FOTOgraphia 249-250 marzo aprile 2019

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Elogio della carta per i Venticinque di FOTOgraphia

Il rapporto tra la fotografia e la carta nasce quel giorno in cui William Henry Fox Talbot aveva sensibilizzato un foglio di carta passandolo in una soluzione di sale e, dopo essiccazione, in una soluzione di nitrato d’argento. Il miscuglio si trasforma in cloruro d’argento, sale che si annerisce alla luce del sole come un piatto o una forchetta e che, da allora, non ha smesso di impressionarsi. Era l’ottobre del 1833; Fox Talbot, trentatré anni, laureato e con un diploma di Master of Arts, appena sposato con Constance, aveva scelto Como per la luna di miele. Forse, per l’occasione, aveva acquistato una camera lucida, una specie di camera obscura portatile al rovescio. L’aveva inventata William Hyde Wollaston, come sempre per permettere agli artisti di far presto e meglio nella lotta con la prospettiva. La storia è stra-nota. Dopo l’ultima litigata con la camera lucida, che non voleva saperne di aiutarlo a fare “schizzi” del panorama offerto dal lago di Como, Fox Talbot pensa a una diversa soluzione usando la vera camera obscura, magari di piccole dimensioni. Tornato nella sua tenuta di Lacock Abbey, non lontano dalla romana Bath, sensibilizzato un foglio di carta, iniziò i suoi esperimenti. Quel furbacchione di Daguerre sarà stato il primo inventore ufficiale della fotografia, ma è Fox Talbot l’uomo che ha inventato il negativo, anche se di carta! Vent’anni fa, alcuni futurologi del digitale -quelli che non sanno nemmeno bollire un uovo sodo- teorizzavano che oggi ci saremmo ritrovati in piena era paperless. Peccato che non ci sia casa senza un rotolo di Scottex, chi non abbia acquistato almeno una risma per la propria stampante, o che quando apri un conto in banca non ti riempiano di pagine e regolamenti in corpo 6 (perché del testo elettronico non si fidano). Tuttavia, di fronte a quelle profezie, molte anime candide piansero di gioia per la salvezza del pianeta, mentre, una volta al sole, si spalmano creme abbronzanti da flaconi di plastica. Non sapevano che le grandi cartiere coltivano milioni di ettari ad alberi da carta, come avviene con il grano e i carciofi che, però, non puoi riciclare. Del resto, non sapevano nemmeno che la plastica galleggia. Da venticinque anni, FOTOgraphia la racconta e pubblica immagini con quel gusto unico e imprevedibile che Maurizio [Rebuzzini] continua a produrre. C’è bisogno di questo supporto perché, oggi, “fotografia” è un termine diventato generico, confuso; una scienza alla portata di tutti per l’immediatezza degli smartphone. Peccato che l’uso primario che se ne fa non sia fotografia. La tecnologia digitale, non è colpevole, ma a ben guardare resta una differenza tra stampa fisica, chimica o digitale, e l’immagine elettronica vista sul PC o sul tablet è rilanciata al mondo. Della fotografia, quello che conta è la fisicità delle stampe stesse rispetto alle immagini impalpabili che, belle che siano, in realtà non possiedi se non le stampi. Lo dimostra il fiasco della digital art, per ora ancora al palo; mentre, sulla fisicità, è più fortunato il pittore che può scegliere tra colori a olio o acrilici a rapida essiccazione, ma che sempre su un supporto dovrà dipingere; preoccupato, invece, lo scultore da quando scoprì l’esistenza della stampante 3D.

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