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Tutti a tavola (circa... forse
TUTTI A TAVOLA
(CIRCA...FORSE)
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Oggi e qui, ci occupiamo della Quinta Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro, organizzata e svolta dall’autorevole e prestigiosa Fondazione Mast, di Bologna (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia): genericamente semplificata in Foto/Industria 2021, in propria odierna identificazione ideologica Food. A partire da Ando Gilardi, undici mostre, più altre tante iniziative in cartellone fino al ventotto novembre. Ma non dovrebbe essere tutto qui. Se non che...
«Il cibo è un indicatore fondamentale per analizzare e comprendere intere civiltà -scrive nel testo introduttivo del Photo book [forse, Catalogo?; ma l’inglese è più snob!] / Ricettario della Biennale il direttore artistico Francesco Zanot-. Le modalità attraverso le quali gli alimenti vengono prodotti, distribuiti, venduti, acquistati e consumati sono in costante cambiamento, e -pertanto- racchiudono alcuni caratteri distintivi di un’epoca».
Ando Gilardi: Giovani donne portano zucche sulla testa: «Le zucche, d’estate sono mangime, d’inverno cibo». Quando il gallo canta a Qualiano ampia fotoinchiesta di Ando Gilardi sulla sindacalizzazione dei braccianti agricoli, particolarmente sentita in questo paese. Qualiano (Napoli); ottobre 1954.
di Antonio Bordoni
A volte, e questa attuale è una di queste volte, è imbarazzante e spiacevole svolgere il nostro lavoro: quantomeno quella parte che presuppone e richiede di riferire e presentare accadimenti fotografici pubblici. Certamente, con un poco si mestiere sulle spalle e tra le dita, non è difficile riassumere in poche righe dattiloscritte, e poi altrettante poche facciate impaginate, lo svolgimento di qualsiasi manifestazione espositiva, sia personale, sia collettiva, sia in progetto. Altrettanto indiscutibilmente, una volta risolto il proprio dovere, balza alla ribalta (psicologia e individuale, ammesso e concesso che...) un retrogusto amaro, che misura la propria inconsistenza giornalistica, vincolata da tempi e modi, obbligata a livellare tra loro rivelazioni di peso e misure diversi. Così che, la Quinta edizione della Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro, organizzata e svolta da Fondazione Mast, di Bologna (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia) -genericamente semplificata in Foto/Industria 2021, in cartellone fino al ventotto novembre (dal quattordici ottobre di propria inaugurazione)-, trova spazio redazionale analogo, se non già identico, alla “personale” di Luigi Pirletti, di Bassano del Grappa, in provincia di Vicenza. Così che, ancora, non si possono svolgere simultaneamente più temi, per non distogliere l’attenzione dai soggetti principali: tanto da dover lasciare perdere altre riflessioni plausibili e necessarie, prima che utili.
A diretta conseguenza, la ristrettezza e oppressione di questo vincolo sollecita un passo giornalistico/redazionale in divenire. Oggi e qui, ci occupiamo soltanto della Biennale, in propria identificazione ideologica Food; a seguire, indipendentemente da urgenze in cronaca, causa o merito delle riflessioni appena riportate, sarà il caso di tornare su argomenti sostanziali, con appuntamenti specifici e mirati: a partire da valutazioni che considerino la Forma (dalla pianificazione all’allestimento) parte consistente della progettualità fotografica e della propria presentazione e proposizione al pubblico.
È promessa, non minaccia! MA QUALE FOOD! 1/2 Le undici mostre della Quinta Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro / Foto/Industria 2021 -sì, proprio mostre: nulla da spartire con Luigi Pirletti, di Bassano del Grappa, in provincia di Vicenza, alle pareti del bar di paese- sono distribuite in indirizzi bolognesi di prestigio: a partire dalla autorevole sede istituzionale Mast - Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia, di via Speranza 42. Fino al prossimo ventotto novembre, orari di apertura a parte -a ciascuna, i propri-, sono tutte proposte in forma gratuita:
ulteriore nota distintiva dell’accreditato programma, a cura di Francesco Zanot, firma di merito e a garanzia. A proposito, impeccabile il suo saggio conoscitivo, introduttivo del progetto, in catalogo (304 pagine 13,5x19,5cm; 25,00 euro): Mangiare con gli occhi.
