circostante e quindi ad essere prontamente d'aiuto a chi fruisce della montagna. I bivacchi non devono diventare dei rifugi: sono da sempre un punto strategico per il ricovero di alpinisti ed escursionisti. Allora come oggi devono mantenere lo stesso scopo: riparo da avverse condizioni atmosferiche, ridurre il tempo di percorso per una difficile ascensione o lunga traversata, ricovero per la notte, deposito di attrezzature e viveri e possibile base per il soccorso alpino. È di fondamentale importanza che il proprietario o il gestore dei bivacchi, si preoccupi della manutenzione sia ordinaria che straordinaria per garantire un luogo bello confortevole e pulito».Una domanda personale: perché ha deciso di diventare guida alpina? E cosa consiglierebbe a chi medita di poter intraprendere questa professione?«Ho avuto la fortuna di nascere in un paesino a misura di bambino dove la convivenza con la natura è parte integrante da sempre nella vita di tutti. Con i miei genitori ho passato le estati nella nostra baita in montagna ma è stato il nonno Amelio che, quando avevo 10 anni, mi ha guidato alla scoperta del Gruppo di Brenta attraverso le famose ferrate della "Via delle Bocchette". La passione per la montagna ha guidato la maggior parte delle scelte nella mia vita. Apprezzo la montagna in tutte le stagioni e sfaccettature, dallo sci alpinismo alle cascate di ghiaccio, dalle arrampicate tradizionali a quelle sportive, fin ai semplici sentieri che conducono negli angoli più remoti: diventare guida alpina è stato quindi un percorso venuto da sé. I nuovi giovani che intendono intraprendere questa professione avranno un ruolo importante sullo sviluppo del turismo montano. I corsi di formazione per diventare Guida alpina e Maestro d'alpinismo sono lunghi, difficili e richiedono una grande preparazione e sacrificio, ma allo stesso tempo ti permettono di svolgere una professione privilegiata e affascinante, che permette di vivere a stretto contatto con l'elemento naturale nel corso di tutte le stagioni. Chi decide di affrontare questo percorso deve avere innanzitutto una grande passione e cultura per la montagna e la stessa deve essere poi trasmessa alle altre persone. È sicuramente tra i più belli lavori del mondo».
NOTIZIE DAL SOCCORSO ALPINO
p. 34
Aiut Alpin Dolomites, un'estate con 542 soccorsi
Dolomiti
Gli equipaggi dell'Aiut Alpin Dolomites hanno chiuso con il 31 ottobre la loro stagione estiva nel segno dell'assistenza a turisti, escursionisti e alpinisti, ma anche a tutte le persone coinvolte in incidenti o in condizioni di emergenza. Una stagione di interventi con l'elicottero, anche in condizioni difficili dal punto di vista ambientale e/o meteorologico, che ha contato 542 interventi di soccorso in tutta l'area dolomitica, in particolare 507 in Alto Adige, 17 in Trentino e 17 nel Bellunese. L'estate dei soccorsi e della solidarietà dell'Aiut Alpin Dolomites era incominciata, come da convenzione siglata con la Provincia e l'Azienda sanitaria, l'11 giugno. La maggior parte degli interventi di elisoccorso ha riguardato il recupero di escursionisti in montagna e di alpinisti in difficoltà in parete (148 casi). Il resto degli interventi è stato richiesto per emergenze relative ad attività svolte nel tempo libero, lavoro, allarmi sulle strade, ricerche, esigenze sanitarie.In totale, secondo il bilancio dell'estate 2022 dell'Aiut Alpin, sono state soccorse 556 persone, vittime di 298 emergenze sanitarie: 197 sono state le persone ferite recuperate, 38 quelle illese, 23 le persone decedute (15 a seguito di emergenze sanitarie, 8 a seguito di traumi vari). Quanto alla nazionalità delle persone soccorse, 405 sono italiane (267 altoatesine, 10 trentine e 3 bellunesi), 106 tedesche e austriache, mentre 45 erano arrivate sulle Dolomiti da altri Paesi europei o da Paesi oltreoceano. Ancora, 43 interventi