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Nel bene nel male
di Maurizio Rebuzzini
Nostro territorio comune e di incontro è la Fotografia: qualsiasi cosa questa significhi per ciascuno di noi. In nostra visione e intenzione, la Fotografia non è arido punto di arrivo, ma fantastico e privilegiato s-punto di partenza. Grazie alla Fotografia e con la sua guida, percepiamo e valutiamo quanto ci circonda. Tanto che, nel concreto, da almeno cinque decenni, la Fotografia è fulcro attorno al quale ruotano nostre osservazioni, considerazioni e riflessioni esistenziali.
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Detta meglio, forse (o forse no). Attraverso la Fotografia: la conoscenza e la pratica, il sapere e il fare.
Nel passato remoto, una certa forma di materialismo ha esaminato il problema della Conoscenza senza tener conto della natura sociale dell’Uomo; perciò, non ha potuto comprendere che la Conoscenza dipende dalla Pratica, cioè dalla propria attività professionale: che, per quanto ci riguarda, si richiama alla nostra frequentazione fotografica, sia in senso stretto di produzione di immagini (dalle origini fino a qualche tempo fa), sia in misura allargata di frequentazione delle sue analisi e riflessioni indotte (ormai, soprattutto questo).
In conseguenza di ragionamento, siamo convinti che l’attività produttiva sia pratica fondamentale, che determina anche ogni altro spirito individuale. Attraverso questa, ciascuno riesce a comprendere grado a grado i fenomeni, le proprietà e le leggi della Natura, come pure i propri rapporti con la Natura e la Realtà; inoltre, attraverso l’attività produttiva, a poco a poco, ognuno raggiunge i diversi livelli di comprensione di certi rapporti reciproci tra gli Uomini.
Nel corso della propria attività professionale e vita sociale, ognuno di noi collabora con altri, entra in determinati rapporti di produzione con il prossimo e s’impegna nell’attività produttiva per risolvere i problemi della vita materiale. A tutti gli effetti, questa è la principale fonte di sviluppo della Conoscenza umana, ed è logico ritenere che la conoscenza individuale evolva, passo a passo, dagli stadi più bassi ai più alti, cioè dal superficiale al profondo, dall’unilaterale al multilaterale.
La pratica professionale è uno dei criteri con i quali raggiungere la Conoscenza del mondo esterno. Però, ciascuno di noi riceve conferma della verità della propria conoscenza solo dopo che nel corso del processo esistenziale materiale ha raggiunto i risultati previsti.
Costume e malcostume della fotografia italiana contemporanea, in relazione a ciò che richiamiamo alla Fotografia. Dalla Forma che identifica autorevolezze alla intrigante generosità Cosplay. Su altro fronte, opposto, dall’egocentrismo all’ignoranza. A ciascuno, il proprio
Personalmente, siamo affascinati dai piccoli crocevia della Vita, dalle biforcazioni inattese. Guardiamo il nostro passato, e cerchiamo di capire. I crocevia, i segnali stradali, le pietre miliari diventano visibili solo alla fine, a disegno finito. Siamo entrati in Fotografia, nell’autunno Settantadue, cinquant’anni fa, per Caso e con inganno. E qui siamo rimasti. Testimoni oculari, a volte complici, abbiamo assistito a tante trasformazioni e alterazioni: alcune avvincenti e convincenti; altre dissuasive e repellenti. Da qualche stagione, il cammino è contraddittorio e discorde: a misura e causa di una ignoranza sempre più diffusa e imperante. Una sostanziosa incompetenza ideologica ha prodotto un analfabetismo dilagante e -ormai!- dominante. Avremmo anche individuato cause e colpevoli: ma non serve richiamarle e indicarli. In un tempo, come è quello attuale, presieduto dall’assenza di filtri selettivi, tutti possono ipotizzare di essere capaci e autorizzati ad esprimersi, riversando nella Vita modalità e considerazioni che fino a ieri l’altro rimanevano circoscritte alle chiacchiere da bar.