Da qui, dalle note ufficiali di presentazione, procediamo in due passi distinti, a partire da tre proposte “storiche”, alle quali seguiranno otto di fotografia sostanzialmente “contemporanea”. Se dovessimo ammettere che può essere in qualche misura lecita una scomposizione temporale, che invece non c’è, questa nostra cadenza non interferisce con una progettualità libera da condizionamenti e svincolata da costrizioni di sorta, qualsiasi queste avrebbero potuto essere. Ovviamente, a parte il contenitore Food, individuato e proposto. ▶ Ando Gilardi: Fototeca. Fondazione Mast, via Speranza 42, 40133 Bologna (fino al 2 gennaio 2022). «Fotografo, storico, critico, editore, Ando Gilardi (1921-2012) è una delle figure più eclettiche e originali della storia della fotografia italiana [rimandiamo al riquadro pubblicato a pagina 44]. La Fototeca Storica Nazionale, che fonda nel 1959, arriva a contenere circa cinquecentomila immagini, costituendo un archivio pionieristico sugli usi e le funzioni sociali della fotografia.
© Musée de l’Elysée, Lausanne – Jan Groover Archives Courtesy Fondazione Rolla, Bruzella
«In mostra una selezione degli innumerevoli materiali prodotti e raccolti da Ando Gilardi sul tema dell’alimentazione, a partire dalle fotoinchieste realizzate negli anni Cinquanta e Sessanta, centrate particolarmente sul lavoro nei campi e nelle industrie, fino ai materiali conservati e riprodotti (rifotografati) nel vasto inventario che ha composto: figurine, incarti, scatole, pubblicità, libri, riviste, erbari, fotografie di famiglia e molto altro ancora. Fototeca è un’esplorazione dell’iconografia del cibo e del potere della fotografia nel mantenerla sempre viva, accessibile e ri-vedibile». ▶ Herbert List: Favignana. Palazzo Fava, Sala di Giasone e Medea, via Manzoni 2, 40121 Bologna. «Herbert List (1903-1975) è il campione della “fotografia metafisica”. In omaggio al celebre movimento artistico cui si ispira, è lui stesso a coniare questo termine per descrivere il proprio lavoro. Affonda le radici delle sue composizioni tipicamente classiche e austere nell’arte antica greca e italiana. Visita frequentemente questi luoghi, ed è proprio durante un viaggio al Sud, del 1951, anno in cui entra a far parte della celebre agenzia Magnum Photos, che realizza il progetto presentato in questa mostra. La serie di quarantuno fotografie riprese sull’isola siciliana di Favignana è documento fondamentale della storia locale e testimonianza della matu-
Foto/Industria 2021. Food; a cura di Francesco Zanot e Tommaso Melilli; 304 pagine 13,5x19,5cm; 25,00 euro.
(centro pagina, in alto) Hans Finsler: Senza titolo; 1928.
(centro pagina, in basso) Jan Groover: Senza titolo; 1983.
Herbert List: Gli uomini tirano lentamente le reti, cantando un’antica canzone. Favignana (Trapani, Sicilia); 1951.
GILARDI ED IO
Oggi acclamato e celebrato dalla mostra allestita nelle autorevoli e prestigiose sale espositive del Mast, di Bologna -a introduzione e avvio della Quinta Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro, in attuale identificazione ideologica Food-, in vita, Ando Gilardi (1921-2012) è stato un personaggio della fotografia italiana poco amato. Anzi, spesso, disdegnato: lo riconoscano e facciano ammenda tutti coloro che oggi lo lodano e ieri lo hanno denigrato.
