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Elogio della carta per i 25 di FOTOgraphia

Elogio della carta per i Venticinque di FOTOgraphia

Il rapporto tra la fotografia e la carta nasce quel giorno in cui William HenryFoxTalbotaveva sensibilizzato un foglio di carta passandolo in una soluzione di sale e, dopo essiccazione, in una soluzione di nitrato d’argento. Il miscuglio si trasforma in cloruro d’argento, sale che si annerisce allaluce del sole come un piatto o una forchetta e che, da allora, non ha smesso di impressionarsi. Era l’ottobre del 1833; Fox Talbot, trentatré anni, laureato e con un diploma di MasterofArts, appena sposato con Constance, aveva scelto Como per la luna di miele. Forse, per l’occasione, aveva acquistato una camera lucida, una specie di camera obscura portatile al rovescio. L’aveva inventataWilliam HydeWollaston, come sempre perpermettere agli artisti di far presto e meglio nella lotta con la prospettiva.

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La storia è stra-nota. Dopo l’ultima litigata con la cameralucida, che non voleva saperne di aiutarlo a fare “schizzi” del panorama offerto dal lago di Como, FoxTalbotpensa a una diversasoluzione usando laveracameraobscura, magari di piccole dimensioni.Tornato nellasuatenutadi LacockAbbey, non lontano dalla romana Bath, sensibilizzato un foglio di carta, iniziò i suoi esperimenti. Quel furbacchione di Daguerre sarà stato il primo inventore ufficiale dellafotografia, maè FoxTalbot l’uomo che ha inventato il negativo, anche se di carta!

Vent’anni fa, alcuni futurologi del digitale -quelli che non sanno nemmeno bollire un uovo sodo- teorizzavano che oggi ci saremmo ritrovati in piena era paperless. Peccato che non ci sia casasenzaun rotolodi Scottex, chi non abbiaacquistatoalmeno unarismaperlapropriastampante, o che quando apri un conto in banca non ti riempiano di pagine e regolamenti in corpo 6 (perché del testo elettronico non si fidano). Tuttavia, di fronte a quelle profezie, molte anime candide piansero di gioia per la salvezzadel pianeta, mentre, unavoltaal sole, si spalmano cre- me abbronzanti da flaconi di plastica. Non sapevano che le grandi cartiere coltivano milioni di ettari ad alberi dacarta, come avviene con il grano e i carciofi che, però, non puoi riciclare. Del resto, non sapevano nemmeno che la plastica galleggia.

Da venticinque anni, FOTOgraphia la racconta e pubblica immagini con quel gusto unico e imprevedibile che Maurizio [Rebuzzini] continuaaprodurre. C’è bisogno di questo supporto perché, oggi, “fotografia” è un termine diventato generico, con- fuso; una scienza alla portata di tutti per l’immediatezza degli smartphone. Peccato che l’uso primario che se ne fa non sia fotografia. La tecnologia digitale, non è colpevole, ma a ben guardare resta una differenza tra stampa fisica, chimica o digitale, e l’immagine elettronica vista sul PC o sul tablet è rilanciataal mondo. Dellafotografia, quello che contaè lafisicità delle stampe stesse rispetto alle immagini impalpabili che, belle che siano, in realtà non possiedi se non le stampi. Lo dimostra il fiasco della digitalart, perora ancora al palo; mentre, sullafisicità, è più fortunato il pittore che può scegliere tracolori a olio o acrilici a rapida essiccazione, ma che sempre su un supporto dovrà dipingere; preoccupato, invece, lo scultore da quando scoprì l’esistenza della stampante 3D.

Lacarta, qualunque cartastampata, nasconde in sé un valore straordinario: è memorizzante. Su carta, le fotografie importanti -professionali o sentimentali- restano a mente peranni a conferma dell’esistenza della mitica memoria fotografica. La conservazione delle immagini su carta nella scatola da scarpe del bisnonno ha offerto per anni grandi scoperte, difficile dire se sarà così facile aprire i file di oggi tra cinquanta anni. L’immagine sugli smartphone è instabile, svanisce all’improvviso superatadaun’altra, più prepotente, che laconfinatrale centinaia mai selezionate. Quelle che, essendo troppe e troppo uguali, non hanno la forza dello scatto unico.