Nel percorso attuale, il riferimento principale al Bene sottolinea la qualità di Pensiero della progettualità culturale del programma fotografico allestito per la Quinta edizione della Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro, organizzata e svolta dall’autorevole Fondazione Mast, di Bologna (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia) -genericamente semplificata in Foto/ Industria 2021-, intitolata al Food. Lo scorso novembre Duemilaventuno, abbiamo presentati e commentati i Contenuti, a cura dell’autorevole Francesco Zanot; qui e oggi, riveliamo la combinazione con la Forma... per il Contenuto. Siamo competenti a farlo.
Studio Librizzi (Milano) Herbert List: Favignana. Palazzo Fava, Sala di Giasone e Medea, Bologna. «Herbert List (1903-1975) è il campione della “fotografia metafisica”. La serie di quarantuno fotografie riprese sull’isola siciliana di Favignana è documento fondamentale della storia locale e testimonianza della maturità artistica dell’autore tedesco. In una sequenza rara e calibrata, si celebra la vita e la morte, trattando i pesci alla stregua di figure mitiche e osservando i lavoratori isolani come gli ultimi custodi di un sapere arcaico».
All’alba di questa involuzione, quando e per quanto ne scorgemmo i primi segni, insieme con Ando Gilardi, con il quale dividevamo gli spazi di svolgimento dei reciproci impegni professionali, dopo stagioni immediatamente precedenti -quando fu mio direttore nella redazione del mensile Photo 13-, coniammo una parafrasi (circonlocuzione / esposizione / interpretazione), diversa dal solo paradosso (assurdità / esagerazione / bizzarria / stravaganza / stranezza / eccentricità).
Constatammo che, a quel punto (da quel punto?), ognuno poteva credere di saper fare almeno tre cose: scattare fotografie, parlare di fotografia e andare a cavallo. Ahinoi -concludevamo-, solo il cavallo protesta. (Infatti, come ben si sa, quando il cavallo si rende conto che il suo cavaliere è inadeguato e incapace, se ne torna nella stalla, senza assecondare i suoi grotteschi comandi). NEL BENE: SUA FILOSOFIA Indipendentemente da quanto la Fotografia offra a ciascuno di noi, e da come influisca/intervenga nella educazione e crescita personale, non possiamo ignorare che ne esista un Bene al di sopra di ogni individualismo possibile e probabile (nello spirito di qualsiasi cosa la Fotografia rappresenti per ognuno).
Dunque, l’avverbio “bene” ha una propria valenza certa e ufficiale. Dall’autorevole Enciclopedia Treccani: «in modo buono, retto, giusto, conveniente, opportuno, vantaggioso [...], in modo da dare soddisfazione piena». Compiutamente, il Bene si allinea a una idea di onestà, perfino intellettuale.
Per quanto ci riguarda e interessa, in Fotografia, non è stato bene l’aver avviato la stagione (che perdura ancora) che ha confuso tra loro valore (?) presunto a valori certi e accertati (!). Spieghiamoci: a un certo punto, in relazione a spettacolarità altre, è stato innalzato l’immaginato “valore” delle persone, dei fotografi rispetto i “valori” da loro espressi e offerti: spesso, a piene mani.
Un padre-padrone di quei tempi (dai secondi anni Settanta) tenne a battesimo questa conversione, assoggettandole le proprie azioni: i suoi svolgimenti fotografici furono tutti finalizzati a nutrire il proprio ego, come si trattasse della scelta di un’automobile, di un abito. Lui orientò e indirizzò l’intero comparto fotografico, inducendo suoi adepti e fedeli ad arricchire prima la sua immagine che desiderava proiettare nel mondo fotografico e, poi, concedendo loro di fare altrettanto per se stessi. Per questi operatori culturali (presuntamente e presuntuosamente tali), la percezione altrui fu elevata a uno specchio nel quale guardarsi e, come Narciso, innamorarsi della propria immagine riflessa.
