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Foto eloquenti

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Vite fotografiche

Vite fotografiche

/ DALLA NARRATIVA / FOTO ELOQUENTI ERA IMPOSSIBILE NON NOTARE LA DIVERSITÀ DEI LORO CARATTERI

di Angelo Galantini

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Fu scucendo il materasso che Maigret scovò il sacchetto di tela grigia.

Ne uscirono alcune fotografie e un diploma.

Una delle fotografie raffigurava una strada in salita dai ciottoli aguzzi, fiancheggiata da vecchie case col frontone come se ne vedono in Olanda, ma intonacate di un bianco vivo sul quale si disegnavano, nitide, le linee nere delle finestre, delle porte e dei cornicioni.

Sulla casa, in primo piano, c’era un’iscrizione in caratteri che ricordavano a un tempo il gotico e il cirillico: 6 Rütsep Max Johannson Tailor

L’edificio era ampio. Una trave sporgeva dal frontone e reggeva una puleggia un tempo utilizzata per immagazzinare il grano. Al pianterreno, una scalinata di sei gradini, con il corrimano di ferro.

Sulla scalinata, una famiglia era riunita intorno a un uomo di una quarantina d’anni, piccolo, grigiastro e insignificante -il sarto, sicuramente-, che ostentava un’aria seria e distaccata.

La moglie, in un abito di satin stretto da scoppiare, era seduta su una sedia intagliata. Sorrideva volentieri al fotografo, ma serrando un po’ le labbra, perché “fa distinto”.

Davanti a loro, due bambini si tenevano per mano. Erano due ragazzini fra i sei e gli otto anni, con pantaloni a metà polpaccio, calzettoni neri, colletti alla marinara bianchi ricamati e polsini col risvolto.

La stessa età! La stessa altezza! Una somiglianza sorprendente, fra loro e con il sarto. Eppure, era impossibile non notare la diversità dei loro caratteri.

Uno aveva un’espressione decisa e fissava l’apparecchio con aria aggressiva, come in una sorta di sfida.

L’altro guardava furtivamente il fratello. Lo guardava pieno di fiducia e di ammirazione.

Il nome del fotografo era stampato a secco: “K. Akel, Pskov”.

La seconda foto era la più grande e la più significativa. Era stata scattata durante un banchetto. Tre lunghi tavoli in Qualcuno aveva gli occhi chiusi a causa del lampo al magnesio.

Su una lavagna posta bene in evidenza al centro della tavola era scritto:

Corporazione Ugala Tartu

Si trattava di una di quelle associazioni che gli studenti

«Foto come questa sono incredibilmente eloquenti!» riprese Maigret. «C’è da chiedersi com’è possibile che i genitori, i professori che le hanno viste non abbiano indovinato al primo colpo d’occhio il destino dei personaggi».

prospettiva, coperti di piatti e di bottiglie, e sullo sfondo, contro un muro, una panoplia formata da sei bandiere, uno scudo di cui si distinguevano male i particolari, due spade incrociate e un corno da caccia.

I commensali erano studenti tra i diciassette e i vent’anni: portavano un berretto con la visiera stretta e il bordo argentato, la cui calotta di velluto doveva essere di quel verde livido che i tedeschi e i loro vicini del Nord prediligono.

Avevano i capelli corti e perlopiù visi dai lineamenti molto marcati.

Alcuni sorridevano con naturalezza all’obiettivo. Altri tendevano il boccale di birra, d’un curioso modello in legno lavorato. costituiscono in tutte le università del mondo.

In piedi, davanti alla panoplia, uno dei giovani si distingueva da tutti gli altri.

Anzitutto, era a capo scoperto e il cranio interamente rasato dava un rilievo particolare alla sua fisionomia.

La maggioranza dei suoi compagni portava un abito scuro. Lui, invece, sfoggiava il frac, con un’ombra di goffaggine perché aveva ancora le spalle esili. Sul gilet bianco, un largo nastro, simile al gran collare della Legion d’onore. [...]

Curiosamente, mentre la maggior parte dei presenti era rivolta verso il fotografo, i più timidi guardavano istintivamente il giovane capo.

E quello che pareva fissarlo con più insistenza era il suo sosia: seduto accanto a lui, si slogava il collo per non perderlo di vista.

Lo studente con il gran collare e l’altro che lo divorava con gli occhi erano incontestabilmente i due ragazzini della casa di Pskov, i figli del sarto Johannson.

Il diploma era in latino, su pergamena, a imitazione di un documento antico. Con gran profusione di formule arcaiche, consacrava un certo Hans Johannson, studente di filosofia, membro della Corporazione Ugala.

Era firmato: «Il Gran Maestro della Corporazione, Pietr Johannson». [...]

«Guardi questa foto!» disse all’improvviso.

E gli tese la foto di Pskov, con il frontone bianco della casa del sarto, la puleggia sotto il tetto, la scalinata di sei gradini, la madre seduta, il padre che si metteva in posa e i due bambini con il colletto alla marinara ricamato. [...]

«Che strani bambini!» disse soltanto.

Poi, restituendola al magistrato, domandò:

«Mi saprebbe dire quale dei due sto cercando?». [...]

«Foto come questa sono incredibilmente eloquenti!» riprese Maigret. «C’è da chiedersi com’è possibile che i genitori, i professori che le hanno viste non abbiano indovinato al primo colpo d’occhio il destino dei personaggi». [...]

Guardò l’ora per l’ennesima volta, e indicò sulla foto il bambino che fissava il fratello con ammirazione.

«Adesso bisogna che metta le mani su questo ragazzino!». ■ ■

Georges Simenon

(da Pietr il Lettone [Pietr-le-Letton, 1931];

Adelphi Edizioni, 1993)

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