Se l’uso senzaregole dello smartphone è unamodapiù sfacciata che divertente, non è così per le fotocamere. L’uso della reflex digitale, infatti, presuppone un alto livello di utilizzo, la lettura di riviste come questa, perché bene o male, usarla è sempre un impegno analogico. Giulio Forti

Il piacere di inciampare nella carta e nella cultura

Ho scritto sempre e solo per il web. Gran parte dei materiali che consulto ogni giorno per il mio lavoro di giornalista è del tutto digitale e quando -a un evento stampa- mi pongono di fronte alla scelta tra una cartelletta ripiena di fogli e un’email con gli stessi materiali in formato digitale non ho dubbi, e opto sempre per la seconda soluzione. Ma ci sono alcuni ambiti in cui la carta rimane perme un’esperienza imprescindibile. Una sono certamente i libri: leggo già tante parole su display di tablet, smartphone e PC, durante la giornata lavorativa, che nel tempo libero e per le letture che dedico alle mie passioni non ho vogliadi posare il mio sguardo nuovamente su uno schermo, sia esso retroilluminato e e-ink, come quello degli e-bookreader. Leggo di fotografiaonline perlavoro, maleggo di fotografia perpassione con delle pagine di cartache scorrono l’unadopo l’altra sotto i miei polpastrelli.

C’è poi un altro aspetto, che forse è addiritturapiù importante perme. Unarivistacartaceaoccupauno spazio fisico all’interno della mia vita. Non può essere compressa in bit immateriali e stoccata su qualche server. Una rivista cartacea vuole il suo spazio e quando non glielo si concede se lo prende da sola, magari occupando pergiorni una mensola, un ripiano, oppure (e qui per anche per mesi o anni) un cassetto.

Ogni famiglia ha i suoi luoghi per appoggiare i giornali, ma non temo di svelare un tabù quando affermo che, se ci sono delle riviste in casa, qualcuna sicuramente sarà a portata di mano di fianco al WC in bagno. Oppure nel portariviste in sa- lotto. In ogni caso, in luoghi dove non è possibile non imbat- tercisi. Questo è l’altro grande vantaggio della carta. Spesso “non ti dà scelta”. Spesso, una rivista cartacea non mi lascia scelta anche in un altro senso: una volta che inizio a leggerla, non sono soddisfatto finché non l’ho letta tutta, didascalie e box compresi.

Permettetemi una divagazione sul tema. Uno dei problemi del web è proprio l’eccessivalibertàdi scelta. Mi capitadi pas- sare ore a cercare cosa leggere di interessante, tra link, fonti e correlati, salvo poi ritrovarmi ad avere esaurito nella fase di ricerca tutto il tempo a disposizione. Senza quindi poi leggere nulladi interessante.Avolte, demandare aqualcun altro l’onere della scelta semplifica le cose. Inoltre, l’enorme disponibilità di informazioni ci ha riempito di quella tracotanza che ci porta adire: “Posso sapere tutto senzachiedere anessuno”. Spesso, invece, lasciarsi guidare nella scelta di cosa leggere e cosa approfondire può essere molto più utile. Ho scritto un articolo, qualche tempo fa, sull’ancora attuale importanza della radio. Oggi, i servizi musicali in streaming ci permettono l’accesso a un catalogo di milioni di brani, con strumenti di correlazione e suggerimenti guidati in modo sempre più azzeccato dall’intelligenzaartificiale. Questi servizi aprono opportunitàenormi agli appassionati di musica, ma restano fondamentali quei pro- grammi che raccontano le storie dietro le canzoni e tessono quei filrougetra brani e artisti che a prima vista potrebbero sembrare lontani anni luce e non avermai avuto influenze re

ciproche o comuni. A volte, è bene riconoscere che qualcuno più esperto e appassionato di noi può regalarci conoscenze che da soli non avremmo mai scovato.