Questo è il passo, questa è la cadenza sulla quale si è formata la successiva (attuale) scuola di addetti culturali della fotografia. Ancora tra noi. Imperiosamente sopra di noi! NEL BENE: AL MAST Lo scorso novembre Duemilaventuno, presentando la Quinta edizione della Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro, organizzata e svolta da Fondazione Mast, di Bologna (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia) -genericamente semplificata in Foto/Industria 2021-, rivelammo un nostro disagio professionale, giornalistico: vincolato da tempi e modi che obbligano a livellare tra loro considerazioni di peso e misure diversi. Non potendo affrontare e svolgere più temi, per non distogliere l’attenzione dai soggetti principali, per forza di cose, si sarebbero dovute lasciare perdere
molte e molte altre riflessioni plausibili e necessarie, prima che utili. Così che, quel fantastico programma fotografico sarebbe stato (necessariamente) presentato in uno spazio redazionale analogo alla personale di Luigi Pirletti, di Bassano del Grappa, in provincia di Vicenza.
Allora, a novembre, in cronaca, ci occupammo soltanto della Biennale, in propria identificazione Food, a cura dell’attento e accreditato Francesco Zanot.
A seguire, qui e oggi, nel bene nel male, torniamo su argomenti sostanziali e mirati: a partire da valutazioni che considerano la Forma (dalla pianificazione all’allestimento) parte consistente della progettualità fotografica e della propria presentazione e proposizione al pubblico. Non amplifichiamo, anche se saremmo tentati a farlo, ma -soltanto- richiamiamo Vassilij Kandinskij (altrove e altrimenti, Wassily Kandinsky; 1866-1944), iniziatore dell’Astrattismo, corrente che ha cambiato la concezione delle arti figurative, per i suoi concetti teorico-pratici di Linea, Forma, Colore e Musica.
Soprattutto, mobilitiamo il suo scritto Lo spirituale dell’arte, del 1910, disponibile nell’eccellente traduzione italiana a cura di Giuseppe Pontiggia, in edizione Se, del 2005; e non ignoriamo, in simultanea, Punto, linea, superficie. Contributo all’analisi degli elementi pittorici, pubblicato da Adelphi, dal 1968.
Siamo idonei ad affrontare il cammino della Forma sul Contenuto, sulla base del nostro passo professionale: dalla confezione di questa stessa rivista, oltre che con il conforto di altre esperienze specialistiche coincidenti. In questo ordine.
Non è richiesto rilevare come e quanto ogni numero di FOTOgraphia sia pensato e realizzato in armonia e concordanza di argomenti allineati tra loro; ma è implicito che sia percepibile un certo assetto. In metafora, è come una squadra di baseball (sport nel quale ci cimentammo, alla fine degli anni Sessanta, in Serie C, dal sacchetto di Terza base), composta da solisti che agiscono per se stessi, soprattutto in attacco, in battuta, la cui somma di assolo compone un’orchestra finalizzata con equilibrio e proporzione: a differenza, sia stabilito, di ogni altro sport di squadra, per ciascuno dei quali è richiesta una consonanza e coerenza inviolabilmente collettiva.
Dunque, una rivista non deve essere soltanto un agglomerato di argomenti a riempire mediocremente le pagine previste, ma li deve tenere uniti e accostati con allineamenti trasversali.
Lo stesso avviene e accade, deve avvenire e accadere, in un progetto fotografico di mostre in sintonia e coordinamento, come da intendimento dell’autorevole Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro / Food (Foto/Industria 2021). Anche qui, una deposizione connessa. Qualche stagione fa, fummo coinvolti in un progetto fotografico teoricamente affascinante, da allineare all’anno in cui Matera, in Basilicata / Lucania, sarebbe stata Capitale Europea della Cultura (2019: insieme con Plovdiv, in Bulgaria). Ipotizzammo e iniziammo a progettare un tragitto diagonale identificato come Coscienza dell’Uomo, da svolgere a cadenza trimestrale in spazi della città. Immediatamente, dovemmo correggere le prime comunicazioni dal luogo, che titolarono La coscienza dell’uomo: con inutile e fuorviante articolo determinativo e assenza di maiuscole dovute (Coscienza e Uomo): sia rivelato, correzione ricevuta con perplessità non celata, sconcerto e scetticismo. Quindi, non fu neppure presa in considerazione la condizione basilare secondo la quale un programma espositivo distribuito in più sedi ne
Lorenzo Vitturi: Money Must Be Made. Palazzo Pepoli Campogrande, Bologna. «Coerentemente interessato all’incontro tra differenti culture, Lorenzo Vitturi (1980) ha maturato il progetto nell’ambito di una residenza a Lagos, su invito della African Artists Foundation. «Scenario è Balogun, uno dei più grandi mercati di strada al mondo. Il risultato è una mostra che investiga un ecosistema fragile e sconfinato, dove la tradizione si confronta con l’economia globale; e gli individui costituiscono ancora un fattore fondamentale».
