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Intervista a Grazia Neri

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Editoriale

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Cara Grazia, seiabbonata a FOTOgraphia da moltissimi anni. Qualè, secondote, ilvaloredellarivista?

«Personalmente, per mio uso e per il fatto che la conosco da vent’anni, direi che mi piace perché differisce dalle altre riviste di fotografia.Amo i suoi collaboratori e le loro rubriche, rubriche che attendo mese dopo mese. Poi, mi piace la sua impagina- zione originale, un po’ retrò, che favenire in mente quelle belle eleganti ed esclusive riviste del passato. Mi piacciono i temi “inusuali” che vengono scelti, il fatto che non lasci spazio ai pettegolezzi. E, soprattutto, mi piace che non ci siano sempre e solo i fotografi celebri e osannati, ma autori semisconosciuti e interessanti. Insomma, una rivista che propone temi un po’ diversi, e porta alla luce i risultati di una ricerca di fotografi molto personale e intelligente».

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CosapensidelfattocheFOTOgraphia siasoprattuttocartacea?Pensicheabbiaancorasensounarivistacheha rigorosiritmimensili, rispettoall’accumularsidinotizie chearrivanoaogniistantesullaRete,arrivicosìfrequenti e, avolte, sconclusionati, chenontilascianoiltempodi riflettere?Inaltreparole,nell’eradigitale,pensipossare- sistereunarivistacartacea, unarivistachelascispazio allariflessione?

«Trovo una grande cosa che sia cartacea. Personalmente, pre- ferisco le riviste cartacee e non guardo le riviste online, se non qualche voltapercuriosità, pervedere dei titoli o quando ho bi- sogno di verificare una notizia. Ma io ho tutto cartaceo in casa, nel mioarchivio.Amoil cartaceo. E, secondome, ci saràun certo ritorno al cartaceo. Il cartaceo consente di dibattere argomenti, nello specifico argomenti fotografici, e di approfondirli.

«Mi piace la rivista cartacea perché è più ricca, ci sono le pagine da sfogliare che riservano una sorpresa a ogni nuova pagina. Nelle riviste cartacee, si possono avere mini rubriche, si possono avere testi lunghi, le proposte possono avere le di- mensioni più varie. E le fotografie stampate hanno un altro im- patto rispetto al video. E poi queste riviste si possono sfogliare, si può andare avanti, tornare rapidamente indietro, scegliendo il proprio percorso. E tutti questi percorsi, almeno secondo me, sono più veloci sulla carta che online».

Pensichepotrebbeessereun’ideatrasformareFOTOgraphia da“rivista”qualè,conritmimensili,inuna“pubblicazione” simileaunpaper universitario,chevienepubblicatosolo quandosisentelanecessitàdiunapprofondimentodiun tema?Unaspeciedipamphlet,unaspeciedilibro.

«Non credo che così funzionerebbe perché si perderebbe la regolarità dell’appuntamento con i lettori. E poi ci sarebbe un gran disagio nel dirigerla. Perché come fai a sapere quali sono gli eventi da approfondire?Adesso, peresempio, c’è la guerra in Libia. Allora ti scateni sulla guerra in Libia, ma se dopo tre giorni succede un altro Undici settembre cosa fai? E poi una rivista fa le sue proposte e poi è il lettore che sceglierà se ap- profondire. O no. Infine, nelle riviste è bellaanche laperiodicità, l’attesa del nuovo numero. Ecco, se c’è una cosa che rimpro

vero a FOTOgraphiaè la mancanza di puntualità.Anche se mi rendo conto della difficoltà nel pubblicare una rivista così, con la pubblicità ridotta al minimo.

«In conclusione, sono contraria a trasformare FOTOgraphia in una “pubblicazione”».

UnaaspettoacuiFOTOgraphia ponemoltaattenzioneè l’etica,l’eticanellefotografie,l’eticanelrispettodellavoro deglialtri, l’etica nelrispettodellealtruisceltedivita. Questaattenzionesisposaconlasceltadellaqualitàdei contenuti.L’eticaelaqualitàsonodueleitmotivdellatua lungacarrieraprofessionale.

«I contenuti e l’etica sono due cose differenti. Peresempio, se in questo momento mi portano un servizio di guerradallaLibia, con fotografie di attualità molto aggressive ma anche molto commoventi, è chiaro che quelle immagini parlerebbero da sole. Mal’eticaconsiste nel rispettare il dolore degli altri. Quindi devi chiederti: quanto questa fotografia è raccapricciante? Chi potrebbe offendere?

«Epoi non c’è solo l’eticadi quello che si sceglie di pubblicare. In un certo senso, nel mio lavoro d’Agenzia, prima veniva la mia etica, mia di chi vendeva i servizi, poi veniva l’etica del di- rettore che doveva scegliere se pubblicare o no una fotografia, un servizio. L’etica di quello che vende è stata per me quella di togliere dalla circolazione tutte le immagini che fossero troppo agghiaccianti, oppure troppo irrispettose nei confronti di un essere umano o di un bambino, Una scelta non facile, che dipende da molti fattori, non ultimo dal periodo “storico” in cui la fotografia viene pubblicata.