FOTOgraphiaè oggi, ai tempi del web, quella radio sulla fotografia che può sembrare più limitata rispetto ai servizi di streaming musicale, ma che a volte regala quelle chicche in grado di far crescere la nostra cultura sul tema.

Tornando agli “inciampi” sullacarta: quante volte vi è capitato di aprire un cassetto e ritrovare una vecchia rivista e riassaporare il piacere di rileggere un articolo che vi aveva colpito? Non so voi, ma io in un cassetto non ho mai trovato nessun link a una vecchia pagina web. E se anche mi è capitato per sbaglio di trovare qualche link in vecchi messaggi o email, il rischio di trovarsi davanti aunapaginavuota(Errore 404, pagina inesistente) è più che una remota possibilità. Roberto Colombo

Parole su carta e scrittura di luce

La prima volta che ho avuto la fortuna di visitare gli scantinati dove Maurizio Rebuzzini conserva, in un viale tortuoso di scaf- falature stipatissime, la sua wunderkammerfotografica e l’ho ascoltato raccontare con il suo solito eloquio, affascinante e divertito, l’origine e la descrizione di oggetti o di macchine fo- tografiche, di libri o di illustrazioni, ho percepito come unapas- sione può essere una fedele compagna di una vita.

Espertoenciclopedicodel settore?Scrittore,giornalistaecritico dal linguaggio ricco e avvincente? Direttore deciso e caparbio, convinto assertore del valore della rivista cartacea, concepita come una matrioska di pensieri colti e profondi? Ma chi è l’in- ventore di FOTOgraphia, il giornale che dal maggio del 1994 invita i suoi fedeli abbonati alle Riflessioni, le Osservazioni e i Commenti sulla Fotografia? Solo le sue parole, specchio di una personalità complessa e poliedrica, ci possono illuminare: «A parte la quantità e qualità di presenza “fotografica” nel mio spazio operativo (studio? redazione di FOTOgraphia? accumu- lazione di testimonianze eterogenee?), ciò che mi pare facciala differenza, stabilendo un passo, identificando unapersonalità, è il loro collegamento ideale e individuato. Nulla è per se stesso -come, peraltro, pure è-, ma tutto ruota attorno un’idea sovra- stante di apprezzabile vitalità. Del resto, libri e oggetti, nellospe- cifico riferiti alla Fotografia, qualsiasi cosa questa significhi per ciascuno di noi, non sono aridi punti di arrivo, ma -come tanto altro- straordinari s-puntidipartenza.Cosasi èvolutosottolineare, nel camminocomune all’internodellamateriaconvenuta(laFo- tografia)? Semplice: che le cose, come i luoghi, hannoun proprio significato, come le parole, e ognuno di noi può leggerle come se fossero (in) un libro. Pensiamo anche aun apparecchio foto- grafico, a un obiettivo, a un accessorio, a un libro, a una carte- de-visite: sono come frasi, che hanno un proprio significato».

Ed è così che ritroviamo puntuale questa inarrestabile ric- chezza di s-punti di partenza nei dieci numeri annuali di FO- TOgraphia. Scandagliato con serietà e rigore, l’universo della fotografiasi narradai suoi esordi all’attualità, senzadimenticare curiosità e note di nicchia. Dal Sessantotto all’analisi della fo- tografia sui francobolli, dall’ispirazione noirnella moda di Gian Paolo Barbieri alle immagini che hanno cambiato il mondo, o al pianeta dei grandi autori, da Ansel Adams a Martin Parr.

Imperativo di ogni numero della rivista sono “le parole come pietre” e la Fotografia con la F maiuscola. Una dichiarazione di resistenza ad oltranza in un’epoca contemporanea dove i social tendono a spazzare via discipline, regole, profondità e bellezza in nome della superficialità di un selfie. «Lontani da tutto questo, nell’impegno-giornalistico-redazionale in forma cartaceaconserviamo il senso e valore delle consecuzioni sot- totraccia: dunque, adirettaconseguenza, laqualitàè anteposta alla quantità» ha scritto Maurizio Rebuzzini, in uno dei suoi acuti Editoriali. Unaqualitàdi parole e di immagini come quelle di FOTOgraphiache inducono a riflettere, ad affinare i pensieri e a costruire tasselli di cultura e di vita. Mariateresa Cerretelli

Sinestesia, spalanca le tue braccia

La passione è intatta, e se possibile cresce ancora col passare del tempo. Sono fotografo professionista da decenni e mi sento ancora il fotoamatore degli inizi quanto a curiosità, en- tusiasmo e dubbi.