sono stati effettuati o portati a termine dall'equipe sull'elicottero con l'ausilio dei visori notturni.I responsabili di Aiut Alpin Dolomites sottolineano infine "la buona collaborazione con l'Azienda Sanitaria dell'Alto Adige, con la Centrale provinciale di emergenza e con la Heli Elisoccorso Alto Adige. Un grazie particolare va ai volontari delle diverse stazioni del Soccorso alpino, a piloti, verricellisti, medici anestesisti e tecnici di elicottero, che ogni giorno hanno svolto il servizio di pronto intervento alla nostra base a Pontives (Laion). Un ulteriore grazie - continuano dall'Aiut Alpin Dolomites - va inoltre a tutti coloro che in qualche modo hanno contribuito a rendere possibile il servizio a favore degli infortunati".Il servizio di soccorso garantito dall'Aiut Alpin Dolomites riprenderà il 7 dicembre in corrispondenza con l'inizio della stagione turistica invernale. Informazioni: Aiut Alpin Dolomites 0471 797171. L’Adige | 19 novembre 2022 p. 22
Alto Adige | 2 novembre 2022
p. 2, edizione Belluno
Bicicletta elettrica «Il nuovo pericolo»
BELLUNO
Ultimi assalti alla montagna. Su gomma, però. In quota impazzano le bici. Quelle elettriche: sulle strade e i sentieri dolomitici un vero e proprio serpentone di amanti delle due ruote elettrificate. Negli ultimi giorni, ancor più del solito: con un meteo così favorevole, impossibile stupirsi che molti turisti abbiano deciso di regalarsi un ultimo giro in montagna. A stupire, piuttosto, è che la bici elettrica stia diventando la nuova frontiera della mobilità in montagna. Pericolosa, purtroppo: in sella, il più delle volte, pseudo-campioni che si riscoprono d'improvviso atleti iridati. Il grido d'allarme arriva dritto dal Soccorso Alpino: l'e-bike è ormai una delle cause d'incidente più frequente. C'era una volta il turista incauto, insomma. Ora veste i panni del Pantani d'alta quota. Ma elettrificato.
TUTTI IN SELLA
Il desiderio di mobilità sostenibile qui c'entra davvero poco: la bici elettrica sta diventando, piuttosto, una moda. Basta guardare i dati sulla crescita del mercato delle due ruote per convincersi. Tutti vogliono una bici elettrica, insomma. E non ci sarebbe nulla di male, se non ci fosse anche il rovescio della medaglia: un pubblico così variegato e ampio da includere, all'improvviso, anche chi una bici, nella propria vita, non l'ha mai usata nemmeno per muoversi sotto casa. Con l'elettricità, cade il senso del limite. Cresce, di contro, il desiderio di affrontare percorsi sempre più impegnativi che, con le sole proprie forze, non si sarebbero mai presi in considerazione. Mete più lontane. Percorsi più lunghi e articolati. Scalate prima impensabili. Nessun allenamento, ovviamente: tanto c'è l'aiutino. Il risultato è che in molti finiscono nei guai.
L'ESPERTO
«È incredibile: negli ultimi due anni la bici elettrica è diventata la seconda causa di incidente in montagna. Fino a qualche anno fa era solo all'undicesimo posto». A spiegare la gravità del fenomeno è Fabio Rufus Bristot, della direzione nazionale del Soccorso Alpino: «In tutta Italia dieci anni fa gli incidenti in sella a una bici, in montagna, sono stati 282. L'anno scorso e quest'anno risultano invece più che triplicati. Ad oggi, nel 2022, sono oltre 800. Dai 233 feriti del 2012 siamo ai quasi 670 di quest'anno. I morti, quasi sei volte tanto: in dieci mesi sono già 17». Tra le Dolomiti bellunesi, quest'anno, 47 soccorsi. Velocità, difficoltà di controllare il mezzo in discesa, scelta di percorsi azzardati tra le cause. Casi a volte clamorosi, come nell'ultimo intervento di Bristot, con il gruppo della direzione nazionale Cnsas: un ciclista schiantatosi contro un albero per evitare un salto nel vuoto di oltre 15 metri. Il problema non è tanto la bici, quanto chi sale in sella: l'analisi di Bristot punta il dito contro l'impreparazione di chi sportivo non è.