«Per quanto riguarda i contenuti è ovvio che siano importanti perché l’eticadasolasenzail contenutonon esiste. Maanche la qualità è importante, se hai un buon contenuto raccontato foto- graficamentemale,èprobabilecheil tuoservizionon valganiente, non scaldi il cuoreonon accendal’attenzionedel lettore.Insomma, occorre un tris di cose: l’etica, il buon contenuto, la qualità del racconto che con lafotografiasignificabelle, forti immagini. Poi, naturalmente, tutto deve essere condito dalla passione».

Nel2013, haipubblicatoLa mia fotografia, unlibrodiricordimaturatineituoiannidiAgenzia[FOTOgraphia,giu- gno2013].Avrebbeavutosensopubblicarequestatesti- monianzaconfinandolaaldigitale?

«Lascia prima di tutto che faccia un po’ il sunto di quella storia. Lamiafotografiaoccupa, dal puntodi vistastoricoe sociologico, tre epoche, in cui sono cambiati i gusti, i modi di vivere, la tec- nologia. Dobbiamoconsiderare che hoottantaquattroanni, dieci più di te, Lellino. All’inizio, io non sapevo nulla di fotografia. Chi mi haaiutato sono stati i fotografi stessi che mi hanno dato, col loro lavoro, le loro esperienze, i loro racconti, lapossibilitàdi co- noscere e imparare. Inizialmente, ho anche frequentato alcune associazioni di fotografia, che in sede avevanocollezioni di riviste di fotografia molto preziose, come il BritishJournalofPhoto- graphyo Visuell(entrambi oggi hanno unaversione online), e di tante altre riviste che spiegavano le tecniche della commercia

lizzazionedellafotografiael’importanzadel copyright(aproposito di etica, è il copyrightche difende e rispettail lavorodei fotografi). Poi, naturalmente, c’eranoi libri. Mi sonoprocurataun dizionario di fotografiadell’Einaudi, perché mi servivaperconoscere il pas- sato. Ho seguito tante riviste... vuoi un elenco? Aperture, Foam, PDN, Polka, OutdoorPhotographer, AmericanPhoto. Epossiedo tanti libri di fotografia di autori come A. D. (Allan Douglass) Co- leman, Susan Sontag, Roland Barthes, Fred Ritchin, David Levi Strauss, Régis Durand, Tom Blau, Gisèle Freund...

«Adesso sono fuori dal mio vecchio lavoro di agenzia e non ho più la spinta professionale ad aggiornarmi costantemente. Ma sono curiosa e continuo a seguire la fotografia, il fotogiornalismo, peril mio piacere. Certo, vado sul web percercare le novità, questo sì. Se però dovessi aggiornarmi sul commercio della fotografia allora andrei sempre a informarmi su quelle ri- viste di settore che sono ancoracartacee. Ci sono anche quelle digitali, ma io andrei su quelle cartacee».

Tièrimastavivalapassioneperlerivistedifotografia?

«Èdifficile che un giornale di fotografianon mi interessi. I con- tenuti sono quasi sempre stimolanti. Primadi tutto perché spes- so propongono qualche nuovo fotografo. Naturalmente, sono interessanti anche fotografi non nuovi, che magari non ho mai conosciuto. Certoperòche, se sfogliandole pagine di unarivista, mi trovassi improvvisamente di fronte a una nuova stella del fotogiornalismo, che so?, un giovane, e sconosciuto “mccullin”, mi farebbe immensamente piacere...».

Ma,allafinecosapensideldilemmadigitale-cartaceo?

«Quello che penso è questo: preferisco il cartaceo, anche perché lo trovo più comodo, almeno per me, perché leggo sdraiata a letto o sulla poltrona. Poi perché col cartaceo mi muovo come voglio tra le pagine, torno indietro a leggere un nome di un personaggio che mi sono dimenticata. Insomma, trovo maggiori possibilità di movimento in un libro o in una rivista che non sul web. Poi libri e riviste mi piacciono come oggetti. Leggere un libro o una rivista digitali mi fa fatica, non mi piace.

«Però devo ammettere che bisognerebbe averli tutti e due. Se si pensa di creare qualcosa di importante oggi, qualcosa che abbia un valore, bisogna averli tutti e due».

EcheconsiglidarestiallaredazioneealdirettorediFO- TOgraphia?

«Penso che larivistaFOTOgraphiadovrebbe andare avanti così com’è. Rappresenta un prodotto diverso, unico sul mercato. Alcuni numeri sono più belli di altri, chiaramente, come capita in tutte le cose. Il mio rapporto con lei si traduce nell’aver bi- sogno di sfogliarla, toccarla, guardarla. Mi piace lasuacopertina di una carta pesante, spessa, quasi rigida.

Se questa intervista che mi stai facendo fa parte di un’in- chiesta per capire se passare da rivista cartacea a digitale... be’ penso che sarebbe una grande stupidaggine. E non credo che con la rivista digitale si potrebbe, dal punto di vista eco- nomico, sopravvivere più facilmente». Lello Piazza

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