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Editoriale
L’altro giorno, ho riflettuto su un argomento. A dire il vero, causa mille e mille motivi, molti leciti, altri invasivi, non ho molto altro da fare durante il giorno, che pormi problemi. Perché mai si dovrebbe perdere tempo per accanirsi contro vicende fotografiche che reputiamo negative, distogliendone -di Tempo- da quelle invece meritevoli di attenzione e considerazione? Premesso che preferisco osservare, piuttosto di giudicare, e pensare, invece di credere, ritengo che i giudizi negativi siano da riservare a eventi, anche esistenziali, degni di attenzione individuale e collettiva: dalla vita sociale (e politica) che ci circonda al malcostume (anche politico) che ci opprime. In avvicendamento, assume rilevanza il linguaggio con il quale ci si esprime, soprattutto quello che indirizza l’attenzione non tanto “al negativo”, ma verso svolgimenti negativi, che è tutt’altra questione. Ovvero, verso elaborazioni avverse che ci danneggiano, sia in assoluto, sia nello specifico del piccolo-grande mondo fotografico, almeno per quanto ci riguarda direttamente, quantomeno per quanto compete (competerebbe) a queste pagine di incontro mirato e concordato... verso la Fotografia. Oppure, dalla Fotografia. Oppure, con la Fotografia. Eccoci qui, quantomeno oggi, quantomeno qui, in attualità di svolgimento, in introduzione, ma non giustificazione (ci mancherebbe altro), a un’edizione che in più propri passaggi segnala percorsi e momenti che consideriamo con svolgimento negativo: nello specifico, nel male, contrapposto a quanto, invece, valutiamo essersi attuato al positivo, cioè nel bene: da pagina quarantatré. Visto e considerato, indipendentemente da tutto, invitiamo a considerare la Forma, come peraltro anche lì facciamo, in quanto componente essenziale e coordinata al Contenuto. Già... Forma, in questo caso di scrittura. Insomma, nessuna aggressione, e ci mancherebbe altro, ma solo tragitto e percorso in proprio svolgimento lieve. Infatti, sia chiaro che Le parole sono pietre, da e con Carlo Levi, che abbiamo già avuto modo di evocare in prima edizione letteraria, del 1955 (edizione Einaudi più recente, dal 2016). Dunque, le parole vanno cucite e accostate con parsimonia, morale, giudizio e senso etico. In questo senso, la metafora calza a pennello. Nel suo sguardo sulla Sicilia, lo scrittore Carlo Levi invita «a scrutarne il segreto, a indagarne una lezione valida per tutti, a coglierne verità e speranza, al di là di tutti i travagli». Nel concreto e specifico, giusto ancora la Forma: la Parola che dà evidenza possiede un’oggettività percettiva paragonabile a quella delle Pietre. La descrizione che viene comunicata e trasmessa ha un peso specifico molto pesante. E allora? Allora, in ripetizione d’obbligo: lievità, in ossequio a ogni possibile sentimento altrui, in parità di diritti di chi legge e di coloro i quali sono presi in considerazione, non tanto a titolo di esempio, ma proprio per se stessi, i propri comportamenti (pubblici) e le proprie azioni professionali e in mestiere. Però, in opportuno adattamento da quanto fu scritto in presentazione di altri nostri testi, non lasciatevi fuorviare da una identificata lievità. La lievità, la sottintesa impertinenza sono brillanti mezzi da abile saggista per alleviare la tensione di un argomento fin troppo serio (magari, la Fotografia), e trattato con la più assoluta consapevolezza del sapere. Maurizio Rebuzzini
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