LE ABITUDINI
«Stanno aumentando e stanno cambiando le categorie di chi va in montagna. È ormai un fenomeno di massa: bene per il Pil, ma non certo per noi del Soccorso Alpino. Con un pubblico più ampio, si è modificato il livello di preparazione: nessuna conoscenza dei pericoli; difficoltà a reggere situazioni di stress per eventi banali come l'arrivo della pioggia o la perdita di un sentiero in zone di alto passaggio». Tradotto: se si abbassa l'asticella nella preparazione dell'escursionista, si alza per i soccorritori. «Manca la cultura dell'andare in montagna. Ormai si chiama il 118 anche per stanchezza, quando basterebbe riposare un po'. Di recente, abbiamo aiutato una coppia: la signora aveva rimediato una distorsione alla caviglia a 20 metri dall'auto. Invece viviamo una fase di deresponsabilizzazione prosegue Rufus-. Ci si spinge oltre perché tanto, alla fine, qualcuno ti viene comunque a prendere».
Simone Tramontin
Gazzettino | 7 novembre 2022
p. 2,
edizione Belluno
Soccorso alpino, Cai e guide: «No alla montagna parco giochi»
No alla montagna ridotta a parco giochi, ma serve maggiore consapevolezza. Soccorso alpino, Cai Veneto e guide alpine hanno sottoscritto un documento con 5 semplici regole per il buon vivere in alta quota. Intanto, gli spazi liberi devono rimanere tali: Rivendichiamo un diritto universale alla frequentazione libera degli ambienti naturali. Chi decide di frequentare gli ambienti naturali, ne accetta i rischi e se ne assume la responsabilità. Nessuno può garantire la sicurezza totale in un ambiente incontrollabile e caratterizzato da rischi oggettivi, ma sappiamo anche che i rischi soggettivi possono essere ampiamenti mitigati dalla conoscenza del territorio, dall'acquisizione di competenze e dal sapere che viene dall'esperienza. Montagna libera significa non accettare nessun tipo di restrizioni: ingressi contingentati, orari di apertura e di chiusura dei sentieri.
IL
RIFIUTO
Rifiutiamo la visione politica di una montagna ridotta a parco giochi, a infrastruttura di svago regolamentata spiegano insieme Soccorso alpino, Cai e Guide alpine - È importante che si diffonda la consapevolezza del fatto che nessuno può avere il controllo di fattori stocastici: non i sindaci, non il soccorso alpino, non le guide. Gli ambienti naturali sono dinamici e in costante evoluzione: chi non è
Gazzettino | 2 novembre 2022
disposto ad assumersi la responsabilità, con consapevolezza, del contatto con la natura, deve fare autocritica e rinunciare alla frequentazione di questi ambienti. Nessun divieto, quindi. Montagna libera ma con la consapevolezza di un ambiente in continuo mutamento che deve essere compreso. Da qui il terzo punto: Riconosciamo i cambiamenti climatici come fattore di complessità crescente degli ambienti naturali. Sappiamo che in questi ambienti in evoluzione sono sempre più frequenti episodi inediti ed estremi. Come guide ci impegniamo a continuare la nostra formazione sul tema, e a fare opera di educazione e divulgazione tra i nostri clienti: diffondere la conoscenza sui fattori di adattamento e mitigazione è un atto di responsabilità verso le generazioni future.
I LIMITI
Attenzione anche al tipo di frequentazione della montagna e agli impatti ambientali del turismo. Serve una frequentazione etica e responsabile: Il turismo si deve fermare quando diventa un fattore di stress per le popolazioni (umane e non umane) locali e quando rappresenta una minaccia per la qualità della vita dei residenti e per la capacità di perpetuarsi dei servizi eco-sistemici. Come operatori turistici, sentiamo l'esigenza di lasciare la nostra impronta sul mercato, incentivando modalità di fruizione che non consumino il territorio, e che siano rispettose dell'ambiente. Arriviamo quindi all'ultimo punto: collaborazione. Tutti devono fare la propria parte nel rendere la montagna il più vivibile possibile e nel fare in modo che possa essere vissuta in sicurezza. Pensiamo che la partecipazione sia fondamentale per governare nel modo migliore la complessità in evoluzione dei territori di montagna. La creazione di reti tra istituzioni, imprese, cittadini, terzo settore e professionisti è un aspetto cruciale nella prevenzione dei conflitti sul territorio e nella condivisione di una visione per il futuro. Le guide presidiano quotidianamente i territori impervi, e si impegnano in un ruolo di sentinelle privilegiate, attori di una sorveglianza diffusa sui segnali di cambiamento. Alla firma del documento erano presenti anche i sindaci di Rocca Pietore e di Canazei, Andrea De Bernardin e Giovanni Bernard.
