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Non leggere questo trafiletto

Perché una rivista cartacea, invece di una rivista digitalacea? a) Perché la condivisione è bella, ma noi esseri umani siamo animali strani e, oltre a condividere, ci piace possedere. Sarebbe disonesto non ammetterlo: un po’, piace l’idea di avere qualcosa che si possiede unicamente, e non solo che si veda. E la rivista di carta può essere posseduta, se la tieni per te, o regalata, o prestata, ma sempre con il sottile piacere di trasferire il possesso materiale. b) Perché l’immateriale è concettualmente eterno, ma noi esseri umani siamo legati alla sfera dell’impermanenza, e sotto sotto ci indispone questa tracotanza del file che si pro- paga senza modificarsi. La rivista di carta è tenera come un essere vivente, e non presupponente come un file. Si stropiccia, si strappa, ingiallisce. Condivide con noi i segni del tempo, e questo la rende enormemente più degna di rispetto, di stima e di gratitudine. c) Perché noi esseri umani siamo dotati di (almeno) cinque sensi, e lacartastampatabatte il digitale cinque auno, su questo terreno. La carta la puoi annusare, sentendo il profumo della stampa fresca o l’odore grato della rivista antica; la puoi toccare, liscia, ruvida, grezza o setosa; ne puoi udire il fruscio, girando le pagine; se sei un po’ buzzurro ma godereccio, puoi sentirne anche il sapore, quando lecchi il dito per umettarlo e girare le pagine. Altro che una semplice occhiata da peepshow, a cui il digitale ti limita... d) Perché la rivista, conservata con amore, arreda.

Decora gli scaffali, adorna i tavolini, accompagna le sedute in bagno, si appoggia sulla faccia quando ci addormentiamo a letto leggendo, tiene occupato il posto quando ci alziamo per un attimo.

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Un file non sa nemmeno da che parte cominciare, per fare queste cose. e) Perché la rivista si consulta a “tecnologia zero”.

Apro gli occhi, e la vedo. Senza bisogno di un media.

Niente pile scariche, niente tempo di avvio del sistema operativo, niente schermi rotti, niente files non riconosciuti, niente costo aggiuntivo per un apparecchio che renda visibile quel nullainconsistente che è il file. Larivistacartaceaè lì, laguardo e si palesa, in tutta la sua tangibile realtà. f) Perché avere tutti i numeri di una rivista riempie il cuore, e ha anche un valore riconosciuto come merce di scambio.

Tutti i numeri di una rivista sono una collezione.

Tutti i file di un lavoro sono solo un back-up. g) Perché se sei arrivato fino in fondo -fino al punto g)- è perché apprezzi la lettura, e non occorre che si dica altro: già lo sai, perché la carta ha un’anima, mentre il digitale fa solo finta di averla. Il digitale è come l’intelligenza artificiale. Roberto Tomesani

TAUVisualsipresenta Ciao! Probabilmenteciconoscigià, macipresentiamo ugualmente: l’ AssociazioneNazionaleFotografiProfessionistiTAUVisual èun’associazionedifotografiprofessionistichelavoraperoffrirestrumenticoncretidilavoro. L’obiettivo principaledell’ Associazione consistenell’aiutareilfotografo nellesuenecessitàprofessionalidiognigiorno, con consulenza, informazioni, incontri, testi, documentazioneeattivitàgratuite, perrisolvereiproblemiimmediatidellaprofessione. Nelmedio termine, poi, lavoriamo assiemeperelevarelacultura elapreparazionespecificadituttiglioperatoridelsettore. Cisforziamo diaffrontareiproblemiin chiavepositiva: più checontrastaregliaspettinegativi, lavoriamo perfavorireglielementipositivi dellavitaprofessionaleditutti.

DiventareSocioTAUVisual Peravereun’ideadelleattivitàdell’ Associazione , lacosamiglioresarebbechetu chiedessiaqualchecollegagiàSocio, in modo daavereun parerediretto, enon una“pubblicità”. Puoiassociartisolo seesercitil’attivitàfotograficaconunacorrettaedefinitaconfigurazionefiscale. Seseiun professionista, puoipresentaredomandapartendo da: www.fotografi.org/ammissione .