Affermo questo con cognizione di causa, avendone subìto io stesso considerazioni negative trasversali. In pensiero diagonale, per decenni, ma ancora oggi, sono stato mal considerato proprio in virtù e a causa della nostra frequentazione ravvicinata. Anche questo è il sapore della fotografia italiana chiacchierata (che nel nostro mondo occidentale / è la periferia: da e con Giorgio Gaber e Sandro Luporini), ammettiamolo, composta soprattutto da parrocchiette e alleanze conniventi e avversioni preconcette. Il tutto, a completa differenza del nostro pensiero guida: osservare, piuttosto di giudicare, per pensare, invece di credere.
Per poco più di un anno, dall’autunno Settantatré al dicembre Settantaquattro, di propria chiusura definitiva, Ando Gilardi fu mio direttore a Photo 13, altra leggenda postuma, mensile che guidava in coppia con Roberta Clerici, autentica eminenza grigia di quell’esperienza e di quei suoi tempi riflessivi (suoi, di Ando Gilardi). A seguire, per la loro successiva esperienza editoriale Phototeca, in cadenza trimestrale, venni coinvolto solo marginalmente (per Photo 13, sono stato redattore interno), per compilare una rubrica a tema, su base tecnico-storica, in coerenza iconica/ironica con i temi monografici affrontati: dai ladri alle puttane, ai poco di buono... e prolungamenti.
Per tre stagioni, dal Settantasette, con Ando Gilardi dividemmo gli spazi dei rispettivi impegni professionali: nel suo studio di via degli Imbriani 15, a Milano (lui affittuario ufficiale, io subaffittario).
Curioso: oggi, molti si riferiscono a lui evocando “Ando”, per vantare confidenza e frequentazione intima per lo più inesistenti, ai tempi. A differenza, e con tanto snobismo consapevole e convinto, gli unici due che l’hanno effettivamente affiancato -quantomeno prima dell’arrivo delle eccellenti sorelle Elena e Patrizia Piccini, collaboratrici dalla fine degli anni Settanta, per i decenni a seguire-, Roberta Clerici (soprattutto!) ed io, gli si sono sempre rivolti con il “lei”.
Comunque, ancora oggi, non rinnego nulla della mia frequentazione di Ando Gilardi. Ci siamo rispettati, consapevoli della differenza dei nostri rispettivi punti di vista. Lui ed io abbiamo avuto opinioni diverse su ciò che è degno di memoria, ma tutti e due abbiamo capito che se possiamo rubare un momento dall’aria (magari con una Fotografia), possiamo anche crearne uno tutto nostro... magari, ancora con una Fotografia.
Un giorno lontano, notando la mia Leica M2 tutta scocciata di nero, Ando Gilardi me ne chiese motivo. «Per non sciuparla», affermai. «E se si sciupa?», continuò. «Diventa brutta», rilevai. «Beh, sarà bella così!», concluse. Ovviamente, tolsi il nastro adesivo di “protezione”.
