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Intervista a Giuliana Scimé
Qualepensidebba essereilruolodellerivistecartacee rispettoall’online?
«Per quanto riguarda le riviste di fotografia, è ovvio che sono le immagini. Le immagini online, io le guardo, ovviamente, ma non si possono godere abbastanza. Adesso è molto diffuso, spero non troppo, l’eBook. L’eBookè unapaginetta, e di questa paginetta si leggono due o tre paragrafi, non di più, il che è molto diverso rispetto al leggere un libro o una rivista. È chiaro che non si può fermare non il progresso -perché questo non è progresso-, ma non si può fermare la tecnologia».
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Rivista opubblicazione, trovidifferenze?La differenza potrebbeesserel’approfondimentodeicontenuti?
«Le riviste mensili sono riviste mensili. Anche FOTOgraphia, che ha una cadenza mensile, può essere vista come pubbli- cazione. Non riesco a capire la differenza».
Qualisonolerivisteopubblicazionifotografichecheti hannopiùinfluenzata?
«Mi hanno influenzato le riviste straniere, che però non esistono più. Come ad esempioPrintLettere Camera. Eranoriviste molto complesse e guardavanomoltoavanti. Oggi, perquantoriguarda la fotografia ad esempio messicana, sappiamo abbastanza.
«All’epoca, PrintLettere Camerafurono le prime riviste che fecero scoprire questi Paesi ricchissimi di storia e di fotografia, come può essere il Messico, e come può essere Cuba. Di Al- berto Korda non si sapeva niente; si vedeva la fotografia del Che, ma non si sapeva nemmeno chi l’avesse ripresa».
Secondotequantocontalaqualitàdeicontenuti?
«È fondamentale, senza qualità non si può fare nulla».
Pensisiagiustochelepubblicazionicartaceedifotografia continuinoadibattereargomentiinapprofondimento?
«Certo. Anche se queste riviste non le leggo praticamente più daanni. L’unicache ho sempre guardato e letto è FOTOgraphia, e questa non è pubblicità per FOTOgraphia. È la verità. Per esempio, ProgressoFotografico, per cui ho scritto non so per quanti anni, è diventata una rivista assolutamente tecnica e non riesco aleggerlapiù. Eppure, io ci ho lavorato pertantissimi anni, ma finché è rimasta vicina alla fotografia d’autore. A un certo punto, la mia presenza non era più necessaria, proprio perché la rivista non era più culturale, era cambiata».
Cosatrovicisiadiparticolarenelcartaceo?
«Il fatto che lo si possa leggere tranquillamente e che le foto- grafie siano anche riprodotte in dimensioni generose. È chiaro che la qualità qui è fondamentale, perché le fotografie devono essere riprodotte con qualità. Altrimenti non servono».
QualiqualitàriconosciaunarivistacomeFOTOgraphia?
«Intanto, lariproduzione delle immagini; poi, gli argomenti, che sono sempre estremamente validi. E poi le notizie che contano: sicuramente FOTOgraphiale dà.
«Per quanto riguarda le notizie rapide, solo divulgative e in cronaca, cioè l’informazione sulle mostre, dove sono e quanto durano, le abbiamo già in internet, non c’è bisogno d’altro. È molto più agile e aggiornato».
Nell’eradigitale,comepensipossaresistereunapubblicazionecartacea?
«Questa è una grande lotta. Secondo me, la lotta del cartaceo sarà persa, proprio perquello che ho detto prima. Non si tratta di progresso, si tratta di tecnologia. E poi la gente si sta abituando sempre più e male a leggere poco.
«Io, un tempo, compravo sia il CorrieredellaSerasia la Repubblica. Hosmessodi leggere LaRepubblicaperché, invece di articoli estesi,in cui si potevaleggereesi potevasapereun sacco di cose, hanno ridotto i testi a pochissime righe: quindi, è una pura informazione. E chiaramente LaRepubblicaha anticipato oforse havistosubitoche il lettore si incuriosivasoltantoperpoche parole.Ame non è mai interessatoquesto, perché peravere un’informazione rapida mi basta internet. E poi non è neanche vero,perchésepoi si approfondiscel’argomento,internetdàuna serie di infinite informazioni e anche molto lunghe». Filippo Rebuzzini
Fotografia: documento o arte
Lafotografia,fin dallasuanascita,si ètrascinatadentrodueequi- voci o pregiudizi che costantemente hanno influenzato il suo corsodurante lastoria. Questi pregiudizi sonoquellooggettivista e quello che sostiene l’impossibilità di creare una vera arte a causadi unapresuntacontaminazionedellatecnicaedellamec- canica che sono alla base del procedimento fotografico stesso.