Altrettanto nel Bene. Il pianeta Cosplay è motivo conduttore del Lucca Comics & Games: qui, presenze per l’esibizione musicale della Banda Bassotti. Cosplay è un portmanteau di “costume play”, è una attività e una performance art nella quale i partecipanti indossano costumi e accessori per rappresentare personaggi specifici, nella fattispecie individuati sulle pagine dei fumetti (soprattutto, anime e manga), tra le pieghe di cartoni animati, tra i fotogrammi di film di culto e serie televisive, nell’effimero di videogiochi. Di fatto, Cosplay è un gioco di ruolo in costumi estranei a qualsivoglia palcoscenico ufficialmente tale. deve avere una principale-istituzionale di riferimento e richiamo: per esempio, l’indirizzo bolognese della Fondazione Mast - Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia, in via Speranza 42, per quanto riguarda la Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro, qui e oggi sinonimia di Bene.
Quindi, alla resa dei conti, in svolgimento caotico, incompetente e arrogante, furono stravolte le acute combinazioni di argomento/soggetto con luogo, predisposte originariamente: deformate, perché non comprese e considerate soltanto come bizzarrie. Tanto che, per e causa di stolte interferenze altrui, sarebbe stato più legittimo trasformare l’identificazione originaria nella più connessa certificazione In-Coscienza dell’Uomo... altra storia.
Da cui: Forma per il Contenuto. Ancora: Forma sul Contenuto. Ribadiamo: Forma del Contenuto, in lettura e decodifica della/dalla Biennale di Fotografia dell’Industria e del Lavoro / Food (Foto/Industria 2021), a cura del preparato, abile e autorevole Francesco Zanot, in garanzia incondizionata e universale.
Una volta affrontato e risolto (!) il Progetto (Maiuscola volontaria, oltre che consapevole), la Forma ha guidato e indirizzato l’accostamento/unione con gli spazi espositivi distribuiti in Città, a Bologna, che nel caso della Biennale Mast non sono necessariamente gli stessi, edizione dopo edizione.
In accordo con la progettualità di base, gli allestimenti scenici coordinati Contenuto-con-Forma sono stati progettati dal qualificato Studio Librizzi, di Milano (www.francescolibrizzi.com) e realizzati da Tosetto Allestimenti, di Jesolo, in provincia di Venezia (www.tosettoallestimenti. com). Dato l’attuale argomento, nel senso di nel bene (!), è anche la Forma che ha contribuito all’efficacia progettuale ed espositiva dei relativi Contenuti. Ovviamente, dopo aver già rilevato e rivelato la prestigiosa sostanza degli stessi Contenuti, lo scorso novembre, in cronaca. DAL BENE AL MALE: A LUCCA Per quanto interessati anche al mondo dei fumetti, magari indipendentemente da eventuali e conosciute combinazioni con la Fotografia, prima dello scor-
so autunno, non avevamo mai visitato/ frequentato il suo appuntamento italiano di prestigio e vertice: da tempo, Lucca Comics & Games. C’è voluta la tenacia e insistenza di Marco Saielli, di Pistoia, autentico cultore della materia (e di tanto altro ancora; in portfolio a tema, su questo stesso numero, da pagina 50). Per visitare Lucca 21 - A riveder le stelle, siamo arrivati in Toscana la mattina di venerdì ventinove ottobre, di primo giorno, intrattenendoci fino al tardo pomeriggio di domenica trentuno (e il Festival ha chiuso i battenti, lunedì Primo novembre).
Già sul treno, nella tratta di collegamento da Viareggio a Lucca, il Lucca Comics & Games ci si è presentato come neppure ce lo saremmo potuti immaginare, in fervida fantasia: colpa nostra, che non abbiamo mai approfondito; merito dei partecipanti, che hanno invaso le carrozze nei propri sgargianti costumi. Già!
