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La delicatezza del poco e del niente
Come è stata la prima esperienza e il primo impatto ad interagire con persone con disabilità?
La prima esperienza con la disabilità è stata grazie al primo anno di università, (Educazione Professionale), attraverso un tirocinio svolto presso CDD, (Centro Diurno Disabili). Ricordo che mi presentai agli utenti, ero molto tranquillo, anche se in mente, di tanto in tanto quando incrociavo il loro sguardo, tra me e me mi veniva da pensare “poverini” con un velo di tristezza, ma nello stesso momento mi ponevo alcune domande, alle quali ai tempi non sapevo rispondere, per esempio: loro stessi si sentiranno davvero “Poverini”? Saranno consapevoli della propria disabilità? Molte volte li percepiamo come se vivessero limitati, ma può essere che loro stessi non si sentano tali o che comunque non percepiscano questi limiti in se stessi? Con il percorso svolto durante il tirocinio e molte altre esperienze di volontariato svolte in Italia, Croazia, all’estero ho notato però che bisogna andare oltre quel “poverini” che ci vien da pensare quando li guardiamo, perché non lo sono, perché loro stessi non si sentono tali, quindi perché noi dovremmo definirli tali? Piuttosto mi vien da pensare che forse siamo noi quelli che si stanno limitando, perché non ci concediamo di porgere la mano all’altro/a, di guardare negli occhi chi abbiamo di fronte, di conoscere che c’è altro da noi, di capire che è nella diversità che nasce e risiede la meraviglia.
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Vivendo e vedendo realtà diverse c’è mai stata un’esperienza che ti ha toccato nel profondo? fatto riflettere e
L’esperienza che più mi ha fatto riflettere e toccato nel profondo è stato il periodo di volontariato in Africa, in Mozambico. Descriverei quel periodo con la parola “luce”, perché in tutto ciò che ho visto in Africa ho visto luce, e mi piace pensare che un po’ di questa luce possa essere stata donata anche a me nel tempo trascorso là. Aver avuto la possibilità di andare in Africa è stata come una vera e propria rinascita, ho visto e compreso come dal poco e dal nulla possa nascere ogni cosa, come nei piccoli gesti, sorrisi, sguardi si trovi tutto ciò di cui si ha davvero bisogno. La luce che quest’esperienza mi ha dato è una luce che riempie ogni momento che vivo giorno dopo giorno anche qui. Trovo difficile esprimere le emozioni provate, descrivere i momenti passati, posso semplicemente dire: grazie Africa!
È difficile tenere lontane le proprie emozioni da ciò che ti succede sul lavoro, che in qualche modo possono influenzare anche la tua vita al di fuori del lavoro?
Qualsiasi cosa che accade può darci degli spunti, l’incontro con l’altro solleva sempre qualcosa, può toccare delle corde dentro di noi che richiamano determinate emozioni anche del nostro vissuto personale. Non credo quindi sia una questione di “facile” o “difficile” distanziarsi dalle emozioni che proviamo, credo invece che sia importante, soprattutto durante il lavoro, capire perché determinate emozioni e sensazioni, derivanti dalla relazione con coloro con cui entriamo in contatto, riaffiorino in modo più o meno forte, facendoci talvolta perdere l’intento del lavoro che stiamo facendo, e influenzino la nostra vita anche al di fuori dell’ambito lavorativo. Vi è la necessità di mettersi in una posizione di disponibilità, tramite cui poter tirare fuori quello che si ha dentro e riconoscere che oltre a noi stessi c’è anche l’altro. Se ci imponiamo di distanziarci e cerchiamo di nascondere le nostre emozioni, c’è il rischio che non riusciamo a capire quello che l’altro sta cercando di dirci, c’è il rischio che quelle stesse emozioni, che in un primo momento abbiamo cercato di sopprimere, sovrastino poi la relazione stessa. È fondamentale quindi accettare di provare delle emozioni come paura, rabbia, tristezza, gioia, felicità, incertezza senza però sentirci in difetto, bensì provando a “dare un nome alle cose”, a ciò che proviamo, ponendoci in una posizione di ascolto verso l’altro e verso sé stessi, così facendo riusciremo a capire perché quella determinata situazione ci ha portato a provare determinate emozioni, elaborarle e scorgere ciò che l’altro ci sta comunicando.
Come è stato emotivamente affrontare persone con disabilità rispetto a persone che nel mondo sono “nascoste” come chi ha subito violenze oppure ha dipendenze?
Personalmente non ritengo che chi ha subito violenza, così come coloro che vivono in situazione di dipendenze, siano persone “nascoste”, bensì, come nel caso della disabilità, sono aspetti che vanno affrontati in maniera differente. Ho avuto la possibilità di conoscere personalmente attraverso tirocini, lavoro o esperienze di volontariato ognuna di queste tematiche e ognuno di queste fa emergere dentro di me emozioni contrastanti. Il problema, la patologia o ciò che hanno subito è l’elemento che più si rende evidente, e che talvolta ci fa agire, produrre una risposta, dare un giudizio a priori, credendo anche di sapere cosa sia “giusto per lui/lei”, ci fa credere di sapere quale sia il suo bene, senza considerare però che ciò che per noi rappresenta il suo “bene”, può non coincidere con il bene stesso della persona. La persona è un bene troppo prezioso che non può essere messo da parte o vista solo per la sua sofferenza, malattia o disagio. Vi è la necessità di avere uno sguardo che sappia andare oltre ciò che appare, che sappia tirar fuori le potenzialità, piuttosto che sottolineare le eventuali mancanze. Per concludere, un elemento che può mettere in comune le tematiche riprese nella domanda, può essere la parola crisi, alla quale possiamo attribuire due accezioni: la prima, un momento negativo che indica il peggioramento di una situazione, la seconda un momento positivo, proprio perché è all’interno di una crisi sulla quale abbiamo la possibilità di riflettere, di discernere, abbiamo un’opportunità, quella di reagire.
Che atteggiamenti bisogna avere nei confronti delle persone che ti trovi di fronte, cambi il tuo atteggiamento o mantieni sempre lo stesso approccio?
Credo che ognuno di noi, indipendentemente da chi abbia di fronte, adotti una tipologia di atteggiamento diverso da contesto a contesto. Detto questo se ci si riferisce ad un atteggiamento durante il proprio lavoro, credo che dipenda da tantissimi fattori, così come la relazione educativa che si instaura tra educatore ed educando sia diversa da persona a persona, da servizio a servizio e dal contesto e dalla situazione in cui ti stai trovando. È importante però che durante il proprio lavoro si abbia un atteggiamento che ti porti ad assumere la responsabilità del perché si è lì, di ciò che si sta facendo, proprio perché si deve avere ben chiaro quale sia il proprio intento e il mio ruolo all’interno di quel contesto, altrimenti si rischia di creare confusione sia a noi stessi che a coloro che abbiamo di fronte.
Data dell’intervista: 24.04.2020 Modalità di realizzazione: videoconferenza Intervistatori: Carlotta Zambelli, Elisa Cecchini Istituto: Liceo musicale e coreutico F. A. Bonporti Classe: 3 MB