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Menzionedelnomedell’autore Esempidicontrattistandard Proteggibilitàdelleidee Tariffeprofessionali Pubblicabilitàdelritratto Compendio documentazione sullapostproduzionefotografica

Sulla fotografia di carta o sulla carta della fotografia!

«Tutticoloro che sono incapacidiimparare sisono messiadinsegnare» OscarWilde

Una fotografia che non sia pericolosa non merita affatto di essere chiamata Fotografia. La passione della conoscenza spinge talora i fotografi nelle consorterie, senza sapere mai che la verità non si trova nella Bibbia, ma nella strada: un’immagine realizzata fuori dal mercimonio contiene il volto di mille padri e restituisce la realtà che la percorre, la abita e l’ossessiona... e si oppone all’ignoranza, al silenzio e alla bea- titudine della ragione imposta. La fotografia è propedeutica; il sistema delle immagini si accontenta del tragitto spettacolare che l’ingoia. «Tutto è così adulterato, oggigiorno, che neppure la dinamite si può comprare alla stato puro» (Oscar Wilde)... figurati la Fotografia. Ecco, allora, l’importanza della fotografia di carta o della carta della fotografia, cioè un dispositivo -come la rivista FOTOgraphia, edita e diretta da Maurizio Re- buzzini- che interagisce con i linguaggi fotografici e, senza temere contrasti o censure, apre strade, fa riflettere, riporta sovente a un modo di vedere e di vivere attraverso l’imma- ginario fotografico. Perché dove la Fotografia regna, la bellezza si confonde col giusto, il resto è trucco.

La critica della società spettacolare che attraversa le inquie- tudini, maanche i saperi di FOTOgraphia, non si limitaarilevare ciò che esiste... entra nel campo della Storia (non solo) della Fotografia e mostra di che stoffa sono fatti i dispositivi del do- minio spettacolare: «Lo spettacolo è il discorso ininterrotto che l’ordine tiene su se stesso, il suo monologo elogiativo. È l’au- toritratto del potere all’epoca della gestione totalitaria delle condizioni di esistenza» (Guy Debord: Lasocietàdellospetta- colo; Vallecchi, 1979). La fotografia mercatale è appunto parte del gioco rovesciato degli affari. Uno dei suoi caratteri principali, il consenso spettacolare, respinge ogni verità che si presenti, organizza il vero come momento del falso e autentica ogni valore che sostituisce l’arte dovunque. L’immagine diventalacosa, la copia l’originale, la rappresentazione la realtà (come dicevaLudwig Feuerbach); l’imposturagenerale dello spettacolo autorizzaogni diffrazione, devianzaed eversione estetica... basta che non si faccia sul serio.

In FOTOgraphia, la critica del linguaggio si trascolora in linguaggio della critica del vissuto autentico; non si tratta di mettere la fotografia al servizio della verità, ma piuttosto mettere la verità al servizio della fotografia. La fotografia libera la testa o la comprime nell’essiccatoio del successo: non si tratta di mettersi al servizio di coloro che fanno la storia, ma dalla parte di chi la subisce, Albert Camus diceva da qualche parte. L’innocenza della bellezza non teme confronti: nutrire una diversa sensibilità della fotografia (scritta o fatta) vuol dire fare una

scelta radicale antiautoritaria, rifiutare la politica dei partiti a favore dell’eticacreativae affrancarsi allaconcezione libertaria che si oppone all’insensatezza del mondo mercificato. E sono molti gli strali di disobbedienza civile che fuoriescono dall’in- terno di FOTOgraphia: si tratta di seminare... altri migliori di noi sapranno certo raccogliere.

FOTOgraphiaè una cartografia d’immagini e scritti consa- crata a dire, ridire, affinare, precisare, correggere, aggiungere, affermare e riaffermare l’onestà intellettuale che la sottende. Quando è vissuta anzitutto nel sangue dei giorni, la fotografia acquista un’eccezionale carica di vitalità! Chi attraversa le pa- gine di questa rivista s’accorge ben presto che la Fotografia è anche altro da ciò che è stato storicizzato; spesso, ci sono articoli che invitano a sognare un immaginario a misura di tutti i possibili, e dove solo il rispetto, la condivisione e la fraternità con gli oppressi, gli offesi e gli sfruttati, hanno diritto di citta- dinanza. Non è unarivistafacile, FOTOgraphia: si deve leggere più che vedere... e si batte contro l’infelice ignoranza che pro- lunga i mattatoi dell’esistenza.