DOLOMITI IN TV
Corriere dell’Alto Adige | 30 novembre 2022
p. 10, segue dalla prima
Gassmann, «Vendetta» in Pusteria
Set altoatesino per il nuovo film con l’attore che indossa i panni di un ex sicario
Il rudere del Grand Hotel Bagni di San Candido, con intatto il fascino di un passato glorioso alle spalle, è il set di uno snodo cruciale del film Il mio nome è Vendetta di Cosimo Gomez, da oggi su Netflix con un Alessandro Gassmann marito e padre amorevole che nasconde in realtà un passato da sicario della ‘ndrangheta. Revenge movie ad altissimo tasso di azione, con la giovane Ginevra Francesconi spalla di Gassmann, il film è la storia di Santo che, dopo aver vissuto nell’ombra per anni in una tranquilla cittadina del Trentino-Alto Adige (Dobbiaco), vede sconvolta la sua nuova esistenza perché viene riconosciuto da una foto che la figlia Sofia, campionessa di hockey, condivide sui social.
Da lì il film è un susseguirsi di corpo a corpo, inseguimenti, sparatorie, pugnali che trafiggono giugulari, in una fuga del padre e della figlia, che, suo malgrado, deve imparare in fretta a vivere come il padre ha fatto prima che lei nascesse. Nella prima parte è il film è girato in Alto Adige: oltre al rudere delle vecchie terme ottocentesche vi compaiono infatti Villabassa (dove viene ripreso il bosco in cui padre e figlia fanno la loro escursione e il Maso dove vivono), il Palaghiaccio di Dobbiaco e un ristorante nel centro di Brunico (che nella finzione è Bolzano). Altre riprese sono state fatte in Veneto, al torrente Bòite a Cortina D’Ampezzo (quando il Defender dei protagonisti attraversa il fiume), e al lago del passo Valparola.
«La scelta dell’Alto Adige - racconta il regista - è arrivata perché l’Alto Adige, forse una delle regioni meno italiane, bilingue, contesa all’italia, dove vive la comunità sudtirolese, a me e altri sceneggiatori è sembrato il luogo più adatto per rendere credibile la storia di Santo che per vent’anni è riuscito a rifugiarsi tra le montagne e aver iniziato una nuova vita. Filmiamo dei paesaggi mozzafiato, ma la nostra è stata soprattutto una scelta narrativa, non solo estetica».
Il film, scritto da Gomez insieme a Sandrone Dazieri, Franco Fraternale e Fabio Guaglione, è prodotto da Iginio Straffi (il papà delle Winx) e Alessandro Usai per Colorado Film e regala a Gassmann il primo ruolo da cattivissimo della sua lunga carriera. «Il film è una totale novità per me - conferma l’attore romano - ho un ruolo insolito, è una totale novità per me, ma anche per l’Italia, perché è pura azione con la qualità dell’azione a questo livello molto rara. Ho letto la storia e ho pensato subito che l’azione era molto avvincente. Ho chiesto se sarebbe stato rappresentato come era scritto, mi hanno assicurato di sì e sono stato felice. Ci vuole una tecnica cinematografica evidente per rendere credibile il film sotto tutti i punti di vista. Mi sono proprio divertito e per la prima volta sono stato utilizzato per quello che sono: un omone di 193 centimetri. Spero sia l’inizio di una collaborazione». Il film è stato girato in sequenza, per rendere possibile il taglio della barba e dei capelli di Gassmann «in diretta»; la giovane Ginevra, che non sa giocare a hockey, e non aveva la patente, ha avuto tre controfigure e per farle guidare il Defender ne è stato utilizzato uno a guida inglese con un finto sterzo.
«Mi son divertita tantissimo - ha ammesso Ginevra - è ringrazierò Cosimo per sempre per avermi chiamato. Il personaggio cresce nel film e interpretarlo è stata una bella prova. Non nego che quando ho letto la sceneggiatura, ma anche in fase di provini, ho sentito una
scossa di adrenalina mista a senso di responsabilità che mi ha spinto a mettercela tutta. Con Alessandro abbiamo lavorato molto sul rapporto padre-figlia». Scherza Gassmann: «Io non ho figlie, solo un figlio. Sono una persona molto gelosa e non credo che avrebbero potuto circolare tanti fidanzati in giro per casa. Sono stato un padre severo, concentrato sul rispetto del lavoro altri. Mio figlio Leo mi pare abbia ricevuto il messaggio. Ma forse con una figlia sarei stato meno severo».