FOTOgraphia 249-250 marzo aprile 2019

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Intervista a Grazia Neri

Cara Grazia, sei abbonata a FOTOgraphia da moltissimi anni. Qual è, secondo te, il valore della rivista? «Personalmente, per mio uso e per il fatto che la conosco da vent’anni, direi che mi piace perché differisce dalle altre riviste di fotografia. Amo i suoi collaboratori e le loro rubriche, rubriche che attendo mese dopo mese. Poi, mi piace la sua impaginazione originale, un po’ retrò, che fa venire in mente quelle belle eleganti ed esclusive riviste del passato. Mi piacciono i temi “inusuali” che vengono scelti, il fatto che non lasci spazio ai pettegolezzi. E, soprattutto, mi piace che non ci siano sempre e solo i fotografi celebri e osannati, ma autori semisconosciuti e interessanti. Insomma, una rivista che propone temi un po’ diversi, e porta alla luce i risultati di una ricerca di fotografi molto personale e intelligente». Cosa pensi del fatto che FOTOgraphia sia soprattutto cartacea? Pensi che abbia ancora senso una rivista che ha rigorosi ritmi mensili, rispetto all’accumularsi di notizie che arrivano a ogni istante sulla Rete, arrivi così frequenti e, a volte, sconclusionati, che non ti lasciano il tempo di riflettere? In altre parole, nell’era digitale, pensi possa resistere una rivista cartacea, una rivista che lasci spazio alla riflessione? «Trovo una grande cosa che sia cartacea. Personalmente, preferisco le riviste cartacee e non guardo le riviste online, se non qualche volta per curiosità, per vedere dei titoli o quando ho bisogno di verificare una notizia. Ma io ho tutto cartaceo in casa, nel mio archivio. Amo il cartaceo. E, secondo me, ci sarà un certo ritorno al cartaceo. Il cartaceo consente di dibattere argomenti, nello specifico argomenti fotografici, e di approfondirli. «Mi piace la rivista cartacea perché è più ricca, ci sono le pagine da sfogliare che riservano una sorpresa a ogni nuova pagina. Nelle riviste cartacee, si possono avere mini rubriche, si possono avere testi lunghi, le proposte possono avere le dimensioni più varie. E le fotografie stampate hanno un altro impatto rispetto al video. E poi queste riviste si possono sfogliare, si può andare avanti, tornare rapidamente indietro, scegliendo il proprio percorso. E tutti questi percorsi, almeno secondo me, sono più veloci sulla carta che online». Pensi che potrebbe essere un’idea trasformare FOTOgraphia da “rivista” qual è, con ritmi mensili, in una “pubblicazione” simile a un paper universitario, che viene pubblicato solo quando si sente la necessità di un approfondimento di un tema? Una specie di pamphlet, una specie di libro. «Non credo che così funzionerebbe perché si perderebbe la regolarità dell’appuntamento con i lettori. E poi ci sarebbe un gran disagio nel dirigerla. Perché come fai a sapere quali sono gli eventi da approfondire? Adesso, per esempio, c’è la guerra in Libia. Allora ti scateni sulla guerra in Libia, ma se dopo tre giorni succede un altro Undici settembre cosa fai? E poi una rivista fa le sue proposte e poi è il lettore che sceglierà se approfondire. O no. Infine, nelle riviste è bella anche la periodicità, l’attesa del nuovo numero. Ecco, se c’è una cosa che rimpro-

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