Maurizio Rebuzzini
Storia sociale della fotografia, di Ando Gilardi; Feltrinelli, 1976; 464 pagine 18,5x28,5cm, cartonato. Copertina in dettaglio e dedica in anamorfosi volontaria e consapevole. rità artistica dell’autore tedesco. Al centro del lavoro, ci sono il tipico processo di lavorazione del tonno e, soprattutto, la mattanza, tradizione tanto viva nella popolazione locale quanto destinata a scomparire. In una sequenza rara e calibrata, si celebra la vita e la morte, trattando i pesci alla stregua di figure mitiche e osservando i lavoratori isolani come gli ultimi custodi di un sapere arcaico». ▶ Hans Finsler: Schokoladenfrabrik. San Giorgio in Poggiale, via Nazario Sauro 20/2, 40121 Bologna. «Tra i maggiori protagonisti della fotografia oggettiva (Sachfotografie) e vicino alle avanguardie d’inizio Novecento, Hans Finsler (18911972) si è specializzato nella rappresentazione di/degli oggetti. Organizzata in collaborazione con la Fondazione Rolla, mostra interamente dedicata a una specifica e particolare serie realizzata nel 1928 su commissione della fabbrica dolciaria tedesca Most. Unici soggetti sono i prodotti dell’azienda: miniature di cioccolato e marzapane descritte nei minimi particolari grazie a una particolare combinazione di capacità tecnica e minuzia filosofica. Trattati come opere uniche dell’ingegno artigianale e industriale, i dolci di cioccolato e marzapane risultano così sospesi in una serie a metà tra comunicazione pubblicitaria e riconoscimento di autentici valori scultorei». MA QUALE FOOD! 2/2 Al “contemporaneo”, ora, sempre richiamando tra noi/voi dalle note ufficiali di presentazione, rispetto le quali c’è nulla d’altro da poter aggiungere, quantomeno qui, quantomeno in rispetto e ordine con un passo introduttivo doveroso. Comunque, senza alcun ordine di qualsivoglia gerarchia: la parte -ovvero, il singolo- per il tutto. ▶ Jan Groover: Laboratory of Forms. MAMbo - Museo d’Arte di Bologna, via don Minzoni 14, 40121 Bologna. «La statunitense Jan Groover (1943-2012) si forma come pittrice, ispirandosi all’opera di artisti come Paul Cézanne, Giorgio Morandi e i minimalisti. Si dedica alla fotografia dall’inizio degli anni Settanta. Tra i grandi protagonisti della natura morta, suscita presto l’interesse di critica e pubblico con una serie di oggetti fotografati nella cucina della propria abitazione, dove e quando combina una sensibilità compositiva che rimanda ai quadri rinascimentali, con l’eco delle istanze politiche e sociali del femminismo. Proveniente dal Musée de l’Elysée, di Losanna, in Svizzera, dove è conservato il suo inte-
ro archivio, questa mostra costituisce la sua prima retrospettiva in Italia e coglie l’occasione per avvicinare il suo lavoro a quello del maestro Giorgio Morandi». ▶ Mishka Henner: In the Belly of the Beast. Palazzo Zambeccari - Spazio Carbonesi, via de’ Carbonesi 11, 40123 Bologna. «Consacrato nel 2015 dalla mostra collettiva New Photography, al MoMA di New York (Museum of Modern Art), Mishka Henner (1976) è uno dei principali sperimentatori del linguaggio fotografico contemporaneo. Particolarmente interessato ai cambiamenti introdotti dalle nuove tecnologie, spesso non realizza direttamente le immagini di partenza dei propri progetti, ma le preleva dalla Rete, appropriandosene e attribuendovi significati nuovi. È ciò che accade nel caso dei tre progetti selezionati per questa mostra.
«Feedlots è una serie di gigantografie realizzate attraverso la combinazione di centinaia di immagini di Google Earth raffiguranti enormi allevamenti di bovini, in cui la descrizione dei minimi dettagli (cartografia) si combina a un senso generale di astrazione. Scopes è un montaggio di video di animali che ingeriscono macchine fotografiche e videocamere reperiti su YouTube. The Fertile Image è un’accumulazione di oltre trecento immagini generate automaticamente da un software nutrito dall’artista. Nel proprio insieme, In the Belly of the Beast è un’esposizione sul rapporto tra Uomo, Tecnologia e Animali, in un processo incessante scandito da Consumo, Digestione e Scarto». ▶ Takashi Homma: M + Trails. Padiglione dell’Esprit Nouveau, piazza della Costituzione 11, 40128 Bologna. «Dall’inizio della propria carriera, Takashi Homma (1962) si concentra sul rapporto tra Uomo e Natura, documentandone sia gli esiti più felici e gloriosi, sia quelli più deleteri. Appositamente pensata per gli spazi del Padiglione dell’Esprit Nouveau, progettato da Le Corbusier e Pierre Jeanneret, la mostra combina tra loro due lavori realizzati dal fotografo giapponese in un ampio periodo di tempo compreso tra il 2000 e il 2018.