Già, i dubbi che cercano risposte, e più le cercano meno le trovano. Tra le poche cose che credo di aver compreso della fotografia sono i suoi limiti più che le sue possibilità, e forse proprio i suoi limiti coincidono con la sua natura. Primo fra tutti la sua intrinseca difficoltà, per non dire impossibilità, ad avvi- cinarsi alla sinestesia, quel magnifico e miracoloso attivarsi si- multaneo di tutti i nostri sensi.

La fotografia, checché se ne dica, attiva direttamente, fisio- logicamente, solo uno di essi: la vista. Gli altri, in rari casi, al massimo possono essere evocati, richiamati alla mente come fa la madeleinenella Recherchedi Proust.

Resta il fatto che una fotografia di fragole, per quanto invi- tante, se mangiata saprà -a seconda del supporto- di carta, d’inchiostro, di fissaggio, o di plastica se lecchiamo il monitor che la visualizza. In ogni caso, mai avrà il sapore delle fragole: ben poca realtà in un’immagine dal reale.

Ma vuoi mettere quante possibilità in più ha, rispetto al fo- tografo, un bravo chef nel suo ristorante?

Appenaentrato, ancoraal guardaroba, un musicaavvolgente sebbene abasso volume mi accoglie mettendo al lavoro l’udito, accedo in salae l’olfatto iniziaapercepire profumi che tentadi riconoscere; finalmente seduto, appoggio una mano sulla to- vaglia e tattilmente sento la trama finissima di una tovaglia in setapregiata. Oracon un pretesto potrei andarmene e avrei già avuto un bel momento a costo zero. Invece resto, ordino dal menu e poco dopo, finalmente, ecco il primo piatto: ma è bel- lissimo! Sappiamo quanto un grande chef curi anche l’impiat- tamento, insommalapresentazione, e i miei occhi non vedono cibo, vedono quasi un’opera d’arte. Solo poi, finalmente, a co- ronamento di un percorso, oserei dire di un preciso “editing”, il palatoapprovae tutti i mie cinque sensi non hannobanalmente cenato, bensì hanno avuto un’esperienza corale, sinestetica.

Se torniamo allanostrafotografiadi fragole -ahinoi!- su que- sto piano siamo decisamente perdenti.

E allora, restando dafotografo sul terreno dellamiaamatafo- tografia,sapeteperché-etàanagraficaenostalgieaparte- penso proprio che la carta sia e sarà insostituibile? Perché considero un librofotografico,eancheunabuonarivistacomeFOTOgraphia, la cosa che più avvicina appunto la fotografia a quel ristorante.

Sfogliarli, oltre e parallelamente a vedere le fotografie pub- blicate, fa percepire se quella carta è ruvida o patinata, si può ascoltare -in una sorta di ritualità sacra- il fruscìo delle pagine, e alla narici saliranno odori tanto cari ai bibliofili, da quello del- l’inchiostro a quello della colla, se presente nella rilegatura.

Molti fotografi che conosco (io tra loro) preferirebbero rea- lizzare un buon libro piuttosto che dieci mostre, per quanto prestigiose. O pubblicare un loro portfolio su una rivista ben stampata piuttosto che dieci su altrettanti siti online.

Se è di carta, se si sfoglia, se si può conservare, se si può toccare e perfino annusare, significache è un oggetto con tutta la sua fisicità e -quando curato con amore e perizia- con tutta la sua fascinazione. E quell’oggetto da sfogliare, lungi dall’essere anacronistico o addirittura defunto come alcuni vogliono sostenere, ha oggi il compito epocale -sì, ho scritto proprio epocale, bum!- di essere il grande ponte da attraversare per raggiungere la piena consapevolezza di cosa può essere e cosa può dare la fotografia oltre -non dico al posto, non sono un talebano- all’utilizzo oggi più diffuso, ma inconsapevole, in termini di conversazione, in termini “social” per capirci.