Questi sono due preconcetti che si sono rivelati con il tempo falsi maancoraoggi posseggonounaseriedi proseliti:aproposito dellasuppostaimpossibilitàdel fare arte acausadellacontami- nazionemeccanicavi sonomolti cheaffermanocheèimpossibile che possa esservi un intervento del fotografo nell’operazione e che questo si debba ridurre ad una sola presenza passiva.
Io risolverei la questione dicendo solo che la tecnica è indi- spensabile per un discorso autonomo, ma che è anche indi- spensabile una visione originale e soprattutto personale che asserviscalatecnicaal nostro volere. Dice ad esempio Raffaello «Impara il tuo mestiere; non basta il mestiere perdiventare artista, è vero, mail mestiere [latecnica] è necessario. Non basta mangiare pervivere dauomo, manon si vive se non si mangia. Arte in italiano significa prima di tutto mestiere».
Quindi necessaria la tecnica, la quale può però essere sog- gettivamente filtrata, come ci dice Rinholds: «A dispetto del mezzomeccanicodi riproduzione che comportamolteplici cause oggettive, ci sono stati molti fotografi che hanno dimostrato un loro stile fotografico. Queste persone sanno giàin partenzache cosa vogliono e la loro idea originale viene attuata attraverso l’intero ciclo lavorativo sino alla fase finale della stampa».
Questoprimopregiudizioche hobrevemente analizzatoeffet- tivamente può essere riscontrato quando ci si trova di fronte a certostupidofotoamatorismo,davanti ad unasituazionecioèche vedeil fotografoasservitoacertetentazioni di virtuosismotecnico che lo allontanano dalle sue vere e personali aspirazioni.
A proposito dell’oggettività della fotografia il problema si fa più complesso e coinvolge un po’ tutto l’andamento che la fo- tografia ha avuto nella sua esistenza.
Infatti “oggettivo” può stare anche per“fedele” e questo sil- logismo ha portato a molti fraintendimenti non solo nel campo fotogiornalistico ma anche in quello artistico. Infatti la maggior parte della gente ha sempre pensato, coscientemente o più spesso incoscientemente “La fotografia è oggettiva, quindi è fedele al reale e quindi tutto ciò che vedo in fotografiaè esistito esattamente come è nella fotografia”.
Questopregiudizionei riguardi dellafotografiafu particolarmente sentito all’epoca della sua nascita e in tutto l’Ottocento, mentre nel nostro secolo ha avuto in più uno spostamento di piano de- cisivo entrando nei limiti della cosiddetta fotografia artistica.
Mi spiego meglio: appena nata, la fotografia stupì immensa- menteperlasuacapacità(supposta)di farvedereil realecosì co- meappare.Infatti lafotografiatrovòlesueprimeapplicazioni pra- tiche oltre che nella ritrattistica, che ha una sua particolare mo- tivazionesociale,non tantonel reportagequantonel documento: il documento esotico di fatti, di posti sconosciuti o lontani.
Vediamo quindi ad esempio Timothy O’Sullivan girovagare perl’America permostrarne gli aspetti più particolari e curiosi, come ancheWilliam HenryJackson o RogerFenton fotografare laguerradi Crimeao vari fotografi partire dall’Europaperesplo- rare le lontane terre orientali o le meraviglie dell’Egitto.
Le fotografie che questi fotografi portarono in patriastupirono l’opinione pubblicache ancorapiù si convinse delle miracolose potenzialità della fotografia: questa convinzione si sviluppò in una corrente di pensiero che è viva ancora ai giorni nostri e che vorrebbe la fotografia unicamente come documento della realtà. Della nostra vita.