«La serie M raccoglie e mette a confronto le facciate di fast food McDonald’s in diverse parti del mondo, soffermandosi sia sulle loro differenze, sia sulle innumerevoli somiglianze che rimandano alla standardizzazione del cibo stesso.
«Il progetto Trails mostra le tracce di sangue lasciate da cacciatori di cervi tra le montagne di Hokkaido, la cui crudele
Lorenzo Vitturi: Praying Mat Fragments, Pink Soap, Egg and Coconut Oil [dettaglio]. Lagos, Nigeria; 2017.
(centro pagina, in alto) Vivien Sansour: Palestine Heirloom Seed Library, El Bir Arts & Seeds. Beit Sahour (Bayt Sahur), Palestina; 2017.
(centro pagina, in basso) Maurizio Montagna: Landwasser #CF037045. Valsesiana (Vercelli); 2021.
(pagina precedente, in alto) Mishka Henner: Feedlots, Coronado Feeders. Dalhart, Texas (Usa); 2012.
(pagina precedente, in basso) Takashi Homma: Hawaii. 2000 - 2010. eleganza ricorda la calligrafia tradizionale giapponese. La rapidità del consumo si oppone alla lentezza della ricerca, tenendo al centro il sacrificio dell’animale». ▶ Maurizio Montagna: Fisheye. Collezione di Zoologia - Sistema Museale di ateneo, via Francesco Selmi 3, 40126 Bologna. «Fotografo interessato alle intersezioni tra spazio naturale e costruito, nei propri progetti, Maurizio Montagna (1964) esplora il rapporto tra passato e presente di un luogo, utilizzando la fotografia per documentare tanto ciò che permane, quanto -paradossalmente- il mutamento. Appositamente realizzato per Foto/Industria, il progetto Fisheye indaga il territorio della Valsesia, al nordest del Piemonte, in provincia di Vercelli, selezionata come campione per lo studio della trasformazione di un paesaggio fluviale composto dalla propria relazione con la pesca, che qui si è evoluta nel corso dei secoli, a partire da una tradizione tra le più antiche al mondo. Attraverso il filtro di questa attività, l’autore svela il modo in cui il territorio è cambiato nel tempo, sia per cause naturali, sia per l’intervento dell’Uomo (antropocene!), che ha inciso massicciamente sull’ambiente con interventi più o meno visibili». ▶ Bernard Plossu: Factory of Original Desires. Palazzo Fava, Sala Carracci, via Manzoni 2, 40121 Bologna. «Tra i maggiori protagonisti della fotografia francese
© Vivien Sansour
© Maurizio Montagna
degli ultimi cinquant’anni, Bernard Plossu (1945) ha fotografato tutto il mondo con il medesimo sguardo curioso e tagliente. Dunque e inevitabilmente, l’alimentazione è uno dei soggetti su cui si è soffermato ripetutamente: in questa mostra, viene investigato attraverso una selezione inedita di immagini che mescola chiare tendenze topografiche all’incanto per la figura umana. Alle grandi insegne dei Diner del West americano, dove l’autore ha trascorso molti anni della propria vita, si affiancano paesaggi più o meno antropizzati, nature morte di oggetti trovati e ritratti spontanei che evidenziano la complessità del rapporto tra persone e cibo, sempre in bilico tra attrazione e bisogno, desiderio e necessità, piacere ed eccesso». ▶ Vivien Sansour: Palestine Heirloom Seed Library. Palazzo Boncompagni, via del Monte 8, 40126 Bologna. «Vivien Sansour (197?) è un’artista e ambientalista palestinese. Palestine Heirloom Seed Library è un progetto artistico, sociale e di ricerca nato nel 2014 con l’intenzione di promuovere la salvaguardia di antiche varietà di semi, intese come vere e proprie unità viventi di Storia e Cultura, attraverso il coinvolgimento attivo dei cittadini e delle istituzioni.