Si può dire, credo, che FOTOgraphia esprima una filosofia dei desideri, delle passioni, dello specchio-memoriadellascrit- tura fotografica; più di ogni cosa, è un’officina creativa che -in qualche modo- restituisce al lettore l’odore del mondo. L’e- stetica del pensiero che lega le diversità scritturali degli autori divelte luoghi comuni, banalitàmondane e virtù abuon mercato. Nei prologhi misterici del direttore, come sotto la pelle degli scritti, fuoriesce una contro-morale priva di sacro. Qui, la fo- tografia è il corpo dell’Uomo e la misura di tutte le cose. Si entra nel ventre della fotografia, appunto, fuori dall’ascetismo mercatale, e, attraverso la trasvalutazione di i valori, Friedrich Nietzsche diceva, permette di trovare la strada che porta alla liberazione della vita quotidiana. Non è un’utopia da poco, tut- tavia: paginadopo pagina, paroladopo parola, immagine dopo immagine, FOTOgraphiaesprime una seminagione della ma- teria fotografica e si libera di tutti dogmi che asserviscono al pensiero dominante della fotografia, ma anche della politica, delle chiese e, soprattutto, dell’industria culturale.

Per tutto ciò che riguarda l’atto del fotografare, sul quale -in FOTOgraphia- sono stati disseminati fulgidi esempi, disvelate congetture e liquidati simulacri ritenuti ormai intoccabili dastorici, critici e fotografi, occorre credere aquantodicevanole monache di Świdnica(Schweidnitz) sullavisione libertariadell’esistenza: «Tutto ciò che l’occhio vede e desidera, la mano l’ottenga! Se un ostacolo si paradavanti alui -al begardo, che lo sopprimaa buon diritto.Poiché,seun Uomotienein testaciòchelocontraria, lasualibertànon è intaccata» (riportaRaoul Vaneigem, nel suo studio sul Movimento del libero spirito: Ilmovimentodellibero spirito. Indicazionigeneralietestimonianzesugliaffioramenti dellavitaallasuperficiedelMedioevo, delRinascimentoein- cidentalmentedellaNostraEpoca; Nautilus, 1995).

Lacreativitàfotograficaè il luogodellamagia, del sognoe del- l’indignazione della realizzazione estetica; nella rivista, a volte

con toni anche accesi, si autorizza ogni forma di bellezza non necessariamente legataallamodernità, si dice anche che lafo- tografianon dovrebbe mai cercare di rendersi popolare, semmai èil lettoreoil fotografochedovrebbecercaredi rendersi creativo. In questosenso, chi scrive di fotografiae chi lafabbrica, dovreb- berocollocarsi fuori dagli imperativi convenzionali...ancheperché l’apparato dell’utilitaristico è sospetto di lesa umanità.

Vadetto. Pergli antichi greci, labellezzaè intimamente legata con la giustizia; sono due diverse facce della stessa qualità: la virtù e l’eccellenza. La bellezza è uno stile, la giustizia è il flo- rilegio della sua poetica clandestina. Qualsiasi imbecille può fabbricare una “buona opera”, ma solo un poeta senza guin- zagli può comprendere e cogliere l’immagine della bellezza e della giustizia come testimonianza eversiva del proprio tempo: di nessuna chiesa è l’arte liberata da tutte le strutture dello spettacolo mercantile. Ci viene da ridere e sobbalzare quando leggiamo o ascoltiamo (assaliti da conati di vomito) certi foto- grafi affermare “La mia arte fotografica” (!?). Davanti a un tri- bunale degli angeli, sarebbero condannati per insignificanza universale e allontanati dal Cielo, come dalla volgarità, senza remissione dei peccati! W. Eugene Smith, Henri CartierBresson e Diane Arbus si sarebbero lavati la lingua col sapone, prima di dispensare tanta stupidità! In ogni millantatore coesistono l’idolatra e il portinaio in cerca della deificazione, foss’anche quelladell’entusiastainchiodato sullacroce del riconoscimento mercatale. Sputeremo sulle vostre tombe!