Tutti gli studi di criticaormai insistono solo su questo: esempio paradigmatico è la critica americana Susan Sontag, che fa di questo pensiero le sue basi.
Anche la fotografia cosiddetta artistica e quella non fatta sotto precise committenze viene analizzata come sottoposta a questo canone e grandi fotografi sono analizzati unicamente come documentaristi.
Questo concetto conduce la Sontag a delle considerazioni sociologiche che non ritengo possano essere valide per qual- siasi tipo di fotografia: ecco ad esempio cosa scrive nel suo saggio Sullafotografia: «Ogni fotografia è memento mori. Fare una fotografia significa partecipare alla mortalità, alla vulne- rabilità ed alla mutabilità di un’altra cosa o persona» e ancora «guardare una fotografia significa per prima cosa pensare: quanto più giovane ero (o era) allora. Lafotografiaè l’inventario della mortalità. Basta un movimento del dito per conferire ad un momento un’ironiapostuma. Le fotografie mostrano persone che sono lì ad un’età specifica della loro vita». Oppure afferma che la fotografia è dare una prevalenza, un’importanza a qual- che cosa rispetto ad un’altra.
Tutto ciò è vero, assolutamente vero, ma, attenzione, solo per un tipo di fotografia(che è poi il più diffuso atutti i livelli): quello di una fotografia fatta per stupirsi nella sua contemplazione e, soprattutto, per stupire gli altri; quello di una fotografia bella, piacevole a vedersi, ma tutto ciò in modo passivo e non attivo perché bellae piacevole non saràlafotografiain sé persé, ma l’oggetto fotografato (concetto questo ben accennato anche da GiuseppeTurroni nel suo saggio Guidaallacriticafotografica).
Il normale e tranquillo fotoamatore fotografa non tanto per esprimere sue le sue vere pulsioni interiori, ma quanto per avere una testimonianza decisiva e sicura della sua visione di un dato fatto o di una certa cosa. E così passa in dieci minuti dal fotografare tramonti rosso fuoco al fotografare vecchiette con “tante belle rughe”: tutte cose che non sono legate se non dalla volontà di stupirsi e di stupire del fotografo.
Esiste però un’altra fotografia, molto diversa da quella ana- lizzatadallaSontag.Anzi completamente opposta. Èlafotografia che possiamo veramente dire aver inventato il grandissimo Alfred Stieglitz, il fotografo americano vissuto nei primi del No- vecento. Egli creò il concetto degli “equivalents” che non solo appunto portò ad unafotografiaoriginale maanche ad un nuo-
vo modo totale di concepire e fare fotografia. Il concetto degli “equivalents” è semplice: quando Stieglitz, ad esempio, foto- grafava delle nuvole, quelle nuvole per lui non erano il punto di chiusuradellasuaindagine fotograficamaquello di partenza, dato che esse rappresentavano un qualche cosa di diverso, astratto, su un altro piano.
Lafotografiacosì diventò veraespressione, verapotenzialità, attiva e creativa, vero strumento di indagine, possiamo anche dire, filosofica. Stieglitz infatti, ad esempio, disse: «Sono nato ad Hoboken. Sono americano. La fotografia è la mia passione. La ricerca della verità la mia ossessione».
Il Nostro in questo si avvicinamolto anche allapitturae infatti nella sua galleria, la 291 [a NewYorkCity], introduce le avan- guardie pittoriche del suo tempo.
La fotografia di Stieglitz è quella contro la quale si getta la Sontag laquale, sempre nel suosaggioSullafotografia, parlando diWalkerEvans, scrive: «Evans volevache le sue fotografie fos- serocolte, autorevoli e trascendenti. Mapoiché l’universomorale degli anni Trenta non è più il nostro, questi aggettivi oggi sono quasi incredibili. Nessuno riesce ad immaginare come potrebbe la fotografia essere autorevole. Nessuno chiede più che essa sia colta. Nessuno capisce più come una cosa qualunque, e tanto meno una fotografia, possa essere trascendente».
Si vengono quindi proprio a creare due tipi distinti di foto- grafia: una, diciamo così, artistica e l’altra documentaristica.