«Progettata come un vero e proprio ambiente, la mostra integra diversi media (fotografia, video e scrittura), per ac-
© Bernard Plossu
compagnare in un percorso multisensoriale alla scoperta dei progetti promossi e intercettati dalla Palestine Heirloom Seed Library dalla sua nascita. Appositamente realizzati per questa occasione, una mappa, un video e un libro d’artista costituiscono snodi cruciali della ricognizione di un lavoro che tocca questioni di singolare rilevanza economica e geopolitica, configurandosi -allo stesso tempo- come un fondamentale strumento di consapevolezza (per la gente del luogo) e informazione (per il resto del mondo). «Il progetto Palestine Heirloom Seed Library è stato realizzato dall’autrice in collaborazione con Linda Quiquivix, Dalen Saah, Samar Hazboun e Charin Singh». ▶ Lorenzo Vitturi: Money Must Be Made. Palazzo Pepoli Campogrande, via Castiglione 7, 40124 Bologna. «Coerentemente interessato all’incontro tra culture, Lorenzo Vitturi (1980) ha maturato il progetto Money Must Be Made nell’ambito di una residenza a Lagos, su invito della African Artists Foundation. Scenario è Balogun, uno dei più grandi mercati di strada al mondo, dove l’autore ha fotografato e raccolto materiali, in parte alimenti, che -in seguito- sono diventati ingredienti di sculture e nature morte realizzate presso il proprio studio. Il risultato è una mostra che investiga un ecosistema fragile e sconfinato, dove la tradizione si confronta con l’economia globale (la gran parte degli oggetti venduti al mercato sono “Made in China” e il quartiere in cui si trova è dominato dalla torre decadente della Financial Trust House); e gli individui, rappresentati come equilibristi forti ed eleganti, costituiscono ancora un fattore fondamentale». ▶ Henk Wildschut: Food. Fondazione del Monte, Palazzo Paltroni, via delle Donzelle 2, 40126 Bologna. «In tutti i propri lavori, Henk Wildschut (1967) combina fotografia e attivismo, concentrandosi in particolare sul tema della comunità: le sue regole e i suoi riti, tra passato, presente e futuro. Tra i progetti più estesi, Food -commissionato dal Rijksmuseum, di Amsterdam, e realizzato tra il 2011 e il 2013- è il risultato di una vasta ricerca sul tema dell’industria alimentare, centrata sulle più avanzate tecnologie del settore, generalmente applicate per aumentare il volume della produzione e adeguarsi alle norme sempre più stringenti in merito a igiene e sicurezza. Dagli allevamenti con decine di migliaia di animali (polli, suini, bovini...) alle sterminate serre dove vengono riprodotte le condizioni ideali per accelerare la crescita delle piante, fino ai laboratori delle Università, entro i quali si studiano gli organismi più nutrienti e resistenti, questo percorso fotografico è un viaggio nel backstage di quello che mangiamo ogni giorno».
Tutto qui. Almeno, per ora! ■ ■
Henk Wildschut: Wakker Dier (organizzazione olandese per il benessere degli animali). Amsterdam, Olanda; marzo 2012.
(centro pagina) Bernard Plossu: Chez Troisgros. Roanne, Francia; 2000.
La Quinta edizione della Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro, promossa e organizzata da Fondazione Mast, di Bologna, altrimenti semplificata in Foto/Industria 2021, è elaborata attorno al tema del cibo: per l’appunto, Food.
Unica dissonanza (?), in una Biennale di progettazione e svolgimenti perfetti, per le Tavole Rotonde di contorno (è il caso). Dato l’argomento, Food, le Tavole avrebbero dovuto essere “Imbandite”, oppure “Calde” o “Fredde”. Non altre!?