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Angelo Mereu E domani e domani

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Petit Prince

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E DOMANI E DOMANI

Ciò che veramente conta nella documentazione di Angelo Mereu, svolta nel trascorrere degli anni e decenni, declinata con fotografie dirette ed esplicite, che rappresentano esattamente ciò che raffigurano, è che -in sua assenza- le affissioni Emporio Armani (e contorni) non sarebbero esistite, perché la Memoria non ne avrebbe alcuna traccia evidente e certa ANGELO MEREU

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Appello d’obbligo: «Domani, e domani, e domani, / striscia a piccoli passi da un giorno all’altro, fino all’ultima sillaba del tempo prescritto; / e tutti i nostri ieri hanno illuminato a degli stolti / la via che conduce alla morte polverosa. / Spegniti, spegniti breve candela! / La vita non è che ombra che cammina; un povero attore / che si pavoneggia e si agita per la sua ora sulla scena / e del quale poi non si ode più nulla: è una storia / raccontata da un idiota, piena di rumore e furore, / che non significa nulla» (Macbeth, di William Shakespeare; Atto Quinto, Scena Quinta).

Compimento altrettanto dovuto: l’azione fotografica attraverso la quale e con la quale l’attento Angelo Mereu ha sistematicamente documentato l’alternarsi delle affissioni Emporio Armani (e contorni) sull’ampia parete esterna che si affaccia su via Cusani, angolo via del Broletto, al centro di Milano, gergalmente identificata come “largo Cusani”, è espressione concreta e autentica del linguaggio visivo applicato... per l’appunto, fotografico. Prima che per propri contenuti, ai quali stiamo per approdare, questa azione sequenziale è fotografica in dipendenza di una condizione fondante del suo linguaggio applicato: ha reso permanenti istanti che avrebbero dovuto (e potuto!) rimanere effimeri, esaurendosi nel proprio stesso svolgimento, senza lasciare altra traccia.

Siccome Angelo Mereu è fotografo consapevole e disciplinato, per quanto non svolga per professione (la sua è altra), sa bene quanta responsabilità implichi il suo gesto, il suo agire. Consegnare alla Storia, sia pure del Costume, come in questo caso, Momenti altrimenti transitori implica un senso del dovere che esclude qualsivoglia autoreferenzialità (momentaneamente gratificante... per quanto), per elevare se stessi oltre il Tempo.

Avviate nell’Ottantaquattro (in quel 1984 che George Orwell ha previsto nel 1948, con inversione volontaria di cifre), le affissioni Emporio Armani si sono alternate e sostituite le une alle precedenti con cadenza sostanzialmente irregolare, addirittura casuale. Forse.

Siccome, volente o nolente, tutti noi italiani agiamo -comunque- dalla periferia del mondo occidentale, e a questa riferiamo il nostro Pensiero, nessuno -nello staff del celebrato stilista- ha considerato opportuna e/o necessaria la documentazione coerente dei soggetti che si sarebbero alternati in forma di autentici murales della nostra (travagliata) epoca. Lo ha fatto Angelo Mereu, agendo in proprio, in rispetto e ordine con quel suo peregrinare per la città (Milano) con occhio attento e mente vigile. Oggigiorno, il branco di ignoranti e incolti che definisce i termini della (giovane) fotografia italiana contemporanea richiama se stesso a una nobilitante identificazione “Street Photography” (più recente ultima spiaggia degli imbecilli), peraltro senza neppure sapere a cosa si sta richiamando. Dunque, per Angelo Mereu va evitata questa assimilazione, questo riconoscimento, che pure meriterebbe, a favore di un’altra individuazione, addirittura più nobile: nel suo vivere e agire in Fotografia, anche, è un autorevole flâneur.

Lasciamo ad altri, autorizzati a farlo e ansiosi di farlo, parole e considerazioni superflue a descrizione della sua Fotografia, per concentrarci, invece, sul suo essere Fotografo reale e concreto, non marionetta per critiche d’arte. Certo, ci sarebbe molto da far notare: intenzioni e capacità compositive, alternanza coerente di inquadrature; inclusioni sociali a contorno del soggetto principale (l’affissione, per se stessa); utilizzo costante del bianconero (a parte un solo soggetto a colori, temporalmente recente, qui non visualizzato, peraltro in passo doppio/raddoppiato); slittamento verso l’infrarosso; e altro tanto ancora. Ma, diamine, è inutile sottolineare tutto questo, perché si tratta semplicemente di linguaggio applicato, di lessico, che appartiene / dovrebbe appartenere a tutti i fotografi, e non dovrebbe essere elevato su altro tono. (continua a pagina 33)