Questadivisione però spesso non si fain base aprecisi sche- mi, mentre quello che vorrei io fare è proprio dare degli schemi quasi scientifici, per differenziare in modo netto i due settori. Perrendere ciò più snello chiamiamo laprimafotografiaartistica A, mentre la seconda, quella documentaristica, B.
Come divisione sostanziale cominciamo adire che laAè l’e- spressione puradei sentimenti e delle passioni umane, mentre la B è documento di situazioni. Se qualcuno mi dicesse che anche nella B si possono intravedere i sentimenti dell’autore delle fotografie, io risponderei a queste obiezioni osservando che tali sentimenti sono sì scopribili e avvertibili ma solo di ri- flesso a causa della maniera, della tecnica in cui il fotografo ha fotografato e quindi interpretato una data situazione, ma non è genuina espressione, è critica!
Procedendo, diremo che la B è uccisione dell’oggetto foto- grafato (come pure sostiene il semiologo francese Roland Barthes) perché esso una volta fotografato e analizzato da chi lo guarda si consuma totalmente, la sua funzione si esaurisce.
NellaA invece l’oggetto è il punto di partenza e quindi essa è vivificazione.
Come conseguenza di queste considerazioni, diciamo anche che laAcoglie il momentoin cui l’oggettodiventasoggettomen- tre la B coglie il momento in cui il soggetto diventa l’oggetto.
Inoltre possiamo anche affermare che la A procura delle emozioni, mentre laB delle nozioni; inoltre che laArappresenta situazioni che sono totalmente irriconoscibili e soggettive poiché in questo tipo di fotografia si fotografa non per mostrare agli
altri e a se stessi un qualche cosa di nuovo o vissuto, ma per esprimere dei sentimenti personali che devono soddisfare uni- camente l’autore. Al contrario la B rappresenta situazioni che necessariamente devono essere riconoscibili ed oggettive.
Un’altra considerazione importante è che laAnon presenta e non deve presentare una situazione così com’è ma stuzzica, allude per innescare nel ricevente un PERSONALISSIMO atto di EMOZIONE. Invece la B non stuzzica assolutamente ma strappa delle decisioni, pone di fronte a dei fatti ben precisi che ci dispongono in altrettanto precise convinzioni.
Su questo punto ad esempio Fulvio Roiterdice «Lafotografia non deve alludere, non deve suggerire, deve mostrare con chiarezza».
Se ci spostiamo orasu di un piano di analisi linguistica, anche in questo caso ci troviamo di fronte a differenze sostanziali tra i due tipi di fare fotografia. Innanzitutto diciamo che la B è legata afattori extrafotografici (linguaggio,cultura,ecc)cheneinfluenzano profondamentelalettura,mentrelaAcontienetutteleunitàmorfologiche.Si deducecosì chelaAèun unicum,con un suocodice particolare, che è la fotografia stessa, mentre nella B tutte le fo- tografie di unostessocielosonolegate ad un particolare codice. Da qui notiamo quindi una cosa molto importante: ovverossia che la A è completamente universale mentre la B è universale solosul pianoprimario.NellaAl’unicacosadi cui bisognaessere aconoscenzavisivaèciòcheèrappresentatonel pianoprimario (ad esempio un uomo che è sempre vissuto in unacavernanon si potràmai commuovere di fronte ad unanuvola, cosache non ha mai visto: in questo caso subentra la fotografia documento).
Deduciamo dunque che la A è mezzo di comunicazione, mentre la B è sistema di comunicazione e quindi linguaggio (vedi distinzioni del Mounin). E ancora nellaAil piano primario e quello secondario coincidono, nella B coesistono.
Abbiamo visto quindi come si diversificano i due tipi di foto- grafia. Distinguerli non è semplice, datoche non è dettoche una fotografiaappartengaesattamente ad un gruppooall’altroe se- condo me è sufficientemente inutile analizzarlo per porre una data fotografia in una particolare fascia, sia pure intermedia.
Ad ogni modo è assolutamente indispensabile per dare un giudizio di questo genere riguardo ad un autore esaminare non una sola fotografia ma molte che se appartenenti a B saranno legate da un unico codice di lettura, mentre se di A saranno appunto accumunate da un’ assenza di codice.