Infatti, per quanto fossimo consapevoli che la manifestazione specialistica e specializzata, approdata alla sua cinquantacinquesima edizione annuale, si offra da tempo con affascinante multidisciplinarità, non avremmo mai immaginato ciò che è: (testuale) «Novella Enterprise, è una nave in esplorazione al centro della convergenza dei linguaggi contemporanei. Fumetto, gioco, videogioco, cinema, TV e illustrazione compongono una galassia che Lucca Comics & Games percorre in ogni dimensione, tramite eventi, progetti, iniziative educative e di partecipazione». Hai detto poco.
Autentico motivo conduttore, più che contorno, già dal treno, per affermarsi poi nei tre giorni in città, il pianeta Cosplay! Da qui, per chi non conosce il fenomeno, peraltro oscuro anche a noi, fino allo scorso autunno. Cosplay è un portmanteau di “costume play”, è una attività e una performance art nella quale i partecipanti (cosplayer) indossano costumi e accessori per rappresentare personaggi specifici, nella fattispecie individuati sulle pagine dei fumetti (soprattutto, anime e manga), tra le pieghe di cartoni animati, tra i fotogrammi di film di culto e serie televisive (meglio se di fantascienza), nell’effimero di videogiochi. Di fatto, Cosplay è un gioco di ruolo in costumi estranei a qualsivoglia palcoscenico ufficialmente tale. Snobisticamente bollato come “sottocultura”, Cosplay è autentica Cultura dei nostri tempi e modi, checché ne dicano i difensori talebani della Kultura, checché ne ragionino i benpensanti.
Cosplay è l’anima aggregante di Lucca Comics & Games. Addirittura, tanto altro a parte (dall’aspetto fieristico a quello educativo, alle ufficialità canoniche), è l’appariscenza autentica e sincera di un approccio esistenziale degno e meritevole. Anche limitandoci soltanto a questo, magari a discapito del consistente spessore di un appuntamento di alto profilo, è senso, misura e valore di un meraviglioso Bene.
Da cui, in accostamento geografico, ci incamminiamo verso un Male accertato.
Formalmente, il fenomeno Cosplay, che per quattro giorni invade la città toscana ospite, offrendo spettacolo di onestà di intenti e felicità esistenziale, per quanto individuale, viene spesso ricondotto a una ipotesi di autorefenzialità e autoappagamento: il mascheramento come forma di esibizionismo fine a se stesso. Invece, attenzione attenzione, è vero l’autentico contrario.
Potrebbe parere che i cosplayer agiscano per essere guardati, magari perfino ammirati. All’opposto, nulla di quanto possano ottenere è minimamente paragonabile a ciò che offrono e donano.
Ancora nel Bene. Nella Fotografia di Marco Saielli, in portfolio da pagina 50, è sostanzialmente fondamentale la previsualizzazione del soggetto, cioè del processo della sua identificazione e cosciente definizione secondo criteri e princìpi individuali: come è accaduto con i soggetti Cosplay, avvicinati a margine del Lucca Comics & Games 2021. In conseguenza, viene definita la gamma delle tecniche applicate, tra le quali deve essere individuata la più adatta a interpretare l’immagine come si è impressa nella mente del fotografo, prima e meglio di come verrà effettivamente esposta sulla pellicola, in forma latente (ma non latitante).
WUNDERKAMMER MAURIZIOANGELOREBUZZINI
Di fatto, latente da tempo e tempo, l’identificazione WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini si sta rivelando ufficialmente da questo stesso numero di FOTOgraphia, dove e quando è evocata in un paio di articoli, almeno in due.
La definizione è mutuata dal riconoscimento originario, in tedesco; per l’appunto, Wunderkammer, con varianti Kunstkabinett e Kunstkammer, più rare. Elegante la traduzione francese Cabinet de Curiosités; e adeguate quelle italiane, Gabinetto delle Curiosità, piuttosto che Gabinetto delle Meraviglie (“Gabinetto”, meglio di “Stanze”). In ogni caso, si tratta di raccolte di oggetti notevoli, appartenenti a una sola disciplina, oppure trasversali a più indirizzi, meglio se collegati e/o collegabili tra loro. A conti fatti, storicamente, queste collezioni sono anticipatorie dei musei propriamente tali.