1991

1992

1984

(continua da pagina 28)

Ciò che veramente conta nella documentazione di Angelo Mereu, svolta nel trascorrere degli anni e decenni, declinata con fotografie dirette ed esplicite, che rappresentano esattamente ciò che raffigurano, è che -in sua assenza- le affissioni Armani non sarebbero esistite, perché la Memoria non ne avrebbe alcuna traccia evidente e certa. Oltre e a parte la responsabilità di aver reso permanenti istanti che sarebbero dovuti rimanere effimeri, come appena annotato, dobbiamo registrare anche quel Senso e Valore della Storia minima, ma non minore, tassello fondamentale del Mosaico globale. Detta meglio, forse, dell’Esistenza.

Dunque, come si distingue Angelo Mereu, nell’attuale panorama fotografico? Paradossalmente, per una dote che dovrebbe essere scontata, tanto quanto -per i giocatori di baseball- lo è quella di colpire con un bastone di legno una pallina lanciata a grande velocità: vedere, non solo guardare. A nostro modo di considerare, questo è il grande valore della fotografia di Angelo Mereu, in assoluto, come nello specifico dei soggetti oggi in passerella, che comunica all’esterno con la leggerezza, ma consistenza, di chi finge di non volerlo fare, di chi finge di percorrere un territorio solitario. Al contrario, questa sua Fotografia è così “bella” (in un senso che non si limita all’apparenza della propria superficie) da non potersi esaurire con delle semplici parole di commento e presentazione. Dall’impeccabile composizione di bianconeri di straordinaria forza visiva -forma necessaria, ma non sufficiente-, si alza la voce dei soggetti rappresentati (non solo raffigurati), che libra nell’aria a un’altezza che in pochi hanno mai osato pensare.

Raramente, come nel caso di questo meritorio progetto fotografico di Angelo Mereu, è indispensabile il consiglio di guardare non venendo meno a se stessi. Non si può rimanere indifferenti di fronte alla solenne quantità/qualità di fotografie che scandiscono lo scorrere del Tempo, con indizi coerenti di identificazione. Così che va sottolineato come in Fotografia, al pari e allo stesso momento diversamente da altre forme di comunicazione -soprattutto visiva-, esiste un legame indissolubile tra conoscenza e pratica, tra sapere e fare. In questo, sono esemplari l’esperienza e l’impegno personale di Angelo Mereu, che fotografa sollecitato da progetti personali. L’avvicinamento alle sue fotografie, la presa di contatto con il suo modo di registrare la realtà (questa è la materia delle sue immagini) deve seguire la consecuzione che ha guidato la sua stessa azione.

Per ogni sua Fotografia, Angelo Mereu non “tira mai via”: applica sempre un rigore morale assoluto. Agisce come pochi autori di grande statura espressiva sanno fare. Mai invasivo, mai sovrapposto ai propri soggetti, è testimone partecipe della vita, riuscendo a congelare istanti rappresentativi non soltanto di se stessi.

Angelo Mereu usa la macchina fotografica (qualsiasi questa sia, qualsiasi si sia alternata nello scorrere delle stagioni) con una abilità fuori dal comune: da un lato, la macchina fotografica ha sollecitato il contatto con i soggetti; dall’altro, lui ha saputo tenerla a necessaria distanza. Nell’apparenza del semplice e quotidiano, la sua Fotografia si è focalizzata su aspetti di Vita non sempre facili. Non si è nascosto dietro la macchina fotografica, facendosi proteggere dal suo filtro tra realtà e raffigurazione, ma l’ha usata per introdursi in mondi e situazioni altrimenti impenetrabili.

Soprattutto in questo, non soltanto in questo, sta la sua grandezza d’autore. Nel suo lavoro si è lasciato guidare e condurre da ciò che di volta in volta l’ha toccato e sorpreso. Le sue fotografie hanno un alto tasso di misterioso, che consente a ciascun osservatore di aggiungere visioni proprie personali (ancora!). Alcune volte, richiamano per ciò che è incluso nell’inquadratura; altre volte, per quanto ne è restato fuori.

Fotografia: chiave privilegiata di lettura. Sempre. ■ ■

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