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Oscurità

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Ignoranza

Ignoranza

di Lello Piazza OSCURITÀ

Parlerò della fotografia di questa pagina: una fotografia che si definisce 初日 の出 (Hatsuhinode, prima alba), che nel seguito citerò col suo nome, come se fosse un essere vivente. Si dice che una fotografia racconti più di mille parole. Ma, in generale, non è vero. In realtà, più importante di quello che si vede è il viaggio interiore che una fotografia accende nella mente di chi guarda [Giacomo Leopardi: l’anima immagina quello che non vede].

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Parlerò del mio viaggio, un viaggio di fotografia, ma anche del Sole che non si vede nell’immagine -ma si intuisce-, del Giappone che non si rivela nella composizione. E parlerò Michele Iannello di Michele Iannello, l’invisibile e bravo fotografo che ne è l’autore.

Penso che la Fotografia possa essere non solo una relazione iconologica con un’opera, ma il punto di partenza per farsi coinvolgere da storia, costumi, mitologie, natura, paesaggi, personaggi, fedi. Questo rende la Fotografia un po’ simile alla Filatelia, le fotografie simili ai francobolli. Anche i francobolli raccontano e fanno viaggiare.

Veniamo, ora, al viaggio, che inizia da Hatsuhinode. Partiamo dal Giappone, il Giappone che non si può non amare. Amare di un amore cauto e prudente. Cauto e prudente, perché anche se tutto -in Giappone- appare leggiadro, la cultura giapponese è segnata da una specie di ossimoro. Da una parte, l’incanto degli ikebana (fiori viventi) e la leggerezza degli haiku (componimenti poetici di tre versi); dall’altra, il Giappone di due straordinari film di Akira Kurosawa, Kagemusha (1980) e Ran (1985), o il Giappone della Guerra del Pacifico, dei kamikaze, degli attacchi banzai (gioia, in giapponese).

Nella tradizione giapponese, la prima alba del nuovo anno, 初日の出 (Hatsuhinode), il nome della fotografia, rappresenta un appuntamento importante per il paese. I giapponesi, che hanno un rapporto intenso con il mondo naturale, percorrono anche decine di chilometri per andare ad accogliere la prima alba in un paesaggio adatto.

Porta fortuna, dicono.

Anche se per l’attesa molti approdano al Monte Fuji, Michele Iannello ha optato per un paesaggio marino. Per l’alba, ci vuole una spiaggia che guarda a oriente. Il luogo è Isumi Shi, circa cento chilometri a est di Tokyo. «Ho scattato con il cellulare -racconta l’autore, al telefono, dal Giappone-, perché ero andato solo per guardare l’alba. Ma, appena sono sceso dall’auto, la luce, le persone già in attesa, l’aria leggermente salina, tutto era perfetto e non ho resistito... ho dovuto fotografare».

Interpreto due valori compositivi di Hatsuhinode. Uno: lo scatto avviene prima che appaia il sole. In questo modo è proprio l’alba, e non il sole, a esserne protagonista. Due: lo scatto avviene inquadrando lontano un centinaio di metri dal mare. Così gli umani che aspettano il sole sulla spiaggia sono solo figurine nere. Non si individuano dettagli, potrebbero essere umani di cento, mille, diecimila, centomila anni fa. Nulla fa pensare che quelle figurine, quegli umani, siano di oggi. Così la fotografia è fuori da ogni tempo.

Dieci, ventimila, centomila anni fa, gli abitanti del Giappone, un gruppo di isole affacciate a oriente su un vastissimo oceano, tanto vasto che non si poteva vedere altro che l’acqua infinita, si sentirono autorizzati a pensare che non potesse esistere niente tra loro e la casa del sole. Per questo, l’antico nome del Giappone si scrive con i caratteri 日本, rispettivamente sole (日 nichi) e origine (本 hon). Insieme, i due caratteri hanno il significato di Origine del Sole. Il sole nascente è così importante da rappresentare il simbolo che sta sulla bandiera del Giappone. Il sole è anche la dea Amaterasu, massimo nume dello shinto, dal quale discende la famiglia imperiale, la cui leggenda (che non può trovare spazio in queste righe), è raccontata da una xilografia allegorica del pittore Utagawa Hiroshige (歌川広重; 1797-1858), conservata al British Museum, di Londra.

Sono quasi alla fine del viaggio, cominciato da Hatsuhinode. Parliamo adesso di Michele Iannello. Non fotografa per professione. Ricordo che -qualche inverno fa- tornò in Italia dal Giappone per andare in Svizzera a fotografare il Cervino che, a una certa data, sarebbe stato illuminato da lame di luce e da lame di ombra. Ombra soprattutto. Perché il suo stile è / potrebbe essere lo stile “giapponese”, uno stile che si legge anche in Hatsuhinode. In questo stile c’è qualcosa di ancora più importante del sole: l’oscurità, lieve o intensa.

Lo stile è poeticamente descritto dalle parole di Jun’Ichirō Tanizaki, che traggo dal suo Libro d’ombra, che polemizza contro gli eccessi dell’illuminazione elettrica: «Avete mai visto, voi che mi leggete, una vera oscurità illuminata da una luce di candela? Non crediate che sia simile ad altre oscurità, per esempio a quella che vi circonda quando camminate su una strada notturna. L’oscurità di cui sto parlando è una sorta di tenue pulviscolo cinerino, e in ogni sua particella sembrano risplendere tutti i colori dell’arcobaleno».

Un’oscurità che rappresenta una sfida per coloro che, come Michele Iannello, amano la Fotografia. ■ ■

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