Per quanto, per intenzioni dei rispettivi tutori, in acconto sui curatori odierni, i Gabinetti furono utili/necessari per stabilire e mantenere rango nella società, va sottolineato come e quanto siano serviti come raccolte per riflettere su particolari Meraviglie e Curiosità (magari soltanto dei loro realizzatori).
In tempi recenti, osservando il Passato, l’autorevole storico britannico Robert John Weston Evans (1943) ha annotato due aspetti fondanti della questione. Da una parte -ha rilevato-, ci sono stati Gabinetti principeschi, «che hanno svolto funzioni ampiamente rappresentative, dominati soprattutto da apprensioni estetiche e da una spiccata predilezione per l’esotico»; dall’altra, Gabinetti più umili, ovvero «riservate collezioni di studiosi umanisti che, virtuosamente, sono servite per scopi pratici e scientifici». In citazione opportuna, queste visioni e opinioni sono riportate nell’ottimo saggio The Origins of Museums - The Cabinet of Curiosities in Sixteenth- and Seventeenth-Century Europe, di Oliver Impery e Arthur MacGregor, del 2018, non (ancora) tradotto in italiano.
Comunque, di fatto, non è mai esistita una chiara distinzione tra le due categorie individuate da Robert John Weston Evans: in assoluto, tutto il collezionismo è sempre stato caratterizzato e definito dalla Curiosità, magari all’ombra di antiche credulità. Così è ancora oggi; così è per l’ampio ed eterogeneo contenitore WunderKammer MaurizioAngelo Rebuzzini, il cui minimo comun denominatore è la Fotografia: quantomeno per come la interpreta e intende il responsabile -gradini sotto l’eventuale attestazione di “curatore”!identificato nella definizione completa.
Procedendo al di fuori di schemi prestabiliti, la WunderKammer MaurizioAngeloRebuzzini spazia in lungo e largo, molto in lungo, altrettanto in largo. Con disinvoltura, spudoratezza, insolenza, impertinenza, impudenza e sfacciataggine, si passa dagli apparecchi fotografici ai gadget (oggetti in forma/richiamo fotografico: per quanto necessariamente inscatolati e non esposti, da diecimila a ventimila), da Dvd di film comprensivi di Fotografia (in origine, Vhs) a fumetti altrettanto inclusivi, da riviste a libri, da francobolli a tema a romanzi comprensivi di, da-a tanto e tanto ancora. Il tutto, in quantità, oltre che qualità. Per difetto: centinaia e centinaia di strumenti/utensili della Fotografia (non tanto quelli canonizzati, tipo Leica, che si possono individuare e trovare sempre, all’occorrenza, ma quelli più umili, ma non minori, che potrebbero sfuggire alla propria conservazione); dozzine di strumenti unici della Fotografia (per esempio: clamorosa Sinar biottica 4,5x6cm; pre-Silvestri grezza e improvvisata, prima della successiva produzione industriale; Horizon D-L3, panoramica digitale a obiettivo rotante, che non ha superato la preserie; affascinante Gowlandflex biottica 4x5 pollici...); migliaia di fotografie “antiche”, soprattutto non professionali; decine di fotografie contemporanee dedicate (in testa alle quali, il ritratto più che iconico di Ernesto “Che” Guevara / Guerrillero Heroico, di Alberto Korda / Alberto Diaz Gutiérrez; 1928-2001).
Attenzione, però, che è sempre e comunque un problema di consonanti e loro alternanza: non importa mai cosa hai, ma quello che fai con ciò che hai.
Ancora, attenzione: soprattutto in Italia, soprattutto in Fotografia, non contano mai i valori che esprimi e porti, ma il presunto valore spettacolare che ti viene riconosciuto.
Ancora, ancora, attenzione: l’esprimersi con franchezza, soprattutto se a porte chiuse, tra addetti (mai in presenza di pubblico), e il coraggio delle proprie opinioni non sono valori (autentici!) accettati. Al contrario, sono qualità disorientanti. Per non parlare, poi, del sarcasmo e dell’ironia.
«Lieto di conoscervi».
Detta meglio: pare che lo facciano per sé, in egoismo di intenti, ma -alla fin fine- concedono e regalano uno spettacolo che arricchisce soprattutto (soltanto?) chi li guarda.