I social e la rete sono un’enorme opportunità per la sopravvivenza della grande fotografia -contrariamente a quanto si potrebbe pensare- non perché la veicolano (cosa che fanno scarsamente) maperun fatto statistico legato ai grandi numeri in gioco: se anche un solo utilizzatore dellafotografia“dasocial” stile pizzacongliamicismartphonevvai, se anche uno solo su mille -dicevo- s’incuriosisce verso la fotografia come possibile linguaggio per esprimersi e raccontare in modo più organico e personale, alloraavremo garantito un lungo e prospero futuro di grandi autori come non mai (certo, ci sarebbe da parlare di mercati, ma queste righe sono un inno, dunque glissiamo...).

E quando anche solo uno su mille farà “il salto”, dopo il suo periodo più o meno lungo a governare con un mouse o con un dito flussi sincopati d’immagini e tsunami di visioni in una sorta d’allucinazione permanente, allora forse cercherà, allora forse capirà, allora forse troverà un oggetto del passato, del presente e del futuro fatto di carta, scoprendo per la prima volta e persempre che quell’oggetto sa condurre chi lo sfoglia a compiere un’esperienza, così come un’esperienza è stata necessariamente quella del fotografo che ha realizzato le fotografie in esso presentate.

Un libro e una rivista possono dunque essere davvero il miglior ristorante (voce del verbo ristorare) dove gustare il sapore della fotografia. Leonello Bertolucci

(Centro Commerciale Le Vele) via Nausica, 88060 Montepaone Lido CZ • 0967 578608 w ww.cinesudmegasgtore.com • info@cinesudmegasgtore.com

un negozio di terroni * per terroni **

In un paese ed epoca in cui la forma apparente ha sostituito il contenuto, perché non agire per sovvertire questa tragica condizione, per tornare alla parola che sia se stessa, e sia densa di significati propri? Perché non considerare che il rispetto è valore concreto, da frequentare e perseguire? Perché non agire nella convinzione che etica e morale siano ancora qualità e doti, insieme con garbo, eleganza e grazia? Una volta ancora, una volta di più, non certo per l’ultima volta: vogliamoparlarne?

* Terróne (sostantivo maschile /terróna, al femminile). Derivazione da “terra”; probabilmente, tratto da denominazioni di zone meridionali, quali “Terra di Lavoro” (in Campania), “Terra di Bari” e “Terra d’Otranto” (in Puglia). Appellativo dato, con intonazione spregiativa (talvolta anche scherzosa), dagli abitanti dell’Italia settentrionale a quelli dell’Italia meridionale [Enciclopedia Treccani].

Terrone è un termine della lingua italiana, utilizzato in tono dispregiativo (talvolta in tono scherzoso, a seconda del contesto) per designare un abitante dell'Italia meridionale. Ha diverse varianti piuttosto diffuse e riconoscibili nelle lingue locali: terún, terù, teron, tarùn, tarù (lombardo); terún (ligure); terù, terún, tarún (piemontese); tarùn, taroch, terón (veneto, friulano); teròch, tarón (emiliano-romagnolo); terón, terró (marchigiano); teróne, taròne in altri idiomi dell'Italia settentrionale, mentre rimane terrone in toscano e romanesco [Wikipedia]. ** L'espressione politicamentecorretto(traduzione letterale dell'inglese politicallycorrect) designa una linea di opinione e un atteggiamento sociale di attenzione al rispetto generale, soprattutto nel rifuggire l'offesa verso determinate categorie di persone. Qualsiasi idea o condotta in deroga più o meno aperta a tale indirizzo appare, quindi, per contro, politicamentescorretta(politicallyincorrect). L'opinione, comunque espressa, che voglia aspirare alla correttezza politica dovrà perciò apparire chiaramente libera, nella forma e nella sostanza, da ogni tipo di pregiudizio razziale, etnico, religioso, di genere, di età, di orientamento sessuale, o relativo a disabilità fisiche o psichiche della persona [Wikipedia].

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