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Matilde Corno Matilde!

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Ma il museo no

Ma il museo no

di Lello Piazza

Spero che nessuno ne venga infastidito, ma in questo mio scritto ci saranno almeno tre “dotte” citazioni. Non per esibizione di cultura (?), ma perché calzano a pennello alla assegnazione a Matilde Corno del Premio Riccardo Prina (fotografico), edizione 2020 (ma assegnato nel 2021), per il suo lavoro Irene: tre immagini dedicate alla nonna.

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Questo premio è stato istituito nel 2011, per «ricordare la vitale curiosità e la rigorosa professionalità dimostrata dal giornalista e critico d’arte e della fotografia Riccardo Prina (19692010)», prematuramente scomparso. È riservato a fotografi, professionisti e non, dai diciotto ai quaranta anni, che -per regolamento- devono presentare un racconto fotografico realizzato con tre - sei immagini, e oggi è abbinato al Premio Piero Chiara (letterario), Festival del Racconto (www.premiochiara. it), in omaggio all’amore per la fotografia di Piero Chiara, uno degli scrittori italiani più noti della seconda metà del Novecento [autore, tra tanto altro, del racconto L’uovo al cianuro, che introduce una raccolta libraria di ventitré testi, che ha per protagonista lo sfuggente e triste fotografo signor Pareille, che sopravvive stampando ritratti di defunti].

Chi è Matilde Corno? È una fotografa giovane, con tutto quello che significano l’aggettivo “giovane” e il sostantivo “fotografa”. Brevemente, a proposito di “fotografa”: almeno per i fotografi reporter, la recente/attuale rivoluzione digitale ha reso la professione quasi economicamente insostenibile. Per esempio, da Getty Images, la più grande agenzia fotografica del mondo, i diritti per la pubblicazione si possono acquistare a prezzi impensabili trent’anni fa (d’altra parte, anche gli inserzionisti comperano le pagine pubblicitarie nei giornali a costi impensabilmente bassi rispetto gli stessi vent’anni fa). Chi aspira a iniziare la professione di fotografo dove deve rivolgersi? Cercare lavoro nelle cerimonie, a partire dalla fotografia di matrimoni? Mah! C’è un certo spazio esistenziale nella pubblicità, ma non tutti si trovano a proprio agio in questo ambito. C’è altro spazio nel mercato del collezionismo, ma è più facile scalare il Monte Analogo (Mount Analogue, prima citazione: romanzo d’avventure alpine non euclidee e simbolicamente autentiche dello scrittore e poeta francese René Daumal, pubblicato postumo, nel 1952). C’è spazio nei concorsi, nel mondo della ricerca espressiva... ma, i premi e riconoscimenti museali non bastano per mangiare e vivere.

MATILDE!

A Matilde Corno, Premio Riccardo Prina 2020 (2021) per la serie Irene: tre delicate immagini dedicate alla nonna, in sintesi da un progetto originario in sei passi. Però, è molto meglio in tre

Sempre brevemente, passo all’aggettivo “giovane”: quando ero piccolo, molti decenni fa, era possibile e relativamente facile realizzare quasi tutto. E, lavorando, sarebbe stata garantita la pensione, per alcuni di pochi “euri”, ma sempre pensione. Chiederete cosa c’entra la pensione? C’entra. Se non c’è un meccanismo automatico di risparmio per la vecchiaia, nel fatturato annuale, bisogna prevedere incassi adeguati a una sopravvivenza una volta esaurito il tempo/ciclo “produttivo”. E questi non sono bruscolini. Poi, c’è la crisi occupazionale giovanile, che non ha uguali nella storia della nostra Repubblica, che non può essere certo risolta dal Reddito di Cittadinanza. E, poi, ancora e basta, c’è la sempre più iniqua distribuzione della ricchezza, e il riscaldamento globale, e il Covid. E altro.

Insomma, un orizzonte non rassicurante per una “fotografa giovane”. Ciononostante, coraggiosamente e inevitabilmente, le fotografe giovani vanno avanti.

Torniamo a Matilde Corno, che si autopresenta: «Nel 20202021, sono stata assistente del fotografo Marco P. Valli, del collettivo Cesura. Nello stesso periodo, ho insegnato materie umanistiche a una quarta elementare di Lissone [nell’hinterland milanese]. Dal 2014 al 2017, ho studiato al London College of Communication, una sezione della University of the Arts of London, seguendo il corso di Photo Journalism and Documentary Photography. Nell’estate del 2017, alla fine dell’esperienza universitaria, sono stata assistente del fotografo Christopher Morris, dell’Agenzia VII [VII Photo Agency].

«Prima di Londra, oltre al fatto di essere andata spesso in giro con una macchina fotografica al collo, la mia unica esperienza nel campo della fotografia è stata la partecipazione ai workshop di Anastasia Taylor Lind e Sebastian Liste, al TPW / Toscana Photographic Workshop. Oggi, lavoro in un bellissimo laboratorio di fotografia analogica, soprattutto bianconero, il Punto Foto Group, una attività guidata da Felix Bielser, che l’ha ereditata dal padre Karl, a Milano».

Aggiungo che ha studiato al liceo classico Zucchi, di Monza, che la sua tesi di laurea è dedicata alla fotografia col drone e alla differenza tra il suo uso bellico e la sua finalità artistica; mentre, il progetto fotografico di laurea FM105,4: radio magic racconta lo scenario pagano del Ventunesimo secolo in Inghilterra, con un mix di ritratti e di paesaggi mistici. Dopo la laurea, ha viaggiato per mesi in Sud America.

Perché riferisco di Matilde Corno e della sua serie Irene? Perché avevo avvicinato il suo racconto fotografico originario di sei immagini, traendone un giudizio molto negativo. Non mi ero accorto che -eliminando tre di quelle composizioni- il lavoro sarebbe diventato molto gradevole e poetico.