Al contrario... ideologico: il Photolux Festival, nato Lucca Digital Photo Fest, geograficamente collocato nella stessa città, promette di indirizzarsi al pubblico... invece edifica soltanto il proprio ego. Da cui, una ripetizione dovuta: «Per questi operatori culturali (presuntamente e presuntuosamente tali), la percezione altrui è elevata a uno specchio nel quale guardarsi e, come Narciso, innamorarsi della propria immagine riflessa».
Ovvero, il programma fotografico Photolux Festival non assolve alcun merito pubblico, ma appaga solamente il proprio ego, il proprio io. NEL MALE: POI, BASTA Arrivati a questo punto, siamo esausti. Inoltre, per nostra indole, all’esterno di un territorio ironico e sarcastico, non amiamo occuparci di vicende che consideriamo negative o al negativo, per non sottrarre tempo e spazio a ciò che merita plauso e segnalazione. Per cui, pochi dettagli, nessun approfondimento sostanziale, ma solo breve casellario in selezione circoscritta, in richiamo e riferimento al territorio fotografico.
Mia Photo Fair 2021 (prossima undicesima edizione 2022, dal ventotto aprile al Primo maggio). Volente o nolente, e indipendentemente da qualsiasi altra intenzione degli organizzatori, la fiera internazionale d’arte dedicata sta rivelando una modestia propositiva che -alla fin fine- definisce e identifica la Fotografia contemporanea italiana.
A nostro modo di pensare, l’aggravante nazionale è presto riconosciuta, e si basa sull’ormai endemica ignoranza di intenti e svolgimenti che ci definisce. In ripetizione: autori italiani contemporanei, soprattutto giovani, «se ignoranti siete, potete migliorare soltanto leggendo, comprendendo, avvicinando in punta di piedi, ascoltando. Le etichette [tipo, street photography: ammesso e non concesso che...] sono solo quelle adesive».
Comunque, qualsivoglia manifestazione fieristica, per propria definizione “mercantile”, deve (!) accompagnarsi con un catalogo cartaceo. Così come i calciatori debbono indossare pantaloncini e maglietta, indipendentemente dai propri gusti in materia di abbigliamento, e quelli di baseball pantaloni lunghi, con cintura in vita, e casacca intonata.
Salone del Mobile, a Milano, con coinvolgimento sociale dell’intera città, in adorazione. Molti visitatori, addetti e non. Autorevoli reportage in cronaca e approfondimento ideologico. Poi, nella realtà, quel design è latente e latitante, documentato e tramandato alla Storia soltanto da colta Fotografia (maestro indiscusso, lo Studio Ballo + Ballo, di Aldo Ballo e Marirosa Toscani Ballo). Vai in casa della gente, e... lasciamo perdere.
Archivi aperti, ancora in Lombardia (pardon), con appendice di appuntamenti fotografici gestiti in coincidenza di intenti. Oltre indirizzi di pregio, in programma, anche archivi privati di fotografi di mestiere (e arte?), presso i quali avvicinare le modalità di conservazione dei relativi manufatti. A ciascuno, le proprie convinzioni in materia di Fotografia.
Ancora in ripetizione odierna, in conio congiunto con Ando Gilardi, nei secondi anni Settanta del Novecento: «Ognuno può credere di saper fare almeno tre cose: scattare fotografie, parlare di fotografia e andare a cavallo. Ahinoi, solo il cavallo protesta».
Solo il cavallo! ■ ■
Per quanto, dal Male, a margine del Mia Photo Fair 2021, una presenza meritevole. Oltre altro, la personalità di s.t. foto libreria galleria, di Roma (di Matteo Di Castro; www. stsenzatitolo.it), suggerisce e offre una affascinante selezione di stampe fotografiche proposte a prezzi abbordabili. Anni fa, rintracciammo un posato del giovane attore Lee Aaker (1943-2021), nei panni del leggendario caporale Rusty, con il cane Rin Tin Tin, della mitica serie televisiva degli anni Cinquanta, accanto a un apparecchio fotografico in legno. Lo scorso ottobre, è stata la volta di in posato degli attori Cleo Moore e Richard Crenna, protagonisti del film L’arma del ricatto, del 1956.