Dare ora un giudizio di valore sui due tipi di fare e intendere fotografia presi in considerazione forse non ha molto senso, ed è certamente sbagliato affermare categoricamente che un dato tipo di fotografia sia migliore o peggiore dell’altro.
Non mi asterrò però dal citare un piccolo brano tratto dallo Zibaldonedi Leopardi: «Il presente, qual che egli sia, non può essere poetico, e il poetico, in uno o nell’altro modo si trova sempre consistere nel lontano, nell’indefinito, nel vago». Tema scritto da Settimio Benedusi, a diciassette anni, al Liceo Classico
Ci vogliono certezze nella vita
Per leggere di fotografia, a volte serve una certa inclinazione. Fu unafaticacciadavvero tenere inclinato con l’angolaturagiu- sta rispetto alla luce quel numero di FOTOgraphiadell’aprile 2011. Che quel Franti matricolato di Maurizio Rebuzzini volle stampare tutto cu carta opaca nera, e fin qui passi, ma con in- chiostro serigrafico nero lucido, e qui le cose si facevano com- plicate e perfide.Apensarvi bene era una sottilissima sapien- tissima citazione fotologica: erano, le pagine di quel numero della rivista, tutte un po’ dei dagherrotipi anomali. C’era ovvia- mente un motivo spiegato (nell’unico testo in bianco - bianco e nero, ci risiamo con le allusioni) dall’Editoriale: nero essendo l’unico colore adeguato, scriveva il direttore, a un «mondo ita- liano dellafotografiadiviso e scomposto in orticelli senzascam- bi, né punti di contatto che servano a tutti», in cui «si è persa la vivacità di incontro e di dibattito di qualche stagione fa».
No, Maurizio, non si è del tutto persa. Credo che il numero della rivista che i tuoi lettori hanno ora perle mani lo dimostri. C’è una comunità fotografica che, quando scorda le piccole ri- valità, qualche dissenso, un paio di bisticci, insommalafisiologia tollerabile di un ambiente che non sguazza nella prosperità, dove bisogna un po’ tutti farquel che si può, arrangiarsi, muo- versi, be’ dicevo c’è una comunità che si parla, si incontra, e quando lo fa in lodo rilassato riesce ad arricchire tutti e cia- scuno. FOTOgraphiaè stata ospite del mio blog Fotocraziae viceversa: si può fare. Perché nessuno sa tutto di tutto, e la ri- vista che fai, assieme a Filippo adesso, e assieme a un po’ di amici che ormai conosco anche quando non li conosco, da un quarto di secolo me lo dimostra ogni mese. C’è sempre qual- cosa di insospettabile e inatteso, dentro il cellophane. Perme, in particolare, c’è il piacere di riconoscere un approccio che è il mio stesso allafotografiacome campo e sfondo di gran parte delle relazioni umane, culturali, sociali del secolo dell’immagine riprodotta. Come storia di un medium e non galleria di artisti. Come metafora del presente, e non sua riproduzione. Come divertimento e non come noia. Perché la fotografia perquesto è statamessaal mondo, peroliare le relazioni umane, percon- dividere non solo le parole ma anche gli sguardi.
Dunque, di FOTOgraphia mi piace la sua indulgenza dol- cemente logorroica al parlare in lungo, la sua curiosità per il pop e il trash, la sua trasversalità di linguaggi, la sua meti- colosità tecnica perfino irritante, la sua memoria da elefante. Mi piace anche la sua carta lucida, perché bisogna essere ludici in questi tempi difficili, e quel numero ruvido per fortuna restò solo una protesta, un piccolo sciopero intellettuale. Mi piace la testata ambiguamente oscillante fra la fe la ph, fra la Fotoe la Graphia, mi piace che alluda al graffito e al graffio. Mi piace la sensazione di una rivista fatta in casa, dove ritrovi i padroni di casa, sempre allo stesso posto: ci vogliono cer- tezze nella vita. Di tutto quello che non mi piace parliamo un’altra volta, ma è poca cosa. E aspetto quel benedetto libro sulla fotografia nei francobolli. Michele Smargiassi