Perché parlo di quello che non avevo capito? Perché parlarne credo che costituisca un suggerimento alla prudenza nel giudicare, a non essere superficiali e sbrigativi, traendo conclusioni che fanno riferimento soltanto ai nostri usuali canoni di giudizio, un suggerimento ad ascoltare il sentimento e le ragioni dell’autore del lavoro [da e con FOTOgraphia, in diverse occasioni: osservare, piuttosto di giudicare; pensare, invece di credere].

Il mio non è un suggerimento banale. Rinunciare ai pregiudizi, cioè a quei giudizi che si formulano prima di pensare, è una delle pratiche più difficili per gli Umani.

Anche perché cosa è la Fotografia? È quella che ho in mente io o quella che ha in mente l’autore del lavoro che accosto?

Avevo promesso citazioni dotte. Ecco la seconda. Sono versi della poetessa Wisława Szymborska (1923-2012), premio Nobel per la Letteratura, nel 1996. Questi versi si intitolano Ad alcuni piace la poesia, ma sostituite “poesia” con “fotografia” e avrete uno s-punto sul quale riflettere: «Ad alcuni - / cioè non a tutti. / E neppure alla maggioranza, ma alla minoranza. / Senza contare le scuole, dove è un obbligo, / e i poeti stessi, / ce ne saranno forse due su mille. / Piace - / ma piace anche la pasta in brodo, / piacciono i compli-

menti e il colore azzurro, / piace una vecchia sciarpa, / piace averla vinta, / piace accarezzare un cane. / La poesia - / ma cos’è mai la poesia? / Più d’una risposta incerta / è stata già data in proposito. / Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo / come alla Salvezza di un corrimano».

Di nuovo, perché richiamo il lavoro fotografico Irene? Ne parlo anche perché una giuria competente lo ha individuato e segnalato tra quelli di duecentoquarantacinque partecipanti, ridottisi a quattordici finalisti. La motivazione: «La costruzione del ritratto compiuta dall’autrice scandisce il suo ricordo tramite un percorso visivo non convenzionale. La scelta consapevole delle inquadrature svela porzioni di un corpo dalle quali deliberatamente è escluso il volto. La cifra stilistica personale esprime maturità fotografica».

Il lavoro ha ricevuto un premio di ottocento euro dalla famiglia Prina. Ha fatto parte del premio anche la possibilità di esporre una mostra “personale” presso il Museo Maga, di Gallarate, in provincia di Varese, dal due al diciassette ottobre scorsi.

Cito alcuni membri della giuria, limitandomi a quelli che conosco e scusandomi con gli altri. C’erano Mauro Gervasini, critico cinematografico, presidente, Matteo Balduzzi, curatore del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo, alle porte di Milano, Riccardo Blumer, direttore dell’Accademia di Architettura di Mendrisio (Svizzera), Bambi Lazzati, direttrice del Premio Piero Chiara, Elisabetta Sgarbi, regista, fondatrice della casa editrice La nave di Teseo e direttrice di La Milanesiana (manifestazione d’arte), e Emma Zanella, direttrice del Museo Maga, di Gallarate.

In conclusione... non provo neppure a riformulare il giudizio critico / estetico della giuria sul lavoro di Matilde Corno. Non possiedo il dizionario per formulazioni di questo tipo: il mio rapporto con la Fotografia non ha questa qualità, e me ne scuso. Ma, confermo: nella cadenza e narrazione di tre immagini, Irene è un bel lavoro fotografico. E mi piace.

Ma non posso chiudere senza presentare un’altra deliziosa qualità di Matilde Corno, la sua dote di espressività letteraria. Nella autopresentazione della mostra fotografica Babyblue, al Maga, ha scritto: «È un progetto nato negli ultimi due anni di vita. Racconta del non sapere. La mia risposta preferita è “boh?”. Mi uccide la scelta davanti a tre gusti di gelato, tra un calzino nero e uno bianco, e a destra o a sinistra al bivio? Così, il perenne stato di blue: dall’inglese “I’m blue”, che indica malinconia, nostalgia per cosa poi chissà. Due anni fa, sono tornata da un viaggio; dicono che nei viaggi o ti trovi o ti perdi. Se già ero persa prima, sicuramente non ne sono tornata migliorata. Ma cosa vuol dire poi trovarsi? Sono la seconda di tre e passo il tempo a cercare (se mi chiedete cosa non lo so), mentre scatto e scrivo sui miei diari. Queste fotografie raccontano di notti insonni, di piccole “me” che fanno a pugni, di farmaci, di paure e ansie, di blue e di dolcezza.

«Babyblue è la mia riflessione intima, e ha passato un sacco di tempo a prendere polvere nel mio disco esterno».

Fotografia e Scrittura. Non a caso uno dei suoi fotografi preferiti è lo statunitense Jim Goldberg, che scrive sulle sue immagini. Le proporrei, se non lo conosce, di esplorare il lavoro di Duane Michals, che ha svolto e ancora svolge lo stesso genere di interventi, e che spesso costruisce racconti con le sue fotografie.

Chiudo con la terza citazione promessa, che prende origine dalle parole scritte sul muro della scuola di Barbiana di don Milani. Con una lieve modifica (da Cento a Trecento), la citazione è anche titolo di una commedia in due atti di un altro premio Nobel per la Letteratura (1997), Dario Fo (1926-2016): L’operaio conosce 300 parole, il padrone 1000: per questo lui è il padrone. Queste riflessioni non sono state proposte come rimprovero, ma suggerimento.

Quale? Ai tutti noi e a Matilde Corno l’ardua risposta.

In sentenza. ■ ■

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