Una rivista come FOTOgraphianon teme di pubblicare affermazioni anche un po’ anomale sul fare-fotografia, come so- pra espresse, e di entrare nelle pieghe più celate della gram- maticafotograficache percorre lasualungavita; non troviamo, infatti, itinerari dell’odio, semmai sentieri in utopia che si di- panano nel coraggio e fuori dalla paura dell’incomprensione. Forse, come di raro capita di leggere in una rivista, ciò che emerge con eleganza ma anche con forza, è la cognizione del dolore gaddiano [Carlo Emilio Gadda: Lacognizionedeldolore; Einaudi, 1963], che investe il privato nel pubblico e inchioda le apparenze e le illusioni ai ceppi del bene comune. La Foto- grafia è finita, quando si smette di generare eresie.

La menzogna della fotografia non c’entra, c’entra e molto l’amore per la Fotografia... nelle pagine di FOTOgraphia. Non ci si può dedicare allafotografia, senzaavere il senso del ridicolo piuttosto sviluppato: fotografia e senso del ridicolo sono in- compatibili. I fotografi più interessanti che abbiamo mai incon- trato non sapevano né leggere né scrivere, e nemmeno ave- vano la macchina fotografica: eppure, avevano del genio a ri- cordare (proprio come una fotografia) la fucilazione delle idee e gli amori che avevano perduto perla fame e sotto le bombe: i soli che ci hanno trasmesso il sentimento dell’irreparabile di Charles Baudelaire, la passione pergli “apache” di Louis-Fer- dinand Céline e la saggezza degli asini di Luis Jiménez... tutti allievi del grande liberatore Epicuro, che hanno fatto della pro- pria vita un’opera d’arte.

Ecco qualcosa che possiamo leggere a margine di questa rivista. La Fotografia presuppone il contatto, implica ed esige il rapporto con il fotografato! O, ancora: votati aun’agoniasenza genio, i fotografi del consenso a tutto s’intrattengono con indecenze mondane che attengono al mercato, mai all’arte di distruggere i vaniloqui della fotografia insegnata. La bellezza della fotografia è indipendente dal sapere, semmai è un atto creativo che esorta a gesti supplementari atti a dissolvere categorie e aureole auso dei servi. Nellagerarchiadellafotografia, ciascuno si colloca secondo il grado dell’immagine del mondo che si vuole contrastare e assolvere: si esibiscono in pienaluce dell’industria culturale i rassegnati dell’ergastolo amatoriale e i professionisti della ghigliottina sapienziale. Ma la fotografia in amore dell’Uomo per l’Uomo non potrà essere bandita abbastanza, finché continua a screditare istituzioni, leggi e codici del pensiero dominante e rifiuta tutte le volgarità che inducono ad accettare qualsiasi cosa che incensa la fotografia della miseria (o la miseria della fotografia) come il trionfo del mercato! Solo nella cenere della fotografia avvertiamo l’incendio dell’impostura e la fine degli idolatri dell’infelicità.

Ciò che più ci appassiona nella nostra collaborazione a FOTOgraphia, non è tanto entrare in assonanza con le tematiche trattate, quanto studiare le fondamenta degli incurabili della Fotografia... non temere di essere fucilati per le nostre idee e nemmeno condannati al silenzio... e la rivista di Maurizio Re- buzzini ha permesso che le nostre dissonanze poetiche e la defascinazione perle formule, i codici e i valori della fotografia potessero essere espressi.

E colgo qui l’opportunitàperringraziarlo come amico e come maestro in molte cose... non ultima quella di non dare nessun credito agli elogi e alle crocifissioni.

In fotografia, come in ogni forma d’arte, conta solo l’opera che si pianta come un coltello nel cuore della Storia. Pino Bertelli (Piombino, dal vicolo dei gatti in amore, 6 volte marzo 2019)

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